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Autore Topic: I vari miti narrati da Platone  (Letto 11087 volte)

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Offline tisifone75

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I vari miti narrati da Platone
« il: 14 Gennaio, 2010, 14:35:29 pm »
Apro questo topic per parlare dei miti narrati nei dialoghi platonici e del loro intrinseco significato. Come premessa innanzi tutto vediamo cosa è il mito e quindi la mitologia. La parola mito deriva dal greco mùthos che vuol dire racconto di tipo sacro, e quindi già chiariamo che i miti non sono sono leggende o storie comunemente tramandate e che certo no vanno sottovalutati o troppo riassunti al fine di non perdere l'integrità originale delle informazioni in essi contenuti. Inoltre sempre presso i greci antichi il mustes era l'iniziato ai Misteri Eleusini Minori, la parola mustes ha la stessa radice mu- di mùthos e ciò è molto indicativo in quanto rimarca lo stretto legame tra il mito e la religiosità greca e non solo. Tale discorso in generale va applicato anche agli altri tipi di mitoligia (nordica, giapponese, sudamericana etc). La parola mitologia deriva dalle due parole greche mùthos e lògos, significa quindi discorso, approfondimento e se vogliamo discipilina intorno al mito e si occupa quindi non solo di raccogliere le storie narrate nei vari miti ma anche di raccogliere le fonti dei miti stessi, le varie versioni dei miti e di collocarli nella loro giusta dimensione: per i miti greci sarà la dimensione della società e della religiosità greca dell'epoca in cui miti nacquero e di quelle in cui i miti erano per i greci importanti, senza questa specificazione è impossibile comprendere la validità e la grandezza del mito stesso.

Il filosofo greco Platone usò i miti per rappresentare le verità ultime che secondo lui non avevano altro modo di essere rivelate poichè la parola o la spiegazione razionale non bastavano ad esprimerli, si ricordi in proposito anche la poetica dell'ineffabile dantesca, quindi il mito diventa strumento funzionale di rivelazione per l'autore che primo nella storia ha indicato che dietro ai miti si celano in realtà verità e non solo affascinanti storie oltre al fatto che sono racconti simbolici ed allegorici. Tale concetto è stato fortunatamente poi ripreso dal grande psicologo Jung. Riporto ora uno dei miti platonici più famosi e ovviamente li posterò tutti nel tempo.

N.B: nei suoi dialoghi platone parla per bocca di Socrate e gli studiosi ancora oggi si stanno applicando per capire cosa è di Platone e cosa è di Socrate, suo Maestro, nei dialoghi.

Mito di Er (da La Repubblica)
Il mito posto alla fine del dialogo.
Spoiler
Er era un guerriero della Panfilia caduto in guerra: il suo corpo viene raccolto e portato sul rogo e proprio prima che gli dessero fuoco si risvegliò e raccontò ciò che vide nell'aldilà, affermando che gli dei gli concessero di ritornare sulla terra per raccontare agli altri uomini ciò che aveva visto.
Una volta uscita dal suo corpo  la sua anima si era messa in cammino con molte altre, finché non era giunta in un luogo daimonion (meraviglioso, divino). Qui c'erano due coppie di voragini contigue, una in cielo e l'altra in terra, e in mezzo sedevano i giudici delle anime. Questi, pronunciato il giudizio, ponevano al collo dei giusti e alle spalle degli ingiusti i segni della sentenza, e ordinavano ai primi di salire a destra e in alto e ai secondi di scendere a sinistra in basso. Quando Er si era presentato, i giudici gli avevano ingiunto di ascoltare e guardare tutto quello che succedeva, per poterlo raccontare. (614b-c)
Dalla voragine celeste a sinistra e dalla voragine terrestre a destra uscivano altre anime, le une pure e le altre sporche e impolverate, reduci da un viaggio di mille anni in cielo o sottoterra. Il viaggio sotterraneo era un viaggio di espiazione, nel quale ogni ingiustizia commessa in vita veniva pagata con dolori dieci volte tanti quanti quelli provocati. Con una misura analoga le azioni giuste venivano compensate. (614d-615c)
Tutti i castighi erano temporanei, tranne quelli riservati ai tiranni. Er raccontò di aver udito un'anima chiedere a un'altra dove fosse il grande Ardieo, che mille anni fa era stato tiranno di una città della Pamfilia. Ardieo - le fu risposto - non è venuto e non tornerà mai più. Quando i tiranni, o qualche privato che si è macchiato di un delitto gravissimo, tentavano di uscire dalla bocca della voragine, essa emetteva un muggito. A questo segnale, i tiranni venivano presi, scorticati e trascinati al Tartaro. (615c-616b)
Dopo sette giorni di permanenza in quel luogo, le anime furono fatte camminare per quattro giorni, finché non giunsero in vista di una luce simile all'arcobaleno, che teneva insieme tutta la circonferenza del cielo. Alle estremità era sospeso il fuso di Ananke, la divinità che rappresentava la necessità o il destino ineluttabile, per il quale giravano tutte le sfere. Il fusaiolo, che era il contrappeso che manteneva a piombo il fuso, era formato da otto vasi concentrici, messi uno dentro l'altro, e ruotanti in direzioni opposte sull'asse del fuso. Su ogni cerchio stava una Sirena, che emetteva un'unica nota, e le diverse Sirene tutte insieme producevano ruotando un'armonia. Gli otto fusaioli rappresentavano gli otto cieli concentrici della cosmologia antica, nell'ordine pitagorico: stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Venere, Sole e Luna. Il fuso girava sulle ginocchia di Ananke. Le tre Moire, sedevano in cerchio su tre troni a uguale distanza. Le Moire sono figlie di Ananke e nello spefico erano Cloto, la filatrice, che cantava il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, l'avvenire. (616b ss)
Appena le anime giunsero in questo luogo, un araldo le mise in fila per presentarle a Lachesi. Quindi, prese dalle ginocchia della Moira delle sorti e dei modelli di vita (biou paradeigmata), annunciò:
"Parole della vergine Lachesi, figlia di Ananke: anime, che vivete solo un giorno (ephemeroi) comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte (thanotephoron). Non vi otterrà in sorte un daimon, ma sarete voi a scegliere il daimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù (aretè) è senza padrone (adespoton) e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio (theòs) non è responsabile". (617d)
N.B: nella mitologia greca, il daimon è la creatura divina che presiede alla sorte di ciascuno. Ma in questo racconto, quello che siamo - dichiara l'araldo - dipende essenzialmente dalle scelte che facciamo.
Venne sorteggiato l'ordine della scelta delle anime, e venne loro proposta una grandissima quantità di paradigmi di vita: vite di animali, di uomini, di donne, di tiranni, di successo o fallimentari, di persone oscure o insigni. Ma non vi era una taxis (disposizione, ordine) dell'anima, perché ognuna diventa necessariamente diversa a seconda che scelga l'una o l'altra vita.
Er raccontò anche alcune scelte fatte dalle anime: per esempio, la prima, che era venuta dal cielo, dopo aver praticato la virtù solo per abitudine e senza filosofia in una politeia ordinata, si precipita a scegliere la vita di un tiranno, per accorgersi subito dopo che contiene dolori e sciagure, e prendersela con la sorte. Le anime che venivano dalla terra, invece, facevano scelte più avvedute, perché avevano imparato dall'esperienza. La selezione dei paradigmi di vita da parte delle anime era uno spettacolo insieme miserevole, ridicolo e meraviglioso. La maggioranza sceglieva secondo le abitudini della vita precedente: Agamennone, per esempio, scelse la vita di un'aquila, e Odisseo, stanco di avventure, la vita tranquilla di un privato. (620a ss)
Dopo la scelta, le anime si presentavano a Lachesi, dalla quale ciascuna ottieneva il daimon che si è preso, perché gli fosse custode e adempisse quello che l'anima aveva scelto. Questi poi guidava l'anima da Cloto, a confermare sotto il giro del fuso il suo destino, e poi da Atropo a renderlo inalterabile, e quindi, dal trono di Ananke, verso la pianura del Lete, afosa e senza alberi. Alla fine della giornata le anime si accampavano sulla riva del fiume Amelete (trascuratezza, incuria), la cui acqua non può essere contenuta da nessun vaso. Tutti - tranne Er - vennero obbligati a bere quell'acqua, che faceva dimenticare, e chi non era frenato dalla phronesis (una sorta di moderazione) ne beveva di più. Poi le anime si addormentarono e, a mezzanotte, con un terremoto, furono lanciate nell'avventura del nascere. Er, che non aveva bevuto l'acqua del Lete, si era svegliato sulla pira funeraria, con la memoria del suo mito. Memoria che - conclude Socrate - anche noi potremo conservare, se attraversemo bene il Lete e seguiremo la via ascendente della dikaiosyne (giustizia) e della phronesis (discernimento), per trovarci bene in questo mondo e nell'altro millenario cammino. (620d ss)
[close]

Cosa dice in merito Platone.
Saper scegliere una vita giusta e scartarne una ingiusta, commenta Socrate, è importante, per raggiungere la massima eudaimonia. (618e-619a) Anche per chi arriva per ultimo, essendo la rosa dei paradigmi di vita molto ampia, c'è la possibilità di condurre una vita non cattiva, se la scelta viene fatta con senno.
Platone fa notare che di solito chi veniva dal Cielo tendeva ad effettuare scelte sbagliate, mentre chi veniva dalla Terra e aveva sofferto sceglieva bene. Infatti chi aveva vissuto per 1000 anni di beatitudine si era scordato di che cosa fosse la sofferenza. Quindi chi ha sofferto sceglie bene e sceglie una buona vita che lo porterà al Cielo , mentre chi ha goduto sceglie male e dopo che ri-morirà finirà nella Terra. Pare quindi un circolo vizioso, ma in realtà Platone dice che il motivo per cui si sceglie una vita buona o una cattiva può derivare da doti naturali: ci sono infatti persone portate a comportarsi bene per inclinazione naturale, vi è anche chi ha conoscenze basate sulla doxa (l'opinione) e che può cogliere alte realtà, ma solo casualmente, senza riuscire a fornire motivazioni: costoro, che conducono una vita buona per caso, non radicata nella coscienza, si smontano facilmente nel Paradiso quando godono e finiranno per scegliere male. Chi ha invece raggiunto il bene in sè, l'idea del Bene, non cadrà mai nel male.
Considerazioni ed informazioni offerteci dal mito
1) Si evince che l'Ade come regno dei morti è in realtà rappresentazione della religione essoterica greca mentre platone fa chiaramente riferimento alla religione esoterica greca costitutita di Misteri Orfici ed Eleusini
2) Apprendiamo che anche per i greci la reincarnazione era un concetto fondamentale che li collegga direttamente con gli orientali
3) Appare chiaro come l'intero mito sottenda significati ben più profondi del semplice racconto e che possono essere approfonditi se lo desiderate.

Il mito del Giudizio dei Morti. (dal Gorgia)
Il dialogo si conclude con il mito del Giudizio dei Morti che Socrate chiaramente dice di non considerare muthos ma logos, quindi discorso veritiero e non fantastico. Ritroviamo l'ipotesi di un mondo delle anime dei morti, come luogo della verità e non come regno di mere ombre, si trova anche nelle pagine finali dell' Apologia di Socrate.
La funzione del mito sia in questo dialogo, sia ne La Repubblica sia ne l'Apologia di Socrate è quella di lasciare il testo inconcluso, mantenendolo in tensione con una storia enigmatica che sembra alludere a qualcosa di più di quello che comunica esplicitamente. Platone ricorre al regno dei morti come termine di confronto per mettere in discussione quello dei vivi.
Il mito.
Spoiler
Al tempo di Chronos e nei primi anni del regno di Zeus si veniva giudicati, per stabilire se se si era meritevole del premio delle Isole dei beati o del castigo del Tartaro, quando si era ancora vivi. I morituri venivano condotti davanti a giudici viventi, che emettevano le loro sentenze il giorno del loro trapasso. Ade e gli altri che gestivano l'amministrazione delle Isole dei beati si lamentarono con Zeus perchè i giudici inviavano loro persone immeritevoli. Zeus si rese conto che i giudici emanavano sentenze ingiuste, perché erano viventi che esaminavano dei viventi. Se veniva giudicato da vivo, il candidato all'aldilà era vestito: molti che hanno un'anima malvagia erano rivestiti di bei corpi, di nobiltà, ricchezza e prestigio sociale. Per questo, numerosi testimoni si presentavano a dichiarare che era vissuto giustamente. Anche i giudici erano viventi, la loro anima era quindi velata da tutto l'insieme del corpo, e dunque venivano ingannati da questo apparenza, cui essi stessi partecipavano. La morte era una esperienza disponibile: ogni libertà morale e di giudizio era annullata in una società totale, e totalmente esteriore. Per questo, Zeus stabilì che gli uomini non conoscessero l'ora della loro morte, e fossero giudicati da morti e nudi e tali dovevano essere anche i giudici: anime di fronte ad anime. Eaco giudicava chi veniva dall'Europa, Radamanto chi veniva dall'Asia, e Minosse era il giudice d'appello. L'anima e il corpo, separati, conservavano ciascuno le proprie qualità e i segni delle attività compiute, che il giudice, senza gli ingombri del corpo e del vestito, poteva accertare direttamente. Il giudice vedeva l'anima senza sapere a quale corpo appartenesse, e se era flagellata, contorta e piena di cicatrici a causa della sua malvagità, la mandava in prigione, dove avrebbe subito i dovuti castighi. In questo modo il giudice era messo in condizione di amministrare la giustizia senza guardare in faccia nessuno. Chiunque scontava una pena, se questa era inflitta giustamente, o diventava migliore e ne traeva vantaggio, o serviva da esempio agli altri affinchè questi, vedendo quello che soffriva, intimoriti divenissero migliori. Chi traeva vantaggio dalla pena era chi aveva commesso colpe riparabili, o, meglio, curabili (iasimos). Ma tale vantaggio veniva ottenuto solo da chi passava attraverso sofferenze e dolori, in questo mondo e nell'Ade. Chi aveva provocato un male incurabile, poteva servire da esempio agli altri con la sua pena. Le punizioni esemplari, che consistevano in castighi eterni, erano riservate a re e tiranni (Sisifo, Tantalo, Tizio), che appartenevano al novero di chi compie mali irreparabili. I cittadini privati non avevano meritato nessun castigo del genere, e dunque erano più felici nell'aldilà dei potenti e dei sovrani per i quali era difficile essere virtuosi.
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Socrate conclude il suo racconto dicendo di avere molto a cuore un esito felice del processo dei morti, e perciò che bisogna tenere l'occhio fisso sulla verità, poichè mira a sapersi difendere in esso e non in quelli di Atene, ove la mancanza di chiarezza e di corroborazione critica rende irresponsabili i comportamenti degli uomini. La sua scelta è dovuta al fatto che l'unico ragionamento rimasto inconfutato è che dobbiamo guardarci dal commettere ingiustizia più che dal subirla.
Considerazioni evinte dal mito.
1) Platone, in questo mito, rielabora elementi già presenti in Omero, che Socrate cita come sua fonte. Ma mentre Omero metteva nel Tartaro, il luogo più profondo dell'Ade, soltanto i Titani, rei di essersi ribellati a Zeus, il mito platonico ci dice che il castigo eterno è riservato esclusivamente agli uomini di potere. Perfino Tersite, l'exemplum omerico del kakòs brutto e maligno, ha una sorte ultraterrena migliore della loro. Socrate precisa, ancora una volta contro la tradizione, che sovrani come Sisifo, Tantalo e Tizio vengono puniti per l'uso che hanno fatto del loro potere politico e non, come invece riportava il mito, per la loro hùbris nei confronti degli dei.
2) Socrate dice che il mito narrato è mito solo in apparenza e di volerlo prendere sul serio, trattandolo come un logos. Bisogna pensare che la mitica punizione eterna dei tiranni e dei sovrani celi una tesi filosofica. Il vero male a cui non vi è rimedio è quello che si sottrae alla confutazione, che può essere vista come l'unica pena coerente con l'equiparazione socratica fra virtù e conoscenza.
3) Se uno degli interlocutori è un uomo di potere che si avvale anche di strategie retoriche per manipolare gli altri si rende impossibile ogni discussione filosofica, quindi anche ogni confutazione. Pertanto gli unici ad essere condannati alla dannazione sono i tiranni, e non i ribelli. Socrate nel parlare di punizioni terapeutiche pensa alla città dei morti e non all'Atene dei vivi. In tal senso le tesi del Gorgia si conciliano con sua critica radicale alla giustizia penale, contenuta nell'Apologia di Socrate.
4) La città dei morti non ha la chiarezza cognitiva di un eìdos ma la sua evocazione serve a mettere in dubbio l'indiscutibilità e l'autoevidenza del costume della città dei vivi. Il mondo dei morti, ove solo gli uomini di potere ricevono castighi eterni, ove solo gli uomini di potere vengono messi fuori gioco, è un luogo in cui non c'é manipolazione, Anche in questo senso, il regno dei morti non è una anti-città, senza convenzioni, coercizioni e pregiudizi. Pertanto gli invisibili processi che vi si fanno sono più seri e più meritevoli di essere vinti dei tenebrosi processi del mondo dei vivi.
5) Neppure va dimenticato per questo mito il viaggio in Egitto che fece Platone nè la sua conoscenza della religione esoterica greca.


Mito di Atlantide (dal Crizia) vd. a pag 3


Mito della caverna (da La Repubblica, Libro VII)
L'immagine del mito della caverna è un'allegoria, cioè un racconto che ha un senso altro, differente rispetto a quello letterale; questo senso è noto quando il lettore si impadronisce della chiave di interpretazione. Le allegorie, da una parte, rendono più evidente quello che si vuole dire, rappresentandolo con delle immagini, mentre dall'altra, si prestano a venir lette con molteplici chiavi di lettura, producendo ulteriore ambiguità anche se con maggior ricchezza semantica.
Il mito
Spoiler
Platone parla di uomini chiusi fin da bambini in una grande dimora sotterranea, incatenati in modo tale da permettere loro di guardare solo davanti a sé. Dietro di loro brilla, alta e lontana, la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada con un muretto. Su questa strada delle persone trasportano utensili, statue e ogni altro genere di oggetti; alcuni dei trasportatori parlano, altri no. Chi sta nella caverna, non avendo nessun termine di confronto e non potendo voltarsi, crederà che le ombre degli oggetti proiettate sulla parete di fondo siano la realtà (ta onta); e che gli echi delle voci dei trasportatori siano le voci delle ombre. [514a ss] Per un prigioniero, lo scioglimento e la guarigione dai vincoli e dalla aphronesis (mancanza di discernimento) sarebbe una esperienza dolorosa e ottenebrante. Il suo sguardo, abituato alle ombre, rimarrebbe abbagliato: se gli si chiedesse - con la tipica domanda socratica - di dire che cosa sono gli oggetti trasportati, non saprebbe rispondere, e continuerebbe a ritenere più chiare e più vere le loro ombre proiettate sulla parete. Per lui sarebbe difficile capire che sta guardando cose che godono di una realtà o verità maggiore (mallon onta) rispetto alle loro proiezioni.  Il dolore aumenterebbe se fosse costretto a guardare direttamente la luce del fuoco. E se fosse trascinato fuori dalla grotta, per l'aspra e ripida salita, e dovesse affrontare la luce del sole, la sua sofferenza e riluttanza si accrescerebbe ancora. Il suo processo di acclimatazione al mondo esterno dovrebbe essere graduale: prima dovrebbe imparare a discernere le ombre, le immagini delle cose riflesse nell'acqua, e poi direttamente gli oggetti. Il cielo e i corpi celesti dovrebbe cominciare a guardarli di notte, e solo in seguito anche di giorno. Una volta ambientatosi, potrebbe cominciare a ragionare sul mondo esterno, sulla sua struttura, e sul luogo che ha in esso il sole. Solo allora il prigioniero liberato, ricordandosi dei suoi compagni di prigionia e della loro conoscenza, potrebbe ritenersi felice per il cambiamento. Ma se ritornassero nella caverna, i suoi occhi, abituati alla luce, sarebbero quasi ciechi. I compagni lo deriderebbero, direbbero che si è rovinato la vista, e penserebbero che non vale la pena di uscire dalla caverna. E se qualcuno cercasse di scioglierli e di farli salire in superficie, arriverebbero ad ammazzarlo.  Uccidere chi viene dall'esterno è facile, perché, essendo quest'uomo abituato alla gran luce dell'esterno, sarebbe costretto a contendere nei tribunali o altrove sulle ombre del giusto, con persone che la dikaiosyne (la giustizia come virtù personale) non l'hanno veduta mai. [515c ss]
[close]
Considerazioni di Platone e non sul mito della caverna
La caverna porta in sé la storia della vita e della morte di Socrate, e spiega perché la filosofia si trovi in contrasto con la polis; ma, nella Repubblica, Socrate la usa per illustrare un problema di cultura e di educazione. In essa si intrecciano: la dimensione cognitiva, la dimensione politica e la dimensione culturale e comunicativa.
1) la dimensione cognitiva
Il mondo vario e di luci ed ombre della doxa, cioè dell'apparenza o del sapere per sentito dire, è il mondo in cui ha inizio la nostra conoscenza: in questo mondo si nasce, e solo a partire da questo mondo si può cominciare a conoscere. Ma una conoscenza che non mette in questione se stessa, interrogandosi sull'ambiente culturale in cui si forma, è destinata ad rimanere superficiale ed esposta alla manipolazione. Mentre il compito autocritico del filosofo è qualcosa che può essere svolto solo in prima persona, l'acquisizione di idee e di valori condivisi dalla comunità può avvenire anche in maniera inconsapevole e passiva. Il problema del sapere è connesso perciò a quello della sua comunicazione e a quello del potere nella comunicazione.
2) la dimensione politica
Le modalità di conoscenza determinano anche i caratteri della comunità politica: il mondo della caverna è un mondo chiuso e circoscritto, nel quale ha luogo una manipolazione cognitiva tanto più efficace in quanto poco evidente. E' possibile pensare a una comunità politica al di fuori dalla caverna? Secondo Platone no: la cultura è il luogo dove si forma la prima conoscenza, dove nascono le società e crescono le persone. Per questo il filosofo deve fare i conti con questo mondo chiaroscurale, del quale è anch'egli è cittadino.
3) la dimensione culturale e della comunicazione
Educazione e cultura sono le questioni politiche fondamentali. Per capire qual è veramente la vita politica di un popolo, occorre indagare su chi controlla il sapere, su come esso viene comunicato e sulla forma e sul grado della sua distribuzione. Nel mondo della caverna, la conoscenza è prodotta e distribuita in maniera monologica e autoritaria, da persone invisibili ai prigionieri, le quali proiettano sulla parete immagini che danno una impressione di realtà, e che creano una cultura comune. I prigionieri-spettatori sono incatenati e passivi, e vivono immersi in uno spazio pubblico circoscritto nel quale la realtà viene creata dalla persuasione occulta di una minoranza, tanto che un lettore novecentesco potrebbe interpretare questa antichissima allegoria come un'immagine della televisione.
« Ultima modifica: 18 Aprile, 2010, 14:06:40 pm da tisifone75 »
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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #1 il: 14 Gennaio, 2010, 14:47:31 pm »
Grande Tisifone...se non sbaglio da questo mito si capiva come per Platone gli uomini nascono con una conoscenza di tutte le idee e per Reminiscenza attraverso alcuni processi nella vita questi ricordi gli riaffiorano alla mente...o qualcosa del genere cmq....è uno di quelli che mi ricordo di meno

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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #2 il: 14 Gennaio, 2010, 14:50:11 pm »
Grande Clarence non sbaglia affatto anche se è nel Gorgia che troviamo un altro mito che meglio spiega il concetto da te espresso, si devo dire che ci voleva il mito e Platone anche perchè spesso la mitologia al giorno d'oggi è confusa con i resoconti degli avvenimenti o delle descrizioni mitologici che sono parte di essa ma non rappresentano tutta la mitologia nella sua completezza
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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #3 il: 14 Gennaio, 2010, 14:52:06 pm »
sembra molto interessante :sisi:
dopo lo leggo :ok:
  l'arma più lenta del grande tempio, l'arma che più provoca dolore, benvenuti alla fine del viaggio, non altra conclusione è altrettanto adatta alla vostra follia!

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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #4 il: 14 Gennaio, 2010, 14:53:29 pm »
Grande Clarence non sbaglia affatto anche se è nel Gorgia che troviamo un altro mito che meglio spiega il concetto da te espresso, si devo dire che ci voleva il mito e Platone anche perchè spesso la mitologia al giorno d'oggi è confusa con i resoconti degli avvenimenti o delle descrizioni mitologici che sono parte di essa ma non rappresentano tutta la mitologia nella sua completezza

Gorgia è uno dei miei filosofi (se cosi lo vogliamo definire) preferiti..gia dalla prima volta che l'ho conosciuto...certo Platone è + affascinante

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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #5 il: 14 Gennaio, 2010, 14:54:21 pm »
Si certo come no, come hai letto gli altri miei topic in questa sezione LOL
Grazie comunque Nii-sama LOL

Bene Clarence quindi il prox sarà il mito narrato nel Gorgia, contento?
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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #6 il: 14 Gennaio, 2010, 14:56:41 pm »
sisisi...mi ricordo che platone l'ho fatto a scuola in terza e ne abbiamo parlato per diverso tempo....poi pero ogni filosofo successivo fino praticamente alla quinta l'abbiamo paragonato a platone e aristotele perche praticamente parte tutto di li...la filosofia è bellissima e poi quella greca in particolare

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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #7 il: 14 Gennaio, 2010, 15:00:12 pm »
Qui curo l'aspetto dei miti e l'innovazione che Platone ha portato nel mondo del mito e ripresa da Jung proprio perchè la mitologia anche oggi non è solo il resoconto di un mito ma molto altro ed offre a studiosi, antnropologi e a noi stessi un prezioso strumento di conoscenza
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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #8 il: 14 Gennaio, 2010, 15:00:43 pm »
avevo già letto questo mito, in quel libro di cui dicevo in altra sede.
Comunque il mio parere è questo il mito vuole indurre l'ascoltatore o il lettore a rendersi conto che bisogna imparare dai propri errori, anzi molto più in generale. Si deve imparare dalle esperienze passate, e regolarsi di conseguenza. Inoltre, secondo me vuole insegnare che per quanto il destino sia già stato scritto, spetta sempre a noi fare la scelta, scelta che di per se non è nè giusta nè sbagliata, ma saranno le conseguenze a definirlo. E queste sono sempre di due tipi: positive e negative. Ogni scelta avrà sempre queste conseguenze.
Scusa ho dilagato troppo

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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #9 il: 14 Gennaio, 2010, 15:10:06 pm »
No caro anzi, grazie delle tue considerazioni :)
Ritengo però che questo mito vada molto più al di là di quanto tu hai giustamente sottolineato sia per l'importanza di farci conoscere aspetti poco conosciuti della religiosità del greco antico, sia perchè ci apre al mondo molto poco conososciuto delle religioni misteriche greche in particolare e sia perchè ci fa comprendere quanto l'uomo greco rispetto all'uomo moderno fosse più completo. Purtroppo noto al giorno d'oggi una tendenza solo a riassumere i miti e non ad approfondirli sotto i vari aspetti, come Jung giustamente sottolineò. Inoltre tali miti non possono essere discostati anche dal contesto in cui ci sono tramandati qui per es è Platone e la sua filosofia, nel caso della guerra di Troia l'Iliade etc. al giorno d'oggi invece si tende a separare le cose e questo a mio modesto parere è un male.
De Crescenzo ha il grande merito di aver reinterpretato i miti greci e di averli divulgati in chiave moderna, questo sì, ma secondo me ha anche la pecca di averli dovuti snaturalizzare dalla loro vera dimensione che è quella sacrale, scelta obbligata se voleva raggiungere il grande pubblico ma che a mio parere al tempo stesso danneggia l'interezza e il significato del Mito come l'ho descritto nella premessa al primo post.
« Ultima modifica: 14 Gennaio, 2010, 15:16:13 pm da tisifone75 »
Il fiore sboccia e appassisce, la stella brilla nella notte per poi sbiadire: ogni cosa ha una fine...la vita umana è soltanto un fugace battito di ciglia
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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #10 il: 14 Gennaio, 2010, 15:14:53 pm »
si non l'ho metto in dubbio infatti de crescenzo ne ha parlato (anche se spesso ha rimandato al testo di platone, cioè ci sono molte citazioni).
Tuttavia il commento l'ho fatto dopo aver letto il mito così come lo hai postato tu. E mi piacerebbe sapere se ho colto qualcosa di giusto o sono completamente fuori strada.

A proposito, non l'ho fatto prima ed è una grave mancanza, grazie per questo topic, sono queste le cose che ci fanno crescere

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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #11 il: 14 Gennaio, 2010, 15:18:50 pm »
Tesoro certo che hai colto ci mancherebbe :)
Anzi ti ho anche ringraziato se vedi sopra :)
Non mi ringraziare, sarà per la mia deformazione professionale (sono laureata in lettere classiche) ma lo faccio con piacere. Le mie considerazioni sulla mitologia oggi erano generali non riferite a te o a qualcuno in particolare, tranquillo ;)
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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #12 il: 14 Gennaio, 2010, 15:28:56 pm »
l'ho chiesto perchè non ho fatto studi classici, quindi di filosofia non so granchè (anche se mi hanno consigliato qualche lettura, visto la mia ampia capacità di districarmi bene sia nelle materie scientifiche che in quelle letterarie, almeno così mi hanno detto). Comunque stanno le cose io voglio solo sapere il più possibile.

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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #13 il: 14 Gennaio, 2010, 15:32:46 pm »
Caro sei molto perspicace nell'individuare i valori trasmessi da un mito e credimi per questo non ci vogliono gli studi classici :)
Nel mio piccolo cercherò di approfondire il più possibile anche perchè di solito è così che faccio nei topic che apro in questa sezione proprio per divulgare la cultura classica nella sua interezza per quanto è possibile ovviamente :)
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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #14 il: 14 Gennaio, 2010, 15:36:41 pm »
Si certo come no, come hai letto gli altri miei topic in questa sezione LOL
Grazie comunque Nii-sama LOL

cosa vorresti dire scusa? LOL lo letto  :U_U:
  l'arma più lenta del grande tempio, l'arma che più provoca dolore, benvenuti alla fine del viaggio, non altra conclusione è altrettanto adatta alla vostra follia!

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Re: I vari miti narrati da Platone
« Risposta #14 il: 14 Gennaio, 2010, 15:36:41 pm »