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FanFic / Il peso della Giustizia
« il: 30 Agosto, 2017, 22:40:33 pm »
E va bene, postiamo questa long long long ( ma molto long ) fiction
Premesse e avvertimenti:
Hades è stato sconfitto, la guerra è finita e Athena è riuscita a far riportare tutti i cavalieri deceduti in vita. Ambientata post Hades, non tiene conto ne di Omega ne di SoG ecc.
Alcuni dettagli di quanto avvenuto prima delle 12 case sono stati modificati per esigenze di trama.
Personaggi: Un po' tutti, Nuovi, Kanon, Saga.
Attenzione: rating rosso Presenza di tematiche delicate.
Metterò i cap sotto spoiler altrimenti viene chilometrica.
Detto questo, buona lettura (a chiunque ne avrà il coraggio )
Premesse e avvertimenti:
Hades è stato sconfitto, la guerra è finita e Athena è riuscita a far riportare tutti i cavalieri deceduti in vita. Ambientata post Hades, non tiene conto ne di Omega ne di SoG ecc.
Alcuni dettagli di quanto avvenuto prima delle 12 case sono stati modificati per esigenze di trama.
Personaggi: Un po' tutti, Nuovi, Kanon, Saga.
Attenzione: rating rosso Presenza di tematiche delicate.
Metterò i cap sotto spoiler altrimenti viene chilometrica.
Detto questo, buona lettura (a chiunque ne avrà il coraggio )
Cap 1 - Punizione esemplare
La luna sorgeva adagio nel placido cielo di Grecia; nessuna nuvola ad oscurare le stelle che brillavano sicure rischiarando la notte.
Il Santuario di Athena era in pace già da alcuni anni: la guerra contro Hades aveva seminato morte e distruzione e la vittoria che con tanta fatica Athena aveva colto sembrava solo essere l’ennesimo ago nel cuore della Dea, così pesante, gravato dal rimorso di tanta sofferenza. Non provava alcuna soddisfazione nell’aver sconfitto il Dio degli Inferi: nonostante il suo animo da Dea guerriera, non amava combattere a meno che non fosse in gioco un bene superiore, come la salvaguardia dell’umanità alla quale era così legata.
“Legata...” pensò “non sono forse io che ho mandato a morire centinaia di cavalieri coraggiosi per il sogno della Giustizia?”
Le sue fila erano state decimate, i suoi cavalieri più devoti erano periti per difenderla ed aiutarla.
Nel turbinare dei suoi rimorsi un flebile raggio di luce rischiarò il suo volto, allora guardò le stelle e si ricordò, con un po’ di soddisfazione, che era stata pur sempre lei ad ottenere dalla dea Persefone, ormai vedova del marito, la grazia per i suoi cavalieri periti. “Ma a quale prezzo?” si domandò la Dea rientrando all’interno del Tredicesimo Tempio. Si sedette sul suo trono d’oro, ornato di pietre preziose. Guardò davanti a sé l’enorme sala contornata da altissime colonne corinzie. Sebbene l’intero santuario fosse stato restaurato in quell’anno di pace, ella poteva ben vedere i segni della battaglia davanti a lei, poteva percepire l’odore di distruzione e morte.
“per cosa, poi, sono stati riportati in vita? Per soffrire ancora in nuovi scontri e battaglie?”
Nonostante fosse la reincarnazione della Dea della giustizia, della razionalità , era pur sempre umana nell’animo: le sue emozioni emergevano facendola sprofondare nello sconforto. Amava troppo i suoi cavalieri per poter accettare di vederli soffrire ancora, ma sapeva bene che il suo lato di Dea le suggeriva che quella era la mossa più logica: non vi era tempo di addestrare nuovi Saint, se fosse scoppiata un’altra guerra sarebbe stata totalmente impreparata, allora fece la sua richiesta a Persefone, pur sapendo che non sarebbe rimasta impunita.
Si alzò mestamente dal trono e si diresse alle sue stanze private. Trovò tutto esattamente come lo aveva lasciato, e come poteva essere altrimenti? Nessuno aveva accesso a quelle stanze se non due o tre ancelle accuratamente selezionate dal Grande Sacerdote. L’estrema perizia con la quale era protetta era ammirevole, la faceva sentire sicura ma al contempo dannatamente sola.
Si avvicinò al letto e scostò le coperte rigorosamente di seta bianca e candida. Il profumo di pulito la inebriò e si lasciò coccolare da quel piccolo piacere. Decise di dormire un po’, per quanto le fosse possibile. “Una Dea stanca” si disse “non giova a nessuno”. Si abbandonò fra le coperte del suo caldo giaciglio assaporando un po’ di riposo.
La tranquillità di quella sera lo inquietava. A dire la verità era dalla guerra contro Hades che tutte le sere era inquieto. Fuori dal Tredicesimo Tempio si respirava un’aria leggermente rarefatta, colpa dell’altitudine. “Beh, sono più in alto della Decima Casa” pensò Shura cercando di distrarsi dai suoi timori. Guardò il celo stellato cercando la sua costellazione, quella del Capricorno. Egli si diceva fosse il cavaliere più devoto alla Dea Athena, che gli aveva fatto dono della spada Excalibur, eppure toccò proprio a lui schierarsi dalla parte del Dio dei morti. “Era per salvarla” si ripeté come a voler scacciare il sospetto di averla tradita; nonostante ciò non poteva fare a meno di straziarsi al pensiero di aver lottato contro i suoi compagni, che erano alla stregua di fratelli. A ricacciare indietro i suoi pensieri, ci pensò un tremito nell’aria; il vento s’alzò sferzando alberi e cespugli. Il cielo, dapprima limpido come un torrente, iniziò ad annuvolarsi repentinamente, un fenomeno troppo insolito per essere naturale. Il silenzio di quella sera venne scosso da cupi boati, fulmini e saette sferzarono implacabili il cielo. Il cavaliere del Capricorno lo percepì subito: un cosmo ostile aleggiava sopra il Santuario.
“Divino Zeus!”
Il rimbombo dei tuoni all’esterno raggiunse anche le sale del Tredicesimo Tempio. Athena si svegliò di soprassalto percependo un cosmo fin troppo familiare e temuto: suo padre, il padre di tutti gli Dei, era lì e non sembrava neanche di buon umore.
Saltò giù dal letto e si precipitò fuori dalle sue stanze dirigendosi verso la sala del trono. Non appena varcò i pesanti tendaggi dietro l’imponente soglio, un fulmine squarciò il tetto del Tempio e si conficcò proprio al centro della sala.
Un bagliore accecante costrinse la Dea a voltarsi, quando rimise a fuoco il piccolo cratere formatosi, vide una figura alta e distinta avanzare verso di lei: era un uomo molto avvenente, Zeus, Padre degli Dei, nonostante il suo aspetto non fosse quello di un giovane bensì quello di un uomo sulla quarantina. “C’è un motivo se ha sedotto tutte quelle donne…” si ritrovò a pensare la giovane.
Il corpo del Dio era tutto avvolto da una splendente armatura argentea con delle saette color cobalto incisevi sopra, un mantello candido gli copriva le spalle e strusciava sul pavimento della sala. Il rumore sordo dei passi di Zeus unito ad un leggero stridio di scariche elettriche riempiva il silenzio del luogo e Athena non poté che rimanere immobile di fronte alla sua maestà.
«Figlia mia…che lieta sera è questa, ora che vedo il tuo bel viso…sebbene sia quello del tuo corpo mortale» disse Zeus aprendo le braccia al cielo e il suo tono era fermo ma allo stesso tempo mellifluo.
«Padre… è di certo una sera strana se il Padre degli Dei si scomoda dal suo trono celeste per vedere la figlia…» rispose Athena cercando di far apparire il suo tono, in verità molto canzonatorio, più rispettoso possibile.
Zeus si avvicinò fin davanti la fanciulla, la quale non riuscì a trattenersi dall’indietreggiare di un passo. Era molto più bassa del possente Dio e per un momento rimpianse che il suo corpo mortale non fosse quello di una stangona.
«In verità volevo chiarire una questione di persona vista, come dire, la sua importanza…» iniziò il Dio voltando le spalle alla figlia e muovendo qualche passo in avanti «Credo di essere stato un padre amorevole con tutti i miei figli…» continuò rivolgendo ora la coda dell’occhio su di lei.
«Nessun padre è più benevolo di te» confermò Athena pur non capendo dove volesse andare a parare suo padre.
«Ciò nondimeno, credo di non aver meritato il vostro amore…se ciò che raccolgo è che i miei stessi figli si scaglino contro i loro beneamati zii…» disse in modo teatrale.
«Ma…» iniziò la Dea.
A quell’accenno di giustificazione, Zeus si voltò tramutato: il padre amorevole aveva lasciato il posto al tono autoritario di un sovrano «E dunque mi chiedo cosa dovrebbe fare un padre amorevole? Se non dare una punizione esemplare ai figli ribelli?»
In quello stesso momento il cavaliere del Capricorno entrò nella sala e si trovò davanti una scena che lo lasciò interdetto qualche istante. «Milady…» ebbe appena il tempo di dire.
Zeus, accortosi del cavaliere, fece un cenno con la mano, senza staccare gli occhi dalla figlia, sicché il cavaliere rimase immobilizzato mentre veniva attraversato da piccole scariche elettriche.
«Proprio tu, figlia, che fra tutte sei la mia diletta, mi disonori con atti blasfemi e ti schieri dalla parte di deicidi…dalla parte degli assassini dei tuoi simili! Di tuo zio!» lo sguardo del Dio ora era fiammeggiante d’ira. «Dimmi, figlia, hai forse perso quel senno che ti contraddistingueva dagli altri Dei? Ti farò capire io, a te ed a tutti gli altri tuoi fratelli, che si schierano dalla parte di questi miseri scarafaggi…» strinse il pugno e le scariche che attraversavano Shura crebbero di intensità fino a far stramazzare il cavaliere a terra svenuto «a chi dovete il vostro rispetto e reverenza!»
Ci fu un boato fortissimo e un fulmine cadde nuovamente nella stanza trascinando via con sé Zeus.
Nella sala rimase un silenzio irreale se paragonato al tuonare delle parole del Padre degli Dei.
Athena, che era rimasta terrorizzata dalla furia del padre, si accasciò a terra tremante. Guardò davanti a sé il corpo del suo cavaliere, non fece nemmeno in tempo ad emettere un fiato che le porte della sala si spalancarono ed entrarono cinque Gold Saint seguiti a ruota dal Grande Sacerdote.
Alla vista della loro Dea tremante, il cavaliere di Virgo, Shaka, il cavaliere di Aries, Mur, e il Grande Sacerdote in carica, l’ex cavaliere dei Gemelli, Saga, si avvicinarono alla fanciulla mentre gli altri due cavalieri, Dohko di Libra e Milo di Scorpio si accertarono delle condizioni del compagno svenuto.
«Mia signora, cos’è accaduto? Abbiamo sentito un cosmo ostile molto potente provenire da queste stanze» chiese Saga preoccupato inginocchiandosi di fronte alla Dea.
La fanciulla guardò negli occhi Saga e, come se avesse ritrovato all’istante il controllo di sé, disse con tono deciso «Chiamatemi un messaggero, presto!»
Il Santuario di Athena era in pace già da alcuni anni: la guerra contro Hades aveva seminato morte e distruzione e la vittoria che con tanta fatica Athena aveva colto sembrava solo essere l’ennesimo ago nel cuore della Dea, così pesante, gravato dal rimorso di tanta sofferenza. Non provava alcuna soddisfazione nell’aver sconfitto il Dio degli Inferi: nonostante il suo animo da Dea guerriera, non amava combattere a meno che non fosse in gioco un bene superiore, come la salvaguardia dell’umanità alla quale era così legata.
“Legata...” pensò “non sono forse io che ho mandato a morire centinaia di cavalieri coraggiosi per il sogno della Giustizia?”
Le sue fila erano state decimate, i suoi cavalieri più devoti erano periti per difenderla ed aiutarla.
Nel turbinare dei suoi rimorsi un flebile raggio di luce rischiarò il suo volto, allora guardò le stelle e si ricordò, con un po’ di soddisfazione, che era stata pur sempre lei ad ottenere dalla dea Persefone, ormai vedova del marito, la grazia per i suoi cavalieri periti. “Ma a quale prezzo?” si domandò la Dea rientrando all’interno del Tredicesimo Tempio. Si sedette sul suo trono d’oro, ornato di pietre preziose. Guardò davanti a sé l’enorme sala contornata da altissime colonne corinzie. Sebbene l’intero santuario fosse stato restaurato in quell’anno di pace, ella poteva ben vedere i segni della battaglia davanti a lei, poteva percepire l’odore di distruzione e morte.
“per cosa, poi, sono stati riportati in vita? Per soffrire ancora in nuovi scontri e battaglie?”
Nonostante fosse la reincarnazione della Dea della giustizia, della razionalità , era pur sempre umana nell’animo: le sue emozioni emergevano facendola sprofondare nello sconforto. Amava troppo i suoi cavalieri per poter accettare di vederli soffrire ancora, ma sapeva bene che il suo lato di Dea le suggeriva che quella era la mossa più logica: non vi era tempo di addestrare nuovi Saint, se fosse scoppiata un’altra guerra sarebbe stata totalmente impreparata, allora fece la sua richiesta a Persefone, pur sapendo che non sarebbe rimasta impunita.
Si alzò mestamente dal trono e si diresse alle sue stanze private. Trovò tutto esattamente come lo aveva lasciato, e come poteva essere altrimenti? Nessuno aveva accesso a quelle stanze se non due o tre ancelle accuratamente selezionate dal Grande Sacerdote. L’estrema perizia con la quale era protetta era ammirevole, la faceva sentire sicura ma al contempo dannatamente sola.
Si avvicinò al letto e scostò le coperte rigorosamente di seta bianca e candida. Il profumo di pulito la inebriò e si lasciò coccolare da quel piccolo piacere. Decise di dormire un po’, per quanto le fosse possibile. “Una Dea stanca” si disse “non giova a nessuno”. Si abbandonò fra le coperte del suo caldo giaciglio assaporando un po’ di riposo.
La tranquillità di quella sera lo inquietava. A dire la verità era dalla guerra contro Hades che tutte le sere era inquieto. Fuori dal Tredicesimo Tempio si respirava un’aria leggermente rarefatta, colpa dell’altitudine. “Beh, sono più in alto della Decima Casa” pensò Shura cercando di distrarsi dai suoi timori. Guardò il celo stellato cercando la sua costellazione, quella del Capricorno. Egli si diceva fosse il cavaliere più devoto alla Dea Athena, che gli aveva fatto dono della spada Excalibur, eppure toccò proprio a lui schierarsi dalla parte del Dio dei morti. “Era per salvarla” si ripeté come a voler scacciare il sospetto di averla tradita; nonostante ciò non poteva fare a meno di straziarsi al pensiero di aver lottato contro i suoi compagni, che erano alla stregua di fratelli. A ricacciare indietro i suoi pensieri, ci pensò un tremito nell’aria; il vento s’alzò sferzando alberi e cespugli. Il cielo, dapprima limpido come un torrente, iniziò ad annuvolarsi repentinamente, un fenomeno troppo insolito per essere naturale. Il silenzio di quella sera venne scosso da cupi boati, fulmini e saette sferzarono implacabili il cielo. Il cavaliere del Capricorno lo percepì subito: un cosmo ostile aleggiava sopra il Santuario.
“Divino Zeus!”
Il rimbombo dei tuoni all’esterno raggiunse anche le sale del Tredicesimo Tempio. Athena si svegliò di soprassalto percependo un cosmo fin troppo familiare e temuto: suo padre, il padre di tutti gli Dei, era lì e non sembrava neanche di buon umore.
Saltò giù dal letto e si precipitò fuori dalle sue stanze dirigendosi verso la sala del trono. Non appena varcò i pesanti tendaggi dietro l’imponente soglio, un fulmine squarciò il tetto del Tempio e si conficcò proprio al centro della sala.
Un bagliore accecante costrinse la Dea a voltarsi, quando rimise a fuoco il piccolo cratere formatosi, vide una figura alta e distinta avanzare verso di lei: era un uomo molto avvenente, Zeus, Padre degli Dei, nonostante il suo aspetto non fosse quello di un giovane bensì quello di un uomo sulla quarantina. “C’è un motivo se ha sedotto tutte quelle donne…” si ritrovò a pensare la giovane.
Il corpo del Dio era tutto avvolto da una splendente armatura argentea con delle saette color cobalto incisevi sopra, un mantello candido gli copriva le spalle e strusciava sul pavimento della sala. Il rumore sordo dei passi di Zeus unito ad un leggero stridio di scariche elettriche riempiva il silenzio del luogo e Athena non poté che rimanere immobile di fronte alla sua maestà.
«Figlia mia…che lieta sera è questa, ora che vedo il tuo bel viso…sebbene sia quello del tuo corpo mortale» disse Zeus aprendo le braccia al cielo e il suo tono era fermo ma allo stesso tempo mellifluo.
«Padre… è di certo una sera strana se il Padre degli Dei si scomoda dal suo trono celeste per vedere la figlia…» rispose Athena cercando di far apparire il suo tono, in verità molto canzonatorio, più rispettoso possibile.
Zeus si avvicinò fin davanti la fanciulla, la quale non riuscì a trattenersi dall’indietreggiare di un passo. Era molto più bassa del possente Dio e per un momento rimpianse che il suo corpo mortale non fosse quello di una stangona.
«In verità volevo chiarire una questione di persona vista, come dire, la sua importanza…» iniziò il Dio voltando le spalle alla figlia e muovendo qualche passo in avanti «Credo di essere stato un padre amorevole con tutti i miei figli…» continuò rivolgendo ora la coda dell’occhio su di lei.
«Nessun padre è più benevolo di te» confermò Athena pur non capendo dove volesse andare a parare suo padre.
«Ciò nondimeno, credo di non aver meritato il vostro amore…se ciò che raccolgo è che i miei stessi figli si scaglino contro i loro beneamati zii…» disse in modo teatrale.
«Ma…» iniziò la Dea.
A quell’accenno di giustificazione, Zeus si voltò tramutato: il padre amorevole aveva lasciato il posto al tono autoritario di un sovrano «E dunque mi chiedo cosa dovrebbe fare un padre amorevole? Se non dare una punizione esemplare ai figli ribelli?»
In quello stesso momento il cavaliere del Capricorno entrò nella sala e si trovò davanti una scena che lo lasciò interdetto qualche istante. «Milady…» ebbe appena il tempo di dire.
Zeus, accortosi del cavaliere, fece un cenno con la mano, senza staccare gli occhi dalla figlia, sicché il cavaliere rimase immobilizzato mentre veniva attraversato da piccole scariche elettriche.
«Proprio tu, figlia, che fra tutte sei la mia diletta, mi disonori con atti blasfemi e ti schieri dalla parte di deicidi…dalla parte degli assassini dei tuoi simili! Di tuo zio!» lo sguardo del Dio ora era fiammeggiante d’ira. «Dimmi, figlia, hai forse perso quel senno che ti contraddistingueva dagli altri Dei? Ti farò capire io, a te ed a tutti gli altri tuoi fratelli, che si schierano dalla parte di questi miseri scarafaggi…» strinse il pugno e le scariche che attraversavano Shura crebbero di intensità fino a far stramazzare il cavaliere a terra svenuto «a chi dovete il vostro rispetto e reverenza!»
Ci fu un boato fortissimo e un fulmine cadde nuovamente nella stanza trascinando via con sé Zeus.
Nella sala rimase un silenzio irreale se paragonato al tuonare delle parole del Padre degli Dei.
Athena, che era rimasta terrorizzata dalla furia del padre, si accasciò a terra tremante. Guardò davanti a sé il corpo del suo cavaliere, non fece nemmeno in tempo ad emettere un fiato che le porte della sala si spalancarono ed entrarono cinque Gold Saint seguiti a ruota dal Grande Sacerdote.
Alla vista della loro Dea tremante, il cavaliere di Virgo, Shaka, il cavaliere di Aries, Mur, e il Grande Sacerdote in carica, l’ex cavaliere dei Gemelli, Saga, si avvicinarono alla fanciulla mentre gli altri due cavalieri, Dohko di Libra e Milo di Scorpio si accertarono delle condizioni del compagno svenuto.
«Mia signora, cos’è accaduto? Abbiamo sentito un cosmo ostile molto potente provenire da queste stanze» chiese Saga preoccupato inginocchiandosi di fronte alla Dea.
La fanciulla guardò negli occhi Saga e, come se avesse ritrovato all’istante il controllo di sé, disse con tono deciso «Chiamatemi un messaggero, presto!»
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Cap 2 - Scontro fra i boschi
Il sole era sorto presto quella mattina, il cielo era limpido e sereno in quella fresca mattina di Marzo. La rosea alba stava per lasciare il posto al quel bel azzurro carico delle giornate di primavera.
La foresta di Parnitha era silenziosa, s’udiva solo il vento che, frusciando fra le fronde degli alberi, faceva cadere qualche foglia; poi, di tanto in tanto, qualche uccellino mattiniero cinguettava fra gli alberi.
Era questo che amava tanto della foresta: l’assoluta tranquillità e pace. Erano diversi anni ormai che viveva fra i boschi, li conosceva come le sue tasche, com’anche le sue compagne che, come lei, erano sacerdotesse della Dea Artemide. Erano come sorelle, si davano sempre man forte in tutte le circostanze; nonostante la loro vita isolata dal mondo, non avevano bisogno di nulla né di nessuno.
Anche se spesso i loro doveri superavano le ricompense, erano felici di servire la loro Dea, che teneva così tanto a loro e non perdeva occasione di dimostrarlo. La loro stessa segregazione nei boschi, lo sapeva, era una protezione, un atto d’amore. Il mondo era così saturo d’ingiustizia e odio, che avrebbe schiacciato ogni loro speranza e bellezza come gracili fuscelli. Non c’era nulla per loro nel mondo; la foresta con il suo equilibrio, la loro amata Dea, erano l’unica cosa che contasse davvero.
In fondo, loro erano niente più che giovani ragazze, tutte con non più di venticinque anni, e per loro, come diceva la Dea, la vita poteva essere molto complicata, specie per delle belle fanciulle: gli uomini, in particolare, sapevano essere ben crudeli, con le loro illusioni di un amore che si consumava in fretta, troppo in fretta, ed una volta esaurito lasciava in preda alla disperazione e al dolore. No, erano più al sicuro fra quegli alberi, godendo della protezione della loro Grande Madre.
Alexandra ne era convinta, quella era l’unica verità. Certo, spesso capitava che alcune di loro avessero dei dubbi, volessero provare l’ebrezza di uscire dalla foresta, specie le più giovani di loro, poiché più vicine alla loro vita precedente: le sacerdotesse non nascevano fra i boschi, venivano affidate alla Dea Artemide in tenera età, ma fino a quel momento avevano una vita sociale, sebbene fosse dedita al servizio della Dea.
Alexandra, che fra tutte era quella più ligia, non mancava mai di riprendere le sue compagne ribelli, convincendole di quanto fossero sbagliati quei desideri, e ribadendo che il loro unico dovere doveva essere quello di compiacere la Dea.
Sapeva essere una ragazza molto autoritaria, Alexandra, nonostante il suo aspetto gentile: la sua carnagione leggermente abbronzata, i suoi occhi verdi come la foresta, incorniciati da lunghi capelli bruni e ondulati. Una ragazza piacente, come tutte le protette di Artemide. Ma dietro quell’aspetto delicato si nascondeva un carattere battagliero e fiero: tutte le sacerdotesse venivano addestrate fin dal loro ingresso nella foresta; erano addestrate a cacciare con l’arco, l’arma sacra alla Dea, a muoversi agili e furtive fra gli alberi, ed a trarre la loro forza dalla natura.
Era necessario, giacché oltre alla protezione della Dea, erano dedite anche alla tutela della foresta stessa.
Alexandra si trovava al confine a sud di Parnitha, era di ronda per controllare che tutto fosse in ordine.
“Fortunatamente non sembra esserci nulla di strano” pensò con un sospiro di sollievo.
Uno svolazzare di uccelli impauriti poco distante la fece ricredere. Afferrò saldamente il suo arco e si portò una mano dietro la spalla per controllare che la faretra fosse piena. Ebbe appena il tempo di accertarsi della situazione che due figure sbucarono dagli alberi.
«Dannazione!»
«Dunque, fammi capire, siamo venuti qui per riferire un messaggio?» disse l’uomo alquanto scocciato «credevo avessimo dei messaggeri per queste cose…per gli Dei quanto siamo caduti in basso!» continuò sarcastico.
«Siamo qui» ribadì l’altro «perché Athena ce lo ha ordinato, inoltre la missione potrebbe rivelarsi più pericolosa del previsto per un semplice messaggero, non possiamo permetterci di sbagliare nulla» rispose l’uomo che gli camminava a fianco con tono pacato e gentile. Mur, cavaliere dell’Ariete, pacato, del resto, lo era sempre stato. Indossava la sua armatura d’oro che brillava sotto i flebili raggi del sole che trapassavano i rami degli alberi.
«Sarà anche come dici tu, ma sbrighiamoci ad uscire di qui, questa foresta già mi sta dando sui nerv…accidenti!» finì la frase inciampando su di una radice rialzata.
«In verità non capisco di cosa parli, Kanon. Io trovo questo luogo estremamente rilassante.» Rispose Mur sgranchendosi le braccia e respirando a pieni polmoni il profumo muschiato del luogo.
«Bah…» Kanon era molto infastidito da quella missione, non gli piacevano affatto le foreste. Del resto il suo ambiente era più quello marino: nonostante indossasse l’armatura dei Gemelli, aveva passato anni al servizio di Poseidone indossando la scale di Dragone del Mare. Dopo la sconfitta di Poseidone gli era stato, ovviamente, revocato il permesso di indossarla nuovamente.
“Poco male” pensò “grazie ad Athena, e alla promozione, totalmente inaspettata visti i precedenti, di mio fratello, posso indossare l’armatura che ho sempre agognato!”
Un ghigno di soddisfazione si stampò sul suo volto, era talmente distratto dai suoi pensieri, che non si accorse di una freccia che gli passò a due centimetri dal viso. Si fermò di colpo e anche Mur, accortosi dell’attacco, si mise in posizione di guardia.
«Non illudetevi, la mia mira è migliore di così. Consideratelo solo un invito a non proseguire oltre!»
Una voce femminile ma autoritaria echeggiò nell’aria.
“Proviene dall’alto, ma da dove diamine è arrivata? Così furtiva poi…” pensò Kanon guardandosi intorno cercando di individuare la donna.
«Ti assicuro che veniamo in pace.» rispose Mur senza però smettere di rimanere in guardia. «Siamo qui per conferire con la Dea Artemide, abbiamo un messaggio importante da parte della Dea Athena»
Con una capriola Alexandra guizzò fuori dalle fronde e atterrò leggiadra davanti ai due cavalieri.
«Saint di Athena… questa si che è una strana coincidenza» rispose aspra la ragazza.
Kanon squadrò attentamente la figura che gli si parò di fronte: era solo una ragazza, giovane a guardarsi, dall’aspetto esile; eppure il suo viso trasmetteva una fermezza sconvolgente per quell’aspetto. Iniziò ad avanzare verso la donna.
«Si beh, coincidenza o no, noi avremmo una certa premura, quindi lasciaci passare, ragazza» Disse Kanon con un sorrisetto di sfida passando oltre la fanciulla.
Con un gesto repentino Alexandra afferrò il braccio del cavaliere di Gemini, sfoderando una forza anomala per la sua stazza, lo trascinò indietro e con un calcio assestato sull’addome lo rispedì indietro. Kanon venne sbattuto indietro ma non si piegò, ci voleva ben altra forza, ma il suo sguardo ora fulminò la ragazza.
«Povera me, gli dei non mi hanno concesso il dono dell’eloquenza! Cercherò di essere chiara: non andrete oltre!» si mise in posizione di difesa guardando con aria di sfida i due uomini.
«Senti ragazzetta non ti conviene giocare con i più grandi, potresti farti male! Cedi il passo altrimenti dovrò darti una bella lezione.» le si rivolse acido Kanon.
«Tu provaci.» fu la risposa.
Kanon che ormai era fuori di se si scagliò contro la ragazza cercando di colpirla con un pugno, tuttavia non considerò la velocità della ragazza che lo schivò colpendo a sua volta la schiena del cavaliere con il gomito.
Il cavaliere era a dir poco furioso, si voltò e alla vista del ghigno soddisfatto della ragazza inizò ad espandere il suo cosmo.
«Mi hai già stancato, adesso te la do io una lezione!»
Per tutta risposta anche la ragazza iniziò ad espandere il suo cosmo.
“Ma… quel cosmo…” pensarono all’unisono i due agghiacciati.
“K-Kanon…”
“Alexandra…”
Al santuario di Athena regnava una calma apparente. Vi era un nervosismo generale per quanto accaduto la sera prima. Saga camminava nervosamente avanti e indietro per la sala del trono, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri che turbinavano senza controllo nella sua mente.
Era preoccupato, la situazione poteva diventare critica da un momento all’altro. Inimicarsi il Padre degli Dei significava avere tutto l’Olimpo schierato contro, cosa pensavano di fare? Athena aveva dato ordine di inviare messaggeri a tutti i suoi fratelli alla disperata ricerca di alleati per una eventuale guerra, che sicuramente ci sarebbe stata, trattandosi di Zeus non poteva esserci dubbio alcuno.
Non dubitava della saggezza della sua Dea, non lo avrebbe mai fatto.
“Ma accidenti, cosa spera di ottenere inviando messaggeri? L’eventualità che gli altri Dei si schierino contro Zeus è…inconcepibile!”
Si fermò davanti al trono volgendo lo sguardo al pavimento, afflitto.
«Saga…» la voce limpida di Athena echeggiò nella sala «qualcosa ti turba?»
«Mia signora… abbiamo tutti un motivo per essere turbati oggi.» si voltò a guardare la donna sprofondando in un riverente inchino.
«Abbi fiducia, Saga, solo quando perderemo la speranza saremo sconfitti.»
«Ma, mia Dea, sa bene che è improbabile che gli altri si schierino dalla nostra parte!» controbatté il Grande Sacerdote.
«Un nemico comune, può unire anche i più acerrimi nemici» rispose sibillina la Dea
«Non capisco» ammise Saga.
«C’è qualcun’altro che sta manovrando il gioco, dietro mio padre» iniziò la Athena voltando le spalle al cavaliere «qualcuno che aveva previsto il mio intento di cercare alleati, ed ha cercato di stroncare sul nascere qualsiasi alleanza ma…» si voltò verso Saga con un sorriso che faceva intravedere la Dea astuta che c’era in lei «forse possiamo volgere questa mossa avventata a nostro vantaggio…»
La foresta di Parnitha era silenziosa, s’udiva solo il vento che, frusciando fra le fronde degli alberi, faceva cadere qualche foglia; poi, di tanto in tanto, qualche uccellino mattiniero cinguettava fra gli alberi.
Era questo che amava tanto della foresta: l’assoluta tranquillità e pace. Erano diversi anni ormai che viveva fra i boschi, li conosceva come le sue tasche, com’anche le sue compagne che, come lei, erano sacerdotesse della Dea Artemide. Erano come sorelle, si davano sempre man forte in tutte le circostanze; nonostante la loro vita isolata dal mondo, non avevano bisogno di nulla né di nessuno.
Anche se spesso i loro doveri superavano le ricompense, erano felici di servire la loro Dea, che teneva così tanto a loro e non perdeva occasione di dimostrarlo. La loro stessa segregazione nei boschi, lo sapeva, era una protezione, un atto d’amore. Il mondo era così saturo d’ingiustizia e odio, che avrebbe schiacciato ogni loro speranza e bellezza come gracili fuscelli. Non c’era nulla per loro nel mondo; la foresta con il suo equilibrio, la loro amata Dea, erano l’unica cosa che contasse davvero.
In fondo, loro erano niente più che giovani ragazze, tutte con non più di venticinque anni, e per loro, come diceva la Dea, la vita poteva essere molto complicata, specie per delle belle fanciulle: gli uomini, in particolare, sapevano essere ben crudeli, con le loro illusioni di un amore che si consumava in fretta, troppo in fretta, ed una volta esaurito lasciava in preda alla disperazione e al dolore. No, erano più al sicuro fra quegli alberi, godendo della protezione della loro Grande Madre.
Alexandra ne era convinta, quella era l’unica verità. Certo, spesso capitava che alcune di loro avessero dei dubbi, volessero provare l’ebrezza di uscire dalla foresta, specie le più giovani di loro, poiché più vicine alla loro vita precedente: le sacerdotesse non nascevano fra i boschi, venivano affidate alla Dea Artemide in tenera età, ma fino a quel momento avevano una vita sociale, sebbene fosse dedita al servizio della Dea.
Alexandra, che fra tutte era quella più ligia, non mancava mai di riprendere le sue compagne ribelli, convincendole di quanto fossero sbagliati quei desideri, e ribadendo che il loro unico dovere doveva essere quello di compiacere la Dea.
Sapeva essere una ragazza molto autoritaria, Alexandra, nonostante il suo aspetto gentile: la sua carnagione leggermente abbronzata, i suoi occhi verdi come la foresta, incorniciati da lunghi capelli bruni e ondulati. Una ragazza piacente, come tutte le protette di Artemide. Ma dietro quell’aspetto delicato si nascondeva un carattere battagliero e fiero: tutte le sacerdotesse venivano addestrate fin dal loro ingresso nella foresta; erano addestrate a cacciare con l’arco, l’arma sacra alla Dea, a muoversi agili e furtive fra gli alberi, ed a trarre la loro forza dalla natura.
Era necessario, giacché oltre alla protezione della Dea, erano dedite anche alla tutela della foresta stessa.
Alexandra si trovava al confine a sud di Parnitha, era di ronda per controllare che tutto fosse in ordine.
“Fortunatamente non sembra esserci nulla di strano” pensò con un sospiro di sollievo.
Uno svolazzare di uccelli impauriti poco distante la fece ricredere. Afferrò saldamente il suo arco e si portò una mano dietro la spalla per controllare che la faretra fosse piena. Ebbe appena il tempo di accertarsi della situazione che due figure sbucarono dagli alberi.
«Dannazione!»
«Dunque, fammi capire, siamo venuti qui per riferire un messaggio?» disse l’uomo alquanto scocciato «credevo avessimo dei messaggeri per queste cose…per gli Dei quanto siamo caduti in basso!» continuò sarcastico.
«Siamo qui» ribadì l’altro «perché Athena ce lo ha ordinato, inoltre la missione potrebbe rivelarsi più pericolosa del previsto per un semplice messaggero, non possiamo permetterci di sbagliare nulla» rispose l’uomo che gli camminava a fianco con tono pacato e gentile. Mur, cavaliere dell’Ariete, pacato, del resto, lo era sempre stato. Indossava la sua armatura d’oro che brillava sotto i flebili raggi del sole che trapassavano i rami degli alberi.
«Sarà anche come dici tu, ma sbrighiamoci ad uscire di qui, questa foresta già mi sta dando sui nerv…accidenti!» finì la frase inciampando su di una radice rialzata.
«In verità non capisco di cosa parli, Kanon. Io trovo questo luogo estremamente rilassante.» Rispose Mur sgranchendosi le braccia e respirando a pieni polmoni il profumo muschiato del luogo.
«Bah…» Kanon era molto infastidito da quella missione, non gli piacevano affatto le foreste. Del resto il suo ambiente era più quello marino: nonostante indossasse l’armatura dei Gemelli, aveva passato anni al servizio di Poseidone indossando la scale di Dragone del Mare. Dopo la sconfitta di Poseidone gli era stato, ovviamente, revocato il permesso di indossarla nuovamente.
“Poco male” pensò “grazie ad Athena, e alla promozione, totalmente inaspettata visti i precedenti, di mio fratello, posso indossare l’armatura che ho sempre agognato!”
Un ghigno di soddisfazione si stampò sul suo volto, era talmente distratto dai suoi pensieri, che non si accorse di una freccia che gli passò a due centimetri dal viso. Si fermò di colpo e anche Mur, accortosi dell’attacco, si mise in posizione di guardia.
«Non illudetevi, la mia mira è migliore di così. Consideratelo solo un invito a non proseguire oltre!»
Una voce femminile ma autoritaria echeggiò nell’aria.
“Proviene dall’alto, ma da dove diamine è arrivata? Così furtiva poi…” pensò Kanon guardandosi intorno cercando di individuare la donna.
«Ti assicuro che veniamo in pace.» rispose Mur senza però smettere di rimanere in guardia. «Siamo qui per conferire con la Dea Artemide, abbiamo un messaggio importante da parte della Dea Athena»
Con una capriola Alexandra guizzò fuori dalle fronde e atterrò leggiadra davanti ai due cavalieri.
«Saint di Athena… questa si che è una strana coincidenza» rispose aspra la ragazza.
Kanon squadrò attentamente la figura che gli si parò di fronte: era solo una ragazza, giovane a guardarsi, dall’aspetto esile; eppure il suo viso trasmetteva una fermezza sconvolgente per quell’aspetto. Iniziò ad avanzare verso la donna.
«Si beh, coincidenza o no, noi avremmo una certa premura, quindi lasciaci passare, ragazza» Disse Kanon con un sorrisetto di sfida passando oltre la fanciulla.
Con un gesto repentino Alexandra afferrò il braccio del cavaliere di Gemini, sfoderando una forza anomala per la sua stazza, lo trascinò indietro e con un calcio assestato sull’addome lo rispedì indietro. Kanon venne sbattuto indietro ma non si piegò, ci voleva ben altra forza, ma il suo sguardo ora fulminò la ragazza.
«Povera me, gli dei non mi hanno concesso il dono dell’eloquenza! Cercherò di essere chiara: non andrete oltre!» si mise in posizione di difesa guardando con aria di sfida i due uomini.
«Senti ragazzetta non ti conviene giocare con i più grandi, potresti farti male! Cedi il passo altrimenti dovrò darti una bella lezione.» le si rivolse acido Kanon.
«Tu provaci.» fu la risposa.
Kanon che ormai era fuori di se si scagliò contro la ragazza cercando di colpirla con un pugno, tuttavia non considerò la velocità della ragazza che lo schivò colpendo a sua volta la schiena del cavaliere con il gomito.
Il cavaliere era a dir poco furioso, si voltò e alla vista del ghigno soddisfatto della ragazza inizò ad espandere il suo cosmo.
«Mi hai già stancato, adesso te la do io una lezione!»
Per tutta risposta anche la ragazza iniziò ad espandere il suo cosmo.
“Ma… quel cosmo…” pensarono all’unisono i due agghiacciati.
“K-Kanon…”
“Alexandra…”
Al santuario di Athena regnava una calma apparente. Vi era un nervosismo generale per quanto accaduto la sera prima. Saga camminava nervosamente avanti e indietro per la sala del trono, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri che turbinavano senza controllo nella sua mente.
Era preoccupato, la situazione poteva diventare critica da un momento all’altro. Inimicarsi il Padre degli Dei significava avere tutto l’Olimpo schierato contro, cosa pensavano di fare? Athena aveva dato ordine di inviare messaggeri a tutti i suoi fratelli alla disperata ricerca di alleati per una eventuale guerra, che sicuramente ci sarebbe stata, trattandosi di Zeus non poteva esserci dubbio alcuno.
Non dubitava della saggezza della sua Dea, non lo avrebbe mai fatto.
“Ma accidenti, cosa spera di ottenere inviando messaggeri? L’eventualità che gli altri Dei si schierino contro Zeus è…inconcepibile!”
Si fermò davanti al trono volgendo lo sguardo al pavimento, afflitto.
«Saga…» la voce limpida di Athena echeggiò nella sala «qualcosa ti turba?»
«Mia signora… abbiamo tutti un motivo per essere turbati oggi.» si voltò a guardare la donna sprofondando in un riverente inchino.
«Abbi fiducia, Saga, solo quando perderemo la speranza saremo sconfitti.»
«Ma, mia Dea, sa bene che è improbabile che gli altri si schierino dalla nostra parte!» controbatté il Grande Sacerdote.
«Un nemico comune, può unire anche i più acerrimi nemici» rispose sibillina la Dea
«Non capisco» ammise Saga.
«C’è qualcun’altro che sta manovrando il gioco, dietro mio padre» iniziò la Athena voltando le spalle al cavaliere «qualcuno che aveva previsto il mio intento di cercare alleati, ed ha cercato di stroncare sul nascere qualsiasi alleanza ma…» si voltò verso Saga con un sorriso che faceva intravedere la Dea astuta che c’era in lei «forse possiamo volgere questa mossa avventata a nostro vantaggio…»
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Cap 3 - Vecchie conoscenze
Una forte emanazione di cosmo la fece sussultare. Riconobbe subito il cosmo della sua compagna, Alexandra, e capì che qualcosa, al confine sud, non andava. Aveva percepito la presenza di un altro cosmo ostile, così familiare per lei. Sebbene non riuscisse a distinguerlo, le riportava alla mente ricordi confusi della sua infanzia.
Deianira, sacerdotessa di Artemide, prese il suo arco e la faretra e corse fra gli alberi dirigendosi al confine di Parnitha, ignorando l’ordine ricevuto di sorvegliare tassativamente la sua zona.
Era sempre stata una ribelle. Mal sopportava la sua vita all’interno dei boschi, così isolata e solitaria. Voleva bene alle sue compagne, eppure sentiva che la vita lì le andava fin troppo stretta, aveva sempre sognato l’amore, la libertà; tutte cose che lì non aveva e non avrebbe mai avuto.
Considerava la sua scelta di servire Artemide come un mero errore di gioventù, una leggerezza, e aveva più volte insistito per lasciare il suo ruolo, ma una volta entrati non si poteva uscire: si era vincolati da un patto con la Dea. La cosa le faceva una gran rabbia, si sentiva imprigionata da catene invisibili ad una vita grigia e vuota.
Corse più veloce la sacerdotessa, sfrecciando fra gli alberi. “Il mio posto non è qui” si disse “Sono una bella ragazza, dopotutto”.
Ed era vero, anzi, a detta del gruppo, era la più bella fra di loro. Con i suoi lunghi capelli castani, gli occhi azzurri, il fisico slanciato ma formoso. Ne era convinta: se fosse uscita fuori da quella prigione d’alberi, non ci sarebbe stato uomo capace di resisterle.
Arrivata a destinazione sentì subito la voce della sacerdotessa proferire parole di sfida. “Sempre la stessa” sorrise “sempre sprezzante con chiunque le si pari davanti”. Aveva sempre ammirato Alexandra, la sua tenacia, la sua forza, la sua incorruttibile convinzione. Erano amiche, sorelle, da molto prima del loro ingresso fra le schiere di Artemide. Erano cresciute insieme, avevano condiviso un’infanzia felice e spensierata. Erano unite a tal punto che lei decise di seguirla nel suo ruolo di sacerdotessa. Questo pensiero la fece incupire: “che sciocca che sono stata, avrei dovuto seguire la mia strada” pensò con un velo di rabbia. Strinse i pugni e si avvicinò, nascondendosi dietro un grosso albero, per meglio vedere la scena.
Erano in due, gli sconosciuti; due contro una, sleale, eppure solo uno dei due sembrava comportarsi in modo ostile con la sacerdotessa. L’uomo era voltato di spalle, aveva lunghi capelli di un bel blu marino e vestiva un’armatura dorata, com’anche il suo compagno. “Quelle armature… Saint di Athena?”
Lo scontro volse a favore della ragazza che aveva appena colpito il cavaliere alle spalle. Quando questi si voltò, visibilmente furioso, a Deianira mancò un battito.
“Quel volto… Kanon!”
Alexandra venne investita da una scarica di emozioni contrastanti: odio, felicità, rancore, affetto.
Non sapeva nemmeno lei cosa le stesse accadendo. Il suo cosmo si affievolì come una fiamma che esaurisce la sua forza. Rimase lì immobile davanti al cavaliere, ora il suo volto, che fino a quel momento era rimasto come obliato dalla sua memoria e dal suo cuore, le appariva così familiare, così caro.
Dal canto suo, Kanon non aveva accennato a placarsi. Continuò a bruciare il suo cosmo sebbene il suo intento non fosse più quello di colpirla, o forse si; non lo sapeva più.
Era confuso il cavaliere, non sapeva come comportarsi con quella ragazza che non vedeva da una vita intera. Sapeva solo che non poteva permettersi di farsi distrarre dai suoi ricordi; ora quella donna era il suo nemico: abbassare la guardia, poteva rivelarsi un errore imperdonabile.
In quel momento di stallo intervenne Mur: si parò fra i due duellanti. «Adesso fermatevi! Non siamo qui per combattere» disse rivolgendosi ora a Kanon con uno sguardo eloquentemente ammonitore.
«Come ho detto poco prima, siamo qui per conferire con la vostra Dea. Non abbiamo intenzioni bellicose, siamo venuti qui come messaggeri di Athena.» disse pacatamente.
«Messaggeri di Athena…» intervenne Deianira, comparendo dagli alberi sotto lo sguardo stupito dei presenti «Beh, ad un messaggero non si nega mai il passaggio…» continuò con tono ammaliatore, camminando sinuosa verso i due cavalieri.
«Deianira ma…» le si rivolse Alexandra ancora in preda alla confusione.
«Deianira? Sei davvero tu?» Kanon la guardò esterrefatto. Non poteva crederci, non poteva credere che fosse davvero lei, proprio lei.
Mur guardò interrogativo Kanon, non capiva cosa stesse succedendo ma si sentiva tremendamente estraneo alla faccenda.
«Kanon… è passato tanto tempo.» fece un sorriso al cavaliere «Alexandra non posso credere che tu non lo abbia riconosciuto subito» Disse Deianira rivolgendosi alla compagna con finto stupore.
Alexandra arrossì impercettibilmente, poi, ritrovando la sua compostezza, sfoderò tutta la sua autorità «Io mi ricordo dei miei doveri, Deianira, conosco il mio compito, che è quello di proteggere questo luogo. Una sacerdotessa non può lasciare che ricordi o affetti interferiscano con il proprio ruolo» l’ammonì dura.
Kanon non poteva smettere di guardare la donna che aveva di fronte. Gli riportava alla mente tanti ricordi, tante emozioni provate da ragazzo. Era diventata una bella donna, Deianira. Bella in verità lo era sempre stata, fin da piccola, forse era proprio la sua bellezza che gliel’aveva fatta notare allora. Senza che lo volesse, i ricordi riaffiorarono alla memoria: si ricordò di quanto erano stati uniti, Saga, lui, e le due ragazze che aveva davanti. Si rammentò delle risate, degli scherzi, delle liti ingenue. Si ricordò della cotta che aveva per Deianira, e quest’ultimo pensiero lo fece vergognare come un bambino.
Ritrovando il controllo, dopo le dure parole di Alexandra, ricacciò indietro i ricordi.
«Direi che qui vi conoscete già tutti» interruppe Mur un po’ imbarazzato «Credo dunque che sia d’obbligo che anch’io mi presenti: Mur, Gold Saint di Aries al servizio di Athena, è un piacere fare la vostra conoscenza» disse con un cavalleresco inchino.
«Cos’è? Un salotto?» interruppe Kanon acido « Questi convenevoli mi danno ai nervi, abbiamo una missione da compiere, poi ce ne andremo e lasceremo questo luogo che ti sta tanto a cuore» si rivolse ad Alexandra con tono pungente, forse più quanto volesse realmente.
«Alexandra, credo che dovremmo condurli dalla Dea, potrebbe infuriarsi sapendo che abbiamo respinto due cavalieri di Athena, specie dopo quello che è successo…» disse Deianira. I due cavalieri non capirono a cosa la sacerdotessa si riferisse. Al contrario, Alexandra annuì complice.
«Bene» si limitò a rispondere acida, incamminandosi all’interno della foresta.
Deianira fece segno ai due di seguirla e i due lo fecero scambiandosi tuttavia uno sguardo perplesso.
In quello stesso momento nelle sale dell’Olimpo v’era un gran vociare: gli Dei erano irrequieti per quanto stava accadendo. Ognuno aveva un’opinione diversa riguardo il modo di affrontare la situazione. Chi sosteneva che si dovesse punire l’affronto subito, chi sosteneva una linea più morbida.
Zeus era seduto sul suo trono, pensieroso. Non interveniva nelle discussioni e si limitava ad ascoltare.
«L’affronto subito non può restare impunito, anche, e forse a maggior ragione, se ordito da Dei, nostri fratelli!» intervenne Era prendendo la parola «Non dimenticate che Athena si è già opposta al volere di due dei maggiori Dei dell’Olimpo! Quindi, cosa gli impedirà di scagliarsi contro ognuno di noi?»
«Non dimenticate, fratelli, che ella è la Dea dell’astuzia! È capace con le sue parole di indurre chiunque a schierarsi dalla sua parte. Come ha fatto con mia figlia, Persefone, inducendola a riportare in vita i suoi cavalieri blasfemi!» disse Demetra alzandosi dal suo seggio.
D’un tratto le porte dorate della sala si aprirono.
«Perdonatemi, Padre, non era mia intenzione tardare. Ho delle novità» disse Ares, dio della Guerra, percorrendo a falcate la sala fino ad arrivare al cospetto di Zeus. Era un Dio affascinante, nonostante fosse d’una bellezza rude. Vestito della sua kamui rossa come il sangue e splendente come le fiamme della guerra, i capelli bruni e corti, la barba leggermente ispida. Il suo aspetto non tradiva la sua natura, era un guerriero brutale e violento.
S’inginocchiò di fronte al trono celeste, chinando il capo in segno di rispetto. «Mio Signore, vi porto notizie che confermano i miei timori, dei quali vi avevo già messo a parte: Athena si sta muovendo; manda messaggeri agli altri dei per convincerli a schierarsi dalla sua parte; chiunque rifiuti di darle appoggio, viene attaccato. Artemide ha già pagato il prezzo per il suo rifiuto…» disse simulando teatralmente un dolore lancinante all’altezza del cuore.
Zeus si alzò dal suo trono, e tutti i presenti si sedettero al loro posto aspettando in silenzio le parole del Dio.
«Athena è andata oltre ogni possibilità di redenzione. Non resta che farle pagare il prezzo della sua ribellione» disse cupo.
Ares nascose il suo sorriso sadico, rimanendo con il capo chinato di fronte al Padre; poi alzò lo sguardo sforzandosi di mostrare un’espressione preoccupata «e coloro che si schierano con lei?» chiese.
Zeus parve pensarci su; poi, con una profonda tristezza prima e una rabbia lacerante dopo, rispose:
«Pagheranno anche loro!».
Deianira, sacerdotessa di Artemide, prese il suo arco e la faretra e corse fra gli alberi dirigendosi al confine di Parnitha, ignorando l’ordine ricevuto di sorvegliare tassativamente la sua zona.
Era sempre stata una ribelle. Mal sopportava la sua vita all’interno dei boschi, così isolata e solitaria. Voleva bene alle sue compagne, eppure sentiva che la vita lì le andava fin troppo stretta, aveva sempre sognato l’amore, la libertà; tutte cose che lì non aveva e non avrebbe mai avuto.
Considerava la sua scelta di servire Artemide come un mero errore di gioventù, una leggerezza, e aveva più volte insistito per lasciare il suo ruolo, ma una volta entrati non si poteva uscire: si era vincolati da un patto con la Dea. La cosa le faceva una gran rabbia, si sentiva imprigionata da catene invisibili ad una vita grigia e vuota.
Corse più veloce la sacerdotessa, sfrecciando fra gli alberi. “Il mio posto non è qui” si disse “Sono una bella ragazza, dopotutto”.
Ed era vero, anzi, a detta del gruppo, era la più bella fra di loro. Con i suoi lunghi capelli castani, gli occhi azzurri, il fisico slanciato ma formoso. Ne era convinta: se fosse uscita fuori da quella prigione d’alberi, non ci sarebbe stato uomo capace di resisterle.
Arrivata a destinazione sentì subito la voce della sacerdotessa proferire parole di sfida. “Sempre la stessa” sorrise “sempre sprezzante con chiunque le si pari davanti”. Aveva sempre ammirato Alexandra, la sua tenacia, la sua forza, la sua incorruttibile convinzione. Erano amiche, sorelle, da molto prima del loro ingresso fra le schiere di Artemide. Erano cresciute insieme, avevano condiviso un’infanzia felice e spensierata. Erano unite a tal punto che lei decise di seguirla nel suo ruolo di sacerdotessa. Questo pensiero la fece incupire: “che sciocca che sono stata, avrei dovuto seguire la mia strada” pensò con un velo di rabbia. Strinse i pugni e si avvicinò, nascondendosi dietro un grosso albero, per meglio vedere la scena.
Erano in due, gli sconosciuti; due contro una, sleale, eppure solo uno dei due sembrava comportarsi in modo ostile con la sacerdotessa. L’uomo era voltato di spalle, aveva lunghi capelli di un bel blu marino e vestiva un’armatura dorata, com’anche il suo compagno. “Quelle armature… Saint di Athena?”
Lo scontro volse a favore della ragazza che aveva appena colpito il cavaliere alle spalle. Quando questi si voltò, visibilmente furioso, a Deianira mancò un battito.
“Quel volto… Kanon!”
Alexandra venne investita da una scarica di emozioni contrastanti: odio, felicità, rancore, affetto.
Non sapeva nemmeno lei cosa le stesse accadendo. Il suo cosmo si affievolì come una fiamma che esaurisce la sua forza. Rimase lì immobile davanti al cavaliere, ora il suo volto, che fino a quel momento era rimasto come obliato dalla sua memoria e dal suo cuore, le appariva così familiare, così caro.
Dal canto suo, Kanon non aveva accennato a placarsi. Continuò a bruciare il suo cosmo sebbene il suo intento non fosse più quello di colpirla, o forse si; non lo sapeva più.
Era confuso il cavaliere, non sapeva come comportarsi con quella ragazza che non vedeva da una vita intera. Sapeva solo che non poteva permettersi di farsi distrarre dai suoi ricordi; ora quella donna era il suo nemico: abbassare la guardia, poteva rivelarsi un errore imperdonabile.
In quel momento di stallo intervenne Mur: si parò fra i due duellanti. «Adesso fermatevi! Non siamo qui per combattere» disse rivolgendosi ora a Kanon con uno sguardo eloquentemente ammonitore.
«Come ho detto poco prima, siamo qui per conferire con la vostra Dea. Non abbiamo intenzioni bellicose, siamo venuti qui come messaggeri di Athena.» disse pacatamente.
«Messaggeri di Athena…» intervenne Deianira, comparendo dagli alberi sotto lo sguardo stupito dei presenti «Beh, ad un messaggero non si nega mai il passaggio…» continuò con tono ammaliatore, camminando sinuosa verso i due cavalieri.
«Deianira ma…» le si rivolse Alexandra ancora in preda alla confusione.
«Deianira? Sei davvero tu?» Kanon la guardò esterrefatto. Non poteva crederci, non poteva credere che fosse davvero lei, proprio lei.
Mur guardò interrogativo Kanon, non capiva cosa stesse succedendo ma si sentiva tremendamente estraneo alla faccenda.
«Kanon… è passato tanto tempo.» fece un sorriso al cavaliere «Alexandra non posso credere che tu non lo abbia riconosciuto subito» Disse Deianira rivolgendosi alla compagna con finto stupore.
Alexandra arrossì impercettibilmente, poi, ritrovando la sua compostezza, sfoderò tutta la sua autorità «Io mi ricordo dei miei doveri, Deianira, conosco il mio compito, che è quello di proteggere questo luogo. Una sacerdotessa non può lasciare che ricordi o affetti interferiscano con il proprio ruolo» l’ammonì dura.
Kanon non poteva smettere di guardare la donna che aveva di fronte. Gli riportava alla mente tanti ricordi, tante emozioni provate da ragazzo. Era diventata una bella donna, Deianira. Bella in verità lo era sempre stata, fin da piccola, forse era proprio la sua bellezza che gliel’aveva fatta notare allora. Senza che lo volesse, i ricordi riaffiorarono alla memoria: si ricordò di quanto erano stati uniti, Saga, lui, e le due ragazze che aveva davanti. Si rammentò delle risate, degli scherzi, delle liti ingenue. Si ricordò della cotta che aveva per Deianira, e quest’ultimo pensiero lo fece vergognare come un bambino.
Ritrovando il controllo, dopo le dure parole di Alexandra, ricacciò indietro i ricordi.
«Direi che qui vi conoscete già tutti» interruppe Mur un po’ imbarazzato «Credo dunque che sia d’obbligo che anch’io mi presenti: Mur, Gold Saint di Aries al servizio di Athena, è un piacere fare la vostra conoscenza» disse con un cavalleresco inchino.
«Cos’è? Un salotto?» interruppe Kanon acido « Questi convenevoli mi danno ai nervi, abbiamo una missione da compiere, poi ce ne andremo e lasceremo questo luogo che ti sta tanto a cuore» si rivolse ad Alexandra con tono pungente, forse più quanto volesse realmente.
«Alexandra, credo che dovremmo condurli dalla Dea, potrebbe infuriarsi sapendo che abbiamo respinto due cavalieri di Athena, specie dopo quello che è successo…» disse Deianira. I due cavalieri non capirono a cosa la sacerdotessa si riferisse. Al contrario, Alexandra annuì complice.
«Bene» si limitò a rispondere acida, incamminandosi all’interno della foresta.
Deianira fece segno ai due di seguirla e i due lo fecero scambiandosi tuttavia uno sguardo perplesso.
In quello stesso momento nelle sale dell’Olimpo v’era un gran vociare: gli Dei erano irrequieti per quanto stava accadendo. Ognuno aveva un’opinione diversa riguardo il modo di affrontare la situazione. Chi sosteneva che si dovesse punire l’affronto subito, chi sosteneva una linea più morbida.
Zeus era seduto sul suo trono, pensieroso. Non interveniva nelle discussioni e si limitava ad ascoltare.
«L’affronto subito non può restare impunito, anche, e forse a maggior ragione, se ordito da Dei, nostri fratelli!» intervenne Era prendendo la parola «Non dimenticate che Athena si è già opposta al volere di due dei maggiori Dei dell’Olimpo! Quindi, cosa gli impedirà di scagliarsi contro ognuno di noi?»
«Non dimenticate, fratelli, che ella è la Dea dell’astuzia! È capace con le sue parole di indurre chiunque a schierarsi dalla sua parte. Come ha fatto con mia figlia, Persefone, inducendola a riportare in vita i suoi cavalieri blasfemi!» disse Demetra alzandosi dal suo seggio.
D’un tratto le porte dorate della sala si aprirono.
«Perdonatemi, Padre, non era mia intenzione tardare. Ho delle novità» disse Ares, dio della Guerra, percorrendo a falcate la sala fino ad arrivare al cospetto di Zeus. Era un Dio affascinante, nonostante fosse d’una bellezza rude. Vestito della sua kamui rossa come il sangue e splendente come le fiamme della guerra, i capelli bruni e corti, la barba leggermente ispida. Il suo aspetto non tradiva la sua natura, era un guerriero brutale e violento.
S’inginocchiò di fronte al trono celeste, chinando il capo in segno di rispetto. «Mio Signore, vi porto notizie che confermano i miei timori, dei quali vi avevo già messo a parte: Athena si sta muovendo; manda messaggeri agli altri dei per convincerli a schierarsi dalla sua parte; chiunque rifiuti di darle appoggio, viene attaccato. Artemide ha già pagato il prezzo per il suo rifiuto…» disse simulando teatralmente un dolore lancinante all’altezza del cuore.
Zeus si alzò dal suo trono, e tutti i presenti si sedettero al loro posto aspettando in silenzio le parole del Dio.
«Athena è andata oltre ogni possibilità di redenzione. Non resta che farle pagare il prezzo della sua ribellione» disse cupo.
Ares nascose il suo sorriso sadico, rimanendo con il capo chinato di fronte al Padre; poi alzò lo sguardo sforzandosi di mostrare un’espressione preoccupata «e coloro che si schierano con lei?» chiese.
Zeus parve pensarci su; poi, con una profonda tristezza prima e una rabbia lacerante dopo, rispose:
«Pagheranno anche loro!».
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Cap 4 - Al cospetto di Artemide
Il piccolo gruppo s’incamminò fra i boschi in religioso silenzio. Alexandra apriva la strada, camminando sicura fra gli alberi ed evitando ogni ostacolo quasi ad occhi chiusi, segno che conosceva quei luoghi come nessuno. I due cavalieri la seguivano anch’essi in silenzio. Mur sembrava essere turbato: il suo istinto di cavaliere gli suggeriva un pericolo imminente sebbene non riuscisse a capirne il motivo. “Siamo qui per discutere con la Dea Artemide. Non vedo cosa possa succedere di male, in fondo, nessuna ostilità vi è fra di noi.” Pensò il cavaliere sforzandosi di calmare le sue ansie.
Kanon al contrario del compagno non era affatto preoccupato per la situazione: in effetti, aveva ben altri pensieri che, scacciando prepotentemente qualsiasi altra preoccupazione, insistevano nella sua mente. Non poteva davvero credere a quello che era successo: nello stesso giorno aveva incontrato, dopo anni, la sua amica più cara e la ragazza per la quale, da ragazzo, aveva una cotta spaventosa.
E adesso proprio lui, il cavaliere che più di tutti aveva sempre soffocato tutte le sue emozioni, si trovava in preda alla confusione più totale per colpa delle stesse.
“Per gli Dei, Kanon, ritrova te stesso! Sono passati anni ormai, sei un uomo diverso! Non puoi lasciarti condizionare nuovamente dai ricordi. Sono pericolosi lo sai bene! Portano solo rancore e attaccamento, due cose che anni fa ti hanno spinto quasi alla follia!” Kanon cercò in tutti i modi di ritrovare quell’apatia, quell’indifferenza, che con tanta fatica aveva cercato di costruire attorno a sé negli ultimi anni. Non voleva ricadere nel baratro dell’oscurità, era convinto che il suo cuore fosse troppo debole, troppo fragile, così tanto che, lo sapeva, una misera goccia d’oscurità lo avrebbe corrotto nuovamente. No, non poteva permetterlo, non di nuovo. Era un Saint di Athena, la Dea lo aveva salvato dalla sua esistenza all’ombra della gelosia e della frustrazione; ritornare quello di un tempo, significava tradire nuovamente la sua Dea, e questo solo pensiero gli era insopportabile.
Deianira camminava dietro di due Saint, i suoi occhi squadravano da cima a fondo il cavaliere di Gemini: era diventato ancora più bello di quanto lo ricordasse, era così affascinante e virile con quel suo sguardo magnetico. La sacerdotessa, allungando il passo, si portò di fianco al cavaliere.
«Accidenti, ci rivediamo dopo tutti questi anni e la tua reazione è l’indifferenza? Mi deludi, Kanon» le disse la ragazza ostentando uno di quei suoi sorrisi che, sapeva bene, avrebbero sciolto anche il cuore più duro.
Come aveva previsto, Kanon si voltò a guardarla e lei poté chiaramente percepire che il suo animo era turbato, segno evidente che la sua presenza non lo lasciava indifferente. Il Saint non disse nulla e si limitò a proseguire il suo cammino.
«Che ti prende? Gli Dei ti hanno tolto la parola?» incalzò «Un tempo non ti saresti mai sognato di stare in silenzio con me, ricordo bene, sai? Che non perdevi occasione per rivolgermi la parola» scherzò lei portandosi davanti a Kanon e seguitando a camminare all’indietro per non staccare il suo volto dal suo.
«Deianira, sono passati anni, sono una persona molto diversa, ora» rispose Kanon celando al meglio qualsivoglia emozione.
Mur proseguiva il suo cammino cercando di ignorare la discussione, sebbene non potesse negare una certa curiosità riguardo il rapporto che presumibilmente i due avevano avuto.
Alexandra dal canto suo accelerò il passo, cercando di allontanarsi il più possibile dai tre. “Non ci posso credere! Non di nuovo!” La ragazza sembrava turbata e ringraziò gli Dei di essere in testa al gruppo così che non potessero vedere la sua espressione, che era un misto di rabbia e tristezza. Aveva già vissuto quelle situazioni tante volte, da ragazza, troppe volte. Negli anni passati nella foresta al servizio di Artemide, aveva scacciato tutti i suoi ricordi, che erano tremendamente dolorosi per lei; aveva provato a dimenticare e c’era riuscita, almeno fino a quel momento.
“Oh Dei! Perché mi fate questo? Ho dedicato la mia vita a voi e adesso mi punite nuovamente con questo tormento?” Pensò afflitta Alexandra.
Deianira sembrava indispettita della risposta di Kanon, ma non si diede per vinta, conosceva il suo fascino e quella situazione era una bella sfida per lei, una sfida che avrebbe colto e che avrebbe vinto.
«Kanon, Kanon, Kanon… tu non m’inganni.» disse maliziosa scuotendo il capo «Forse puoi celare il tuo animo agli altri, ma non a me. Ho conosciuto la tua parte migliore, ricordi? Non puoi…»
«Quello che hai conosciuto, Deianira, è morto diversi anni fa» tagliò corto Kanon, guardando acido la ragazza, facendole capire che la discussione era bella che conclusa.
Alexandra si fermò di colpo.
«Qualcosa non va?» chiese Mur.
I due Cavalieri guardarono volsero lo sguardo aldilà della ragazza. La foresta si apriva in una sorta di tempio naturale: le colonne erano possenti alberi intrecciati fra di loro, e le fronde di quest’ultimi creavano un’atmosfera mistica facendo filtrare pochi raggi di sole. In fondo alla sala vi era un’imponente statua della Dea Artemide: era di marmo d’un bianco luminoso, le frecce all’interno della faretra erano d’oro com’anche l’arco che reggeva con una mano. Con l’altra mano carezzava un piccolo cervo, animale sacro alla Dea, le cui corna erano anch’esse d’oro splendente. La statua era posta al centro di una vasca d’acqua cristallina ornata da piccole e rosee ninfee. Davanti la statua si ergeva il trono di marmo bianco della divinità, era anch’esso ricoperto da un leggero fogliame e da piccoli e delicati fiori.
«Siamo arrivati. Dosate bene le vostre parole, Saint di Athena» disse fredda la sacerdotessa, proseguendo verso il centro della sala.
I due la seguirono senza smettere di guardarsi intorno, mentre Deianira deviò verso la navata laterale raggiungendo le altre compagne sacerdotesse che guardavano con curiosità, e alcune con malizia, i due stranieri.
Arrivata davanti al marmoreo trono, Alexandra si inginocchiò. I due Saint si guardarono, chiedendosi silenziosamente dove fosse la Dea.
«Oh mia Dea, madre di tutti noi, ti chiedo umilmente udienza» iniziò la ragazza con tono solenne.
Al suono delle sue parole una leggere brezza si alzò nell’aria e tutte le altre sacerdotesse si inchinarono simultaneamente.
Un rumore di zoccoli nel terreno, dapprima indistinto e lontano, poi sempre più chiaro, riempì il silenzio della sala. Una luce abbagliante quasi accecò i due Saint che distolsero lo sguardo. Quando la luce si affievolì poterono ben distinguere una figura comparire da dietro l’imponente statua. Al galoppo di un grande cervo bianco la Dea fece il suo ingresso nella sala. Aveva lunghi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle che incorniciavano due occhi verdi come il muschio. Era vestita con un corto abito di lino bianco con una cintura di cuoio a cingerle la vita. Grossi fermagli dorati le reggevano il vestito sopra un seno non molto grande ma sodo, e due sandali alla schiava le avvolgevano i polpacci delle gambe perfette. Teneva stretta nella sua mano l’immancabile arco e la faretra colma di frecce argentee.
Il cavaliere di Aries rimase meravigliato, non aveva mai visto tanta grazia, neanche dalla sua Dea. Maledicendosi subito dopo per il pensiero fatto, non appena la divinità scese dalla groppa del suo destriero, fece un profondo inchino in segno di rispetto.
Kanon, invece, rimase impassibile alla vista di Artemide, rimase perfettamente eretto fissando la donna che aveva di fronte e quadrandola da capo a piedi per capire chi avesse realmente dinnanzi. Sempre diffidente: era questo che pensava fosse l’atteggiamento giusto nei confronti delle divinità. Non avrebbe mai portato rispetto a nessun Dio se non fosse stato certo che questi lo meritasse davvero. Insomma, l’ultima volta che era stato ossequioso con un Dio, era stato solo per ingannarlo.
Artemide avanzò lentamente verso il trono, guardando dall’alto in basso i due cavalieri. Si sedette sul duro marmo ostentando un modo di fare regale, o meglio, altezzoso, che al cavaliere della Terza Casa diede molto fastidio, e non esitò a mostrarlo facendo una smorfia.
«Alexandra, mia diletta, chi sono costoro, che porti qui al mio cospetto, violando palesemente il mio ordine di uccidere chiunque osi entrare nella mia foresta?» disse la Dea pacatamente, eppure il suo tono calmo aveva una nota rimprovero.
Mur precedette la sacerdotessa nel dare una risposta. «Mia Signora, siamo soltanto due cavalieri della Dea Athena, inviati qui con il solo scopo di riferire un messaggio.»
La Dea sorrise, ma il suo sorriso non era affatto dolce o tranquillizzante.
«Ebbene, siete venuti fin qui solo per un messaggio? Parlate dunque» ordinò.
Alexandra si mise a fianco della sua Dea mentre il cavaliere si alzò in piedi e obbedì alla richiesta. «Fatti molto gravi sono accaduti: Zeus, Padre degli Dei, si è scagliato contro la nostra Dea per punirla d’un crimine ch’ella non ha mai commesso. È stata ingiustamente accusata di aver mosso guerra alle altre divinità, quando in vero ella tutte le volte è stata deliberatamente attaccata dalle stesse. L’unico suo torto è stato quello di voler difendere l’umanità dai capricci degli altri Dei» Mur parlò lentamente ma con tono grave. Era davvero convinto di ogni parola: sapeva bene che Athena non aveva commesso alcunché, ed era anche convinto che Artemide le avrebbe dato man forte, in fondo anche lei era una divinità estremamente legata all’umanità.
«E dunque adesso, nell’ora in cui persino il Padre degli Dei le ha voltato le spalle, a lei ed al genere umano, vi chiede umilmente di prendere posizione al suo fianco, per difendere il mondo che, la mia Dea ne è convinta, anche a voi è così caro e…»
Il discorso serio e pacato del cavaliere dell’ariete venne interrotto dalla limpida risata della Dea della caccia.
«Ahahahah… cosa odono le mie orecchie! Athena, mia sorella, deve essere davvero una divinità coraggiosa come si dice, se viene a chiedere il mio aiuto adesso!»
I due cavalieri si guardarono confusi, non riuscivano a capire. Artemide prese una freccia argentata dalla faretra e cominciò a giocarci distrattamente.
«Ma la vostra presunzione, cavalieri, è ancora più sconcertante» disse disgustata «Venite fin qui, voi, luridi moscerini, ad implorare il mio aiuto, dopo ciò che avete deliberatamente fatto!» la voce della divinità ora era alterata come non mai; si alzò repentinamente dal suo trono e mosse qualche passo in direzione dei due Saint.
Mur era più confuso che mai: «Mia Signora?...» chiese.
«Guarda, Alexandra, perfino davanti l’evidenza sono capaci di negare» guardò la sacerdotessa, la quale abbassò lo sguardo riverente. «La vostra falsità non ha eguali»
La Dea si urtò ancora di più alla vista dei due Saint ancora perplessi.
«Glauce!» chiamò, e subito una sacerdotessa si avvicinò, zoppicando, al trono. Era malconcia: aveva numerose fasciature, una al braccio, alle gambe e all’addome; tutte con tracce di incrostazioni di sangue, segno che le sue ferite erano recenti.
«Dì chi ti ha ridotto in questo stato. Chi ha ucciso le nostre sorelle in un sanguinoso attacco, ieri.» la incitò dolcemente la Dea.
La ragazza era visibilmente molto provata dalle ferite, a stento con un filo di voce riuscì a parlare:
«S-Saint di A-Athena… sono arrivati nella n-notte…io e altre due sacerdotesse s-stavamo pattugliando il confine e…e…ci hanno colte alla s-sprovvista. Non riuscii a v-vederli bene, fu tutto così r-rapido. Ricordo solo l-le loro armature dorate e le loro parole… “Athena è v-vittoriosa!”»
Mur ascoltò la ragazza e il suo sguardo non tradiva le sue emozioni: era visibilmente angosciato e preoccupato per quanto stava sentendo. Anche Kanon ascoltò esterrefatto le parole della fanciulla non riuscendo tuttavia a capire come fosse possibile; si voltò verso Alexandra e il suo sguardo d’odio gli raggelò il sangue.
«Torna al tuo riposo, Glauce» acconsentì Artemide e la ragazza si allontanò con un inchino. La Dea guardò i due cavalieri con sguardo truce.
«Non ha limiti la vostra vigliaccheria! Avete commesso un imperdonabile sbaglio a venire qui dopo ciò che avete fatto!» fece un cenno e tutte le sacerdotesse puntarono l’arco contro i due giovani, tutte tranne Deianira, la quale si limitò a guardare la scena con crescente preoccupazione.
«Ehi, fermi tutti!» prese per la prima volta la parola Kanon, facendo qualche passo avanti, mentre Alexandra lo teneva sotto tiro. «Come potete credere ad una storia simile? Quale motivo avremmo avuto? Senza contare che non saremmo stati così idioti da venire qui a chiedere aiuto dopo aver commesso un simile gesto!» disse il cavaliere con un ghigno beffardo sul volto.
La Dea gli puntò contro la freccia che aveva in mano «Kanon di Gemini, già una volta ti sei preso gioco degli Dei. Non-farlo-nuovamente.» Artemide scandì l’ultima frase a denti stretti.
«Mia signora, chiedo la parola.» disse Mur e, al silenzio prolungato della donna, continuò: «posso garantirle che non v’è alcun Saint fra di noi che compirebbe un simile infame gesto. Tuttavia, esiste qualcuno che è capace di ordire un simile inganno, qualcuno che già ai tempi del mito creò discordia fra gli Dei…»
Artemide distolse lo sguardo e parve riflettere sulle sue parole.
«Eris…» spalancò gli occhi con un misto di stupore e rabbia.
Mur abbassò lo sguardo «La mia Dea è certa che ella è solo una pedina di questi scacchi insanguinati… qualcuno più in alto di lei regge i fili di questo inganno…»
Artemide fece cenno alle sacerdotesse di abbassare le armi. «Le accuse di Athena sono molto gravi... Quand’anche fosse vero ciò che dici, come posso esserne sicura?»
«Mi sembra piuttosto chiaro: la nostra sola presenza qui è una prova della verità» commentò stizzito Kanon.
La donna parve non ascoltare le parole del Saint «Una, e una sola, è la persona della cui verità mi fiderò» decretò «L’oracolo di Delfi, la Pizia al servizio di Apollo, mio fratello, mi dirà se la vostra è la verità» decise infine.
«Bene, allora…» iniziò a dire Kanon, ma fu interrotto dalle Dea: «Due mie sacerdotesse vi scorteranno dall’oracolo, e testimonieranno la sua risposta. Se dite il falso, non esiteranno ad uccidervi» li minacciò. «Alexandra» si rivolse poi alla sacerdotessa che si avvicinò e si inginocchiò davanti la divinità «tu accompagnerai questi due cavalieri dall’oracolo, scegli un’altra sorella per la missione e portala a termine, in qualsiasi circostanza!» ordinò.
«Si, mia Signora. Mi riservo, con il vostro permesso, qualche ora di tempo per decidere quale delle mie compagne portare» disse la ragazza.
«Sia. Spero per voi, cavalieri, che le vostre parole siano sincere» Detto ciò la divinità salì in groppa al suo cervo e, con lo stesso bagliore, svanì.
Kanon guardò scocciato il suo compagno. «Non ci posso credere! Adesso dobbiamo andare fino a Delfi perché quella sciocca crede solo alle parole della Pizia?!»
«Kanon non…» lo riprese Mur, ma venne interrotto dal tono acido di Alexandra: «Ti consiglio di tenere a freno quella lingua finché ti trovi qui. Non tollererò un altro insulto alla mia Dea»
«Senti, a me non importa affatto né di questo luogo né della tua Dea né…né di te» Kanon finì la frase poco convinto.
Deianira si avvicinò, correndo, agli altri, con il suo solito sorriso malizioso. «Alexandra, verrò io con te!» disse.
«Spetta a me scegliere, Deianira»
«Suvvia, lo sai che sono un ottimo elemento! Sono la migliore qui e lo sai! Avrai bisogno di me, ti prego!» la supplicò lei facendole gli occhi da cerbiatta.
«Si, questo è vero…» si prese del tempo per pensare poi, sconfitta, disse «Va bene, hai vinto. Prepara la tua roba, partiamo tra un’ora.»
Deianira guardò soddisfatta Kanon. “Bene, sta andando tutto per il verso giusto” pensò sornione la ragazza.
Sia Kanon che Alexandra sospirarono e all’unisono pensarono:
“Ci mancava solo questa!”
Kanon al contrario del compagno non era affatto preoccupato per la situazione: in effetti, aveva ben altri pensieri che, scacciando prepotentemente qualsiasi altra preoccupazione, insistevano nella sua mente. Non poteva davvero credere a quello che era successo: nello stesso giorno aveva incontrato, dopo anni, la sua amica più cara e la ragazza per la quale, da ragazzo, aveva una cotta spaventosa.
E adesso proprio lui, il cavaliere che più di tutti aveva sempre soffocato tutte le sue emozioni, si trovava in preda alla confusione più totale per colpa delle stesse.
“Per gli Dei, Kanon, ritrova te stesso! Sono passati anni ormai, sei un uomo diverso! Non puoi lasciarti condizionare nuovamente dai ricordi. Sono pericolosi lo sai bene! Portano solo rancore e attaccamento, due cose che anni fa ti hanno spinto quasi alla follia!” Kanon cercò in tutti i modi di ritrovare quell’apatia, quell’indifferenza, che con tanta fatica aveva cercato di costruire attorno a sé negli ultimi anni. Non voleva ricadere nel baratro dell’oscurità, era convinto che il suo cuore fosse troppo debole, troppo fragile, così tanto che, lo sapeva, una misera goccia d’oscurità lo avrebbe corrotto nuovamente. No, non poteva permetterlo, non di nuovo. Era un Saint di Athena, la Dea lo aveva salvato dalla sua esistenza all’ombra della gelosia e della frustrazione; ritornare quello di un tempo, significava tradire nuovamente la sua Dea, e questo solo pensiero gli era insopportabile.
Deianira camminava dietro di due Saint, i suoi occhi squadravano da cima a fondo il cavaliere di Gemini: era diventato ancora più bello di quanto lo ricordasse, era così affascinante e virile con quel suo sguardo magnetico. La sacerdotessa, allungando il passo, si portò di fianco al cavaliere.
«Accidenti, ci rivediamo dopo tutti questi anni e la tua reazione è l’indifferenza? Mi deludi, Kanon» le disse la ragazza ostentando uno di quei suoi sorrisi che, sapeva bene, avrebbero sciolto anche il cuore più duro.
Come aveva previsto, Kanon si voltò a guardarla e lei poté chiaramente percepire che il suo animo era turbato, segno evidente che la sua presenza non lo lasciava indifferente. Il Saint non disse nulla e si limitò a proseguire il suo cammino.
«Che ti prende? Gli Dei ti hanno tolto la parola?» incalzò «Un tempo non ti saresti mai sognato di stare in silenzio con me, ricordo bene, sai? Che non perdevi occasione per rivolgermi la parola» scherzò lei portandosi davanti a Kanon e seguitando a camminare all’indietro per non staccare il suo volto dal suo.
«Deianira, sono passati anni, sono una persona molto diversa, ora» rispose Kanon celando al meglio qualsivoglia emozione.
Mur proseguiva il suo cammino cercando di ignorare la discussione, sebbene non potesse negare una certa curiosità riguardo il rapporto che presumibilmente i due avevano avuto.
Alexandra dal canto suo accelerò il passo, cercando di allontanarsi il più possibile dai tre. “Non ci posso credere! Non di nuovo!” La ragazza sembrava turbata e ringraziò gli Dei di essere in testa al gruppo così che non potessero vedere la sua espressione, che era un misto di rabbia e tristezza. Aveva già vissuto quelle situazioni tante volte, da ragazza, troppe volte. Negli anni passati nella foresta al servizio di Artemide, aveva scacciato tutti i suoi ricordi, che erano tremendamente dolorosi per lei; aveva provato a dimenticare e c’era riuscita, almeno fino a quel momento.
“Oh Dei! Perché mi fate questo? Ho dedicato la mia vita a voi e adesso mi punite nuovamente con questo tormento?” Pensò afflitta Alexandra.
Deianira sembrava indispettita della risposta di Kanon, ma non si diede per vinta, conosceva il suo fascino e quella situazione era una bella sfida per lei, una sfida che avrebbe colto e che avrebbe vinto.
«Kanon, Kanon, Kanon… tu non m’inganni.» disse maliziosa scuotendo il capo «Forse puoi celare il tuo animo agli altri, ma non a me. Ho conosciuto la tua parte migliore, ricordi? Non puoi…»
«Quello che hai conosciuto, Deianira, è morto diversi anni fa» tagliò corto Kanon, guardando acido la ragazza, facendole capire che la discussione era bella che conclusa.
Alexandra si fermò di colpo.
«Qualcosa non va?» chiese Mur.
I due Cavalieri guardarono volsero lo sguardo aldilà della ragazza. La foresta si apriva in una sorta di tempio naturale: le colonne erano possenti alberi intrecciati fra di loro, e le fronde di quest’ultimi creavano un’atmosfera mistica facendo filtrare pochi raggi di sole. In fondo alla sala vi era un’imponente statua della Dea Artemide: era di marmo d’un bianco luminoso, le frecce all’interno della faretra erano d’oro com’anche l’arco che reggeva con una mano. Con l’altra mano carezzava un piccolo cervo, animale sacro alla Dea, le cui corna erano anch’esse d’oro splendente. La statua era posta al centro di una vasca d’acqua cristallina ornata da piccole e rosee ninfee. Davanti la statua si ergeva il trono di marmo bianco della divinità, era anch’esso ricoperto da un leggero fogliame e da piccoli e delicati fiori.
«Siamo arrivati. Dosate bene le vostre parole, Saint di Athena» disse fredda la sacerdotessa, proseguendo verso il centro della sala.
I due la seguirono senza smettere di guardarsi intorno, mentre Deianira deviò verso la navata laterale raggiungendo le altre compagne sacerdotesse che guardavano con curiosità, e alcune con malizia, i due stranieri.
Arrivata davanti al marmoreo trono, Alexandra si inginocchiò. I due Saint si guardarono, chiedendosi silenziosamente dove fosse la Dea.
«Oh mia Dea, madre di tutti noi, ti chiedo umilmente udienza» iniziò la ragazza con tono solenne.
Al suono delle sue parole una leggere brezza si alzò nell’aria e tutte le altre sacerdotesse si inchinarono simultaneamente.
Un rumore di zoccoli nel terreno, dapprima indistinto e lontano, poi sempre più chiaro, riempì il silenzio della sala. Una luce abbagliante quasi accecò i due Saint che distolsero lo sguardo. Quando la luce si affievolì poterono ben distinguere una figura comparire da dietro l’imponente statua. Al galoppo di un grande cervo bianco la Dea fece il suo ingresso nella sala. Aveva lunghi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle che incorniciavano due occhi verdi come il muschio. Era vestita con un corto abito di lino bianco con una cintura di cuoio a cingerle la vita. Grossi fermagli dorati le reggevano il vestito sopra un seno non molto grande ma sodo, e due sandali alla schiava le avvolgevano i polpacci delle gambe perfette. Teneva stretta nella sua mano l’immancabile arco e la faretra colma di frecce argentee.
Il cavaliere di Aries rimase meravigliato, non aveva mai visto tanta grazia, neanche dalla sua Dea. Maledicendosi subito dopo per il pensiero fatto, non appena la divinità scese dalla groppa del suo destriero, fece un profondo inchino in segno di rispetto.
Kanon, invece, rimase impassibile alla vista di Artemide, rimase perfettamente eretto fissando la donna che aveva di fronte e quadrandola da capo a piedi per capire chi avesse realmente dinnanzi. Sempre diffidente: era questo che pensava fosse l’atteggiamento giusto nei confronti delle divinità. Non avrebbe mai portato rispetto a nessun Dio se non fosse stato certo che questi lo meritasse davvero. Insomma, l’ultima volta che era stato ossequioso con un Dio, era stato solo per ingannarlo.
Artemide avanzò lentamente verso il trono, guardando dall’alto in basso i due cavalieri. Si sedette sul duro marmo ostentando un modo di fare regale, o meglio, altezzoso, che al cavaliere della Terza Casa diede molto fastidio, e non esitò a mostrarlo facendo una smorfia.
«Alexandra, mia diletta, chi sono costoro, che porti qui al mio cospetto, violando palesemente il mio ordine di uccidere chiunque osi entrare nella mia foresta?» disse la Dea pacatamente, eppure il suo tono calmo aveva una nota rimprovero.
Mur precedette la sacerdotessa nel dare una risposta. «Mia Signora, siamo soltanto due cavalieri della Dea Athena, inviati qui con il solo scopo di riferire un messaggio.»
La Dea sorrise, ma il suo sorriso non era affatto dolce o tranquillizzante.
«Ebbene, siete venuti fin qui solo per un messaggio? Parlate dunque» ordinò.
Alexandra si mise a fianco della sua Dea mentre il cavaliere si alzò in piedi e obbedì alla richiesta. «Fatti molto gravi sono accaduti: Zeus, Padre degli Dei, si è scagliato contro la nostra Dea per punirla d’un crimine ch’ella non ha mai commesso. È stata ingiustamente accusata di aver mosso guerra alle altre divinità, quando in vero ella tutte le volte è stata deliberatamente attaccata dalle stesse. L’unico suo torto è stato quello di voler difendere l’umanità dai capricci degli altri Dei» Mur parlò lentamente ma con tono grave. Era davvero convinto di ogni parola: sapeva bene che Athena non aveva commesso alcunché, ed era anche convinto che Artemide le avrebbe dato man forte, in fondo anche lei era una divinità estremamente legata all’umanità.
«E dunque adesso, nell’ora in cui persino il Padre degli Dei le ha voltato le spalle, a lei ed al genere umano, vi chiede umilmente di prendere posizione al suo fianco, per difendere il mondo che, la mia Dea ne è convinta, anche a voi è così caro e…»
Il discorso serio e pacato del cavaliere dell’ariete venne interrotto dalla limpida risata della Dea della caccia.
«Ahahahah… cosa odono le mie orecchie! Athena, mia sorella, deve essere davvero una divinità coraggiosa come si dice, se viene a chiedere il mio aiuto adesso!»
I due cavalieri si guardarono confusi, non riuscivano a capire. Artemide prese una freccia argentata dalla faretra e cominciò a giocarci distrattamente.
«Ma la vostra presunzione, cavalieri, è ancora più sconcertante» disse disgustata «Venite fin qui, voi, luridi moscerini, ad implorare il mio aiuto, dopo ciò che avete deliberatamente fatto!» la voce della divinità ora era alterata come non mai; si alzò repentinamente dal suo trono e mosse qualche passo in direzione dei due Saint.
Mur era più confuso che mai: «Mia Signora?...» chiese.
«Guarda, Alexandra, perfino davanti l’evidenza sono capaci di negare» guardò la sacerdotessa, la quale abbassò lo sguardo riverente. «La vostra falsità non ha eguali»
La Dea si urtò ancora di più alla vista dei due Saint ancora perplessi.
«Glauce!» chiamò, e subito una sacerdotessa si avvicinò, zoppicando, al trono. Era malconcia: aveva numerose fasciature, una al braccio, alle gambe e all’addome; tutte con tracce di incrostazioni di sangue, segno che le sue ferite erano recenti.
«Dì chi ti ha ridotto in questo stato. Chi ha ucciso le nostre sorelle in un sanguinoso attacco, ieri.» la incitò dolcemente la Dea.
La ragazza era visibilmente molto provata dalle ferite, a stento con un filo di voce riuscì a parlare:
«S-Saint di A-Athena… sono arrivati nella n-notte…io e altre due sacerdotesse s-stavamo pattugliando il confine e…e…ci hanno colte alla s-sprovvista. Non riuscii a v-vederli bene, fu tutto così r-rapido. Ricordo solo l-le loro armature dorate e le loro parole… “Athena è v-vittoriosa!”»
Mur ascoltò la ragazza e il suo sguardo non tradiva le sue emozioni: era visibilmente angosciato e preoccupato per quanto stava sentendo. Anche Kanon ascoltò esterrefatto le parole della fanciulla non riuscendo tuttavia a capire come fosse possibile; si voltò verso Alexandra e il suo sguardo d’odio gli raggelò il sangue.
«Torna al tuo riposo, Glauce» acconsentì Artemide e la ragazza si allontanò con un inchino. La Dea guardò i due cavalieri con sguardo truce.
«Non ha limiti la vostra vigliaccheria! Avete commesso un imperdonabile sbaglio a venire qui dopo ciò che avete fatto!» fece un cenno e tutte le sacerdotesse puntarono l’arco contro i due giovani, tutte tranne Deianira, la quale si limitò a guardare la scena con crescente preoccupazione.
«Ehi, fermi tutti!» prese per la prima volta la parola Kanon, facendo qualche passo avanti, mentre Alexandra lo teneva sotto tiro. «Come potete credere ad una storia simile? Quale motivo avremmo avuto? Senza contare che non saremmo stati così idioti da venire qui a chiedere aiuto dopo aver commesso un simile gesto!» disse il cavaliere con un ghigno beffardo sul volto.
La Dea gli puntò contro la freccia che aveva in mano «Kanon di Gemini, già una volta ti sei preso gioco degli Dei. Non-farlo-nuovamente.» Artemide scandì l’ultima frase a denti stretti.
«Mia signora, chiedo la parola.» disse Mur e, al silenzio prolungato della donna, continuò: «posso garantirle che non v’è alcun Saint fra di noi che compirebbe un simile infame gesto. Tuttavia, esiste qualcuno che è capace di ordire un simile inganno, qualcuno che già ai tempi del mito creò discordia fra gli Dei…»
Artemide distolse lo sguardo e parve riflettere sulle sue parole.
«Eris…» spalancò gli occhi con un misto di stupore e rabbia.
Mur abbassò lo sguardo «La mia Dea è certa che ella è solo una pedina di questi scacchi insanguinati… qualcuno più in alto di lei regge i fili di questo inganno…»
Artemide fece cenno alle sacerdotesse di abbassare le armi. «Le accuse di Athena sono molto gravi... Quand’anche fosse vero ciò che dici, come posso esserne sicura?»
«Mi sembra piuttosto chiaro: la nostra sola presenza qui è una prova della verità» commentò stizzito Kanon.
La donna parve non ascoltare le parole del Saint «Una, e una sola, è la persona della cui verità mi fiderò» decretò «L’oracolo di Delfi, la Pizia al servizio di Apollo, mio fratello, mi dirà se la vostra è la verità» decise infine.
«Bene, allora…» iniziò a dire Kanon, ma fu interrotto dalle Dea: «Due mie sacerdotesse vi scorteranno dall’oracolo, e testimonieranno la sua risposta. Se dite il falso, non esiteranno ad uccidervi» li minacciò. «Alexandra» si rivolse poi alla sacerdotessa che si avvicinò e si inginocchiò davanti la divinità «tu accompagnerai questi due cavalieri dall’oracolo, scegli un’altra sorella per la missione e portala a termine, in qualsiasi circostanza!» ordinò.
«Si, mia Signora. Mi riservo, con il vostro permesso, qualche ora di tempo per decidere quale delle mie compagne portare» disse la ragazza.
«Sia. Spero per voi, cavalieri, che le vostre parole siano sincere» Detto ciò la divinità salì in groppa al suo cervo e, con lo stesso bagliore, svanì.
Kanon guardò scocciato il suo compagno. «Non ci posso credere! Adesso dobbiamo andare fino a Delfi perché quella sciocca crede solo alle parole della Pizia?!»
«Kanon non…» lo riprese Mur, ma venne interrotto dal tono acido di Alexandra: «Ti consiglio di tenere a freno quella lingua finché ti trovi qui. Non tollererò un altro insulto alla mia Dea»
«Senti, a me non importa affatto né di questo luogo né della tua Dea né…né di te» Kanon finì la frase poco convinto.
Deianira si avvicinò, correndo, agli altri, con il suo solito sorriso malizioso. «Alexandra, verrò io con te!» disse.
«Spetta a me scegliere, Deianira»
«Suvvia, lo sai che sono un ottimo elemento! Sono la migliore qui e lo sai! Avrai bisogno di me, ti prego!» la supplicò lei facendole gli occhi da cerbiatta.
«Si, questo è vero…» si prese del tempo per pensare poi, sconfitta, disse «Va bene, hai vinto. Prepara la tua roba, partiamo tra un’ora.»
Deianira guardò soddisfatta Kanon. “Bene, sta andando tutto per il verso giusto” pensò sornione la ragazza.
Sia Kanon che Alexandra sospirarono e all’unisono pensarono:
“Ci mancava solo questa!”
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Cap 5 - In cammino
Era primo pomeriggio quando i quattro partirono verso Delfi. Appena varcati i confini di Parnitha, si diressero a Nord, sotto la guida di Alexandra, evitando le vie principali.
«Dovremmo impiegare circa un giorno e mezzo di cammino per raggiungere il Tempio di Apollo, dove risiede la Pizia» decretò la ragazza, mantenendo un tono glaciale.
Kanon, che fino a quel momento non aveva proferito parola, nonostante le insistenze di Deianira, si rivolse ad Alexandra:
«Ci impiegheremmo di meno se noleggiassimo un’auto in uno di questi paesi» commentò sarcastico.
«Concordo con Kanon» lo spalleggiò Deianira «E poi, prima arriviamo, prima risolveremo la faccenda».
«Non mi sembra il caso. Conciati come siamo, daremmo nell’occhio in qualsiasi cittadina della Grecia. Proseguiremo a piedi» il tono della sacerdotessa non ammetteva repliche.
Mur, dal canto suo, si limitò a concordare con Alexandra, sostenendo che non era il caso di cercare altri contrattempi e che la missione doveva svolgersi il più rapidamente possibile.
Il viaggio proseguì pressappoco serenamente: ogni tanto Deianira, che non voleva saperne di mollare la presa con Kanon, si avvicinava a questi rivolgendogli domande maliziose in merito al loro rapporto ed egli, infastidito e imbarazzato dalle discussioni, glissava i discorsi rivolgendo la parola al cavaliere dell’Ariete.
Il sole era tramontato da un pezzo e il rosso del cielo aveva lasciato il posto al profondo blu della notte. Le stelle brillavano intensamente in quella notte, neanche minimamente rischiarata dalla luna. Alexandra si fermò di colpo, constatando che erano giunti nei pressi di Thiva, l’antica Tebe. «Ci accamperemo in quelle rovine» disse indicando su di una collina poco distante delle rovine, che a causa del buio a mala pena si distinguevano «e domani mattina, alle prime luci dell’alba, proseguiremo».
Arrivati alle rovine Alexandra si sedette su di una colonna caduta: un tempo sicuramente faceva parte di un imponente tempio ma ora era solo parte di sterminate macerie sommerse dalle sterpaglie.
«Deianira» si rivolse alla compagna cercando di celare la stanchezza causata dal viaggio «vedi se riesci a rimediare dell’acqua e riempi le borracce. Domani il caldo sole dell’entroterra greco ci abbrustolirà come polli allo spiedo» detto questo lanciò le borracce alla ragazza la quale, facendo una smorfia, si allontanò con disappunto dal cavaliere dei Gemelli per inoltrarsi nel piccolo boschetto vicino.
«Io vedrò di reperire della legna per il fuoco» intervenne Mur anticipando le intenzioni della ragazza che, per tutta risposta, sorrise, per la prima volta, grata del gesto.
Kanon fissò la sacerdotessa per un momento, senza darlo a vedere, e sorrise a sua volta.
Alexandra, rimasti soli, si voltò istintivamente a guardare il giovane Saint, il quale distolse immediatamente lo sguardo tornando ad assumere la sua solita espressione apatica. Con una breve emanazione di cosmo il cavaliere della Terza Casa si liberò della sua armatura, la quale si ricompose poco distante da lui. Rimase con leggeri abiti di lino ed assaporò la fresca ebbrezza della sera sul suo corpo, alleggerito dall’assenza dell’armatura.
La sacerdotessa, senza rendersene conto, era rimasta a fissare il corpo statuario del Saint, totalmente assorta in chissà quali pensieri. Soltanto quando Kanon incrociò lo sguardo con il suo, fissandola interrogativo, girò immediatamente altrove il volto, imbarazzata. Saltando giù dalla colonna come un pupazzo a molla, si voltò dando le spalle al cavaliere e si privò anch’ella del peso del suo arco e della faretra.
Kanon, confuso per la strana reazione della ragazza, che fino a quel momento aveva ostentato un portamento fiero e freddo nei confronti di tutti, non poté tuttavia astenersi dal soffermarsi a guardare lo spettacolo che la sacerdotessa, involontariamente, gli stava offrendo: tolta la faretra, non poté fare a meno di notare che il vestito della ragazza, già di per sé molto corto, aveva anche una pronunciata scollatura sulla schiena.
Alla vista della sua schiena nuda, provò uno strano brivido; i lunghi capelli bruni che la ragazza aveva raccolto sul davanti, lasciavano scoperta una generosa porzione del suo collo e il cavaliere si ritrovò a percorrere idealmente quel tragitto che andava dal suo bel collo giù fino alla scollatura sulla schiena, e poi sempre più giù…
Quando si rese conto dei suoi pensieri, si voltò di scatto dando anch’egli le spalle alla sacerdotessa.
“Maledizione! Ma che ti prende” si rimproverò duro “non puoi fare certi pensieri, non su di lei!... anche se… in fondo lei è una bella ragazza e io sono pur sempre un uomo: la reazione è perfettamente normale. È solo mero desiderio animale, come l’ho provato tante altre volte con tutte quelle ancelle del Grande Tempio” si rassicurò lui, nonostante avesse deciso di allontanare quei pensieri pericolosi.
Fortunatamente, a salvarli da quella situazione imbarazzante ci pensò Mur, di ritorno, carico di legna da ardere.
«Ti ringrazio, Mur di Aries» disse Alexandra sorridendo e prendendo la legna dalle mani del cavaliere.
«Ti prego, chiamami semplicemente Mur e dammi del tu» rispose con un gran sorriso per poi spogliarsi anch’egli della sua armatura.
Si sedettero tutti e tre attorno al fuoco appena acceso e scoppiettante, a rompere il silenzio ci pensò nuovamente il cavaliere della Prima Casa:
«Quando arriveremo a Delfi, sono sicuro che la Pizia confermerà tutte le nostre parole, sicché l’alleanza tra di noi potrà dirsi suggellata» disse con un sorriso carico di speranza, al che la sacerdotessa volse lo sguardo altrove, visibilmente incupita.
«Non credo di sbagliare, Alexandra, nel sostenere che anche tu, in fondo, credi alle nostre parole…».
Mur le sorrise incoraggiante e lei sorrise di rimando; ma prima che riuscisse a proferire parola, venne anticipata dal cavaliere di Gemini:
«Beh, se davvero è così, poteva anche mettere una buona parola con Artemide. Forse così ci saremmo risparmiati questa inutile gitarella a Delfi» disse sprezzante.
Mur lo fulminò con lo sguardo, ma fu nulla in confronto allo sguardo che gli lanciò la sacerdotessa: uno sguardo talmente collerico che se avesse avuto il potere di incenerire, del Saint dei Gemelli non sarebbe rimasta che polvere.
«Per quale assurdo motivo avrei dovuto farlo? Con te poi! Conoscevo bene l’uomo che avevo di fronte: un traditore. Un traditore di Dei e di uomini. Perfino tuo fratello non hai risparmiato dai tuoi inganni!» Alexandra era fuori di se.
Mur si chiese istintivamente come facesse quella ragazza a sapere tutti i trascorsi di Kanon, ma quest’ultimo non gli diede neanche il tempo d formulare la domanda nella sua mente, che subito si scagliò contro lei.
«Pensi forse di sapere qualcosa di me?» le chiese di rimando, ormai furente.
«So bene cosa sei diventato» lo fronteggiò lei.
«Hai un gran coraggio a parlare tu di tradimenti! Proprio tu che hai tradito la fiducia di tutti noi per andare a servire una Dea che non significava nulla per te!» le sue parole erano colme di disprezzo.
Alexandra fece per colpire Kanon con un pugno in pieno volto, ma questi, intercettando il colpo, le afferrò il polso bloccandolo a pochi centimetri dal suo viso.
«Tu non hai mai capito niente di me. E mai capirai» disse lei e con uno strattone la ragazza si liberò dalla presa di Kanon, il quale si voltò e bofonchiando «Vado a cercare Deianira, non è ancora tornata» si addentrò nella boscaglia.
“Quella insolente!” pensò furibondo Kanon “Come si permette di giudicare me? proprio lei!”
Improvvisamente i ricordi si fecero strada nella sua mente.
*********************
Il sole stava tramontando al Santuario di Athena; Kanon era nell’arena e stava animatamente discutendo con lei.
«Me ne vado» disse perentoria la ragazza che aveva di fronte. Aveva i capelli bruni e corti all’altezza del viso, il quale era celato, come consuetudine, da una maschera argentata.
«Come sarebbe “me ne vado”?» rispose uno stupito e ben più giovane Kanon.
«Ho deciso di servire la Dea Artemide, mi unirò alle sue sacerdotesse, domani…» disse la ragazza celando dietro il metallo della sua maschera qualsivoglia emozione.
Kanon sentì montare la collera dentro di sé.
«Perché lo fai?» ruggì «Ci eravamo promessi di servire Athena insieme, te ne sei già dimenticata?» il suo sguardo era sconvolto.
In quel momento arrivò Saga e lei si voltò a guardarlo per un istante, per poi abbassare lo sguardo in silenzio. Kanon guardò alternatamente entrambi.
«Tu lo sapevi!» disse al gemello «lo sapevi e non hai detto o fatto nulla!».
«Kanon…» Saga provò a parlare ma venne zittito dalle parole del fratello.
«Perché mai mi stupisco. Avete sempre preso le decisioni insieme, voi due, senza mai curarvi di coinvolgermi!» Kanon guardò con rancore la ragazza che aveva di fronte e quando questa alzò lo sguardo avrebbe voluto strapparle via quella maschera e vedere finalmente le emozioni sul suo viso. Ma non lo fece.
Alexandra si voltò dandogli le spalle e si tolse la maschera.
«Addio, Kanon!» la voce incrinata, prima di scappare via correndo lasciando ai piedi del ragazzo la maschera.
*********************
Quella fu l’ultima volta che la vide. Lei e Deianira partirono l’indomani.
Il suo cuore iniziò a battere più volte, pervaso da una moltitudine di emozioni differenti. Strinse i pugni talmente forte che le sue nocche divennero bianche.
Poi, un rumore dietro di sé lo fece trasalire.
«Kanon!» la voce di Deianira lo rassicurò. Si voltò e alle sue spalle vide la ragazza sorridente «Non volevo spaventarti» disse ridacchiando.
«Non mi hai affatto a spaventato» mentì «Ti ci vuole così tanto per riempire due misere borracce?» commentò beffardo.
«Non essere così strafottente» lo ammonì lei sorridendo per poi superarlo proseguendo sui suoi passi. «Ma visto che hai tanta fretta, puoi sempre venire a darmi una mano…» disse girandosi e lanciando a Kanon le due borracce.
«Si, certo, basta che ci sbrighiamo» tagliò corto lui seguendola.
Dopo pochi minuti arrivarono ad una fonte immersa nella vegetazione. L’acqua che sgorgava dalla sorgente creava un modesto laghetto di acqua cristallina circondato da un canneto e da altre piante acquatiche.
Kanon aprì le borracce e si avvicinò alla sorgente per riempirle. Notò che nonostante le dimensioni della pozza, l’acqua diventava subito profonda.
“Che strano…” pensò. Ogni sua riflessione però venne interrotta da Deianira: la ragazza, dopo aver posato arco e frecce, iniziò ad entrare lentamente e aggraziatamente in acqua.
«Ma che stai facendo?» Kanon era realmente confuso.
La fanciulla si voltò sorridente; il suo abito già striminzito, si era completamente bagnato diventando trasparente e aderendo perfettamente al suo corpo lasciando intravedere ogni dettaglio delle sue forme.
«A te che sembra? Faccio un bagno» rispose maliziosa.
Kanon si sforzò di mantenere il controllo, ma lo spettacolo che la sacerdotessa le stava mostrando era troppo anche per lui: aveva un corpo perfetto ed era di una bellezza disarmante.
Deianira conosceva bene le sue doti e non mostrò alcuna remora nell’utilizzarle per raggiungere il suo scopo.
«Deianira, esci, non abbiamo tempo per certe cose» Kanon si sforzò di mantenere tutto il suo autocontrollo.
Per tutta risposta la ragazza si avvicinò a lui, uscendo dall’acqua e ostentando uno sguardo da cerbiatta fintamente deluso. «Non capisco a quali “cose” ti riferisci… ma comunque, non vedo il motivo di tutta questa fretta…» i due erano tremendamente vicini, la ragazza gli si avvicinò così tanto che anche i suoi vestiti finirono per bagnarsi lasciando intravedere i suoi addominali scolpiti.
Deianira gli posò le mani sul petto e si morse il labbro avvicinandosi poi alla sua bocca.
D’un tratto l’acqua della fonte iniziò a gorgheggiare agitandosi come una pentola a bollore.
I due si separarono e Kanon si pose davanti la fanciulla mettendosi in posizione di guardia. Dall’acqua uscì un enorme drago acquatico. Aveva le sembianze di un enorme serpente a tre teste e la sua coda altrettanto grande strepitava fendendo l’aria attorno a sé. Kanon e Deianira rimasero sconcertati alla vista dell’enorme essere. Le teste del drago si contorcevano su se stesse, sibilando, finché quella nel mezzo, individuando i due intrusi, si scagliò verso di loro con le fauci aperte.
Kanon ebbe la prontezza di scansare Deianira dalla traiettoria del serpentone, per poi evitare lui stesso l’attacco con una capriola all’indietro.
Le altre due teste, inferocitesi per il colpo non andato a segno, si scagliarono insieme sul cavaliere che, muovendosi più rapidamente possibile, cercava di evitare tutti gli attacchi. Un colpo di coda del mostruoso essere lo colpì in pieno petto e il Saint venne scaraventato contro un albero, che si ruppe a causa del potente urto. Deianira quando vide Kanon in difficoltà riprese il suo arco e le sue frecce appena in tempo per scagliarne una contro l’animale che si stava avventando sul cavaliere.
La freccia sbatté contro la dura corazza dell’animale senza penetrarla, anzi venne deviata dalle dure scaglie della sua pelle.
Deianira ottenne che l’animale distolse la sua attenzione da Kanon, che nel mentre si stava rialzando, dolorante per il colpo subito; tuttavia l’enorme serpente si diresse all’attacco verso di lei che ora indietreggiava impaurita. Una delle teste partì all’attacco.
«CRYSTAL WALL!»
L’enorme testa di serpente andò a cozzare contro un muro invisibile. Subito dopo una, due, tre frecce si abbatterono a raffica sull’animale, venendo tuttavia respinte come la precedente.
Alexandra andò a soccorrere una Deianira ancora atterrita, mentre Mur, con indosso la sua armatura, si sincerava delle condizioni del compagno che, ormai rialzatosi, stava per ripartire all’attacco.
I due Saint saltarono in groppa all’enorme serpente, e cingendo due delle tre teste che si divincolavano, cercarono di spezzarle mentre l’altra testa si contorceva cercando di scacciare gli assalitori.
Nonostante ciò i due cavalieri riuscirono a spezzare il collo delle due teste che si afflosciarono subito dopo un sonoro crack. La testa rimasta iniziò a contorcersi più forte e con un colpo di coda l’animale spazzò via prima Mur e poi Kanon, il quale cadde all’indietro rimanendo a terra di fronte al mostro inferocito.
La bestia si lanciò con le fauci spalancate all’attacco ma prima che potesse raggiungere il cavaliere una freccia gli venne scagliata in bocca trapassandogli il cranio. L’animale rimase bloccato un istante per poi cadere rumorosamente a terra a pochi centimetri dal Saint di Gemini.
Kanon si voltò indietro e vide Alexandra ancora in posizione con l’arco fra le mani. Mur sospirò per lo scampato pericolo e si avvicinò a Deianira per rassicurarla, ma questa evitò il cavaliere di Aries e si buttò fra le braccia di Kanon.
Solo allora Alexandra si rese conto delle condizioni inequivocabili in cui versavano la sua compagna e Kanon: entrambi con vestiti interamente fradici.
Una tremenda fitta al cuore la bloccò; rimase lì a fissare i due con occhi vuoti mentre Kanon ricambiava il suo sguardo senza sapere come comportarsi.
«Ma che mostruosità era?» Mur intervenne a sgelare la situazione.
La bruna sacerdotessa a quelle parole si riprese dal suo stato di catalessi: «Il drago di Cadmo…» rispose perplessa. «Ai tempi del mito, questa fonte era sorvegliata da un drago appartenente ad Ares, Dio della Guerra. Ma Cadmo lo uccise… non riesco a capire come mai fosse ancora vivo. L’unico capace di una cosa simile è proprio il divino Ares.» constatò.
«Segno che Ares non è certo dalla nostra parte» si limitò a commentare il cavaliere della Prima Casa non senza una crescente preoccupazione.
Kanon si alzò e scostò delicatamente da sé Deianira. «Se il Dio della Guerra è contro di noi, credo che dovremo prestare particolare attenzione lungo il nostro cammino» disse Kanon freddamente.
Alexandra si voltò non prestando ascolto alle parole del Saint. «Dobbiamo riposare, domani ci attende un lungo cammino» disse con la voce leggermente tremante. Si addentrò poi nel piccolo boschetto distanziando gli altri, mentre, non vista, una lacrima solitaria le bagnava il volto.
«Dovremmo impiegare circa un giorno e mezzo di cammino per raggiungere il Tempio di Apollo, dove risiede la Pizia» decretò la ragazza, mantenendo un tono glaciale.
Kanon, che fino a quel momento non aveva proferito parola, nonostante le insistenze di Deianira, si rivolse ad Alexandra:
«Ci impiegheremmo di meno se noleggiassimo un’auto in uno di questi paesi» commentò sarcastico.
«Concordo con Kanon» lo spalleggiò Deianira «E poi, prima arriviamo, prima risolveremo la faccenda».
«Non mi sembra il caso. Conciati come siamo, daremmo nell’occhio in qualsiasi cittadina della Grecia. Proseguiremo a piedi» il tono della sacerdotessa non ammetteva repliche.
Mur, dal canto suo, si limitò a concordare con Alexandra, sostenendo che non era il caso di cercare altri contrattempi e che la missione doveva svolgersi il più rapidamente possibile.
Il viaggio proseguì pressappoco serenamente: ogni tanto Deianira, che non voleva saperne di mollare la presa con Kanon, si avvicinava a questi rivolgendogli domande maliziose in merito al loro rapporto ed egli, infastidito e imbarazzato dalle discussioni, glissava i discorsi rivolgendo la parola al cavaliere dell’Ariete.
Il sole era tramontato da un pezzo e il rosso del cielo aveva lasciato il posto al profondo blu della notte. Le stelle brillavano intensamente in quella notte, neanche minimamente rischiarata dalla luna. Alexandra si fermò di colpo, constatando che erano giunti nei pressi di Thiva, l’antica Tebe. «Ci accamperemo in quelle rovine» disse indicando su di una collina poco distante delle rovine, che a causa del buio a mala pena si distinguevano «e domani mattina, alle prime luci dell’alba, proseguiremo».
Arrivati alle rovine Alexandra si sedette su di una colonna caduta: un tempo sicuramente faceva parte di un imponente tempio ma ora era solo parte di sterminate macerie sommerse dalle sterpaglie.
«Deianira» si rivolse alla compagna cercando di celare la stanchezza causata dal viaggio «vedi se riesci a rimediare dell’acqua e riempi le borracce. Domani il caldo sole dell’entroterra greco ci abbrustolirà come polli allo spiedo» detto questo lanciò le borracce alla ragazza la quale, facendo una smorfia, si allontanò con disappunto dal cavaliere dei Gemelli per inoltrarsi nel piccolo boschetto vicino.
«Io vedrò di reperire della legna per il fuoco» intervenne Mur anticipando le intenzioni della ragazza che, per tutta risposta, sorrise, per la prima volta, grata del gesto.
Kanon fissò la sacerdotessa per un momento, senza darlo a vedere, e sorrise a sua volta.
Alexandra, rimasti soli, si voltò istintivamente a guardare il giovane Saint, il quale distolse immediatamente lo sguardo tornando ad assumere la sua solita espressione apatica. Con una breve emanazione di cosmo il cavaliere della Terza Casa si liberò della sua armatura, la quale si ricompose poco distante da lui. Rimase con leggeri abiti di lino ed assaporò la fresca ebbrezza della sera sul suo corpo, alleggerito dall’assenza dell’armatura.
La sacerdotessa, senza rendersene conto, era rimasta a fissare il corpo statuario del Saint, totalmente assorta in chissà quali pensieri. Soltanto quando Kanon incrociò lo sguardo con il suo, fissandola interrogativo, girò immediatamente altrove il volto, imbarazzata. Saltando giù dalla colonna come un pupazzo a molla, si voltò dando le spalle al cavaliere e si privò anch’ella del peso del suo arco e della faretra.
Kanon, confuso per la strana reazione della ragazza, che fino a quel momento aveva ostentato un portamento fiero e freddo nei confronti di tutti, non poté tuttavia astenersi dal soffermarsi a guardare lo spettacolo che la sacerdotessa, involontariamente, gli stava offrendo: tolta la faretra, non poté fare a meno di notare che il vestito della ragazza, già di per sé molto corto, aveva anche una pronunciata scollatura sulla schiena.
Alla vista della sua schiena nuda, provò uno strano brivido; i lunghi capelli bruni che la ragazza aveva raccolto sul davanti, lasciavano scoperta una generosa porzione del suo collo e il cavaliere si ritrovò a percorrere idealmente quel tragitto che andava dal suo bel collo giù fino alla scollatura sulla schiena, e poi sempre più giù…
Quando si rese conto dei suoi pensieri, si voltò di scatto dando anch’egli le spalle alla sacerdotessa.
“Maledizione! Ma che ti prende” si rimproverò duro “non puoi fare certi pensieri, non su di lei!... anche se… in fondo lei è una bella ragazza e io sono pur sempre un uomo: la reazione è perfettamente normale. È solo mero desiderio animale, come l’ho provato tante altre volte con tutte quelle ancelle del Grande Tempio” si rassicurò lui, nonostante avesse deciso di allontanare quei pensieri pericolosi.
Fortunatamente, a salvarli da quella situazione imbarazzante ci pensò Mur, di ritorno, carico di legna da ardere.
«Ti ringrazio, Mur di Aries» disse Alexandra sorridendo e prendendo la legna dalle mani del cavaliere.
«Ti prego, chiamami semplicemente Mur e dammi del tu» rispose con un gran sorriso per poi spogliarsi anch’egli della sua armatura.
Si sedettero tutti e tre attorno al fuoco appena acceso e scoppiettante, a rompere il silenzio ci pensò nuovamente il cavaliere della Prima Casa:
«Quando arriveremo a Delfi, sono sicuro che la Pizia confermerà tutte le nostre parole, sicché l’alleanza tra di noi potrà dirsi suggellata» disse con un sorriso carico di speranza, al che la sacerdotessa volse lo sguardo altrove, visibilmente incupita.
«Non credo di sbagliare, Alexandra, nel sostenere che anche tu, in fondo, credi alle nostre parole…».
Mur le sorrise incoraggiante e lei sorrise di rimando; ma prima che riuscisse a proferire parola, venne anticipata dal cavaliere di Gemini:
«Beh, se davvero è così, poteva anche mettere una buona parola con Artemide. Forse così ci saremmo risparmiati questa inutile gitarella a Delfi» disse sprezzante.
Mur lo fulminò con lo sguardo, ma fu nulla in confronto allo sguardo che gli lanciò la sacerdotessa: uno sguardo talmente collerico che se avesse avuto il potere di incenerire, del Saint dei Gemelli non sarebbe rimasta che polvere.
«Per quale assurdo motivo avrei dovuto farlo? Con te poi! Conoscevo bene l’uomo che avevo di fronte: un traditore. Un traditore di Dei e di uomini. Perfino tuo fratello non hai risparmiato dai tuoi inganni!» Alexandra era fuori di se.
Mur si chiese istintivamente come facesse quella ragazza a sapere tutti i trascorsi di Kanon, ma quest’ultimo non gli diede neanche il tempo d formulare la domanda nella sua mente, che subito si scagliò contro lei.
«Pensi forse di sapere qualcosa di me?» le chiese di rimando, ormai furente.
«So bene cosa sei diventato» lo fronteggiò lei.
«Hai un gran coraggio a parlare tu di tradimenti! Proprio tu che hai tradito la fiducia di tutti noi per andare a servire una Dea che non significava nulla per te!» le sue parole erano colme di disprezzo.
Alexandra fece per colpire Kanon con un pugno in pieno volto, ma questi, intercettando il colpo, le afferrò il polso bloccandolo a pochi centimetri dal suo viso.
«Tu non hai mai capito niente di me. E mai capirai» disse lei e con uno strattone la ragazza si liberò dalla presa di Kanon, il quale si voltò e bofonchiando «Vado a cercare Deianira, non è ancora tornata» si addentrò nella boscaglia.
“Quella insolente!” pensò furibondo Kanon “Come si permette di giudicare me? proprio lei!”
Improvvisamente i ricordi si fecero strada nella sua mente.
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Il sole stava tramontando al Santuario di Athena; Kanon era nell’arena e stava animatamente discutendo con lei.
«Me ne vado» disse perentoria la ragazza che aveva di fronte. Aveva i capelli bruni e corti all’altezza del viso, il quale era celato, come consuetudine, da una maschera argentata.
«Come sarebbe “me ne vado”?» rispose uno stupito e ben più giovane Kanon.
«Ho deciso di servire la Dea Artemide, mi unirò alle sue sacerdotesse, domani…» disse la ragazza celando dietro il metallo della sua maschera qualsivoglia emozione.
Kanon sentì montare la collera dentro di sé.
«Perché lo fai?» ruggì «Ci eravamo promessi di servire Athena insieme, te ne sei già dimenticata?» il suo sguardo era sconvolto.
In quel momento arrivò Saga e lei si voltò a guardarlo per un istante, per poi abbassare lo sguardo in silenzio. Kanon guardò alternatamente entrambi.
«Tu lo sapevi!» disse al gemello «lo sapevi e non hai detto o fatto nulla!».
«Kanon…» Saga provò a parlare ma venne zittito dalle parole del fratello.
«Perché mai mi stupisco. Avete sempre preso le decisioni insieme, voi due, senza mai curarvi di coinvolgermi!» Kanon guardò con rancore la ragazza che aveva di fronte e quando questa alzò lo sguardo avrebbe voluto strapparle via quella maschera e vedere finalmente le emozioni sul suo viso. Ma non lo fece.
Alexandra si voltò dandogli le spalle e si tolse la maschera.
«Addio, Kanon!» la voce incrinata, prima di scappare via correndo lasciando ai piedi del ragazzo la maschera.
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Quella fu l’ultima volta che la vide. Lei e Deianira partirono l’indomani.
Il suo cuore iniziò a battere più volte, pervaso da una moltitudine di emozioni differenti. Strinse i pugni talmente forte che le sue nocche divennero bianche.
Poi, un rumore dietro di sé lo fece trasalire.
«Kanon!» la voce di Deianira lo rassicurò. Si voltò e alle sue spalle vide la ragazza sorridente «Non volevo spaventarti» disse ridacchiando.
«Non mi hai affatto a spaventato» mentì «Ti ci vuole così tanto per riempire due misere borracce?» commentò beffardo.
«Non essere così strafottente» lo ammonì lei sorridendo per poi superarlo proseguendo sui suoi passi. «Ma visto che hai tanta fretta, puoi sempre venire a darmi una mano…» disse girandosi e lanciando a Kanon le due borracce.
«Si, certo, basta che ci sbrighiamo» tagliò corto lui seguendola.
Dopo pochi minuti arrivarono ad una fonte immersa nella vegetazione. L’acqua che sgorgava dalla sorgente creava un modesto laghetto di acqua cristallina circondato da un canneto e da altre piante acquatiche.
Kanon aprì le borracce e si avvicinò alla sorgente per riempirle. Notò che nonostante le dimensioni della pozza, l’acqua diventava subito profonda.
“Che strano…” pensò. Ogni sua riflessione però venne interrotta da Deianira: la ragazza, dopo aver posato arco e frecce, iniziò ad entrare lentamente e aggraziatamente in acqua.
«Ma che stai facendo?» Kanon era realmente confuso.
La fanciulla si voltò sorridente; il suo abito già striminzito, si era completamente bagnato diventando trasparente e aderendo perfettamente al suo corpo lasciando intravedere ogni dettaglio delle sue forme.
«A te che sembra? Faccio un bagno» rispose maliziosa.
Kanon si sforzò di mantenere il controllo, ma lo spettacolo che la sacerdotessa le stava mostrando era troppo anche per lui: aveva un corpo perfetto ed era di una bellezza disarmante.
Deianira conosceva bene le sue doti e non mostrò alcuna remora nell’utilizzarle per raggiungere il suo scopo.
«Deianira, esci, non abbiamo tempo per certe cose» Kanon si sforzò di mantenere tutto il suo autocontrollo.
Per tutta risposta la ragazza si avvicinò a lui, uscendo dall’acqua e ostentando uno sguardo da cerbiatta fintamente deluso. «Non capisco a quali “cose” ti riferisci… ma comunque, non vedo il motivo di tutta questa fretta…» i due erano tremendamente vicini, la ragazza gli si avvicinò così tanto che anche i suoi vestiti finirono per bagnarsi lasciando intravedere i suoi addominali scolpiti.
Deianira gli posò le mani sul petto e si morse il labbro avvicinandosi poi alla sua bocca.
D’un tratto l’acqua della fonte iniziò a gorgheggiare agitandosi come una pentola a bollore.
I due si separarono e Kanon si pose davanti la fanciulla mettendosi in posizione di guardia. Dall’acqua uscì un enorme drago acquatico. Aveva le sembianze di un enorme serpente a tre teste e la sua coda altrettanto grande strepitava fendendo l’aria attorno a sé. Kanon e Deianira rimasero sconcertati alla vista dell’enorme essere. Le teste del drago si contorcevano su se stesse, sibilando, finché quella nel mezzo, individuando i due intrusi, si scagliò verso di loro con le fauci aperte.
Kanon ebbe la prontezza di scansare Deianira dalla traiettoria del serpentone, per poi evitare lui stesso l’attacco con una capriola all’indietro.
Le altre due teste, inferocitesi per il colpo non andato a segno, si scagliarono insieme sul cavaliere che, muovendosi più rapidamente possibile, cercava di evitare tutti gli attacchi. Un colpo di coda del mostruoso essere lo colpì in pieno petto e il Saint venne scaraventato contro un albero, che si ruppe a causa del potente urto. Deianira quando vide Kanon in difficoltà riprese il suo arco e le sue frecce appena in tempo per scagliarne una contro l’animale che si stava avventando sul cavaliere.
La freccia sbatté contro la dura corazza dell’animale senza penetrarla, anzi venne deviata dalle dure scaglie della sua pelle.
Deianira ottenne che l’animale distolse la sua attenzione da Kanon, che nel mentre si stava rialzando, dolorante per il colpo subito; tuttavia l’enorme serpente si diresse all’attacco verso di lei che ora indietreggiava impaurita. Una delle teste partì all’attacco.
«CRYSTAL WALL!»
L’enorme testa di serpente andò a cozzare contro un muro invisibile. Subito dopo una, due, tre frecce si abbatterono a raffica sull’animale, venendo tuttavia respinte come la precedente.
Alexandra andò a soccorrere una Deianira ancora atterrita, mentre Mur, con indosso la sua armatura, si sincerava delle condizioni del compagno che, ormai rialzatosi, stava per ripartire all’attacco.
I due Saint saltarono in groppa all’enorme serpente, e cingendo due delle tre teste che si divincolavano, cercarono di spezzarle mentre l’altra testa si contorceva cercando di scacciare gli assalitori.
Nonostante ciò i due cavalieri riuscirono a spezzare il collo delle due teste che si afflosciarono subito dopo un sonoro crack. La testa rimasta iniziò a contorcersi più forte e con un colpo di coda l’animale spazzò via prima Mur e poi Kanon, il quale cadde all’indietro rimanendo a terra di fronte al mostro inferocito.
La bestia si lanciò con le fauci spalancate all’attacco ma prima che potesse raggiungere il cavaliere una freccia gli venne scagliata in bocca trapassandogli il cranio. L’animale rimase bloccato un istante per poi cadere rumorosamente a terra a pochi centimetri dal Saint di Gemini.
Kanon si voltò indietro e vide Alexandra ancora in posizione con l’arco fra le mani. Mur sospirò per lo scampato pericolo e si avvicinò a Deianira per rassicurarla, ma questa evitò il cavaliere di Aries e si buttò fra le braccia di Kanon.
Solo allora Alexandra si rese conto delle condizioni inequivocabili in cui versavano la sua compagna e Kanon: entrambi con vestiti interamente fradici.
Una tremenda fitta al cuore la bloccò; rimase lì a fissare i due con occhi vuoti mentre Kanon ricambiava il suo sguardo senza sapere come comportarsi.
«Ma che mostruosità era?» Mur intervenne a sgelare la situazione.
La bruna sacerdotessa a quelle parole si riprese dal suo stato di catalessi: «Il drago di Cadmo…» rispose perplessa. «Ai tempi del mito, questa fonte era sorvegliata da un drago appartenente ad Ares, Dio della Guerra. Ma Cadmo lo uccise… non riesco a capire come mai fosse ancora vivo. L’unico capace di una cosa simile è proprio il divino Ares.» constatò.
«Segno che Ares non è certo dalla nostra parte» si limitò a commentare il cavaliere della Prima Casa non senza una crescente preoccupazione.
Kanon si alzò e scostò delicatamente da sé Deianira. «Se il Dio della Guerra è contro di noi, credo che dovremo prestare particolare attenzione lungo il nostro cammino» disse Kanon freddamente.
Alexandra si voltò non prestando ascolto alle parole del Saint. «Dobbiamo riposare, domani ci attende un lungo cammino» disse con la voce leggermente tremante. Si addentrò poi nel piccolo boschetto distanziando gli altri, mentre, non vista, una lacrima solitaria le bagnava il volto.
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