Saint Seiya GS - Il Forum della Terza Casa


Autore Topic: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis  (Letto 5394 volte)

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Offline whitemushroom88

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #15 il: 01 Luglio, 2015, 13:49:42 pm »
In effetti un po' di rimando c'era, anche se va pure detto che a sua volta Sisipho è il "fratellino pietoso di ilias"...  Grazie, sono felice che anche questa storia sia piaciuta, non è facile tirar fuori un manigoldo decente e che vada bene a chi legge...
Cammino nell'ombra di questo giorno infinito
dove anche il cielo sembra cadere alle nostre spalle
indicandoci una strada che forse non percorreremo mai
perchè consci che niente è eterno,mentendo a noi stessi e al nostro cuore
morirà ogni giorno il sole sapendo di rinascere
tornerà ogni giorno la notte ad illuminare i nostri sogni
perchè è con essi che diamo un senso alla vita
i nostri occhi saranno le cascate in questo mondo di lacrime
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Offline genesis

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #16 il: 01 Luglio, 2015, 13:56:16 pm »
più che altro non è facile tirar fuori un manigoldo che non venga bannato dal forum per torpiloquio LOL
"tu colui che catturò una stella cadente
oh uomo senz'anima
il tuo cuore è una mia proprietà"

Ogni istante che si ripete è eterno. Questa è la libertà!
La via ti si può aprire solo se credi in te stesso. Saranno le esperienze fatte a dirti qual era la scelta giusta.
Trattenni il respiro vedendo quei capelli neri danzare, mentre la neve scendeva illuminata dalla Luna. Era come un ciliegio che sboccia fuori stagione

>:D sempre Lode alla Sorellanza Stregonesca >:D

W per Vendetta
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L' umanità de tutte le creature soccomberanno davanti agli indicibili poteri della leggendaria e mutevole Mystic Force degli occhi sbirulini

Siamo noi ad aprire le porte del nostro destino e a proteggere quello che amiamo

Offline Berhan no Aquarius

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #17 il: 11 Luglio, 2015, 14:43:47 pm »
White il tuo Manigold Gaiden, mi piace  :sisi: .

Subito la scazzottata non mi sembrava azzeccata, ma invece dopo la trovo ben congeniata ...

Brava brava espa per te  :yea: ...


Offline whitemushroom88

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #18 il: 19 Luglio, 2015, 22:30:56 pm »
Grazie mille Berhan, ricambio. E adesso sorbitevi questa mattonata.


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Personaggio: Virgo Fudo
Serie: Saint Seiya - Omega
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments.
Rating: Giallo andante sull'arancione.
Avvertimenti:  la nazionalità di Fudo non è specificata, dunque per buona tradizione dei cavalieri della Vergine ho deciso che sarà in India. Fa troppo caldo per correggerla e scriverla in maniera migliore, quindi accontentatevi di ciò che è venuto fuori.


Red Salvation

La foglia si solleva, tremola in aria e poi ricade a terra. Per lei la brezza della mattina è violenta come un monsone, così come i piedi degli uomini sono violenti come i passi di un demone. Lentamente apre il palmo della mano. Lui ha tempo, la foglia ha tempo.
Qualcuno potrebbe dire che posseggono tutto il tempo del mondo. È senza dubbio quello che pensa l’uomo davanti a lui: da sotto le ciglia riesce a scorgere la sua espressione stanca ma comunque carica di determinazione, le mani intrecciate dietro la schiena mentre aspetta in piedi una sua risposta. Ma l’uomo può attendere ancora un po’.
La foglia si abbandona di nuovo alla carezza dell’aria. Il vento la culla come se si trattasse di una neonata e la lascia cadere nel suo palmo; Fudo ispira il profumo del tramonto e sfiora i contorni della foglia, ne cerca le sottili venature, si sofferma su quel minuscolo strappo che ne rovina la forma così perfetta. Il ramo su cui è nata è stato spezzato.
Cinque uomini hanno abusato di una ragazza e l’hanno impiccata al suo albero. La foglia è rimasta accanto a lei, l’ha sentita muovere le gambe in aria per l’ultima volta. Ha ascoltato le urla del padre e della madre finché l’albero stesso non se ne è nutrito, finché il ramo è stato abbattuto e la ragazza avvolta in un telo color della notte. Se ne è andata via con la brezza, indignata.
Fudo vede i lineamenti della ragazza nei ricordi della foglia. È bellissima nel suo dolore. È perfetta anche nella morte, anche quando il sari azzurro giace strappato ai piedi dell’albero ed il choli color della neve pende dal suo corpo distrutto. Fudo piange per quella ragazza.
Fudo piange anche per l’altra bambina, quella nella fotografia che l’uomo davanti a lui tiene nel portafogli. Piange per quella creatura nata in un mondo così orribile, dove gli uomini fanno di tutto per non ottenere la salvezza che pure lui invoca tutto il giorno insieme agli altri Re della Luce. Piange perché nel Kangyur, nel Tengyur, nel Suttapiṭaka, negli insegnamenti del Buddha non c’è nulla che gli mostri come salvare un mondo dilaniato dal Male e dai demoni, dove ancora gli esseri umani si uccidono perché due etnie non riescono a vivere sotto lo stesso cielo, o due religioni non hanno il coraggio di pregare nello stesso tempio. Buddha forse non ha mai concepito il Male di un mondo in grado di creare armi in grado di cancellare una città e trasformarla in nulla più che una nuvola nera ed un lampo di luce.
“Qualcosa non va?”
L’uomo lo sta osservando.
Il tramonto ormai è soltanto un ricordo, e vi sono soltanto le stelle sopra loro due.
La foglia ha narrato la sua storia e se ne va, gridando il suo dolore alla notte. Il visitatore sembra accorgersi di qualcosa, perché i suoi occhi chiari seguono il volo della piccola forma ed un’espressione amara gli attraversa i lineamenti prima che la foglia venga inghiottita dall’oscurità carica di tutto l’orrore che il domani sta preparando. “Ha una risposta alla mia domanda, saggio Fudo?”
“No, non ce l’ho”.
L’uomo è venuto dall’Europa solo per parlare con lui. Ha abbandonato per qualche giorno il suo lavoro pieno di impegni, la sua bellissima moglie, la bambina che ormai vede meno di una volta a settimana soltanto per immergere le sue costose scarpe nel fango ai piedi della reincarnazione di Fudo Myōō ed implorare una risposta ai suoi sogni.
Fudo dovrebbe avere la risposta per quel penitente. Buddha ha sempre detto che la Verità appartiene a chi la cerca, e in quella persona riesce ad intravedere il bisogno, la mano tesa ed umile alla ricerca di qualcosa che il suo denaro, i suoi studi e la sua bella valigia di pelle non possono offrirgli. Coloro che si prostrano di fronte alla Grandezza meritano un aiuto, ma gli anni di meditazione gli hanno insegnato che il mondo è ingiusto.
È ingiusto che lui non abbia una risposta per quei sogni. Non sa cosa voglia dire quel pianeta rosso avvolto dalle fiamme che cala sulla Terra distruggendola con il suo potere: non riesce a dare un volto a quel gigante solitario, quello che l’uomo vede in piedi su quel pianeta avvolto in un mantello color sangue mentre le stelle si specchiano contro il suo petto ed un fuoco arde sulla sua testa rischiarando la notte. Avrebbe voluto mostrargli che la sapienza del Buddha arriva dove i dottori, gli psicologi ed i ciarlatani inventano risposte più disparate, ma la meditazione rimane in silenzio e dunque solo il silenzio può offrire al penitente. Un silenzio che non lo ripagherà dei sacrifici per giungere ai suoi piedi. “Non ho una risposta per te. Torna a casa”.
“Comprendo” risponde. Potrebbe persino giurare di sentire una nota di sollievo in quella voce forte. “Se nemmeno l’uomo più vicino al Buddha ha una risposta vuol dire che questi miei sogni non sono nulla di cui preoccuparsi, giusto?”
“Forse”.
La verità è che lo inquieta questo silenzio. Ha dedicato la sua vita ed il suo corpo alla ricerca del Vero e del Giusto ed attraverso la Retta Via ha sempre trovato ciò che desiderava, perché il mondo non è mai stato più di un testo sacro alla portata di chi sappia leggerlo ed abbia il coraggio di sfogliare quelle pagine fatte di Guerra, Dolore e Morte. Ma adesso il libro è bianco, e per quanto le sue dita ne sfiorino la copertina non riesce a trovare una pagina che parli dei sogni di quell’uomo e del fuoco che sembra avvolgerlo quando socchiude gli occhi. “O forse no. L’unica verità che posso offrirti è che io non possiedo la Verità”.
“Beh, siamo un passo avanti” sorride. “Almeno non sento storie fantastiche di marziani che invadono la Terra come sostengono gli strizzacervelli. Non pensavo che avrei trovato l’unico uomo onesto al mondo in un buco sperduto dell’India. Mi chiedo cosa possa sognare una persona così retta e sincera”.
La verità è che Fudo sogna ad occhi chiusi anche senza dormire. Quando le palpebre si abbassano può vedere un mondo dove la gente canta con lo sguardo rivolto al cielo tenendosi per mano; vede mitragliatori, bombe e veleni sprofondare nell’oscurità dell’oceano. Vede il mondo sommerso di abbondanza, dove tutti danzano nel cibo e nell’oro. Sente soltanto grida di gioia, gente che si ama, la vita che scorre negli alberi e nelle bestie così come negli uomini: non ci sono genitori che si disperano, non ci sono padri che seppelliscono le proprie figlie gridando vendetta. Quando chiude gli occhi gli esseri umani sono creature degne di ascendere al Nirvana, esseri così puri da non aver bisogno delle lacrime di Fudo Myōō per raggiungere il culmine luminoso del ciclo della vita.
È per questo che detesta aprirli.
Semplicemente non gli piace quel mondo che non è come lui desidera.
“… la salvezza” si ritrova a sospirare, quasi incredulo di aver risposto a quel semplice uomo. “Se proprio ti interessa, il mio più grande sogno è la salvezza di tutto il genere umano”.
“Allora buona fortuna …”
Solleva la testa, raccoglie la sua valigia e si prepara ad andar via. Da sotto le ciglia Fudo lo vede scendere i primi passi verso il sentiero, ma per poco non apre gli occhi, incredulo, quando l’uomo si ferma e lo osserva, carico di un’aura di sentimenti forte che fino ad un’istante prima nessuno dei suoi sensi era riuscita ad individuare. “Ma mi consenta un pensiero, saggio Fudo. Io sono un uomo materiale, non so nulla dell’Illuminazione, ma qualcosa sui sogni la vita l’ha insegnata anche a me. Se davvero ha un desiderio così bello e grandioso …”
Si volta verso l’alto, quasi ad osservare con un unico sguardo tutte le costellazioni. “… non può rimanere qui tutta la vita. Lei è una persona diversa da chiunque altra io abbia mai incontrato: ma non credo che meditare e piangere per le miserie dell’umanità sia il modo migliore per raggiungere questo obiettivo. Ho imparato sulle mie spalle che è solo con i gesti e con le azioni che una persona può davvero modificare il corso della sua vita. Ma questo è solo il pensiero di un umile profano”.
Stavolta si allontana sul serio; la sua forma robusta sparisce oltre le foglie, e dopo qualche minuto i versi della giungla coprono i suoi passi, l’unica cosa che rimane a testimoniare che in quel minuscolo angolo di mondo vi è stata un’altra persona oltre a lui, uno strano sognatore che probabilmente domani mattina prenderà il primo volo per l’Europa, stringerà al petto le sue donne e senza dubbio tra qualche mese avrà dimenticato tutto, i suoi sogni spenti come la fiamma di una candela al passaggio dei monsoni.
Fudo sospira, assaporando sotto le sue palpebre chiuse le parole dell’uomo, cercando di vedere sul serio quei sogni, quel gigante, quel pianeta rosso che divora ogni cosa. Si chiede se ci sia qualcosa in quelle parole che forse non ha afferrato, se davvero l’incontro di questa sera è stata soltanto una delle miriadi di possibilità che l’universo ci pone davanti ogni giorno oppure un qualcosa di più, un filo caduto dal gomitolo del Buddha che dovrebbe chinarsi a raccogliere.
Fudo si chiede se Ludwig Schuster possa essere uno dei tasselli che condurrà alla salvezza del genere umano.




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Offline Lisaralin

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #19 il: 25 Luglio, 2015, 19:50:30 pm »
Un'ultima storia prima di partire per le vacanze :)


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Personaggio: Aquarius Dégel
Serie: Saint Seiya - The Lost Canvas
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: ho palesemente barato in quanto la storia non è tanto incentrata su Dégel quanto su un altro personaggio. Ma erano secoli che volevo scrivere di lui e così ne ho approfittato :P


Albireo

Unity maneggia il telescopio come se fosse una reliquia. È l’ultimo ritrovato dell’ottica: obiettivo a tre lenti acromatiche, un metro e mezzo di fuoco, e sette mesi imballato in una stiva prima che il mercantile inglese trovasse il tempo – e l’interesse - di fare tappa a Bluegrad durante il suo giro tra i porti dell’Atlantico settentrionale.
Un tempo Unity aveva detestato vivere in un paese sperduto oltre i confini del mondo e reso inaccessibile dai ghiacci per la maggior parte dell’anno. Un tempo non capiva perché suo padre si limitasse a un sospiro rassegnato quando gli altri reali d’Europa non ritenevano opportuno convocarli per concili o occasioni solenni, o quando l’invito alle nozze dell’imperatore d’Austria era giunto ai loro lidi ghiacciati a cerimonia ormai compiuta da settimane. Un tempo non si capacitava che i più grandi intellettuali del secolo si radunassero nell’insignificante Weimar e facessero i loro grand tour a Roma e tra le rovine della Grecia quando Bluegrad possedeva una delle biblioteche più vaste e ricche del continente.
Un tempo, il principe Unity aveva osato sognare un avvenire di gloria e riscatto per il suo paese.
Sono i gesti meccanici di ogni giorno a impedirgli di ripiombare in certi pensieri. Ancorare il telescopio al cavalletto, manovrare le rotelline d’ottone per portarlo all’inclinazione giusta, guardare attraverso le lenti per verificare il fuoco. I pensieri non spariscono mai veramente, ma la disciplina e la routine aiutano a tenerli sotto controllo.
Il principe se ne vergogna. Non era così che aveva giurato di onorare il sacrificio del suo migliore amico, della persona che ha dato la vita per donare a lui e a Bluegrad una seconda possibilità. Ma le notti sono buie a Bluegrad, e piene di fantasmi. La solitudine comincia a pesare troppo per un unico, fragile paio di spalle.


Non gli piaceva il ragazzino nuovo. Una parte di lui sapeva che era ingiusto, perché in fin dei conti non si erano mai parlati se non per augurarsi buongiorno e buonanotte, ma era una questione di istinto, di antipatia a pelle. Diceva di essere stato mandato dal Santuario in Grecia, ma i modi compiti e l’accento gorgheggiante, che sporcava la bella e severa lingua di Bluegrad con i suoi miagolii patetici, tradivano un’origine diversa. Puzzavano di parrucche incipriate e calzamaglie di seta, di ricevimenti in saloni ricoperti di specchi dorati, di gite in carrozza tra le campagne verdeggianti del sud. Il fatto che Seraphina impazzisse per lui, poi, non faceva che renderglielo ancora più odioso.
Così come era odiosa la sua abitudine di sederglisi accanto in biblioteca per studiare. A suo onore andava detto che non disturbava mai, si limitava a salutare e chiedere il permesso di sedersi e poi restava assorto sui libri per ore senza emettere un fiato, tanto da chiedersi se fosse ancora vivo. A volte Unity lo sorprendeva con lo sguardo perso fuori dalla finestra e una mano poggiata sul mento, all’inseguimento di chissà quali pensieri. Lo osservava per un po’ senza che l’altro se ne accorgesse e poi si riscuoteva a sua volta, tornando agli studi e maledicendosi per aver degnato lo straniero di tanta parte della propria attenzione.



Il cielo è terso, le nevicate sono ancora incredibilmente contenute quest’anno. Solo l’aria pungente, come una cascata di piccoli spilli sul viso, parla già con la voce dell’inverno. Ormai puntare il telescopio in direzione del Triangolo Estivo è diventato un automatismo, e il suo sguardo, al di sopra della lente, scorre senza fermarsi da Altair a Vega e approda infine a Deneb, la coda luminosa del Cigno. La contempla con gli occhi lucidi, indugia a lungo sulle ali che si librano oltre la fenditura oscura nella Via Lattea. Trova una certa voluttuosa malinconia nel pensare che il cielo rifletta le cicatrici della nostra anima, magnificate e rese eterne dal moto perpetuo degli astri.
Dopo qualche attimo asciuga le lacrime sulla manica e punta ancora il telescopio. Non termina mai un’osservazione senza dedicare almeno un paio di minuti ad Albireo.
Albireo è una stella particolare. A occhio nudo non è degna di nota, un puntolino luminoso come tanti abbandonato nel mezzo del Triangolo Estivo e oscurato dallo splendore delle sue vicine più arroganti. Eppure Albireo è la testa del Cigno, e la sua vera bellezza si rivela solo a chi è capace di guardare al di là delle apparenze.


“Non ci è permesso usare il telescopio.”
Le prime parole che gli rivolse furono un divieto, e non poteva che essere così.
“Chiedo scusa, non lo sapevo.”
Dégel tornò subito a sedersi, ma il suo sguardo faticava a tornare sui libri, continuava a indugiare sullo strumento accanto alla finestra. Erano appena le quattro del pomeriggio, ma in autunno le notti iniziano presto a Bluegrad, e ci sono giornate in cui è impossibile rimanere concentrati sulla storia e sul diritto perché le stelle ti chiamano fuori, a bagnarti nella loro luce pallida sopra un tappeto di neve appena caduta.
“Sai” continuò Dégel poco dopo, ed era la prima volta che una loro conversazione non si esauriva dopo due battute, “volevo tanto vedere Albireo.”
“Ma che diavolo dici?”
Si morse la lingua un istante dopo aver parlato. Ecco, aveva fatto la figura dello stupido, di quello che non sa le cose. Ora il damerino di Versailles avrebbe inarcato un sopracciglio elegante e si sarebbe precipitato a colmare con saccenza le sue lacune culturali da troglodita del nord.
“L’ho scoperto appena adesso” disse invece Dégel, e per la prima volta c’era una nota di entusiasmo nella sua voce. Indicò il libro aperto sul tavolo davanti a sé, sulle cui pagine consunte si intravedevano disegni di mappe del cielo e schemi delle orbite dei pianeti. “Deve essere una stella bellissima, sembra insignificante, ma se la guardi attraverso un telescopio… “
Dégel si interruppe, uno strano sorriso comparso sulle sue labbra. Di colpo sembrava ancora più giovane, un bambino che ha appena avuto una di quelle idee che non devono arrivare per nessun motivo alle orecchie degli adulti. Unity odiava ammetterlo, ma a quel punto bruciava di curiosità.
“Perché non la guardiamo insieme?”



Subito dopo “l’incidente” si era ritenuto fortunato. In ginocchio davanti al trono di Athena, immerso nel suo Cosmo luminoso che scaldava persino i traditori come lui, aveva creduto che vivere fosse un onore immeritato. Continuare a respirare quando i sorrisi di Dégel e Seraphina si erano spenti per sempre era un dono troppo grande, una grazia troppo preziosa.
Solo in seguito aveva capito che vivere in realtà era la sua punizione.
Percorrere sale vuote, e con loro le vie tortuose del ricordo. Parlare con i fantasmi, e ricostruire. Ricostruire è immensamente più faticoso che distruggere. Chiudere gli occhi e dormire per sempre è più semplice che vegliare da soli nella notte e nel buio.
Sono anni ormai che Unity desidera chiudere gli occhi.
Ma la punizione deve continuare, il sacrificio di Dégel non può essere reso vano. Quando il guardiano solitario è sopraffatto dalla stanchezza, Albireo è lì per ricordargli il suo dovere. Per ammonirlo con severità, ma anche per confortarlo, come una piccola scintilla del Cosmo di Athena ancora impigliata nel suo cuore.
Albireo è lo sguardo di Dégel che veglia su di lui dalle distese nere e gelide del cielo.


“Sono un po’ invidiosa” ammise Seraphina. Unity provò una fitta di rimorso: era vero che da qualche tempo a quella parte stava trascurando molto la sorella.
“Dev’essere il cameratismo tra maschi, penso. Come fratelli di sangue. Temo di dovermi rassegnare.” Inaspettatamente un sorriso affiorò sul suo viso delicato, e Unity si sentì più leggero. C’era un mondo di calore e affetto nel tono dolce di Seraphina. La sua non era un’accusa, ma la semplice constatazione di un dato di fatto.
“Voi due siete come Albireo. Due stelle talmente vicine da sembrare una sola.”




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Note: se avete la possibilità di rimediare un telescopio vi consiglio tantissimo di osservare Albireo, una bellissima coppia di stelle dai colori contrastanti (azzurro e arancio). E' un po' difficile da beccare (almeno lo è stato per noi dilettantissimi alle prime armi), ma vale la pena :)
Il Triangolo Estivo è un gruppo di tre stelle molto luminose che si può osservare soprattutto in estate (ma và?), tutte e tre appartenenti a costellazioni diverse. Le tre stelle sono: Deneb (Cigno), Vega (Lira) e Altair (Aquila).
La "fenditura oscura nella Via Lattea" è la cosiddetta Fenditura del Cigno, una fascia di nebulose oscure che sembra tagliare in due la Via Lattea proprio in corrispondenza della costellazione del Cigno.
In mancanza di maggiori informazioni dal manga ho immaginato questa storia ambientata in un Settecento molto tardo, quasi a ridosso della Rivoluzione Francese. Quindi Goethe è già ministro a Weimar, che è diventata ritrovo di intellettuali e personalità, e i primi telescopi a lenti acromatiche sono stati diffusi sul mercato. Su questi ultimi ho spudoratamente copiato ciò che dice Wikipedia data la mia ignoranza pressoché totale in materia di ottica e fisica. Spero di non aver commesso errori!
Riguardo alla latitudine di Bluegrad ho preferito cautamente non pronunciarmi :P
"Dell'aldila' poco mi puo' importare. Da questa terra sgorgano le mie gioie, e questo e' il sole che illumina i miei dolori." (Faust)

 

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #20 il: 25 Luglio, 2015, 21:56:09 pm »
Citazione
PUTTANA ATENA

vabbe qui sono morto  :XD:
espa a tutte e due veramente grandiose!
HUNTERJ RIMARRAI PER SEMPRE NEI NOSTRI CUORI!!!



IIMO SBABBARI !!!!!

CHI E' LU RE???


Athena urina sulle Steel Cloth


SCHEDA VAN ANH ALEXANDRA

Offline whitemushroom88

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #21 il: 26 Luglio, 2015, 09:45:27 am »
Grazie, ricambio!
Cammino nell'ombra di questo giorno infinito
dove anche il cielo sembra cadere alle nostre spalle
indicandoci una strada che forse non percorreremo mai
perchè consci che niente è eterno,mentendo a noi stessi e al nostro cuore
morirà ogni giorno il sole sapendo di rinascere
tornerà ogni giorno la notte ad illuminare i nostri sogni
perchè è con essi che diamo un senso alla vita
i nostri occhi saranno le cascate in questo mondo di lacrime
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Offline Berhan no Aquarius

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #22 il: 27 Luglio, 2015, 20:13:29 pm »
Lisaralin, pazienza se come dici tu per raggiungere il tuo scopo ai dovuto barare, a me piace molto  :sisi: ...

Bella anche la similitudine che ne è venuta fuori con le due stelle di Albireo, quella azzurra e Degel e l'arancione penso Unity. Vero ???

Espa per te  :yea: ...


 :uhm: Solo mi incuriosisce molto la fenditura oscura del Cigno   :uhm: ...


Offline Lisaralin

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« Risposta #23 il: 02 Agosto, 2015, 15:37:11 pm »
Citazione
Bella anche la similitudine che ne è venuta fuori con le due stelle di Albireo, quella azzurra e Degel e l'arancione penso Unity. Vero ???
A dire il vero non avevo pensato alle associazioni con i colori... penso che ognuno possa interpretarle come preferisce  :ok:

Sulla Fenditura del Cigno neanche io so moltissimo, la mia fonte principale è Wikipedia  :XD:
https://it.wikipedia.org/wiki/Fenditura_del_Cigno

Ricambio l'espa!  :yea:
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Offline whitemushroom88

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #24 il: 12 Ottobre, 2015, 14:52:42 pm »
So che di tempo ne è passato un bel po', ma non siamo le tipe che chiudono una raccolta se questa non è più che completa.



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Personaggio: Capricorn Shura
Serie: Saint Seiya classico (con riferimenti a Saint Seiya - Episodio G)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments.
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna


Il pianto del mare

Il mare gli lambisce i piedi, poi lo lascia andare. Affonda nella sabbia con tutto il proprio peso, un passo alla volta, senza degnare di uno sguardo il risultato del suo allenamento quotidiano che invece ogni altro giorno lo riempie di soddisfazione. Il vento è freddo, cosa inusuale per la stagione, e Shura rimane per qualche istante ad osservare le sottili increspature che sfiorano le acque di Paros; giocano con l’azzurro ed il blu intenso, ma poi disegnano sulla superficie una rete bianca e luminosa che rovina la semplice perfezione di quel mare.
I gabbiani non sono ancora tornati al nido.
Osserva di nuovo la missiva, quella che gli è stata consegnata qualche ora prima da un messaggero ansimante del Santuario. L’ordine di rientro è vergato nella scrittura perfetta del Gran Sacerdote, e Shura affretta il passo. Non comprende il motivo per cui cinque Cavalieri di Bronzo ed una sedicente Athena richiedano la presenza di tutti i Cavalieri d’Oro al Santuario, ma non spetta a lui porsi simili domande.
“Stavolta non tornerai” .
È la prima volta che sente la sua voce. Ha qualcosa che ricorda il suono del mare quando si porta una conchiglia all’orecchio.
Lo osserva seduta su uno scoglio, i piedi che spariscono nella spuma mentre i lembi della sua tunica bianca si nascondono tra i flutti. Ha perso il conto di quanti anni siano trascorsi dal loro primo incontro, una sequenza di giorni sempre uguali pieni di silenzio, sguardi bassi e lacrime, lacrime che la fanciulla versa senza alcuna spiegazione. Si è allenato nel pieno del giorno o nel cuore della notte, ma in ogni momento la ha trovata lì, immobile, perfetta come la statua della divina Athena che veglia sul Santuario. Ne aveva parlato con Milo, ma quando il Cavaliere dello Scorpione si recò sull’isola non trovò altro che gabbiani.
Ma oggi la creatura ha rotto il suo silenzio, e per un istante Shura sente un peso nel petto. Un peso che nasce da quegli occhi antichi come l’oceano, molto più antichi di cento o mille vite degli uomini. “Vieni con me”.
“Chi sei?”
“Il pianto del mare”.
Una frase che non ha alcun senso.
O forse ha un senso che lui non ha intenzione di cercare.
Gli anni sul campo di battaglia gli hanno insegnato che spesso creature come quella che ha di fronte, una ninfa o forse una nereide, si divertono a parlare per enigmi in un mondo che solo loro possono vedere. Al contrario di Aphrodite a lui queste creature più vicine agli dèi che agli uomini non suscitano alcun fascino o meraviglia.
Tutti, a parte lei. Vorrebbe darle le spalle e tornare al Santuario, ma non riesce a staccare gli occhi da quel viso ed una parte di lui trema, si agita, gli trafigge ogni singolo muscolo lasciandolo immobile, i piedi nella sabbia, davanti a quella regina del mare così triste che sembra uno specchio in procinto di infrangersi tra le onde.
Anche le sue labbra sanno di sale.
Non ha idea di come sia successo, ma in un istante la creatura ha attraversato lo spazio che li separava e le loro teste, la loro pelle, le loro bocche si sfiorano ed è un bacio diverso, strano, privo di alcun desiderio. Sono lacrime quelle che li spingono a separarsi, che si insinuano tra le loro labbra; Shura sente di nuovo quello sguardo su di sé e oltre sé, e nel momento in cui gli piacerebbe avere una spiegazione rimane in silenzio, quasi come se qualcosa lo stringesse al petto e gli impedisse di disturbare il dolore e l’amore di quella creatura. La fanciulla ritorna dove il mare lambisce la terra, e di lei non rimane nemmeno un lembo della tunica bianca quando un’onda le sfiora le caviglie trasformandola solo in un velo di spuma. A Shura potrebbe sembrare di aver sentito un “Addio” uscire dalla sua bocca, ma forse è solo un’impressione e l’eco della risacca.

La figura del ragazzo si allontana.
Sempre di più, sempre più piccola. La sua vita è debole, ma la speranza che gli brucia nel petto va ben oltre le apparenze: cade verso il basso, verso la Terra, e Shura lo osserva fino a quando di quel corpo segnato dalle battaglie non rimane che un punto minuscolo ed un bagliore dorato che si mescola all’alba che deve ancora venire. Il suo coraggio e la sua devozione meritano di vedere il domani: Shura si accorge di sorridere per la prima volta dopo tanti anni, cercando di ricordare il giorno in cui il suo cuore ha smesso di credere nell’affetto e nei propri compagni e si è ricoperto di un’armatura fredda di cui il Grande Sacerdote ne ha colpa solo in parte. I giorni in cui assomigliava a quel ragazzo, e che adesso nella sua mente sono come inafferrabili stelle cadenti. Armatura del Capricorno, proteggi quel giovane.
“Siamo alla fine, Shura?”
Aveva dimenticato il suono di quella voce. Risuona dentro la sua testa, bassa ed irritante come il giorno che l’ha sentita per la prima volta; la verità è che forse ne aveva quasi dimenticato l’esistenza. “Proprio adesso decidi di farti risentire … Crio?”
“Nella battaglia contro il Dragone hai bruciato anche l’ichor di cui ti ho fatto dono con la mia arma. Forse anche l’ultima traccia di me sta svanendo da questo mondo … Certo, è proprio inglorioso sapere che sei stato sconfitto dal primo Cavaliere di Bronzo sulle scale, non riesco a credere che l’uomo che ha infranto la mia Spada Azzurra sia …”
“Non pensarci. Non potresti capire”.
Non c’è molto altro da spiegare. Non in questo cielo, in questo abisso nero dove ormai la sua esistenza è soltanto una minuscola fiamma davanti alle stelle senza tempo. Si sente piccolo, lui che ha sempre affrontato ogni battaglia con la spada in pugno.
Per un istante gli sembra di sentire il pianto di un neonato: è una bambina, una fanciulla che grida avvolta in un sottile panno di tela. Un uomo la stringe al petto mentre fugge nella notte, corre nel Santuario evitando ogni colpo, è un guerriero così grande che il solo ricordo stringe il cuore di Shura; sente nelle orecchie il rumore dei colpi che cozzano, della sua spada contro il nemico, ma anche i ricordi dello scontro si mescolano davanti al corpo del guerriero caduto, l’uomo che il suo stesso braccio ha trafitto a morte. E adesso le stelle gli sembrano gli occhi di quel condottiero che lo giudicano, cercando l’unico verdetto in fondo possibile.
“Siamo ai rimpianti?”
“Forse. Anche se mi sembra strano lasciare questo mondo in tua compagnia” sorride. In fondo non vi è nulla di male. “Ho sempre pensato che sarei andato incontro alla fine da solo, seguendo la via della spada fino alla fine”.
“Curioso, io invece non ho mai pensato alla mia fine”.
Shura ha anche quel duello nel cuore. La Spada Azzurra del Titano contro la sua Excalibur, un combattimento ai confini del mondo: forse la sua vittoria più grande, sangue umano e ichor divino ovunque. Ma anche quel ricordo trema e scivola lontano dagli occhi finché l’unica traccia che rimane nel suo corpo ormai allo stremo è la voce del dio. “Io pensavo solo al futuro. Ai miei fratelli, alla mia bellissima moglie … credevo che nessuno avrebbe mai potuto sconfiggerci. Se lo avessi saputo …”
“Anche tu sei ai rimpianti?”
La sua voce si fa triste. “Credi che un dio non soffra? Credi che voi umani siate gli unici ad amare, sperare, credere in un futuro migliore? Sì, se avessi saputo che sarei morto per mano tua forse avrei messo da parte il mio orgoglio. Avrei risparmiato lacrime a colei che ho amato più di ogni altra cosa al mondo. E adesso sarei con lei, sul fondo del mare luminoso, circondato da tutti i figli che avrei potuto darle. Se pensi che questo finale mi faccia piacere ti sbagli di grosso! Però ti devo ringraziare … grazie a te ho potuto rivederla almeno per un’ultima volta”.
Una musica riecheggia nel silenzio del vuoto, una canzone in una lingua di cui non conosce alcuna parola. Ma non ne ha bisogno, perché le parole e le note toccano ogni parte del suo corpo, ogni muscolo, ogni capello. Potrebbero essere dita gentili contro la sua pelle, fresche ed impalpabili come l’acqua del mare: questo canto è un lamento che viene dal profondo, da quella Terra che ormai non è più grande di un pollice ed appare soltanto blu, bellissima. È tutto il mare che sta cantando, e in fondo al cuore sa che quella musica è dedicata a lui. A loro. All’uomo e al dio che se ne vanno per sempre lasciandosi alle spalle un mondo che, forse adesso riesce a crederci, sente la loro mancanza, la loro spada sguainata, la loro giustizia.
Il pianto del mare sta versando lacrime per loro.
“Andiamo Shura. La voce di Euribia ci accompagnerà fino alla fine”.
Una fine eterna, immortale, con una speranza per il futuro che ha le sembianze di un Dragone. “Andiamo insieme verso il cuore della Via Lattea”.



Note: sono sempre stata una fan dei Titani, e temo che ciò emergerà anche in altre mie storie. L'ultima frase della storia si riferisce al fatto che, almeno nella versione italiana, Crio si presenta sempre come "Crio della Via Lattea".
Grazie mille per avermi tollerata!


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Cammino nell'ombra di questo giorno infinito
dove anche il cielo sembra cadere alle nostre spalle
indicandoci una strada che forse non percorreremo mai
perchè consci che niente è eterno,mentendo a noi stessi e al nostro cuore
morirà ogni giorno il sole sapendo di rinascere
tornerà ogni giorno la notte ad illuminare i nostri sogni
perchè è con essi che diamo un senso alla vita
i nostri occhi saranno le cascate in questo mondo di lacrime
i nostri cuori barche sospinte da tempeste
nell'immenso oceano della vita
ma se sentirai le corde del cuore vibrare ad ogni tuo respiro
sentirai la canzone della vita


         

Offline whitemushroom88

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Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #25 il: 14 Giugno, 2016, 22:57:42 pm »
Salve a tutti e buonasera. Purtroppo a causa del lavoro ormai non frequento più forum o affini, però oggi ho avuto l'idea per un'altra storia e l'ho postata. Cielo, era una vita che non mettevo mano ad un file di Word ...


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Personaggio: Cancer Death Mask
Serie: Saint Seiya - Soul of Gold
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna


Call my name

“Sei in ritardo”.
Death Mask sorride. Era una vita che non lo faceva, o almeno non quando qualcuno rimproverava così ad alta voce le sue mancanze. “Cosa posso dirti, mi piace farmi desiderare”.
Per un attimo la luce gli ricorda quella della sua Sicilia; ci era tornato diverse volte anche dopo la nomina a Cavaliere d’Oro per immergersi tutto nel fuoco e nei fumi dell’Etna, per bere il suo vino, per innalzare i suoi colpi verso quel cielo che era considerato il capolavoro di Zeus. Lui che comandava, derideva e tormentava i morti si sentiva davvero vivo solo lì, tra quelle donne dai capelli scuri e la pelle che sapeva di mare che sembrava ardere della sua stessa sete di fuoco: ballava con loro fino a vomitare tutto il vino che aveva ingurgitato e, al diavolo la divina Athena, ne beveva di nuovo, più di prima, gridando ai quattro venti che non c’era nessuno che potesse dire ad un uomo come lui cosa dovesse o non dovesse fare. E il sole gli dava ragione, perché lui bruciava e tutti dovevano bruciare come lui, vivi o morti, vincitori e vinti, cavalieri e pezzenti straccioni che non sapevano fare altro che pigolare in maniera quasi fastidiosa di fronte a lui.
Ma la verità è che non vi è alcun sole in quel posto, né il fumo acre del suo vulcano.
C’è un altro fumo, verde o forse viola, che gli nausea la gola quando risale da quel baratro di cui già una volta Death Mask ha toccato il fondo. Si divertiva –sì, si divertiva moltissimo- a guardare gli uomini cadervi , scaraventandoveli lui stesso o talvolta dando loro persino l’illusione di potervi scampare per poi ridere quando vedeva la loro speranza morire in quell’oceano di tenebra.
Ride anche adesso, ma per un motivo ben diverso.
Ride perché lei è lì ed i suoi occhi sono l’unica cosa in grado di risplendere davanti all’abisso dello Yomotsu Hiraska. L’hanno sepolta così, con una rosa tra i capelli, un fiore rosso che sembra la promessa che un giorno anche la speranza potrà sbocciare all’ingresso degli Inferi.
“Desiderare è una parola grossa, non montarti troppo la testa!”
“Una bella ragazza destinata agli Elisi ritarda il raggiungimento della Gioia Eterna per aspettare un losco e ben poco raccomandabili figuro in un luogo che brulica di gente morta?” risponde, lanciando solo un frettoloso sguardo su coloro che avanzano. Li ha odiati tutti, un tempo.
Li ha odiati perché erano deboli, miseri e morti, perché non splendevano, non correvano, non gridavano, non avevano nemmeno una scintilla del suo stesso fuoco. Adesso li degna tutt’al più di un’occhiata, le pupille fisse su quella ragazza esile che non ha nulla a che vedere con le donne della sua terra ma che potrebbe incenerirle tutte con la forza della sua luce. “Sai, ho un po’ di paura” mormora lei, chinando la testa verso l’abisso. “Magari se scendessi insieme a te …”
“Non credo, Helena. Temo proprio che non finiremo nello stesso posto, sai? In vita non sono stato esattamente un cavaliere senza macchia e senza paura”.
“Quello non credo che sia un problema …”
Le sue dita sono calde proprio quando era viva. Sono calde e bellissime anche quando si intrecciano nelle sue. “Se ci teniamo la mano non ci separeremo e non ci perderemo di nuovo, giusto?”
Vorrebbe dirle che non funziona così, che gli Inferi non si attraversano tenendosi per mano e che un’anima pura destinata agli Elisi non potrà mai restare accanto ad un Cavaliere traditore che finirà nel Cocito nel migliore degli scenari. L’aver aiutato i suoi compagni nella guerra contro Loki non servirà a scontare nemmeno una minuscola parte dell’eternità che lo attende nel luogo più buio degli Inferi. Ma non glielo dice, perché con quella mano nella sua persino lo Yomotsu Hiraska sembra un posto migliore. Si limita ad annuire e a muovere un passo avanti finché non la sente puntare i piedi.
“Senti, se le cose dovessero andare male … c’è una cosa che vorrei chiederti”.
“E sarebbe?”
“Il tuo nome” chiede. “Cioè … il tuo vero nome”.
Già, il suo vero nome.
Sono anni che nessuno lo pronuncia più. Lui stesso lo ha quasi sepolto in un angolo della mente, lo stesso dove per moltissimo tempo ha nascosto dolore, vergogna e senso di cola chiudendoli a chiave per non farli sfuggire o vedere a nessuno. Compreso se stesso. E quando le sussurra quel nome in un orecchio è come se una vecchia serratura arrugginita fosse scattata da qualche parte lasciando scappare uno spiraglio di luce simile a quelli della sua isola, quella dove avrebbe voluto portare Helena per farle vedere il mondo oltre la prigione gelida di Asgard. Come tutta risposta lei appare divertita. “È buffissimo!”
“Beh, è un nome italiano. Fidati, non hai idea di quanto per me siano ridicoli Siegfried o Alberich! Non ci chiamerei nemmeno un cane!”
E senza rendersi conto ridono entrambi cancellando l’abisso, ignorando i lamenti dei morti ed i ricordi dei vivi. Ridono finché ne hanno voglia, ridono fino a quando è Helena a camminare fino al ciglio del baratro con le dita più salde che mai alle sue. È ancora titubante, glielo legge negli occhi, e lui non può permettere che vi sia una nuova ombra in quelle iridi così belle che hanno avuto a cuore persino un uomo perduto come lui. Prima ancora che lei possa protestare la solleva da terra ed è senza malcelata soddisfazione che la sente stringere le braccia intorno al suo collo. “Così va meglio?”
“Direi proprio di sì …”
Ed è tutto ciò che ha bisogno di sentire. “… andiamo?”




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Cammino nell'ombra di questo giorno infinito
dove anche il cielo sembra cadere alle nostre spalle
indicandoci una strada che forse non percorreremo mai
perchè consci che niente è eterno,mentendo a noi stessi e al nostro cuore
morirà ogni giorno il sole sapendo di rinascere
tornerà ogni giorno la notte ad illuminare i nostri sogni
perchè è con essi che diamo un senso alla vita
i nostri occhi saranno le cascate in questo mondo di lacrime
i nostri cuori barche sospinte da tempeste
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ma se sentirai le corde del cuore vibrare ad ogni tuo respiro
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Saint Seiya GS - Il Forum della Terza Casa

Re: Saint Seiya: The Golden Age - by white&lis
« Risposta #25 il: 14 Giugno, 2016, 22:57:42 pm »