Saint Seiya GS - Il Forum della Terza Casa


Autore Topic: Il peso della Giustizia  (Letto 2365 volte)

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Offline Pandora

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Il peso della Giustizia
« il: 30 Agosto, 2017, 22:40:33 pm »
E va bene, postiamo questa long long long ( ma molto long :ninja: ) fiction :XD:

Premesse e avvertimenti:
Hades è stato sconfitto, la guerra è finita e Athena è riuscita a far riportare tutti i cavalieri deceduti in vita. Ambientata post Hades, non tiene conto ne di Omega ne di SoG ecc.
Alcuni dettagli di quanto avvenuto prima delle 12 case sono stati modificati per esigenze di trama.
Personaggi: Un po' tutti, Nuovi, Kanon, Saga.
Attenzione: rating rosso Presenza di tematiche delicate.

Metterò i cap sotto spoiler altrimenti viene chilometrica.

Detto questo, buona lettura (a chiunque ne avrà il coraggio :ya: ) :ok:

 Cap 1 - Punizione esemplare
La luna sorgeva adagio nel placido cielo di Grecia; nessuna nuvola ad oscurare le stelle che brillavano sicure rischiarando la notte.
Il Santuario di Athena era in pace già da alcuni anni: la guerra contro Hades aveva seminato morte e distruzione e la vittoria che con tanta fatica Athena aveva colto sembrava solo essere l’ennesimo ago nel cuore della Dea, così pesante, gravato dal rimorso di tanta sofferenza. Non provava alcuna soddisfazione nell’aver sconfitto il Dio degli Inferi: nonostante il suo animo da Dea guerriera, non amava combattere a meno che non fosse in gioco un bene superiore, come la salvaguardia dell’umanità alla quale era così legata.
“Legata...” pensò “non sono forse io che ho mandato a morire centinaia di cavalieri coraggiosi per il sogno della Giustizia?”
Le sue fila erano state decimate, i suoi cavalieri più devoti erano periti per difenderla ed aiutarla.
Nel turbinare dei suoi rimorsi un flebile raggio di luce rischiarò il suo volto, allora guardò le stelle e si ricordò, con un po’ di soddisfazione, che era stata pur sempre lei ad ottenere dalla dea Persefone, ormai vedova del marito, la grazia per i suoi cavalieri periti. “Ma a quale prezzo?” si domandò la Dea rientrando all’interno del Tredicesimo Tempio. Si sedette sul suo trono d’oro, ornato di pietre preziose. Guardò davanti a sé l’enorme sala contornata da altissime colonne corinzie. Sebbene l’intero santuario fosse stato restaurato in quell’anno di pace, ella poteva ben vedere i segni della battaglia davanti a lei, poteva percepire l’odore di distruzione e morte.
“per cosa, poi, sono stati riportati in vita? Per soffrire ancora in nuovi scontri e battaglie?”
Nonostante fosse la reincarnazione della Dea della giustizia, della razionalità , era pur sempre umana nell’animo: le sue emozioni emergevano facendola sprofondare nello sconforto. Amava troppo i suoi cavalieri per poter accettare di vederli soffrire ancora, ma sapeva bene che il suo lato di Dea le suggeriva che quella era la mossa più logica: non vi era tempo di addestrare nuovi Saint, se fosse scoppiata un’altra guerra sarebbe stata totalmente impreparata, allora fece la sua richiesta a Persefone, pur sapendo che non sarebbe rimasta impunita.
Si alzò mestamente dal trono e si diresse alle sue stanze private. Trovò tutto esattamente come lo aveva lasciato, e come poteva essere altrimenti? Nessuno aveva accesso a quelle stanze se non due o tre ancelle accuratamente selezionate dal Grande Sacerdote. L’estrema perizia con la quale era protetta era ammirevole, la faceva sentire sicura ma al contempo dannatamente sola.
Si avvicinò al letto e scostò le coperte rigorosamente di seta bianca e candida. Il profumo di pulito la inebriò e si lasciò coccolare da quel piccolo piacere. Decise di dormire un po’, per quanto le fosse possibile. “Una Dea stanca” si disse “non giova a nessuno”. Si abbandonò fra le coperte del suo caldo giaciglio assaporando un po’ di riposo.
 
La tranquillità di quella sera lo inquietava. A dire la verità era dalla guerra contro Hades che tutte le sere era inquieto. Fuori dal Tredicesimo Tempio si respirava un’aria leggermente rarefatta, colpa dell’altitudine. “Beh, sono più in alto della Decima Casa” pensò Shura cercando di distrarsi dai suoi timori. Guardò il celo stellato cercando la sua costellazione, quella del Capricorno. Egli si diceva fosse il cavaliere più devoto alla Dea Athena, che gli aveva fatto dono della spada Excalibur, eppure toccò proprio a lui schierarsi dalla parte del Dio dei morti. “Era per salvarla” si ripeté come a voler scacciare il sospetto di averla tradita; nonostante ciò non poteva fare a meno di straziarsi al pensiero di aver lottato contro i suoi compagni, che erano alla stregua di fratelli. A ricacciare indietro i suoi pensieri, ci pensò un tremito nell’aria; il vento s’alzò sferzando alberi e cespugli. Il cielo, dapprima limpido come un torrente, iniziò ad annuvolarsi repentinamente, un fenomeno troppo insolito per essere naturale. Il silenzio di quella sera venne scosso da cupi boati, fulmini e saette sferzarono implacabili il cielo. Il cavaliere del Capricorno lo percepì subito: un cosmo ostile aleggiava sopra il Santuario.
“Divino Zeus!”
 
 
Il rimbombo dei tuoni all’esterno raggiunse anche le sale del Tredicesimo Tempio. Athena si svegliò di soprassalto percependo un cosmo fin troppo familiare e temuto: suo padre, il padre di tutti gli Dei, era lì e non sembrava neanche di buon umore.
Saltò giù dal letto e si precipitò fuori dalle sue stanze dirigendosi verso la sala del trono. Non appena varcò i pesanti tendaggi dietro l’imponente soglio, un fulmine squarciò il tetto del Tempio e si conficcò proprio al centro della sala.
Un bagliore accecante costrinse la Dea a voltarsi, quando rimise a fuoco il piccolo cratere formatosi, vide una figura alta e distinta avanzare verso di  lei: era un uomo molto avvenente, Zeus, Padre degli Dei, nonostante il suo aspetto non fosse quello di un giovane bensì quello di un uomo sulla quarantina. “C’è un motivo se ha sedotto tutte quelle donne…” si ritrovò a pensare la giovane.
Il corpo del Dio era tutto avvolto da una splendente armatura argentea con delle saette color cobalto incisevi sopra, un mantello candido gli copriva le spalle e strusciava sul pavimento della sala. Il rumore sordo dei passi di Zeus unito ad un leggero stridio di scariche elettriche riempiva il silenzio del luogo e Athena non poté che rimanere immobile di fronte alla sua maestà.
«Figlia mia…che lieta sera è questa, ora che vedo il tuo bel viso…sebbene sia quello del tuo corpo mortale» disse Zeus aprendo le braccia al cielo e il suo tono era fermo ma allo stesso tempo mellifluo.
«Padre… è di certo una sera strana se il Padre degli Dei si scomoda dal suo trono celeste per vedere la figlia…» rispose Athena cercando di far apparire il suo tono, in verità molto canzonatorio, più rispettoso possibile.
Zeus si avvicinò fin davanti la fanciulla, la quale non riuscì a trattenersi dall’indietreggiare di un passo. Era molto più bassa del possente Dio e per un momento rimpianse che il suo corpo mortale non fosse quello di una stangona.
«In verità volevo chiarire una questione di persona vista, come dire, la sua importanza…» iniziò il Dio voltando le spalle alla figlia e muovendo qualche passo in avanti «Credo di essere stato un padre amorevole con tutti i miei figli…» continuò rivolgendo ora la coda dell’occhio su di lei.
«Nessun padre è più benevolo di te» confermò Athena pur non capendo dove volesse andare a parare suo padre.
«Ciò nondimeno, credo di non aver meritato il vostro amore…se ciò che raccolgo è che i miei stessi figli si scaglino contro i loro beneamati zii…» disse in modo teatrale.
«Ma…» iniziò la Dea.
A quell’accenno di giustificazione, Zeus si voltò tramutato: il padre amorevole aveva lasciato il posto al tono autoritario di un sovrano «E dunque mi chiedo cosa dovrebbe fare un padre amorevole? Se non dare una punizione esemplare ai figli ribelli?»
In quello stesso momento il cavaliere del Capricorno entrò nella sala e si trovò davanti una scena che lo lasciò interdetto qualche istante. «Milady…» ebbe appena il tempo di dire.
Zeus, accortosi del cavaliere, fece un cenno con la mano, senza staccare gli occhi dalla figlia, sicché il cavaliere rimase immobilizzato mentre veniva attraversato da piccole scariche elettriche.
«Proprio tu, figlia, che fra tutte sei la mia diletta, mi disonori con atti blasfemi e ti schieri dalla parte di deicidi…dalla parte degli assassini dei tuoi simili! Di tuo zio!» lo sguardo del Dio ora era fiammeggiante d’ira. «Dimmi, figlia, hai forse perso quel senno che ti contraddistingueva dagli altri Dei? Ti farò capire io, a te ed a tutti gli altri tuoi fratelli, che si schierano dalla parte di questi miseri scarafaggi…» strinse il pugno e le scariche che attraversavano Shura crebbero di intensità fino a far stramazzare il cavaliere a terra svenuto «a chi dovete il vostro rispetto e reverenza!»
Ci fu un boato fortissimo e un fulmine cadde nuovamente nella stanza trascinando via con sé Zeus.
Nella sala rimase un silenzio irreale se paragonato al tuonare delle parole del Padre degli Dei.
Athena, che era rimasta terrorizzata dalla furia del padre, si accasciò a terra tremante. Guardò davanti a sé il corpo del suo cavaliere, non fece nemmeno in tempo ad emettere un fiato che le porte della sala si spalancarono ed entrarono cinque Gold Saint seguiti a ruota dal Grande Sacerdote.
Alla vista della loro Dea tremante, il cavaliere di Virgo, Shaka, il cavaliere di Aries, Mur, e il Grande Sacerdote in carica, l’ex cavaliere dei Gemelli, Saga, si avvicinarono alla fanciulla mentre gli altri due cavalieri, Dohko di Libra e Milo di Scorpio si accertarono delle condizioni del compagno svenuto.
«Mia signora, cos’è accaduto? Abbiamo sentito un cosmo ostile molto potente provenire da queste stanze» chiese Saga preoccupato inginocchiandosi di fronte alla Dea.
La fanciulla guardò negli occhi Saga e, come se avesse ritrovato all’istante il controllo di sé, disse con tono deciso «Chiamatemi un messaggero, presto!»
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 Cap 2 - Scontro fra i boschi
Il sole era sorto presto quella mattina, il cielo era limpido e sereno in quella fresca mattina di Marzo. La rosea alba stava per lasciare il posto al quel bel azzurro carico delle giornate di primavera.
La foresta di Parnitha era silenziosa, s’udiva solo il vento che, frusciando fra le fronde degli alberi, faceva cadere qualche foglia; poi, di tanto in tanto, qualche uccellino mattiniero cinguettava fra gli alberi.
Era questo che amava tanto della foresta: l’assoluta tranquillità e pace. Erano diversi anni ormai che viveva fra i boschi, li conosceva come le sue tasche, com’anche le sue compagne che, come lei,  erano sacerdotesse della Dea Artemide. Erano come sorelle, si davano sempre man forte in tutte le circostanze; nonostante la loro vita isolata dal mondo, non avevano bisogno di nulla né di nessuno.
Anche se spesso i loro doveri superavano le ricompense, erano felici di servire la loro Dea, che teneva così tanto a loro e non perdeva occasione di dimostrarlo. La loro stessa segregazione nei boschi, lo sapeva, era una protezione, un atto d’amore. Il mondo era così saturo d’ingiustizia e odio, che avrebbe schiacciato ogni loro speranza e bellezza come gracili fuscelli. Non c’era nulla per loro nel mondo;  la foresta con il suo equilibrio, la loro amata Dea, erano l’unica cosa che contasse davvero.
In fondo, loro erano niente più che giovani ragazze, tutte con non più di venticinque anni, e per loro, come diceva la Dea, la vita poteva essere molto complicata, specie per delle belle fanciulle: gli uomini, in particolare, sapevano essere ben crudeli, con le loro illusioni di un amore che si consumava in fretta, troppo in fretta, ed una volta esaurito lasciava in preda alla disperazione e al dolore. No, erano più al sicuro fra quegli alberi, godendo della protezione della loro Grande Madre.
Alexandra ne era convinta, quella era l’unica verità. Certo, spesso capitava che alcune di loro avessero dei dubbi, volessero provare l’ebrezza di uscire dalla foresta, specie le più giovani di loro, poiché più vicine alla loro vita precedente: le sacerdotesse non nascevano fra i boschi, venivano affidate alla Dea Artemide in tenera età, ma fino a quel momento avevano una vita sociale, sebbene fosse dedita al servizio della Dea.
Alexandra, che fra tutte era quella più ligia, non mancava mai di riprendere le sue compagne ribelli, convincendole di quanto fossero sbagliati quei desideri, e ribadendo che il loro unico dovere doveva essere quello di compiacere la Dea.
Sapeva essere una ragazza molto autoritaria, Alexandra, nonostante il suo aspetto gentile: la sua carnagione leggermente abbronzata, i suoi occhi verdi come la foresta, incorniciati da lunghi capelli bruni e ondulati. Una ragazza piacente, come tutte le protette di Artemide. Ma dietro quell’aspetto delicato si nascondeva un carattere battagliero e fiero: tutte le sacerdotesse venivano addestrate fin dal loro ingresso nella foresta; erano addestrate a cacciare con l’arco, l’arma sacra alla Dea, a muoversi agili e furtive fra gli alberi, ed a trarre la loro forza dalla natura.
Era necessario, giacché oltre alla protezione della Dea, erano dedite anche alla tutela della foresta stessa.
Alexandra si trovava al confine a sud di Parnitha, era di ronda per controllare che tutto fosse in ordine.
“Fortunatamente non sembra esserci nulla di strano” pensò con un sospiro di sollievo.
Uno svolazzare di uccelli impauriti poco distante la fece ricredere. Afferrò saldamente il suo arco e si portò una mano dietro la spalla per controllare che la faretra fosse piena. Ebbe appena il tempo di accertarsi della situazione che due figure sbucarono dagli alberi.
«Dannazione!»
 
 
«Dunque, fammi capire, siamo venuti qui per riferire un messaggio?» disse l’uomo alquanto scocciato «credevo avessimo dei messaggeri per queste cose…per gli Dei quanto siamo caduti in basso!» continuò sarcastico.
«Siamo qui» ribadì l’altro «perché Athena ce lo ha ordinato, inoltre la missione potrebbe rivelarsi più pericolosa del previsto per un semplice messaggero, non possiamo permetterci di sbagliare nulla» rispose l’uomo che gli camminava a fianco con tono pacato e gentile. Mur, cavaliere dell’Ariete, pacato, del resto, lo era sempre stato. Indossava la sua armatura d’oro che brillava sotto i flebili raggi del sole che trapassavano i rami degli alberi.
«Sarà anche come dici tu, ma sbrighiamoci ad uscire di qui, questa foresta già mi sta dando sui nerv…accidenti!» finì la frase inciampando su di una radice rialzata.
«In verità non capisco di cosa parli, Kanon. Io trovo questo luogo estremamente rilassante.» Rispose Mur sgranchendosi le braccia e respirando a pieni polmoni il profumo muschiato del luogo.
«Bah…» Kanon era molto infastidito da quella missione, non gli piacevano affatto le foreste. Del resto il suo ambiente era più quello marino: nonostante indossasse l’armatura dei Gemelli, aveva passato anni al servizio di Poseidone indossando la scale di Dragone del Mare. Dopo la sconfitta di Poseidone gli era stato, ovviamente, revocato il permesso di indossarla nuovamente.
“Poco male” pensò “grazie ad Athena, e alla promozione, totalmente inaspettata visti i precedenti, di mio fratello, posso indossare l’armatura che ho sempre agognato!”
 Un ghigno di soddisfazione si stampò sul suo volto, era talmente distratto dai suoi pensieri, che non si accorse di una freccia che gli passò a due centimetri dal viso. Si fermò di colpo e anche Mur, accortosi dell’attacco, si mise in posizione di guardia.
«Non illudetevi, la mia mira è migliore di così. Consideratelo solo un invito a non proseguire oltre!»
Una voce femminile ma autoritaria echeggiò nell’aria.
“Proviene dall’alto, ma da dove diamine è arrivata? Così furtiva poi…” pensò Kanon guardandosi intorno cercando di individuare la donna.
«Ti assicuro che veniamo in pace.» rispose Mur senza però smettere di rimanere in guardia. «Siamo qui per conferire con la Dea Artemide, abbiamo un messaggio importante da parte della Dea Athena»
Con una capriola Alexandra guizzò fuori dalle fronde e atterrò leggiadra davanti ai due cavalieri.
«Saint di Athena… questa si che è una strana coincidenza» rispose aspra la ragazza.
Kanon squadrò attentamente la figura che gli si parò di fronte: era solo una ragazza, giovane a guardarsi, dall’aspetto esile; eppure il suo viso trasmetteva una fermezza sconvolgente per quell’aspetto. Iniziò ad avanzare verso la donna.
«Si beh, coincidenza o no, noi avremmo una certa premura, quindi lasciaci passare, ragazza» Disse Kanon con un sorrisetto di sfida passando oltre la fanciulla.
Con un gesto repentino Alexandra afferrò il braccio del cavaliere di Gemini, sfoderando una forza anomala per la sua stazza, lo trascinò indietro e con un calcio assestato sull’addome lo rispedì indietro. Kanon venne sbattuto indietro ma non si piegò, ci voleva ben altra forza, ma il suo sguardo ora fulminò la ragazza.
«Povera me, gli dei non mi hanno concesso il dono dell’eloquenza! Cercherò di essere chiara: non andrete oltre!» si mise in posizione di difesa guardando con aria di sfida i due uomini.
«Senti ragazzetta non ti conviene giocare con i più grandi, potresti farti male! Cedi il passo altrimenti dovrò darti una bella lezione.» le si rivolse acido Kanon.
«Tu provaci.» fu la risposa.
Kanon che ormai era fuori di se si scagliò contro la ragazza cercando di colpirla con un pugno, tuttavia non considerò la velocità della ragazza che lo schivò colpendo a sua volta la schiena del cavaliere con il gomito.
Il cavaliere era a dir poco furioso, si voltò e alla vista del ghigno soddisfatto della ragazza inizò ad espandere il suo cosmo.
«Mi hai già stancato, adesso te la do io una lezione!»
Per tutta risposta anche la ragazza iniziò ad espandere il suo cosmo.
“Ma… quel cosmo…” pensarono all’unisono i due agghiacciati.
“K-Kanon…”
“Alexandra…”
 

Al santuario di Athena regnava una calma apparente. Vi era un nervosismo generale per quanto accaduto la sera prima. Saga camminava nervosamente avanti e indietro per la sala del trono, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri che turbinavano senza controllo nella sua mente.
Era preoccupato, la situazione poteva diventare critica da un momento all’altro. Inimicarsi il Padre degli Dei significava avere tutto l’Olimpo schierato contro, cosa pensavano di fare? Athena aveva dato ordine di inviare messaggeri a tutti i suoi fratelli alla disperata ricerca di alleati per una eventuale guerra, che sicuramente ci sarebbe stata, trattandosi di Zeus non poteva esserci dubbio alcuno.
Non dubitava della saggezza della sua Dea, non lo avrebbe mai fatto.
“Ma accidenti, cosa spera di ottenere inviando messaggeri? L’eventualità che gli altri Dei si schierino contro Zeus è…inconcepibile!”
Si fermò davanti al trono volgendo lo sguardo al pavimento, afflitto. 
«Saga…» la voce limpida di Athena echeggiò nella sala «qualcosa ti turba?»
«Mia signora… abbiamo tutti un motivo per essere turbati oggi.» si voltò a guardare la donna sprofondando in un riverente inchino.
«Abbi fiducia, Saga, solo quando perderemo la speranza saremo sconfitti.»
«Ma, mia Dea, sa bene che è improbabile che gli altri si schierino dalla nostra parte!» controbatté il Grande Sacerdote.
«Un nemico comune, può unire anche i più acerrimi nemici» rispose sibillina la Dea
«Non capisco» ammise Saga.
«C’è qualcun’altro che sta manovrando il gioco, dietro mio padre» iniziò la Athena voltando le spalle al cavaliere «qualcuno che aveva previsto il mio intento di cercare alleati, ed ha cercato di stroncare sul nascere qualsiasi alleanza ma…» si voltò verso Saga con un sorriso che faceva intravedere la Dea astuta che c’era in lei «forse possiamo volgere questa mossa avventata a nostro vantaggio…»
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 Cap 3 - Vecchie conoscenze
Una forte emanazione di cosmo la fece sussultare. Riconobbe subito il cosmo della sua compagna, Alexandra, e capì che qualcosa, al confine sud, non andava. Aveva percepito la presenza di un altro cosmo ostile, così familiare per lei. Sebbene non riuscisse a distinguerlo, le riportava alla mente ricordi confusi della sua infanzia.
Deianira, sacerdotessa di Artemide, prese il suo arco e la faretra e corse fra gli alberi dirigendosi al confine di Parnitha, ignorando l’ordine ricevuto di sorvegliare tassativamente la sua zona.
Era sempre stata una ribelle. Mal sopportava la sua vita all’interno dei boschi, così isolata e solitaria. Voleva bene alle sue compagne, eppure sentiva che la vita lì le andava fin troppo stretta, aveva sempre sognato l’amore, la libertà; tutte cose che lì non aveva e non avrebbe mai avuto.
Considerava la sua scelta di servire Artemide come un mero errore di gioventù, una leggerezza, e  aveva più volte insistito per lasciare il suo ruolo, ma una volta entrati non si poteva uscire: si era vincolati da un patto con la Dea. La cosa le faceva una gran rabbia, si sentiva imprigionata da catene invisibili ad una vita grigia e vuota.
Corse più veloce la sacerdotessa, sfrecciando fra gli alberi. “Il mio posto non è qui” si disse “Sono una bella ragazza, dopotutto”.
Ed era vero, anzi, a detta del gruppo, era la più bella fra di loro. Con i suoi lunghi capelli castani, gli occhi azzurri, il fisico slanciato ma formoso. Ne era convinta: se fosse uscita fuori da quella prigione d’alberi, non ci sarebbe stato uomo capace di resisterle.
Arrivata a destinazione sentì subito la voce della sacerdotessa proferire parole di sfida. “Sempre la stessa” sorrise “sempre sprezzante con chiunque le si pari davanti”. Aveva sempre ammirato Alexandra, la sua tenacia, la sua forza, la sua incorruttibile convinzione. Erano amiche, sorelle, da molto prima del loro ingresso fra le schiere di Artemide. Erano cresciute insieme, avevano condiviso un’infanzia felice e spensierata. Erano unite a tal punto che lei decise di seguirla nel suo ruolo di sacerdotessa. Questo pensiero la fece incupire: “che sciocca che sono stata, avrei dovuto seguire la mia strada” pensò con un velo di rabbia. Strinse i pugni e si avvicinò, nascondendosi dietro un grosso albero, per meglio vedere la scena.
Erano in due, gli sconosciuti; due contro una, sleale, eppure solo uno dei due sembrava comportarsi in modo ostile con la sacerdotessa. L’uomo era voltato di spalle, aveva lunghi capelli di un bel blu marino e vestiva un’armatura dorata, com’anche il suo compagno. “Quelle armature… Saint di Athena?”
Lo scontro volse a favore della ragazza che aveva appena colpito il cavaliere alle spalle. Quando questi si voltò, visibilmente furioso, a Deianira mancò un battito.
“Quel volto… Kanon!”
 
 
Alexandra venne investita da una scarica di emozioni contrastanti: odio, felicità, rancore, affetto.
Non sapeva nemmeno lei cosa le stesse accadendo. Il suo cosmo si affievolì come una fiamma che esaurisce la sua forza. Rimase lì immobile davanti al cavaliere, ora il suo volto, che fino a quel momento era rimasto come obliato dalla sua memoria e dal suo cuore, le appariva così familiare, così caro.
Dal canto suo, Kanon non aveva accennato a placarsi. Continuò a bruciare il suo cosmo sebbene il suo intento non fosse più quello di colpirla, o forse si; non lo sapeva più.
Era confuso il cavaliere, non sapeva come comportarsi con quella ragazza che non vedeva da una vita intera. Sapeva solo che non poteva permettersi di farsi distrarre dai suoi ricordi; ora quella donna era il suo nemico: abbassare la guardia, poteva rivelarsi un errore imperdonabile.
In quel momento di stallo intervenne Mur: si parò fra i due duellanti. «Adesso fermatevi! Non siamo qui per combattere» disse rivolgendosi ora a Kanon con uno sguardo eloquentemente ammonitore.
«Come ho detto poco prima, siamo qui per conferire con la vostra Dea. Non abbiamo intenzioni bellicose, siamo venuti qui come messaggeri di Athena.» disse pacatamente.
«Messaggeri di Athena…» intervenne Deianira, comparendo dagli alberi sotto lo sguardo stupito dei presenti «Beh, ad un messaggero non si nega mai il passaggio…» continuò con tono ammaliatore, camminando sinuosa verso i due cavalieri.
«Deianira ma…» le si rivolse Alexandra ancora in preda alla confusione.
«Deianira? Sei davvero tu?» Kanon la guardò esterrefatto. Non poteva crederci, non poteva credere che fosse davvero lei, proprio lei.
Mur guardò interrogativo Kanon, non capiva cosa stesse succedendo ma si sentiva tremendamente estraneo alla faccenda.
«Kanon… è passato tanto tempo.» fece un sorriso al cavaliere «Alexandra non posso credere che tu non lo abbia riconosciuto subito» Disse Deianira rivolgendosi alla compagna con finto stupore.
Alexandra arrossì impercettibilmente, poi, ritrovando la sua compostezza, sfoderò tutta la sua autorità «Io mi ricordo dei miei doveri, Deianira, conosco il mio compito, che è quello di proteggere questo luogo. Una sacerdotessa non può lasciare che ricordi o affetti interferiscano con il proprio ruolo» l’ammonì dura.
Kanon non poteva smettere di guardare la donna che aveva di fronte. Gli riportava alla mente tanti ricordi, tante emozioni provate da ragazzo. Era diventata una bella donna, Deianira. Bella in verità lo era sempre stata, fin da piccola, forse era proprio la sua bellezza che gliel’aveva fatta notare allora. Senza che lo volesse, i ricordi riaffiorarono alla memoria: si ricordò di quanto erano stati uniti, Saga, lui, e le due ragazze che aveva davanti. Si rammentò delle risate, degli scherzi, delle liti ingenue. Si ricordò della cotta che aveva per Deianira, e quest’ultimo pensiero lo fece vergognare come un bambino.
Ritrovando il controllo, dopo le dure parole di Alexandra, ricacciò indietro i ricordi.
«Direi che qui vi conoscete già tutti» interruppe Mur un po’ imbarazzato «Credo dunque che sia d’obbligo che anch’io mi presenti: Mur, Gold Saint di Aries al servizio di Athena, è un piacere fare la vostra conoscenza» disse con un cavalleresco inchino.
«Cos’è? Un salotto?» interruppe Kanon acido « Questi convenevoli mi danno ai nervi, abbiamo una missione da compiere, poi ce ne andremo e lasceremo questo luogo che ti sta tanto a cuore» si rivolse ad Alexandra con tono pungente, forse più quanto volesse realmente.
«Alexandra, credo che dovremmo condurli dalla Dea, potrebbe infuriarsi sapendo che abbiamo respinto due cavalieri di Athena, specie dopo quello che è successo…» disse Deianira. I due cavalieri non capirono a cosa la sacerdotessa si riferisse. Al contrario, Alexandra annuì complice.
«Bene» si limitò a rispondere acida, incamminandosi all’interno della foresta.
Deianira fece segno ai due di seguirla e i due lo fecero scambiandosi tuttavia uno sguardo perplesso.
 
 

In quello stesso momento nelle sale dell’Olimpo v’era un gran vociare: gli Dei erano irrequieti per quanto stava accadendo. Ognuno aveva un’opinione diversa riguardo il modo di affrontare la situazione. Chi sosteneva che si dovesse punire l’affronto subito, chi sosteneva una linea più morbida.
Zeus era seduto sul suo trono, pensieroso. Non interveniva nelle discussioni e si limitava ad ascoltare.
«L’affronto subito non può restare impunito, anche, e forse a maggior ragione, se ordito da Dei, nostri fratelli!» intervenne Era prendendo la parola «Non dimenticate che Athena si è già opposta al volere di due dei maggiori Dei dell’Olimpo! Quindi, cosa gli impedirà di scagliarsi contro ognuno di noi?»
«Non dimenticate, fratelli, che ella è la Dea dell’astuzia! È capace con le sue parole di indurre chiunque a schierarsi dalla sua parte. Come ha fatto con mia figlia, Persefone, inducendola a riportare in vita i suoi cavalieri blasfemi!» disse Demetra alzandosi dal suo seggio.
 D’un tratto le porte dorate della sala si aprirono.
«Perdonatemi, Padre, non era mia intenzione tardare. Ho delle novità» disse Ares, dio della Guerra, percorrendo a falcate la sala fino ad arrivare al cospetto di Zeus. Era un Dio affascinante, nonostante fosse d’una bellezza rude. Vestito della sua kamui rossa come il sangue e splendente come le fiamme della guerra, i capelli bruni e corti, la barba leggermente ispida. Il suo aspetto non tradiva la sua natura, era un guerriero brutale e violento.
S’inginocchiò di fronte al trono celeste, chinando il capo in segno di rispetto. «Mio Signore, vi porto notizie che confermano i miei timori, dei quali vi avevo già messo a parte: Athena si sta muovendo; manda messaggeri agli altri dei per convincerli a schierarsi dalla sua parte; chiunque rifiuti di darle appoggio, viene attaccato. Artemide ha già pagato il prezzo per il suo rifiuto…» disse simulando teatralmente un dolore lancinante all’altezza del cuore.
Zeus si alzò dal suo trono, e tutti i presenti si sedettero al loro posto aspettando in silenzio le parole del Dio.
«Athena è andata oltre ogni possibilità di redenzione. Non resta che farle pagare il prezzo della sua ribellione» disse cupo.
Ares nascose il suo sorriso sadico, rimanendo con il capo chinato di fronte al Padre; poi alzò lo sguardo sforzandosi di mostrare un’espressione preoccupata «e coloro che si schierano con lei?» chiese.
Zeus parve pensarci su; poi, con una profonda tristezza prima e una rabbia lacerante dopo, rispose:
«Pagheranno anche loro!».
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 Cap 4 - Al cospetto di Artemide
Il piccolo gruppo s’incamminò fra i boschi in religioso silenzio. Alexandra apriva la strada, camminando sicura fra gli alberi ed evitando ogni ostacolo quasi ad occhi chiusi, segno che conosceva quei luoghi come nessuno. I due cavalieri la seguivano anch’essi in silenzio. Mur sembrava essere turbato: il suo istinto di cavaliere gli suggeriva un pericolo imminente sebbene non riuscisse a capirne il motivo. “Siamo qui per discutere con la Dea Artemide. Non vedo cosa possa succedere di male, in fondo, nessuna ostilità vi è fra di noi.” Pensò il cavaliere sforzandosi di calmare le sue ansie.
Kanon al contrario del compagno non era affatto preoccupato per la situazione: in effetti, aveva ben altri pensieri che, scacciando prepotentemente qualsiasi altra preoccupazione, insistevano nella sua mente. Non poteva davvero credere a quello che era successo: nello stesso giorno aveva incontrato, dopo anni, la sua amica più cara e la ragazza per la quale, da ragazzo, aveva una cotta spaventosa.
E adesso proprio lui, il cavaliere che più di tutti aveva sempre soffocato tutte le sue emozioni, si trovava in preda alla confusione più totale per colpa delle stesse.
“Per gli Dei, Kanon, ritrova te stesso! Sono passati anni ormai, sei un uomo diverso! Non puoi lasciarti condizionare nuovamente dai ricordi. Sono pericolosi lo sai bene! Portano solo rancore e attaccamento, due cose che anni fa ti hanno spinto quasi alla follia!” Kanon cercò in tutti i modi di ritrovare quell’apatia, quell’indifferenza, che con tanta fatica aveva cercato di costruire attorno a sé negli ultimi anni. Non voleva ricadere nel baratro dell’oscurità, era convinto che il suo cuore fosse troppo debole, troppo fragile, così tanto che, lo sapeva, una misera goccia d’oscurità lo avrebbe corrotto nuovamente. No, non poteva permetterlo, non di nuovo. Era un Saint di Athena, la Dea lo aveva salvato dalla sua esistenza all’ombra della gelosia e della frustrazione; ritornare quello di un tempo, significava tradire nuovamente la sua Dea, e questo solo pensiero gli era insopportabile.
Deianira camminava dietro di due Saint, i suoi occhi squadravano da cima a fondo il cavaliere di Gemini: era diventato ancora più bello di quanto lo ricordasse, era così affascinante e virile con quel suo sguardo magnetico. La sacerdotessa, allungando il passo, si portò di fianco al cavaliere.
«Accidenti, ci rivediamo dopo tutti questi anni e la tua reazione è l’indifferenza? Mi deludi, Kanon» le disse la ragazza ostentando uno di quei suoi sorrisi che, sapeva bene, avrebbero sciolto anche il cuore più duro.
Come aveva previsto, Kanon si voltò a guardarla e lei poté chiaramente percepire che il suo animo era turbato, segno evidente che la sua presenza non lo lasciava indifferente. Il Saint non disse nulla e si limitò a proseguire il suo cammino.
«Che ti prende? Gli Dei ti hanno tolto la parola?» incalzò «Un tempo non ti saresti mai sognato di stare in silenzio con me, ricordo bene, sai? Che non perdevi occasione per rivolgermi la parola» scherzò lei portandosi davanti a Kanon e seguitando a camminare all’indietro per non staccare il suo volto dal suo.
«Deianira, sono passati anni, sono una persona molto diversa, ora» rispose Kanon celando al meglio qualsivoglia emozione.
Mur proseguiva il suo cammino cercando di ignorare la discussione, sebbene non potesse negare una certa curiosità riguardo il rapporto che presumibilmente i due avevano avuto.
Alexandra dal canto suo accelerò il passo, cercando di allontanarsi il più possibile dai tre. “Non ci posso credere! Non di nuovo!” La ragazza sembrava turbata e ringraziò gli Dei di essere in testa al gruppo così che non potessero vedere la sua espressione, che era un misto di rabbia e tristezza. Aveva già vissuto quelle situazioni tante volte, da ragazza, troppe volte. Negli anni passati nella foresta al servizio di Artemide, aveva scacciato tutti i suoi ricordi, che erano tremendamente dolorosi per lei; aveva provato a dimenticare e c’era riuscita, almeno fino a quel momento.
“Oh Dei! Perché mi fate questo? Ho dedicato la mia vita a voi e adesso mi punite nuovamente con questo tormento?” Pensò afflitta Alexandra.
Deianira sembrava indispettita della risposta di Kanon, ma non si diede per vinta, conosceva il suo fascino e quella situazione era una bella sfida per lei, una sfida che avrebbe colto e che avrebbe vinto.
«Kanon, Kanon, Kanon… tu non m’inganni.» disse maliziosa scuotendo il capo «Forse puoi celare il tuo animo agli altri, ma non a me. Ho conosciuto la tua parte migliore, ricordi? Non puoi…»
«Quello che hai conosciuto, Deianira, è morto diversi anni fa» tagliò corto Kanon, guardando acido la ragazza, facendole capire che la discussione era bella che conclusa.
Alexandra si fermò di colpo.
«Qualcosa non va?» chiese Mur.
I due Cavalieri guardarono volsero lo sguardo aldilà della ragazza. La foresta si apriva in una sorta di tempio naturale: le colonne erano possenti alberi intrecciati fra di loro, e le fronde di quest’ultimi creavano un’atmosfera mistica facendo filtrare pochi raggi di sole. In fondo alla sala vi era un’imponente statua della Dea Artemide: era di marmo d’un bianco luminoso, le frecce all’interno della faretra erano d’oro com’anche l’arco che reggeva con una mano. Con l’altra mano carezzava un piccolo cervo, animale sacro alla Dea, le cui corna erano anch’esse d’oro splendente. La statua era posta al centro di una vasca d’acqua cristallina ornata da piccole e rosee ninfee. Davanti la statua si ergeva il trono di marmo bianco della divinità, era anch’esso ricoperto da un leggero fogliame e da piccoli e delicati fiori.
«Siamo arrivati. Dosate bene le vostre parole, Saint di Athena» disse fredda la sacerdotessa, proseguendo verso il centro della sala.
I due la seguirono senza smettere di guardarsi intorno, mentre Deianira deviò verso la navata laterale raggiungendo le altre compagne sacerdotesse che guardavano con curiosità, e alcune con malizia, i due stranieri.
Arrivata davanti al marmoreo trono, Alexandra si inginocchiò. I due Saint si guardarono, chiedendosi silenziosamente dove fosse la Dea.
«Oh mia Dea, madre di tutti noi, ti chiedo umilmente udienza» iniziò la ragazza con tono solenne.
Al suono delle sue parole una leggere brezza si alzò nell’aria e tutte le altre sacerdotesse si inchinarono simultaneamente.
Un rumore di zoccoli nel terreno, dapprima indistinto e lontano, poi sempre più chiaro, riempì il silenzio della sala. Una luce abbagliante quasi accecò i due Saint che distolsero lo sguardo. Quando la luce si affievolì poterono ben distinguere una figura comparire da dietro l’imponente statua. Al galoppo di un grande cervo bianco la Dea fece il suo ingresso nella sala. Aveva lunghi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle che incorniciavano due occhi verdi come il muschio. Era vestita con un corto abito di lino bianco con una cintura di cuoio a cingerle la vita. Grossi fermagli dorati le reggevano il vestito sopra un seno non molto grande ma sodo, e due sandali alla schiava le avvolgevano i polpacci delle gambe perfette. Teneva stretta nella sua mano l’immancabile arco e la faretra colma di frecce argentee.
Il cavaliere di Aries rimase meravigliato, non aveva mai visto tanta grazia, neanche dalla sua Dea. Maledicendosi subito dopo per il pensiero fatto, non appena la divinità scese dalla groppa del suo destriero, fece un profondo inchino in segno di rispetto.
Kanon, invece, rimase impassibile alla vista di Artemide, rimase perfettamente eretto fissando la donna che aveva di fronte e quadrandola da capo a piedi per capire chi avesse realmente dinnanzi. Sempre diffidente: era questo che pensava fosse l’atteggiamento giusto nei confronti delle divinità. Non avrebbe mai portato rispetto a nessun Dio se non fosse stato certo che questi lo meritasse davvero. Insomma, l’ultima volta che era stato ossequioso con un Dio, era stato solo per ingannarlo.
Artemide avanzò lentamente verso il trono, guardando dall’alto in basso i due cavalieri. Si sedette sul duro marmo ostentando un modo di fare regale, o meglio, altezzoso, che al cavaliere della Terza Casa diede molto fastidio, e non esitò a mostrarlo facendo una smorfia.
«Alexandra, mia diletta, chi sono costoro, che porti qui al mio cospetto, violando palesemente il mio ordine di uccidere chiunque osi entrare nella mia foresta?» disse la Dea pacatamente, eppure il suo tono calmo aveva una nota rimprovero.
Mur precedette la sacerdotessa nel dare una risposta. «Mia Signora, siamo soltanto due cavalieri della Dea Athena, inviati qui con il solo scopo di riferire un messaggio.»
La Dea sorrise, ma il suo sorriso non era affatto dolce o tranquillizzante.
«Ebbene, siete venuti fin qui solo per un messaggio? Parlate dunque» ordinò.
Alexandra si mise a fianco della sua Dea mentre il cavaliere si alzò in piedi e obbedì alla richiesta. «Fatti molto gravi sono accaduti: Zeus, Padre degli Dei, si è scagliato contro la nostra Dea per punirla d’un crimine ch’ella non ha mai commesso. È stata ingiustamente accusata di aver mosso guerra alle altre divinità, quando in vero ella tutte le volte è stata deliberatamente attaccata dalle stesse. L’unico suo torto è stato quello di voler difendere l’umanità dai capricci degli altri Dei» Mur parlò lentamente ma con tono grave. Era davvero convinto di ogni parola: sapeva bene che Athena non aveva commesso alcunché, ed era anche convinto che Artemide le avrebbe dato man forte, in fondo anche lei era una divinità estremamente legata all’umanità.
«E dunque adesso, nell’ora in cui persino il Padre degli Dei le ha voltato le spalle, a lei ed al genere umano, vi chiede umilmente di prendere posizione al suo fianco, per difendere il mondo che, la mia Dea ne è convinta, anche a voi è così caro e…»
Il discorso serio e pacato del cavaliere dell’ariete venne interrotto dalla limpida risata della Dea della caccia.
«Ahahahah… cosa odono le mie orecchie! Athena, mia sorella, deve essere davvero una divinità coraggiosa come si dice, se viene a chiedere il mio aiuto adesso!»
I due cavalieri si guardarono confusi, non riuscivano a capire. Artemide prese una freccia argentata dalla faretra e cominciò a giocarci distrattamente.
«Ma la vostra presunzione, cavalieri, è ancora più sconcertante» disse disgustata «Venite fin qui, voi, luridi moscerini, ad implorare il mio aiuto, dopo ciò che avete deliberatamente fatto!» la voce della divinità ora era alterata come non mai; si alzò repentinamente dal suo trono e mosse qualche passo in direzione dei due Saint.
Mur era più confuso che mai: «Mia Signora?...» chiese.
«Guarda, Alexandra, perfino davanti l’evidenza sono capaci di negare» guardò la sacerdotessa, la quale abbassò lo sguardo riverente. «La vostra falsità non ha eguali»
La Dea si urtò ancora di più alla vista dei due Saint ancora perplessi.
«Glauce!» chiamò, e subito una sacerdotessa si avvicinò, zoppicando, al trono. Era malconcia: aveva numerose fasciature, una al braccio, alle gambe e all’addome; tutte con tracce di incrostazioni di sangue, segno che le sue ferite erano recenti.
«Dì chi ti ha ridotto in questo stato. Chi ha ucciso le nostre sorelle in un sanguinoso attacco, ieri.» la incitò dolcemente la Dea.
La ragazza era visibilmente molto provata dalle ferite, a stento con un filo di voce riuscì a parlare:
«S-Saint di A-Athena… sono arrivati nella n-notte…io e altre due sacerdotesse s-stavamo pattugliando il confine e…e…ci hanno colte alla s-sprovvista. Non riuscii a v-vederli bene, fu tutto così r-rapido. Ricordo solo l-le loro armature dorate e le loro parole… “Athena è v-vittoriosa!”»
Mur ascoltò la ragazza e il suo sguardo non tradiva le sue emozioni: era visibilmente angosciato e preoccupato per quanto stava sentendo. Anche Kanon ascoltò esterrefatto le parole della fanciulla non riuscendo tuttavia a capire come fosse possibile; si voltò verso Alexandra e il suo sguardo d’odio gli raggelò il sangue.
«Torna al tuo riposo, Glauce» acconsentì Artemide e la ragazza si allontanò con un inchino. La Dea guardò i due cavalieri con sguardo truce.
«Non ha limiti la vostra vigliaccheria! Avete commesso un imperdonabile sbaglio a venire qui dopo ciò che avete fatto!» fece un cenno e tutte le sacerdotesse puntarono l’arco contro i due giovani, tutte tranne Deianira, la quale si limitò a guardare la scena con crescente preoccupazione.
«Ehi, fermi tutti!» prese per la prima volta la parola Kanon, facendo qualche passo avanti, mentre Alexandra lo teneva sotto tiro. «Come potete credere ad una storia simile? Quale motivo avremmo avuto? Senza contare che non saremmo stati così idioti da venire qui a chiedere aiuto dopo aver commesso un simile gesto!» disse il cavaliere con un ghigno beffardo sul volto.
La Dea gli puntò contro la  freccia che aveva in mano «Kanon di Gemini, già una volta ti sei preso gioco degli Dei. Non-farlo-nuovamente.» Artemide scandì l’ultima frase a denti stretti.
«Mia signora, chiedo la parola.» disse Mur e, al silenzio prolungato della donna, continuò: «posso garantirle che non v’è alcun Saint fra di noi che compirebbe un simile infame gesto. Tuttavia, esiste qualcuno che è capace di ordire un simile inganno, qualcuno che già ai tempi del mito creò discordia fra gli Dei…»
Artemide distolse lo sguardo e parve riflettere sulle sue parole.
«Eris…» spalancò gli occhi con un misto di stupore e rabbia.
Mur abbassò lo sguardo «La mia Dea è certa che ella è solo una pedina di questi scacchi insanguinati… qualcuno più in alto di lei regge i fili di questo inganno…»
Artemide fece cenno alle sacerdotesse di abbassare le armi. «Le accuse di Athena sono molto gravi... Quand’anche fosse vero ciò che dici, come posso esserne sicura?»
«Mi sembra piuttosto chiaro: la nostra sola presenza qui è una prova della verità» commentò stizzito Kanon.
La donna parve non ascoltare le parole del Saint «Una, e una sola, è la persona della cui verità mi fiderò» decretò «L’oracolo di Delfi, la Pizia al servizio di Apollo, mio fratello, mi dirà se la vostra è la verità» decise infine.
«Bene, allora…» iniziò a dire Kanon, ma fu interrotto dalle Dea: «Due mie sacerdotesse vi scorteranno dall’oracolo, e testimonieranno la sua risposta. Se dite il falso, non esiteranno ad uccidervi» li minacciò. «Alexandra» si rivolse poi alla sacerdotessa che si avvicinò e si inginocchiò davanti la divinità «tu accompagnerai questi due cavalieri dall’oracolo, scegli un’altra sorella per la missione e portala a termine, in qualsiasi circostanza!» ordinò.
«Si, mia Signora. Mi riservo, con il vostro permesso, qualche ora di tempo per decidere quale delle mie compagne portare» disse la ragazza.
«Sia. Spero per voi, cavalieri, che le vostre parole siano sincere» Detto ciò la divinità salì in groppa al suo cervo e, con lo stesso bagliore, svanì.
Kanon guardò scocciato il suo compagno. «Non ci posso credere! Adesso dobbiamo andare fino a Delfi perché quella sciocca crede solo alle parole della Pizia?!»
«Kanon non…» lo riprese Mur, ma venne interrotto dal tono acido di Alexandra: «Ti consiglio di tenere a freno quella lingua finché ti trovi qui. Non tollererò un altro insulto alla mia Dea»
«Senti, a me non importa affatto né di questo luogo né della tua Dea né…né di te» Kanon finì la frase poco convinto.
Deianira si avvicinò, correndo, agli altri, con il suo solito sorriso malizioso. «Alexandra, verrò io con te!» disse.
«Spetta a me scegliere, Deianira»
«Suvvia, lo sai che sono un ottimo elemento! Sono la migliore qui e lo sai! Avrai bisogno di me, ti prego!» la supplicò lei facendole gli occhi da cerbiatta.
«Si, questo è vero…» si prese del tempo per pensare poi, sconfitta, disse «Va bene, hai vinto. Prepara la tua roba, partiamo tra un’ora.»
Deianira guardò soddisfatta Kanon. “Bene, sta andando tutto per il verso giusto” pensò sornione la ragazza.
Sia Kanon che Alexandra sospirarono e all’unisono pensarono:
“Ci mancava solo questa!”
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 Cap 5 - In cammino
Era primo pomeriggio quando i quattro partirono verso Delfi. Appena varcati i confini di Parnitha, si diressero a Nord, sotto la guida di Alexandra, evitando le vie principali.
«Dovremmo impiegare circa un giorno e mezzo di cammino per raggiungere il Tempio di Apollo, dove risiede la Pizia» decretò la ragazza, mantenendo un tono glaciale.
Kanon, che fino a quel momento non aveva proferito parola, nonostante le insistenze di Deianira, si rivolse ad Alexandra:
«Ci impiegheremmo di meno se noleggiassimo un’auto in uno di questi paesi» commentò sarcastico.
«Concordo con Kanon» lo spalleggiò Deianira «E poi, prima arriviamo, prima risolveremo la faccenda».
«Non mi sembra il caso. Conciati come siamo, daremmo nell’occhio in qualsiasi cittadina della Grecia. Proseguiremo a piedi» il tono della sacerdotessa non ammetteva repliche.
Mur, dal canto suo, si limitò a concordare con Alexandra, sostenendo che non era il caso di cercare altri contrattempi e che la missione doveva svolgersi il più rapidamente possibile.
Il viaggio proseguì pressappoco serenamente: ogni tanto Deianira, che non voleva saperne di mollare la presa con Kanon, si avvicinava a questi rivolgendogli domande maliziose in merito al loro rapporto ed egli, infastidito e imbarazzato dalle discussioni, glissava i discorsi rivolgendo la parola al cavaliere dell’Ariete.
Il sole era tramontato da un pezzo e il rosso del cielo aveva lasciato il posto al profondo blu della notte. Le stelle brillavano intensamente in quella notte, neanche minimamente rischiarata dalla luna. Alexandra si fermò di colpo, constatando che erano giunti nei pressi di Thiva, l’antica Tebe. «Ci accamperemo in quelle rovine» disse indicando su di una collina poco distante delle rovine, che a causa del buio a mala pena si distinguevano «e domani mattina, alle prime luci dell’alba, proseguiremo».
Arrivati alle rovine Alexandra si sedette su di una colonna caduta: un tempo sicuramente faceva parte di un imponente tempio ma ora era solo parte di sterminate macerie sommerse dalle sterpaglie.
«Deianira» si rivolse alla compagna cercando di celare la stanchezza causata dal viaggio «vedi se riesci a rimediare dell’acqua e riempi le borracce. Domani il caldo sole dell’entroterra greco ci abbrustolirà come polli allo spiedo» detto questo lanciò le borracce alla ragazza la quale, facendo una smorfia, si allontanò con disappunto dal cavaliere dei Gemelli per inoltrarsi nel piccolo boschetto vicino.
«Io vedrò di reperire della legna per il fuoco» intervenne Mur anticipando le intenzioni della ragazza che, per tutta risposta, sorrise, per la prima volta, grata del gesto.
Kanon fissò la sacerdotessa per un momento, senza darlo a vedere, e sorrise a sua volta.
Alexandra, rimasti soli, si voltò istintivamente a guardare il giovane Saint, il quale distolse immediatamente lo sguardo tornando ad assumere la sua solita espressione apatica. Con una breve emanazione di cosmo il cavaliere della Terza Casa si liberò della sua armatura, la quale si ricompose poco distante da lui. Rimase con leggeri abiti di lino ed assaporò la fresca ebbrezza della sera sul suo corpo, alleggerito dall’assenza dell’armatura.
La sacerdotessa, senza rendersene conto, era rimasta a fissare il corpo statuario del Saint, totalmente assorta in chissà quali pensieri. Soltanto quando Kanon incrociò lo sguardo con il suo, fissandola interrogativo, girò immediatamente altrove il volto, imbarazzata. Saltando giù dalla colonna come un pupazzo a molla, si voltò dando le spalle al cavaliere e si privò anch’ella del peso del suo arco e della faretra.
Kanon, confuso per la strana reazione della ragazza, che fino a quel momento aveva ostentato un portamento fiero e freddo nei confronti di tutti, non poté tuttavia astenersi dal soffermarsi a guardare lo spettacolo che la sacerdotessa, involontariamente, gli stava offrendo: tolta la faretra, non poté fare a meno di notare che il vestito della ragazza, già di per sé molto corto, aveva anche una pronunciata scollatura sulla schiena.
Alla vista della sua schiena nuda, provò uno strano brivido; i lunghi capelli bruni che la ragazza aveva raccolto sul davanti, lasciavano scoperta una generosa porzione del suo collo e il cavaliere si ritrovò a percorrere idealmente quel tragitto che andava dal suo bel collo giù fino alla scollatura sulla schiena, e poi sempre più giù…
Quando si rese conto dei suoi pensieri, si voltò di scatto dando anch’egli le spalle alla sacerdotessa.
“Maledizione! Ma che ti prende” si rimproverò duro “non puoi fare certi pensieri, non su di lei!... anche se… in fondo lei è una bella ragazza e io sono pur sempre un uomo: la reazione è perfettamente normale. È solo mero desiderio animale, come l’ho provato tante altre volte con tutte quelle ancelle del Grande Tempio” si rassicurò lui, nonostante avesse deciso di allontanare quei pensieri pericolosi.
Fortunatamente, a salvarli da quella situazione imbarazzante ci pensò Mur, di ritorno, carico di legna da ardere.
«Ti ringrazio, Mur di Aries» disse Alexandra sorridendo e prendendo la legna dalle mani del cavaliere.
«Ti prego, chiamami semplicemente Mur e dammi del tu» rispose con un gran sorriso per poi spogliarsi anch’egli della sua armatura.
Si sedettero tutti e tre attorno al fuoco appena acceso e scoppiettante, a rompere il silenzio ci pensò nuovamente il cavaliere della Prima Casa:
«Quando arriveremo a Delfi, sono sicuro che la Pizia confermerà tutte le nostre parole, sicché l’alleanza tra di noi potrà dirsi suggellata» disse con un sorriso carico di speranza, al che la sacerdotessa volse lo sguardo altrove, visibilmente incupita.
«Non credo di sbagliare, Alexandra, nel sostenere che anche tu, in fondo, credi alle nostre parole…».
Mur le sorrise incoraggiante e lei sorrise di rimando; ma prima che riuscisse a proferire parola, venne anticipata dal cavaliere di Gemini:
«Beh, se davvero è così, poteva anche mettere una buona parola con Artemide. Forse così ci saremmo risparmiati questa inutile gitarella a Delfi» disse sprezzante.
Mur lo fulminò con lo sguardo, ma fu nulla in confronto allo sguardo che gli lanciò la sacerdotessa: uno sguardo talmente collerico che se avesse avuto il potere di incenerire, del Saint dei Gemelli non sarebbe rimasta che polvere.
«Per quale assurdo motivo avrei dovuto farlo? Con te poi! Conoscevo bene l’uomo che avevo di fronte: un traditore. Un traditore di Dei e di uomini. Perfino tuo fratello non hai risparmiato dai tuoi inganni!» Alexandra era fuori di se.
Mur si chiese istintivamente come facesse quella ragazza a sapere tutti i trascorsi di Kanon, ma quest’ultimo non gli diede neanche il tempo d formulare la domanda nella sua mente, che subito si scagliò contro lei.
«Pensi forse di sapere qualcosa di me?» le chiese di rimando, ormai furente.
«So bene cosa sei diventato» lo fronteggiò lei.
«Hai un gran coraggio a parlare tu di tradimenti! Proprio tu che hai tradito la fiducia di tutti noi per andare a servire una Dea che non significava nulla per te!» le sue parole erano colme di disprezzo.
Alexandra fece per colpire Kanon con un pugno in pieno volto, ma questi, intercettando il colpo, le afferrò il polso bloccandolo a pochi centimetri dal suo viso.
«Tu non hai mai capito niente di me. E mai capirai» disse lei e con uno strattone la ragazza si liberò dalla presa di Kanon, il quale si voltò e bofonchiando «Vado a cercare Deianira, non è ancora tornata» si addentrò nella boscaglia.
 

“Quella insolente!” pensò furibondo Kanon “Come si permette di giudicare me? proprio lei!”
Improvvisamente i ricordi si fecero strada nella sua mente.

*********************
Il sole stava tramontando al Santuario di Athena; Kanon era nell’arena e stava animatamente discutendo con lei.
«Me ne vado» disse perentoria la ragazza che aveva di fronte. Aveva i capelli bruni e corti all’altezza del viso, il quale era celato, come consuetudine, da una maschera argentata.
«Come sarebbe “me ne vado”?» rispose uno stupito e ben più giovane Kanon.
«Ho deciso di servire la Dea Artemide, mi unirò alle sue sacerdotesse, domani…» disse la ragazza celando dietro il metallo della sua maschera qualsivoglia emozione.
Kanon sentì montare la collera dentro di sé.
«Perché lo fai?» ruggì «Ci eravamo promessi di servire Athena insieme, te ne sei già dimenticata?» il suo sguardo era sconvolto.
In quel momento arrivò Saga e lei si voltò a guardarlo per un istante, per poi abbassare lo sguardo in silenzio. Kanon guardò alternatamente entrambi.
«Tu lo sapevi!» disse al gemello «lo sapevi e non hai detto o fatto nulla!».
«Kanon…» Saga provò a parlare ma venne zittito dalle parole del fratello.
«Perché mai mi stupisco. Avete sempre preso le decisioni insieme, voi due, senza mai curarvi di coinvolgermi!» Kanon guardò con rancore la ragazza che aveva di fronte e quando questa alzò lo sguardo avrebbe voluto strapparle via quella maschera  e vedere finalmente le emozioni sul suo viso. Ma non lo fece.
Alexandra si voltò dandogli le spalle e si tolse la maschera.
«Addio, Kanon!» la voce incrinata, prima di scappare via correndo lasciando ai piedi del ragazzo la  maschera.
 
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Quella fu l’ultima volta che la vide. Lei e Deianira partirono l’indomani.
Il suo cuore iniziò a battere più volte, pervaso da una moltitudine di emozioni differenti. Strinse i pugni talmente forte che le sue nocche divennero bianche.
Poi, un rumore dietro di sé lo fece trasalire.
«Kanon!» la voce di Deianira lo rassicurò. Si voltò e alle sue spalle vide la ragazza sorridente «Non volevo spaventarti» disse ridacchiando.
«Non mi hai affatto a spaventato» mentì «Ti ci vuole così tanto per riempire due misere borracce?» commentò beffardo.
«Non essere così strafottente» lo ammonì lei sorridendo per poi superarlo proseguendo sui suoi passi. «Ma visto che hai tanta fretta, puoi sempre venire a darmi una mano…» disse girandosi e lanciando a Kanon le due borracce.
«Si, certo, basta che ci sbrighiamo» tagliò corto lui seguendola.
Dopo pochi minuti arrivarono ad una fonte immersa nella vegetazione. L’acqua che sgorgava dalla sorgente creava un modesto laghetto di acqua cristallina circondato da un canneto e da altre piante acquatiche.
Kanon aprì le borracce e si avvicinò alla sorgente per riempirle. Notò che nonostante le dimensioni della pozza, l’acqua diventava subito profonda.
“Che strano…” pensò. Ogni sua riflessione però venne interrotta da Deianira: la ragazza, dopo aver posato arco e frecce, iniziò ad entrare lentamente e aggraziatamente in acqua.
«Ma che stai facendo?» Kanon era realmente confuso.
La fanciulla si voltò sorridente; il suo abito già striminzito, si era completamente bagnato diventando trasparente e aderendo perfettamente al suo corpo lasciando intravedere ogni dettaglio delle sue forme.
«A te che sembra? Faccio un bagno» rispose maliziosa.
Kanon si sforzò di mantenere il controllo, ma lo spettacolo che la sacerdotessa le stava mostrando era troppo anche per lui: aveva un corpo perfetto ed era di una bellezza disarmante.
Deianira conosceva bene le sue doti e non mostrò alcuna remora nell’utilizzarle per raggiungere il suo scopo.
«Deianira, esci, non abbiamo tempo per certe cose» Kanon si sforzò di mantenere tutto il suo autocontrollo.
Per tutta risposta la ragazza si avvicinò a lui, uscendo dall’acqua e ostentando uno sguardo da cerbiatta fintamente deluso. «Non capisco a quali “cose” ti riferisci… ma comunque, non vedo il motivo di tutta questa fretta…» i due erano tremendamente vicini, la ragazza gli si avvicinò così tanto che anche i suoi vestiti finirono per bagnarsi lasciando intravedere i suoi addominali scolpiti.
Deianira gli posò le mani sul petto e si morse il labbro avvicinandosi poi alla sua bocca.
D’un tratto l’acqua della fonte iniziò a gorgheggiare agitandosi come una pentola a bollore.
I due si separarono e Kanon si pose davanti la fanciulla mettendosi in posizione di guardia. Dall’acqua uscì un enorme drago acquatico. Aveva le sembianze di un enorme serpente a tre teste e la sua coda altrettanto grande strepitava fendendo l’aria attorno a sé. Kanon e Deianira rimasero sconcertati alla vista dell’enorme essere. Le teste del drago si contorcevano su se stesse, sibilando, finché quella nel mezzo, individuando i due intrusi, si scagliò verso di loro con le fauci aperte.
Kanon ebbe la prontezza di scansare Deianira dalla traiettoria del serpentone, per poi evitare lui stesso l’attacco con una capriola all’indietro.
Le altre due teste, inferocitesi per il colpo non andato a segno, si scagliarono insieme sul cavaliere che, muovendosi più rapidamente possibile, cercava di evitare tutti gli attacchi. Un colpo di coda del mostruoso essere lo colpì in pieno petto e il Saint venne scaraventato contro un albero, che si ruppe a causa del potente urto. Deianira quando vide Kanon in difficoltà riprese il suo arco e le sue frecce appena in tempo per scagliarne una contro l’animale che si stava avventando sul cavaliere.
La freccia sbatté contro la dura corazza dell’animale senza penetrarla, anzi venne deviata dalle dure scaglie della sua pelle.
Deianira ottenne che l’animale distolse la sua attenzione da Kanon, che nel mentre si stava rialzando, dolorante per il colpo subito; tuttavia l’enorme serpente si diresse all’attacco verso di lei che ora indietreggiava impaurita. Una delle teste partì all’attacco.
«CRYSTAL WALL!»
L’enorme testa di serpente andò a cozzare contro un muro invisibile. Subito dopo una, due, tre frecce si abbatterono a raffica sull’animale, venendo tuttavia respinte come la precedente.
Alexandra andò a soccorrere una Deianira ancora atterrita, mentre Mur, con indosso la sua armatura, si sincerava delle condizioni del compagno che, ormai rialzatosi, stava per ripartire all’attacco.
I due Saint saltarono in groppa all’enorme serpente, e cingendo due delle tre teste che si divincolavano, cercarono di spezzarle mentre l’altra testa si contorceva cercando di scacciare gli assalitori.
Nonostante ciò i due cavalieri riuscirono a spezzare il collo delle due teste che si afflosciarono subito dopo un sonoro crack. La testa rimasta iniziò a contorcersi più forte e con un colpo di coda l’animale spazzò via prima Mur e poi Kanon, il quale cadde all’indietro rimanendo a terra di fronte al mostro inferocito.
La bestia si lanciò con le fauci spalancate all’attacco ma prima che potesse raggiungere il cavaliere una freccia gli venne scagliata in bocca trapassandogli il cranio. L’animale rimase bloccato un istante per poi cadere rumorosamente a terra a pochi centimetri dal Saint di Gemini.
Kanon si voltò indietro e vide Alexandra ancora in posizione con l’arco fra le mani. Mur sospirò per lo scampato pericolo e si avvicinò a Deianira per rassicurarla, ma questa evitò  il cavaliere di Aries e si buttò fra le braccia di Kanon.
Solo allora Alexandra si rese conto delle condizioni inequivocabili in cui versavano la sua compagna e Kanon: entrambi con vestiti interamente fradici.
Una tremenda fitta al cuore la bloccò; rimase lì a fissare i due con occhi vuoti mentre Kanon ricambiava il suo sguardo senza sapere come comportarsi.
«Ma che mostruosità era?» Mur intervenne a sgelare la situazione.
La bruna sacerdotessa a quelle parole si riprese dal suo stato di catalessi: «Il drago di Cadmo…» rispose perplessa. «Ai tempi del mito, questa fonte era sorvegliata da un drago appartenente ad Ares, Dio della Guerra. Ma Cadmo lo uccise… non riesco a capire come mai fosse ancora vivo. L’unico capace di una cosa simile è proprio il divino Ares.» constatò.
«Segno che Ares non è certo dalla nostra parte» si limitò a commentare il cavaliere della Prima Casa non senza una crescente preoccupazione.
Kanon si alzò e scostò delicatamente da sé Deianira. «Se il Dio della Guerra è contro di noi, credo che dovremo prestare particolare attenzione lungo il nostro cammino» disse Kanon freddamente.
Alexandra si voltò non prestando ascolto alle parole del Saint. «Dobbiamo riposare, domani ci attende un lungo cammino» disse con la voce leggermente tremante. Si addentrò poi nel piccolo boschetto distanziando gli altri, mentre, non vista, una lacrima solitaria le bagnava il volto.
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« Ultima modifica: 29 Settembre, 2017, 22:39:32 pm da Pandora »

Offline Pandora

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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #1 il: 29 Settembre, 2017, 22:45:30 pm »
Scusate ma grazie ad una segnalazione mi sono accorta che il forum mi aveva censurato la maggior parte della storia perchè troppo lunga da inserire in un solo post :XD: rimedio postando 2 cap a volta.

 Cap 6 - Pit stop
Le prime luci dell’alba iniziarono a rischiarare il cielo, ormai il buio della notte era lontano.
Alexandra era sveglia già da un pezzo; non era riuscita a dormire granché quella notte, presa com’era da ciò che era successo la notte prima: il pensiero di quei due stretti insieme la turbava più di quanto fosse disposta ad ammettere.
Anche Mur si era svegliato di buon mattino; com’era sua abitudine fare, si era allontanato dagli altri per fare una passeggiata e, aveva detto alla sacerdotessa, per dare un’occhiata in giro.
Kanon e Deianira dormivano ancora. Alexandra si soffermò un istante a guardare il cavaliere: era ancora immerso in sonno profondo, coricato di schiena con le braccia a sorreggere la nuca a mo’ di cuscino. Il suo respiro era regolare, nonostante il suo volto tradisse una certa irrequietezza, come fosse in preda ad un sonno senza requie, carico di pensieri e preoccupazioni. I capelli lunghi e leggermente scompigliati gli ricadevano morbidi sulle spalle e sul petto scolpito, mentre una ciocca di capelli ribelle gli scendeva davanti gli occhi coprendogli il viso e muovendosi a ritmo del suo respiro. La sacerdotessa provò una vena di tenerezza alla vista del Saint e, mossa da un desiderio irrefrenabile, si avvicinò per spostare quella ciocca dal suo viso. Tuttavia il suo orgoglio ebbe la meglio: ritrasse la mano un istante prima che questa sfiorasse il volto del cavaliere. Strinse quella stessa mano in un pugno e, voltandosi, si allontanò svelta da lui. Raccolse nervosamente il suo arco e la faretra, per poi metterseli entrambi sulle spalle; nel farlo, però, una delle frecce cadde a terra dietro di lei. Fece appena in tempo a voltarsi che si trovò con il petto muscoloso del Saint davani agli occhi. Alzò lo sguardo incrociando quello di Kanon che la fissava con un’espressione indecifrabile. Il Saint, senza dire nulla, si abbassò davanti a lei sfiorandole appena il corpo; raccolse la freccia e, una volta rialzatosi, la rimise nella faretra alle spalle della ragazza.
«Devi fare attenzione…potrebbero servirci tutte lungo il cammino» disse Kanon con la voce ancora un po’ roca a causa del sonno.
Alexandra rimase lì immobile a fissarlo per poi scostarsi da quella vicinanza imbarazzante indietreggiando di qualche passo.
«È già tardi, dobbiamo metterci in cammino» disse lei schiarendosi la voce e cercando di mantenere un tono autoritario. Kanon sorrise.
La sacerdotessa si avvicinò alla sua compagna che dormiva ancora beatamente.
«Deianira…Deianira svegliati è ora di metterci in marcia» la strattonò appena.
«Mmmhhh… Alex no…ti prego, è ancora presto…il sole non si è ancora svegliato e vuoi che lo faccia io?» mugugnò nel sogno Deianira.
Alexandra sopirò. Non riuscendo tuttavia a trattenere un sorriso. Quella scena le era fin troppo familiare. Le tornarono alla mente i tempi dell’addestramento: cominciavano sempre molto presto e Deianira aveva sempre fatto fatica ad alzarsi e ad essere puntuale, incorrendo fin troppo spesso nelle lamentele dell’addestratrice. Alexandra era sempre stata quella più diligente, sempre puntuale e obbediente, una gioia per i maestri; nonostante la natura ribelle della sua amica, non aveva mai esitato a coprire le malefatte della ragazza, che sembrava provare un certo gusto nell’attirare su di sé i rimproveri delle sacerdotesse più anziane. Erano legate da una profonda amicizia, anzi, erano più che amiche, erano sorelle: sempre unite, sempre a spalleggiarsi l’un l’altra.
«Nira, su, non possiamo tardare» disse Alexandra  sorridendo dolcemente e accarezzandole i lunghi capelli castani.
«Mmhh… e va bene… sono sveglia» Deianira si alzò sbadigliando e aggiustando alla bell’e meglio i capelli. Non appena mise a fuoco il cavaliere di Gemini che la stava fissando, arrossì maledicendosi per lo spettacolo poco aggraziato che stava mostrando al suo adone.
Subito si ricompose, prendendo anch’ella arco e frecce, quando improvvisamente sentì i morsi della fame stringerle lo stomaco. Si ricordò che non avevano mangiato nulla dal giorno precedente, presi com’erano prima dal viaggio e poi dall’attacco del drago.
Mur fece ritorno poco dopo, sorridente nel vedere che erano già tutti svegli.
«Ho buone notizie.» annunciò «Ho trovato un piccolissimo, nonché isolato, paesino a poca distanza da qui. Suggerirei di recarci lì per fare rifornimento, rifocillarci e mangiare qualcosa» propose molto diplomaticamente.
«Non credo affatto che sia una buona idea: non è il caso di recarci in luoghi affollati, attireremmo troppo l’attenzione» decretò Alexandra, pur con poca convinzione. In effetti, anche lei sentiva il bisogno di mangiare e sapeva bene che avevano necessità di fare rifornimento di viveri.
«Suvvia Alex, è solo un paesino sperduto dal mondo, nessuno farà caso a noi. Ci potremmo cambiare e soprattutto mangiare qualcosa: sai che non andremo molto lontani ridotti così» la implorò Deianira e stranamente le sue parole risultarono essere molto convincenti per Alexandra.
«Ha ragione» intervenne Kanon «inoltre, visto quanto accaduto ieri, non è prudente proseguire per sentieri isolati, saremmo maggiormente esposti ad attacchi».
Mur si limitò a concordare con il compagno. Ad Alexandra non restò che acconsentire alle richieste: in tre contro una, non aveva scelta.
In poco più di mezz’ora di cammino arrivarono ad un piccolo paesino collinare. “Effettivamente è un posto dimenticato dagli Dei” pensò Alexandra constatando che non dovevano viverci più di duecento persone.
Arrivarono alla piccolissima piazzetta al centro del paesino. Era quasi deserta: c’erano solo due o tre vecchietti seduti a chiacchierare su di una panchina.
«Dunque, dobbiamo innanzitutto cambiarci, approfittando del fatto che a quest’ora il paese è ancora poco affollato» disse Alexandra.
«Perché, tu pensi che possa mai diventare più affollato di così?» commentò sarcastica Deianira, guardandosi attorno.
«In effetti…» annuì Kanon.
«Vedo un piccolo negozio di abbigliamento» disse Mur indicando una piccola bottega in fondo alla piazza.
Il piccolo gruppo si avviò verso il negozio, sotto lo sguardo perplesso dei tre vecchietti che sicuramente avevano trovato la notizia della quale parlare per la successiva settimana.
Arrivati di fronte la vetrina del negozietto, Kanon inarcò un sopracciglio quando  lesse il nome sull’insegna, fucsia e pomposa, sopra l’ingresso: “Fashion”.
Entrarono, tutti un po’ perplessi, all’interno. Individuarono subito quella che doveva essere la commessa, appoggiata al bancone con aria annoiata.
«Mi scusi…» si fece notare Alexandra «Avremmo bisogno di comprare degli indumenti».
Senza che la commessa avesse il tempo di rispondere, dal retro del negozio saltò fuori un uomo, tutto sorridente, che andò incontro a quelli che, probabilmente, dovevano essere i primi clienti da settimane.
«Benvenuti, benvenuti» disse l’uomo sornione. Aveva un aspetto a dir poco bizzarro; oltre al fatto che di mascolino aveva ben poco era anche vestito in modo improponibile: indossava un paio di pantaloni bianchi candidi e una camicia fucsia carica di fronzoli.
Kanon lo guardò disgustato, senza curarsi di non darlo a vedere, mentre Deianira non poté fare a meno di ridacchiare.
Mur e Alexandra invece sorrisero educatamente all’uomo che, prendendoli a braccetto, li fece accomodare in negozio illustrandogli la mercanzia.
«Ci credo che avete bisogno di abiti» disse l’uomo squadrandoli «siete conciati in modo così bizzarro» constatò sospettoso.
«Festa di paese…in costume…ieri abbiamo finito molto tardi e non siamo riusciti a cambiarci» si giustificò Deianira mentre Alexandra la ringraziava mentalmente di aver trovato una scusa così credibile. L’uomo parve credere alle parole della ragazza perché, senza dilungarsi oltre, li accompagnò ai camerini.
Dopo poco meno di un’ora, passata a vedere abiti su abiti, perlopiù indecenti, scelsero quelli che gli sembrarono più normali. Mur andò alla cassa per pagare gli acquisti: fortunatamente aveva con sé la carta di credito della Fondazione Kido, affidatagli da Athena “per ogni evenienza” aveva detto ridacchiando la reincarnazione della Dea.
Mur e Kanon uscirono per primi dal negozio, mentre le due sacerdotesse si stavano ancora cambiando. Mur aveva scelto un paio di pantaloni marroni abbinati ad una semplice polo bianca ed a delle scarpe comode, sempre marroni.
Kanon, che si era mostrato a dir poco restio a provare gli infiniti vestiti osceni consigliati dal proprietario, aveva alla fine optato per un jeans scuro, una maglietta aderente blu scuro con una fantasia simil tribale bianca sul davanti e delle Hogan anch’esse blu.
Nonostante non fossero neanche le nove del mattino, il sole iniziava già a bruciare sulla pelle, indice che la giornata sarebbe stata molto afosa.
La prima ad uscire delle due fu Deianira, tutta sorridente al pensiero di aver fatto il suo primo acquisto, e di non dover più indossare l’abito formale delle sacerdotesse. Aveva scelto una gonnellina bianca a balze, molto corta, e un top scollato verde smeraldo, indossando ai piedi un paio di sandali alla schiava. Kanon guardò attentamente la sacerdotessa, soffermandosi molto e con troppo interesse sulla sua scollatura. Allo sguardo malizioso della ragazza, che di certo aveva scelto volutamente quegli abiti per esaltare la sua femminilità, il cavaliere distolse lo sguardo, che tuttavia venne subito catturato dalla figura di Alexandra.
La ragazza uscì chiacchierando con il proprietario del negozio, il quale non la finiva più di complimentarsi con loro per l’ottima scelta degli abiti, per poi ammaliare la ragazza con complimenti maliziosi.
«Questi vestiti sembrano essere stati cuciti apposta per te» le disse.
«Si, certo, la ringrazio. Ora dobbiamo andare, sa, abbiamo tante cose da fare» rispose educatamente Alexandra cercando ti tagliare la discussione.
Indossava un paio di pantaloncini di jeans davvero molto corti, cosa che, inizialmente, la stava facendo desistere dal comprarli e solo con le continue insistenze di Deianira, alla fine, aveva ceduto. Aveva abbinato anche una magliettina aderente nera con una profonda scollatura a V che le metteva in mostra il seno e un paio di sandali anch’essi neri, molto semplici. Visto il caldo, aveva anche deciso di legare i suoi lunghi capelli in una coda alta che le lasciava ricadere attorno al viso alcune ciocche, lasciando tuttavia in bella mostra il suo collo. Fu proprio questo particolare a catturare l’attenzione di Kanon che, per la seconda volta, si ritrovò a percorrere idealmente il suo collo, giù per la scollatura del seno, e poi ancora più giù a scoprire le sue gambe snelle.
“No! Non ci posso credere, lo stai facendo di nuovo! Adesso basta, Kanon, distogli immediatamente lo sguardo!” si disse duramente il giovane cavaliere.
Sia a Mur che a Deianira non sfuggì affatto lo sguardo che Kanon aveva lanciato alla ragazza e, se il primo aveva cercato di non prestarci attenzione, la seconda invece si mostrò molto infastidita dalla cosa.
Finiti gli acquisti, andarono nell’unico, piccolo, bar del paese dove presero qualcosa da mangiare. Deianira sembrava una bambina alle giostre: era così contenta di poter assaporare la normalità che aveva sempre sognato. Usciti dal bar, dopo aver fatto anche provviste per il viaggio, riuscirono anche a rimediare un modesto mezzo di trasporto: era una piccola macchina, abbastanza mal ridotta, che erano riusciti a comprare da un abitante del paese. In effetti fu un vero e proprio furto: lo scaltro individuo si era fatto pagare una piccola fortuna per quel mezzo, sostenendo che non avrebbero trovato di meglio nei paraggi. “Probabilmente non ha tutti i torti” pensò Alexandra sconsolata. Così a malincuore acquistarono il mezzo e, imboccando una stradina sterrata, presero la via più breve per Delfi.
Il silenzio in auto venne interrotto da Deianira:
«Wow, non avevo idea che questi…mmhh...come si chiamano? Cornetti fossero così buoni» disse la ragazza addentandone uno e imbrattandosi tutta di zucchero a velo.
Alexandra sorrise nel vedere l’amica così felice. In fondo, aveva sempre saputo che la vita da sacerdotessa non faceva per lei: sapeva il motivo che l’aveva spinta ad unirsi a loro, era per rimanere con lei, e la cosa l’aveva fatta sentire tremendamente in colpa fin dal primo giorno al servizio di Artemide.
«È stato un bene prendere l’auto, in questo modo dimezzeremo i tempi» disse Mur, seduto davanti al posto del passeggero.
«Si, probabilmente hai ragione, Mur» rispose annuendo Alexandra che invece, insieme alla compagna, era seduta nei sedili posteriori.
Kanon, che era alla guida, non aveva proferito parola da quando avevano lasciato il paese se non per commentare quanto fosse stato meschino quel losco figuro «a rifilarci un catorcio simile» aveva detto sprezzante.
Il viaggio proseguì serenamente, finché di colpo Deianira non si rivolse a Kanon:
«Ebbene? Ti siamo mancate?»
Il cavaliere, preso alla sprovvista, per poco non uscì di strada.
«Accidenti fai attenzione!» disse un Mur alquanto irritato, mentre Deianira dietro ridacchiava.
Kanon, ripreso il controllo del mezzo, dopo una breve pausa guardò con la coda dell’occhio le due ragazze sedute dietro. «Perché lo chiedi?» chiese a sua volta, freddo.
La sacerdotessa prese a giocare distrattamente con una ciocca di capelli «Non saprei… considerala una semplice curiosità» rispose poi.
Kanon rifletté un momento per poi limitarsi a rispondere un laconico «Si».
Alexandra rimase interdetta: non si aspettava una risposta simile.
Mur, imbarazzato dal silenzio che si era creato, si schiarì la voce:
«Beh, mantenendo questa andatura, saremo a Delfi per sera» decretò Mur soddisfatto.
«Bene» commentò Kanon con tono nuovamente freddo e distaccato.
 
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«Fratello, tutto procede secondo i piani» disse la donna dai lunghi capelli neri e lo sguardo maligno «Quei due miseri galoppini di Athena si stanno recando dall’oracolo di Apollo, come previsto… quella ragazza è stata di parola» proseguì mentre un ghigno soddisfatto le si dipingeva in volto.
Una maligna risata echeggiò nell’aria.
«Molto bene. Sai cosa devi fare» rispose Ares bevendo dal suo calice.
La donna annuì sorridente e con un profondo inchino si congedò dal cospetto del Dio della Guerra.
Ares bevve avidamente tutto il liquido del calice per poi lanciarlo e lasciare che andasse a cozzare contro una colonna vicina.
Rise ancora, mentre un rivolo di sangue sfuggiva dalle sue labbra. Lo raccolse con un dito e se lo portò nuovamente alla bocca gustandolo.
“Athena, presto berrò il tuo…”
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 Cap 7 - Scacco
Il rosso del tramonto si dipingeva sulle colline greche e il caldo torrido del giorno finalmente andava scemandosi. Le colline lasciarono il posto a monti ben più alti, mentre la macchina sfrecciava lungo una stradina sterrata, facendo sobbalzare di tanto in tanto i passeggeri.
«Kanon svolta a destra e imbocca questo sentiero» disse il cavaliere dell’Ariete indicando al compagno un sentiero isolato che saliva lungo un monte, poco distante dalla città di Delfi.
Kanon obbedì e diresse la macchina lungo lo stretto sentiero pieno ti tornanti.
La guida molto sportiva del cavaliere non contribuiva a rendere la strada più sopportabile, fu così che ben presto Deianira iniziò a soffrire il mal d’auto.
«Kanon, per gli Dei, cerca di prendere meglio queste curve, o rimetterò pure l’anima» lo pregò la giovane sacerdotessa.
«Abbiamo fretta, è quasi sera e prima incontriamo la Pizia, prima chiariremo questa storia e, soprattutto, prima potrò tornare al santuario» la liquidò il cavaliere, sterzando il volante all’ennesimo tornante.
Alexandra dal canto suo se ne stava in silenzio guardando dal finestrino e cercando di non dare a vedere il suo malessere causato in primo luogo dalla guida spericolata di Kanon, ma anche dal pensiero che questi aveva effettivamente sentito la loro mancanza in tutti questi anni.
“Non capisco perché ti stupisci tanto Alex, tu hai sentito la sua mancanza allo stesso modo! No… è diverso…lui…”
I pensieri della ragazza vennero interrotti all’ennesimo tornante preso male dal saint: la macchina per poco non si rovesciò di lato.
«Basta Kanon, io non ce la faccio più! Tra poco vomito!» si lamentò Deianira e Mur, che in effetti iniziava anche lui a sentirsi male, decise di intervenire:
«Kanon, fermati, facciamo mettere Deianira al mio posto davanti, forse soffrirà meno la tua…ehm… le curve» si corresse prontamente.
Kanon sbuffò e fermò la macchina. I due fecero a cambio e poterono ripartire.
La situazione tuttavia non migliorò molto, complice anche il fatto che Deianira, trovandosi a fianco del bel cavaliere della terza non si risparmiò dal fargli carezze lascive alla mano mentre questa era sul cambio. Mur cercava di tenersi dove poteva per evitare che, ad ogni curva, finisse addosso ad Alexandra, non esimendosi dal consigliare a Kanon una guida «…come dire, più accorta…»
A completare il quadretto Alexandra prese la parola:
«Ma quanto manca? È quasi sera, la Pizia non ci riceverà mai a quest’ora!» si lamentò «Forse dovremmo accamparci e proseguire domani alle prime luc…» suggerì Mur aggrappandosi al sedile anteriore quando la macchina sterzò di nuovo.
«Assolutamente no!» intervenne prontamente Deianira e tutti la guardarono non capendo.
«Questa faccenda va risolta in fretta…» continuò sentendo gli sguardi degli altri pesargli addosso.
«Sono d’accordo, poi, con tutto il rispetto pe la Pizia, ma non ho tempo da perdere aspettando i suoi comodi» disse Kanon.
«Siamo sicuri che questa sia la strada più breve? Ci stiamo mettendo troppo» constatò Alexandra rivolgendosi a Mur, il quale controllò subito la cartina.
«beh.. si…abbiamo svoltato a destra, proseguito per 2 km poi…Kanon hai girato a sinistra al bivio?»
«Quale bivio?!»
«Quello che ti avevo detto»
«Mur, accidenti non mi hai detto nulla, stai solo ad aggrapparti come un polipo al sedile!»
«Forse se guidassi meglio...» rispose stizzito l’Ariete.
«Perfetto! Ci metteremo una vita!» disse Alexandra.
«Oh no! Altre curve, voglio morire!» disse Deianira sprofondando sul sedile.
In macchina si accese una alquanto animata discussione su chi, come e quando avesse sbagliato. Il cavaliere dei gemelli iniziava ad essere saturo: strinse una mano sul volante e l’altra sul cambio che per poco non si spezzò per la foga nel cambiare marcia.
All’ennesima imprecazione del cavaliere della prima, d’improvviso frenò di colpo facendo catapultare Mur contro il sedile di fronte. «Adesso basta! Mur guida tu!» e senza dire altro scese dalla macchina sbattendo la portiera.
Con molto dispiacere di Deianira, ma con sommo gaudio di tutti gli altri, Kanon fece cambio con Mur.
Il viaggio proseguì a ritmo più pacato.
Kanon era visibilmente imbronciato e guardava torvo fuori dal finestrino.
«Ancora pochi minuti e dovremmo scorgere l’ingresso del santuario di Apollo» proclamò trionfante il cavaliere della prima casa.
Le due ragazze furono felici della notizia mentre Kanon borbottò fra se qualcosa di incomprensibile.
«Finalmente chiariremo tutta questa storia...» disse Alexandra, imperturbabile. Kanon la guardò.
«e chiariremo una volta per tutte se possiamo fidarci di voi» continuò la ragazza guardandolo di rimando.
«credevo che salvarvi la vita bastasse a sfatare ogni dubbio» commentò sarcastico il cavaliere.
Ad interrompere quella che sicuramente sarebbe sfociata in una discussione pericolosa ci pensò Mur:
«Eccoci…»
 
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Al santuario la Dea Athena era irrequieta. Camminava avanti e indietro lungo le sale del tredicesimo tempio facendo frusciare la sua lunga veste candida.
Non riusciva a rasserenarsi: erano passati già tre giorni da quando aveva mandato due dei suoi migliori cavalieri al cospetto di Artemide, ma ancora non aveva loro notizie. Iniziava a temere il peggio. Nonostante riuscisse a percepire distintamente i loro cosmi, sentiva qualcosa di strano, una sensazione, una brutta sensazione.
Come se stesse per accadere qualcosa di terribile. Il senso di colpa si impadronì della fanciulla che si lasciò cadere stanca sull’enorme trono dorato.
In quel momento il Grande Sacerdote si presentò all’uscio. Le vesti cerimoniali da sacerdote non rendevano giustizia al corpo statuario dell’ex cavaliere dei gemelli. Questi si rivolse alla sua Dea chiedendole rispettosamente udienza.
Athena non parlò, si limitò a fare un cenno con la mano e Saga capì di poter avanzare al suo cospetto.
La giovane Dea aveva sempre nutrito una profonda compassione per quell’uomo: paradossalmente, era forse il cavaliere a lei più fedele, nonostante la sua parte malvagia avesse tentato di ucciderla. Sapeva che Saga era uno dei cavalieri più nobili al suo servizio, oltre che uno dei più forti e valenti, il suo cuore nel profondo era rimasto buono anche quando Arles aveva preso il sopravvento, e fu proprio per questa convinzione che riuscì a perdonargli il tradimento.
Saga s’inchinò davanti a lei, poi, sempre in ginocchio, alzò il capo per fissarla con quei suoi occhi blu cobalto.
«Mia Signora, non posso fare a meno di notare la vostra preoccupazione…cosa vi turba a tal punto?»
«Mur e Kanon… ancora non si hanno loro notizie?» chiese lei.
«No» ammise Saga «Però sono certo che le avremo presto…» si affrettò a rassicurarla.
La fanciulla annuì distogliendo lo sguardo e passandosi le dita affusolate fra le ciocche dei suoi lunghi capelli.
Saga interpretò il gesto come un chiaro segno che la discussione era finita lì: così, dopo un secondo inchino, si alzò e fece per andarsene.
«Saga...» lo chiamò lei con tono tremante.
Il cavaliere si voltò nuovamente a fissarla. Lei girò lo sguardo incrociando i suoi occhi lucidi con quelli di Saga e disse:
«Credo… di aver sbagliato mossa…».
 
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I quattro ragazzi scesero dall’auto, trovandosi davanti all’ingresso di quella che sembrava a tutti gli effetti una caverna.
Lungo le pareti della roccia erano scolpite due colonne doriche a delimitare l’ingresso.
«Sarebbe questo qui?» domandò Kanon guardandosi intorno.
Ogni suo dubbio venne prontamente stroncato quando due opliti armati di tutto punto gli sbarrarono minacciosi il cammino.
«Chi siete?» chiese uno dei due soldati puntando la lancia alla gola del cavaliere dei gemelli.
Kanon infastidito scansò l’arma con una mano e il gesto parve non piacere al soldato che, adirato, stava per attaccare il cavaliere.
Alexandra prontamente intervenne parandosi fra i due e rivolgendosi all’oplita.
«Loro sono cavalieri d’oro della Dea Athena mentre noi siamo sacerdotesse di Artemide. Siamo qui per essere ricevuti dalla Pizia» disse autoritaria.
Il soldato abbassò l’arma e fece un cenno al compagno il quale scomparve nell’oscurità della grotta.
«Seguitemi» senza dire altro l’oplita fece cenno ai quattro di seguirlo.
Alexandra entrò seguita a ruota da Kanon e dagli altri due.
Il cavaliere fissava la ragazza da dietro e senza volerlo si ritrovò a sorridere.
“Ha un bel caratterino in fondo, non mi dispiace affatto...”
Man mano che proseguivano il buio andava rischiarandosi facendo intravedere le pareti finemente decorate di bassorilievi. Salirono una lunga rampa di scale a chiocciola finché si ritrovarono davanti ad un grosso portone di pietra il quale si aprì non appena il soldato vi si trovò di fronte.
Lo spettacolo che si parò di fronte era di rara bellezza: un giardino all’aperto che somigliava ad un enorme cortile circondato da colonne, adornato da due grandi fontane, nelle cui acque galleggiavano stupende ninfee rosee, entrambe raffiguranti il dio Apollo intento, in una, a suonare la lira, nell’altra a leggere una pergamena. Le statue mostravano il Dio in tutta la sua bellezza, non v‘erano dubbi che il santuario fosse dedicato a lui. Il giardino era altresì adornato da numerose piante e fiori d’ogni tipo e lungo le colonne del cortile si arrampicava il gelsomino, il cui profumo riempiva l’aria. Quel luogo era davvero paradisiaco e tutti e quattro rimasero stupefatti. Il sentiero, rischiarato da alcuni bracieri, conduceva ad un altro portone, stavolta dorato, che si aprì anch’esso quando il soldato vi si avvicinò.
Entrarono in una sala che, notarono i due cavalieri, somigliava alle stanze del tredicesimo tempio, ma in dimensioni decisamente ridotte. In fondo alla sala, in posizione rialzata, vi era un trono di pietra posto davanti a sontuosi tendaggi blu.
Il gruppo avanzò fino a trovarsi al cospetto del trono poi l’oplita, scomparve dietro alla tenda intimando ai quattro di aspettare.
Alexandra si guardò intorno, visibilmente a disagio, cosa che a Kanon non sfuggì.
«Che ti prende adesso?» chiese inarcando un sopracciglio.
La ragazza non ebbe il tempo di rispondere giacché le pesanti tende si spostarono frusciando e apparve un uomo di mezza età, vestito di una lunga tunica bianca con una fascia blu che gli ricadeva lungo la spalla, fermata alla cinta da un cordoncino dorato.
L’uomo aveva un aspetto enigmatico, imperturbabile, misterioso. I lunghi capelli neri erano qui e lì macchiati da argentei fili, segno inequivocabile della sua ormai scemata giovinezza.
Senza dire alcunché l’uomo si sedette sul trono di pietra e l’oplita, che lo seguiva a ruota, si pose alla sua destra.
«Benenuti» disse l’uomo. «Io sono Eschilio, sacerdote di Apollo. Cosa vi porta al santuario della sacra Pizia?»
Mur anticipò Alexandra e si fece avanti.
«Siamo qui per volontà della divina Artemide, per consultare la Pizia» rispose.
«Capisco…è un orario indecente per una simile richiesta, penso ve ne rendiate conto».
Kanon spazientito si fece avanti.
«Ascolta bene, ora tarda o no, questa è una questione alquanto importante, non abbiamo tempo da perdere in formalità»
«Voi non siete al servizio di Artemide, eppure venite per conto di costei, come mai, mi chiedo» l’uomo rivolse il suo sguardo magnetico a Kanon.
Alexandra intervenne;
«Essi sono cavalieri di Athena, sono con noi perché il responso della Pizia riguarda anche loro. Mio signore, ci rendiamo conto del disturbo che stiamo arrecando, ma la nostra Dea, la divina Artemide, considera la questione di primaria importanza. Fatti molto gravi sono accaduti, e la risposta dell’oracolo potrebbe scongiurarne degli altri.»
Eschilio si alzò dal suo trono facendo frusciare la sua veste.
«Molto bene. Se questo è il volere della divina Artemide, sono certo che sia anche quello del divino Apollo» decretò.
Alexandra parve sollevata dalla risposta dell’uomo e fece per ringraziarlo ma questi la interruppe.
«Tuttavia…il vostro abbigliamento» e rivolse lo sguardo in particolare alle due fanciulle, che arrossirono imbarazzate «non è adeguato al luogo sacro ove vi trovate. Vi cambierete, prima di essere ricevuti dalla sacra Pizia» detto questo fece cenno all’oplita, che intanto non si era mosso dal suo posto, e questi di nuovo gli fece segno di seguirlo.
Deianira sbuffò non appena si specchiò, vedendosi nuovamente con indosso quelle vesti che tanto odiava. Alexandra invece fu felice di indossare di nuovo i suoi abiti da sacerdotessa e ancora di più di stringere a se il suo arco e la faretra colma di frecce. Ripose il pugnale nel fodero dietro la schiena e uscì dalla stanza seguita da Deianira.
«Perché sorridi?» chiese quest’ultima rivolgendosi all’amica.
«Sorrido?... no è che sono contenta di indossare i miei abiti, tutto qui» rispose l’altra.
«Solo tu puoi essere contenta di indossare questi abiti Alex.» Deianira rispose con tono infastidito.
«Che ti prende?»
«Dico solo che per te è tutto dovere! “è il nostro dovere questo, è il nostro dovere quello”, esiste anche altro!» Deianira iniziava ad alzare la voce.
Alexandra si fermò e la guardò severa.
«Sei una sacerdotessa di Artemide, Deianira, non esiste ALTRO» disse perentoria.
«Allora non voglio più essere una sacerdotessa» Deianira batté furiosamente il piede per terra.
«Che stai dicendo? Non puoi cambiare quello che sei! Hai fatto un giuramento vincolante ricordi? Lo hai scelto tu!»
«No, Alex! Sei tu ad averlo scelto! Lo hai scelto per entrambe!» Gli occhi della fanciulla fiammeggiavano d’ira.
Le sue parole furono come uno schiaffo in pieno volto per Alexandra: la verità che aveva sempre saputo ma che aveva scelto di non considerare per paura del rimorso ora le attanagliava lo stomaco.
«Ma…io…» Alex non sapeva cosa rispondere. Avrebbe voluto chiarire con lei, era qualcosa che rimandava da troppo tempo. Ma il suo senso del dovere fu, come sempre, più forte: avevano una missione da compiere, dopo ci sarebbe stato tutto il tempo.
«Ora non abbiamo tempo per questo. Ne riparleremo.» disse Alexandra.
«Ma certo, è la tua soluzione a tutto, non è vero? Scappare. Lo hai sempre fatto. Tu sembri sempre tanto forte e coraggiosa, ma la verità è che ti nascondi dietro al tuo dovere, fuggendo da qualsiasi forma di sentimento…»  un sonoro schiaffo la interruppe.
«Ora basta! Non voglio sentire un’altra parola sull’argomento. È un ordine» disse fredda Alexandra per poi voltarsi e proseguire.
Deianira si massaggiò la guancia rossa per il colpo ricevuto, ma il suo volto non cambiò l’espressione furente.
«Fa come credi. Ma io riavrò la mia libertà» disse fra sé quando ormai l’amica era così distante da non poterla sentire.
 
________________________________________

I quattro si ritrovarono nuovamente alla sala del trono. I due cavalieri ora indossavano le rispettive armature d’oro.
Mur notò negli sguardi delle fanciulle qualcosa di strano, ma non vi badò, preso com’era dalla sua missione.
L’oplita li accompagnò dietro le tende: vi era un piccolo ingresso poco illuminato, sbarrato da un cancello di ferro, probabilmente l’accesso ad una cripta sotterranea. Il soldato prese un pesante mazzo di chiavi dal quale ne scelse una come tante che poi infilò nella fessura del cancello.
Kanon notò come in effetti sembrasse più una prigione che una sala sacra: forse perché egli stesso aveva provato cosa volesse dire essere rinchiusi, ma provò istintivamente un senso di compassione per quella fanciulla che neanche conosceva.
Il cancello si aprì cigolando rumorosamente. L’oplita li invitò ad entrare e questi lo fecero seppur con una certa esitazione.
Varcata la soglia il soldato richiuse il cancello a chiave rimanendo all’esterno.
«Che diamine fai?» domandò Kanon.
«Non mi è permesso entrare in questo luogo» rispose lui.
«E Eschilio allora? Lui non entra con noi?» chiese Mur.
«Il sacerdote ha cose più importanti di cui occuparsi»
A Kanon la situazione non piacque affatto. Aveva una strana sensazione che però ricacciò dentro considerandola una semplice impressione.
«Forza, andiamo» intervenne Deianira con una strana espressione seria. Scesero la lunga scalinata che li portò in una sala non molto grande tenuta in penombra. In fondo alla sala c’era una tenda velata che nascondeva un trono di pietra. Continui sbuffi di vapori, probabilmente allucinogeni, riempivano l’ambiente rendendolo più cupo di quanto non fosse in realtà.
I due cavalieri si guardarono intorno con circospezione, cercando di identificare l’oracolo.
«Quante domande affollano la vostra mente…» una voce femminile riempì l’aria e dietro il velo poterono scorgere una figura aggraziata muoversi sinuosa.
«Tuttavia…scegliete bene a quale di esse volete una risposta, giacché una e una sola domanda vi sarà concessa» continuò.
L’attenzione dei due cavalieri si spostò su Alexandra dalla quale probabilmente si aspettavano che prendesse parola.
La fanciulla esitò un momento. Le parole dell’oracolo le suonavano più pesanti di quanto avesse potuto immaginare.
“Una sola domanda…io…” per una volta il suo senso del dovere vacillò, avrebbe voluto chiedere, chiedere per se stessa, una domanda che la tormentava da sempre.
La Pizia parve leggerle nel pensiero, si rivolse alla sacerdotessa:
«Non hai bisogno di una mia risposta a quella domanda…sai bene che le risposte che cerchi le potrai trovare solo tu…come, è una scelta che spetta a te.»
Gli altri si guardarono interrogativi, udendo quelle parole che per loro non avevano alcun senso.
Alexandra si riprese, ritrovando il controllo di sé.
«Oh sacro Oracolo, siamo qui per conto della divina Artemide. Il responso che ti chiediamo può determinare il destino di molti» Alex s’inchinò ossequiosa e continuò.
«Gravi fatti sono accaduti: un attacco sanguinoso contro le sacerdotesse di Artemide, ad opera di Saint di Athena. Molte nostre sorelle hanno perso la vita. Ora, questi due cavalieri portano notizia di un vile inganno. Sostengono che l’attacco non sia stato opera loro. Solo tu, sacro Oracolo, puoi decretare una volta per tutte la verità e tuo solo è il giudizio della quale la nostra signora, Artemide, si fiderà»
Inaspettatamente la Pizia scostò il velo, avanzando verso di loro e facendosi vedere nitidamente.
Era una bellissima fanciulla dai tratti delicati e dai lunghi capelli castani. Aveva un fisico così esile che sembrava che un solo tocco avrebbe potuto romperla.
«Un vile inganno…si…» disse dolcemente.
Tutti la guardarono interrogativi, tutti tranne Deianira e fu proprio a lei che l’oracolo si rivolse.
«L’egoismo muove il mondo, decidendo le sorti di molti. Ascoltate dunque, attentamente, giacché so che non avrò modo di ripetermi: la guerra è in arrivo, scegliete con attenzione amici e nemici, questi si confonderanno gli uni con gli altri. Tuttavia, fidatevi dei legami che v’ispira il vostro cuore, poiché esso raramente si sbaglia. E tu, giovane sacerdotessa…» disse ora ad Alexandra «fidati delle parole di questi cavalieri, poiché non mentono, non loro. Sai la verità, e per questo sarai in pericolo. Ma, in effetti, lo siamo tutti…» dette queste parole indicò qualcosa dietro i due cavalieri che d’istinto, percependo una minaccia, si voltarono.
Una duplice risata stridula echeggiò nell’ombra.
Dal buio della sala avanzarono due figure.
«Ahahahah… guarda fratellino che belle armature luccicanti»  disse una delle due figure emergendo dall’ombra. Era una donna dai lunghi capelli neri, era di una bellezza maligna, i suoi occhi scuri sapevano ti morte e terrore. Indossava un’armatura rosso scuro che luccicava come il sangue.
«Si, Keres, ma a fine giornata il loro splendore sarà offuscato dal loro sangue» rispose l’altra figura.
L’altro era un uomo di bell’aspetto, biondo, con gli occhi di un azzurro glaciale. Indossava un’armatura simile a quella della sorella, dello stesso colore rosso scuro.
I due cavalieri si misero in guardia ponendosi a difesa delle tre fanciulle.
«Chi diavolo siete?» disse Kanon.
«Taci moscerino» disse l’uomo e con un gesto della mano lanciò un colpo che fece indietreggiare Kanon di qualche metro.
«Ahahahah hai già fatto arrabbiare mio fratello Spiro» disse Keres con la sua voce stridula.
«Ti prego fai smettere quella cornacchia, non credo di riuscire a sopportare ancora la sua risata» disse Kanon riprendendosi e sorridendo sbruffone.
«Cornacchia?! Maledetto ti schiaccerò come il verme che sei!» rispose furente la donna scagliandosi contro il saint.
«Crysta Wall!!»
Un muro di cristallo si parò davanti alla donna che, colta alla sprovvista, venne scaraventata indietro.
Keres era furibonda ma Spiro la bloccò prima che potesse tornare all’attacco.
«Calmati Keres, abbiamo un compito da svolgere, ricordi?» il tono glaciale e pacato di Spiro era inquietante.
«Cosa vi fa pensare che vi lasceremo agire indisturbati?» intervenne Mur.
«Ahahahah… perché non avete possibilità di contrastarci» sorrise Spiro mentre Keres svaniva davanti agli occhi dei due cavalieri.
La donna riapparve in un secondo dietro la Pizia afferrandola saldamente per la gola.
Alexandra accorgendosi della scena prese istintivamente una freccia dalla faretra puntandola contro Keres.
«Lasciala andare!» le intimò, ma per tutta risposta ella rise di gusto.
Alex scagliò la freccia che si fermò ad un centimetro dal volto della donna per poi frantumarsi.
«Maledetta!» Alex era furiosa, sguainò il coltello che teneva dietro la schiena e si lanciò contro Keres.
«Chaotic Fury!!»
Prima che potesse arrivare a colpirla, senza capire come, venne scaraventata contro la parete della stanza.
Spiro si avvicinò alla fanciulla dolorante, si abbassò e le sollevò il mento con un dito.
«Quanto ardore per una ragazzetta…» disse sorridendo maligno e raccogliendo il rivolo di sangue che le scorreva lungo la tempia.
Kanon si scagliò contro di lui ma Spiro parò come se nulla fosse il pugno ben assestato del cavaliere.
«Sono alquanto deluso, devo ammetterlo…» sospirò Spiro, ricacciando indietro il saint.
Deianira si scagliò contro Keres ma venne respinta indietro con un calcio che la fece sbattere contro la parete.
«Crystal Net!» Mur lanciò il suo colpo contro Keres la quale rimase intrappolata in una fitta ragnatela di cristallo lasciando la presa sull’oracolo. La fanciulla cadde a terra tossendo e cercando di riprendere a respirare.
«È inutile che ti dimeni, la mia ragnatela di cristallo non ti permetterà alcun movimento» disse Mur rivolgendosi alla donna.
Keres rise di gusto e scomparve un’altra volta sotto gli occhi del cavaliere. Riapparì alle sue spalle e con un colpo alla testa lo scaraventò di lato.
«Keres, adesso basta giocare, mi sono stancato, fai quello che devi» disse Spiro scocciato.
La donna sorrise maligna e raccolse il pugnale di Alexandra. Prese per i capelli la Pizia, strattonandola con forza per farla sollevare da terra. La fanciulla pianse copiosamente per il dolore e la paura.
Alexandra capì cosa stava accadendo e sbarrò gli occhi.
Con un colpo secco e deciso Keres tagliò la gola alla ragazza e il sangue le schizzò in pieno volto.
«No!» Alex urlò istintivamente.
Keres lasciò andare la presa e il corpo della fanciulla rovinò a terra. Si voltò verso il fratello e si leccò lascivamente il sangue che le colava lungo le labbra.
«Perfetto» sorrise Spiro.
Kanon intanto si era ripreso e furioso più che mai si scagliò nuovamente contro l’uomo. Stavolta il colpo andò a segno e fece indietreggiare Spiro di qualche metro.
«Siete solo degli insetti fastidiosi. Sarà un piacere eliminarvi» disse.
«Tu provaci» rispose il saint dei gemelli.
«Oh, mi piacerebbe. Ma purtroppo adesso abbiamo altre vite da distruggere. Ma non preoccuparti, presto arriverà anche il vostro turno» un ghigno malvagio si dipinse sulle labbra di Spiro che si rivolse alla sorella «Prendi la ragazza e andiamo» ordinò.
Keris annui e riapparve accanto a Deianira, che giaceva a terra svenuta, e la caricò sulla spalla.
«No! Lasciala!» Alex urlò nuovamente cercando di alzarsi.
Kanon cercò di intervenire per strappare Deianira dalle grinfie della donna, ma prima che potesse avvicinarsi questa scomparve insieme alla fanciulla ridendo.
«Spiacente di dovervi lasciare così presto, ci stavamo divertendo. Oh beh, sarà per la prossima volta. Ah… fossi in voi non rimarrei a lungo qui, non credo che sarete ancora i benvenuti» disse strizzando l’occhio alla giovane sacerdotessa per poi scomparire come la sorella.
Mur si riprese dal colpo ricevuto e si alzò barcollando.
Un vociare intenso proveniva dall’ingresso alla cripta.
«Siamo nei guai» disse Kanon avvicinandosi ad Alexandra e prendendola in braccio.
In men che non si dica una ventina di opliti armati fecero la loro apparizione nella sala seguiti dal sacerdote Eschilio.
«Prendeteli, per Apollo! Hanno assassinato l’oracolo!» ordinò l’uomo.
Gli opliti si scagliarono contro i cavalieri, i quali ne respinsero il più possibile con pugni e calci.
«Mur, presto! Teletrasportaci al santuario!» disse Kanon assestando un calcio sullo stomaco di un soldato.
«È ridotta male! Potrebbe non farcela!» rispose Mur.
«Fallo e basta!»
 Un intenso bagliore li avvolse e i tre scomparvero davanti agli opliti che rimasero interdetti.
Eschilio si rivolse ad uno di loro:
«Mandate un messaggio alla Dea Artemide. Che sappia» ordinò.
 
________________________________________
 
Seduto sul suo trono fatto di ossa, Ares ridacchiava sadico guardando la scacchiera che volteggiava di fronte a sé.
Eris si presentò al suo cospetto.
«Spiro e Keris sono rientrati. Tutto è andato secondo i piani» disse sorridendo.
«E la ragazza?...»
«È qui.»
«Bene, è ancora un utile pedina» disse Ares prendendo un pezzo degli scacchi e rigirandolo fra le dita. «Sai cosa fare, Eris» detto questo la congedò.
Il dio della guerra guardò nuovamente la scacchiera e ghignò.
«Scacco!»
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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #2 il: 29 Settembre, 2017, 22:49:18 pm »
 Cap 8 – Questa è davvero una pessima idea
Alexandra si svegliò con il corpo tutto dolorante. Batté gli occhi cercando di mettere a fuoco il luogo dove si trovava: non le era familiare, sembrava una sorta di infermeria o qualcosa del genere. Gli scaffali delle pareti circostanti erano pieni dei  medicinali più disparati e di bende. Alcune torce e una lampada ad olio posta sul comodino accanto a lei illuminavano flebilmente la stanza. Le brande erano tutte vuote eccetto la sua.
Cercò di mettersi a sedere ma un dolore lancinante alla spalla glielo impedì.
«Non ti conviene alzarti»
Mur fece la sua apparizione nella stanza. Era senza armatura e indossava una tunica, probabilmente gli abiti informali di quel luogo.
“Si ma, dove sono?” non poté fare a meno di chiederselo. Ricordava solo la cripta, quello che era successo, gli opliti che li stavano attaccando e poi…
“le sue braccia che mi stringono…”
Arrossì lievemente al pensiero di essere stata fra le braccia di Kanon ma poi una dolorosa fitta le ricordò nuovamente la situazione.
“Deianira!”
«Stai bene?» il cavaliere dell’Ariete la distolse dai suoi pensieri.
«Io, beh, credo…credo di si. Ma cosa è successo?» chiese la ragazza spaesata.
«Cosa ricordi?» disse Mur sedendosi sulla branda accanto alla sua.
«Beh ricordo quello che è successo a Delfi, l’attacco di quei due demoni, che Eschilio ci ha accusati dell’omicidio dell’oracolo… ma poi più nulla» tralasciò volontariamente la parte in cui Kanon l’aveva presa fra le braccia.
«Beh, dopo io vi ho teletrasportati qui, al Santuario» disse Mur calmo.
«Al Santuario?» Alexandra era confusa.
«Il teletrasporto può essere molto pericoloso se qualcuno è ridotto male e tu lo eri parecchio. Ma Kanon ha insistito e, in effetti, non avevamo altra scelta per uscire di lì» Constatò il cavaliere annuendo «Quando siamo arrivati qui tu eri svenuta e Kanon ti ha portato in infermeria. Sei stata in coma per tre giorni.»
Alexandra spalancò la bocca in un’espressione incredula.
«Tre giorni?! Oddio devo andarmene!» La sua Dea attendeva notizie, doveva tornare a spiegarle tutta la situazione, altrimenti le conseguenze sarebbero state gravissime. Fece per alzarsi ma di nuovo un dolore acuto alla spalla glielo impedì.
«Fai attenzione!» le intimò Mur apprensivo «Nello scontro con Spiro ti sei slogata la spalla destra, ci vorrà un po’ prima che si rimetta a posto. Inoltre hai battuto forte la testa procurandoti un bel trauma cranico. Devi muoverti con cautela.»
Alexandra notò solo in quel momento di avere la spalla fasciata con bende legate molto strette. Aveva anche numerosi tagli sulle braccia che però si stavano rimarginando e una fasciatura alla nuca leggermente sporca di sangue rappreso.
«Sei stata fortunata direi, se Kanon non ti avesse portato subito in infermeria probabilmente avresti avuto conseguenze ben più gravi. Ma qui non siamo nuovi a questo tipo di lesioni» sorrise il cavaliere.
«Si…immagino…» rispose Alex sforzandosi di sorridere.
Mur si alzò dalla branda e fece per uscire dalla stanza.
«Quasi dimenticavo: visto che finalmente ti sei svegliata, la Dea Athena ti attende al più presto al tredicesimo tempio» detto ciò uscì dall’infermeria.
“Ci mancava solo dover dare un mucchio di spiegazioni ad Athena” buffò la ragazza alzandosi cautamente dalla branda.
La spalla le faceva un male cane, ma cercò di resistere e andò in bagno prendendo al passaggio i suoi vestiti. Quella tunica logora che indossava non era certo adatta ad un incontro formale senza contare che si sarebbe sentita molto più a suo agio con i suoi abiti da sacerdotessa.
Si rivestì più in fretta che poté e uscì dall’infermeria.
L’aria fresca della sera la investì e respirò a pieni polmoni quella piacevole brezza. Si guardò attorno e nell’oscurità intravide alcune casupole basse lievemente illuminate all’interno.
Conosceva bene quel luogo, ora se ne rammentava.
Era il campo dove risiedevano i giovani allievi Saint. Avanzò verso il sentiero che attraversava il campo per salire al santuario. All’improvviso un omone enorme le si parò davanti. Aveva i capelli scuri ed era così possente che solo il suo aspetto incuteva timore.
«Cosa ci fai in giro a quest’ora? Gli allievi dovrebbero essere già tutti a dormire» la rimproverò duro l’omone.
«Credo ci sia stato uno sbaglio, io non…» prima che Alexandra riuscisse a spiegare l’equivoco il bestione le afferrò un braccio e la trascinò con sé.
«Non voglio sentire storie, domani mattina ti allenerai come mai in vita tua e ti passerà la voglia di andare a zonzo a tarda sera»
«Ehi lasciami!» si lamentò la ragazza accusando anche il dolore alla spalla slogata.
«Smettila di dimenarti o saranno guai per te, matricola da quattro soldi!»
«Senti enorme idiota io non sono un apprendista, sono una sacerdotessa di Artemide! Sono appena uscita dall’infermeria e sono attesa da Athena!» detto ciò Alexandra lo prese per il polso e strinse con forza fino a fargli mollare la presa.
L’uomo si allontanò dalla ragazza e la fissò interdetto per alcuni istanti.
«Ma certo! Tu devi essere la ragazza portata qui dai nobili Mur e Kanon!» disse quello grattandosi la nuca in imbarazzo.
«Esatto si…dai nobili...come dici tu» farfugliò la ragazza.
«Le mie scuse milady, questo grosso fessacchione non aveva capito nulla. Io sono Geki dell’Orsa, cavaliere di bronzo» si presentò cordiale prostrandosi in un inchino.
La sua riverenza stonava con il suo aspetto ma Alex non ci badò e sorridendo si presentò a sua volta.
«Alexandra, sacerdotessa di Artemide. Piacere mio»
«Senz’altro siete attesa dalla divina Athena. È lunga fino al tredicesimo tempio, forse è meglio che vi affrettate.» disse Geki sorridendo. Le indicò la via per le dodici case e dopo averla salutata sparì nel buio dei vicoletti.
Geki non poteva saperlo, ma Alexandra conosceva bene quel luogo, non aveva certo bisogno di indicazioni. Si affrettò ad imboccare il sentiero che conduceva alla Prima Casa.
“Non ho mai sopportato questa cosa di dover attraversare tutti e dodici templi, che perdita di tempo!” pensò fra sé iniziando a salire la scalinata di lucente marmo bianco.
«Eccoti finalmente» una voce familiare la accolse lungo le scale «Vieni, ti scorto fino al tredicesimo tempio. Sono già tutti riuniti nelle stanze del Gran Sacerdote» la informo Mur facendole strada.
Attraversarono in fretta le dodici case le quali erano tutte vuote, era evidente che tutti i Gold Saint erano riuniti al tredicesimo tempio per l’occasione.
Giunti all’ultimo tempio, l’enorme portone dorato si spalancò davanti a loro aprendosi su una sala immensa circondata da enormi colonne doriche. Il pavimento di marmo bianco era attraversato da un grande tappeto rosso che conduceva fino all’imponente trono dorato in fondo alla sala.
Senza batter ciglio Mur s’incammino all’interno invitando Alex a fare lo stesso.
Ad attenderli c’erano tutti i cavalieri d’oro e una alquanto preoccupata Athena seduta sul trono.
Mur si inginocchiò davanti la Dea.
«Mia signora, ecco la sacerdotessa di Artemide, Alexandra» l’annunciò.
Tutti gli altri Saint si guardarono l’un l’altro, sospettosi. Tutti tranne Kanon che, vestito di tutto punto della sua dorata armatura, guardava altrove.
Athena si alzò dal trono venendo in contro alla ragazza e sorrise dolce.
«Benvenuta»
Per tutta risposta Alexandra fece un cenno con il capo.
«Bene, Alexandra, so quello che è successo» incominciò la Dea «I miei cavalieri mi hanno già informata dell’accaduto. So che questo è l’ultimo posto dove vorresti trovarti al momento e lo capisco. Però la situazione è molto grave, credo tu te ne renda conto»
«Si, mi rendo conto della situazione» iniziò Alex glaciale «tuttavia, come sapete, appartengo alla divina Artemide e la mia signora deve assolutamente sapere quanto accaduto. Credo sia nell’interesse di tutti voi: Ares ha ingannato la mia Dea così come ha fatto con tutti gli altri Olimpi, su questo non c’è alcun dubbio, ma stando così le cose noi siamo gli unici a sapere la verità e questo non ci giova affatto» constatò seria.
«Hai ragione» Athena indietreggiò lasciandosi cadere stancamente sul trono e passandosi le mani sulle tempie «ma credo che la situazione sia ben più grave»
«Vale a dire?»
«Il sacerdote di Apollo, Eschilio, ha già riferito ad Artemide quanto accaduto. Lei sa che siete voi ad aver ucciso la Pizia e questo, naturalmente, oltre a fare infuriare Apollo, ha fatto andare su tutte le furie Artemide.»
«Beh è naturale, per questo voglio tornare al più presto Parnitha. Devo spiegare il vile inganno di Ares, Artemide deve sapere» la voce di Alexandra era decisa.
«Non è così semplice, purtroppo» Athena aveva un tono sconsolato «Vedi cara, Artemide crede che anche tu sia complice dell’omicidio dell’oracolo e ora le sue sacerdotesse ti danno la caccia. Non ti permetteranno di avvicinarti viva a Parnitha»
«Ma è assurdo!» controbatté Alex frustrata «Io devo tornare, spiegare tutto. Devo anche salvare la mia compagna, quei demoni l’hanno rapita e, per gli Dei, anche lei sa la verità, crederanno alla nostra versione!» senza aggiungere altro la ragazza fece dietro front intenzionata ad andarsene.
«Non posso permetterti di lasciare il santuario» il tono perentorio di Athena la fece arrestare e voltarsi.
«Credo di non aver capito bene» disse Alex in un sibilo.
«Tu sei l’unica a sapere la verità, l’unica speranza per me e i miei cavalieri di non ingaggiare guerra con la metà degli Dei, se ti succedesse qualcosa questa guerra sarebbe già persa per noi» Athena aveva un tono più serio e determinato che mai.
Alexandra si morse le labbra furiosa. In fondo sapeva che le motivazioni della Dea erano più che ragionevoli ma l’idea di essere bloccata in quel luogo la mandava in bestia.
«Ti chiedo solo qualche giorno, il tempo di elaborare una strategia. E poi, ridotta come sei non dureresti molto senza protezione.» Disse Athena con un sorriso furbetto.
«Senta, lasci che mi preoccupi io di queste questioni» la risposta della ragazza fu acida.
«Mia signora, chiedo il permesso di parlare»
Un cavaliere d’oro dai lunghi capelli biondi e gli occhi inspiegabilmente serrati si fece avanti.
«Parla pure, Shaka» acconsentì lei.
«È evidente che questa è tutta una strategia del nemico per isolarci da eventuali alleati. Probabilmente più aspettiamo e sempre meno probabilità avremo di trovarne. Suggerisco di iniziare a muoverci in tal senso ma, naturalmente, la presenza e la testimonianza della giovane sacerdotessa sarà determinante per convincere gli altri della veridicità delle nostre parole»
«Concordo» intervenne un altro cavaliere d’oro dai capelli marroni. Il suo viso nonostante fosse quello di un ragazzo esprimeva una saggezza infinita.
«Molto bene» acconsentì Athena «Non appena Alexandra si sarà ripresa partirà insieme a voi per cercare alleati alla nostra causa» decretò.
«Cosa?!» Alex spalancò la bocca esterrefatta «Forse non vi è chiaro, non appena mi sarò rimessa partirò subito alla ricerca della mia compagna e tornerò a Parnitha»
«È fuori discussione» il tono di Athena non ammetteva repliche «farai come ti ho chiesto, sei in debito con i miei cavalieri, dopotutto, ti hanno salvato la vita. Non mi aspetto nulla di meno che tu ricambi il favore. Oltretutto se lo farai ti do la mia parola che ti aiuteremo a trovare la tua compagna ed a svelare la verità»
Alexandra dovette a suo malgrado ammettere di non avere molte chance di trovare Deianira da sola, tantomeno di affrontare tutte le sue sorelle sacerdotesse. La soluzione di Athena, faticava ad accettarlo, era la più logica.
«E sia… in ogni caso non credo che questa sua lista di potenziali alleati possa essere tanto lunga, si è inimicata mezzo Olimpo…» commentò ironica.
Alcuni Gold la fulminarono con lo sguardo mentre altri ridacchiarono sottecchi.
«Che caratterino… sono passati anni ma non hai perso il tuo temperamento».
Da dietro i pesanti tendaggi rossi fece la sua apparizione il Grande Sacerdote, vestito degli abiti cerimoniali e indossando l’elmo che gli copriva il volto. Avanzò fino al cospetto della dea e si inginocchiò davanti a questa.
«Mia signora, vogliate scusare il ritardo, ho portato a termine il compito da voi affidatomi» disse in tono solenne.
“Questa voce…no, non può essere…” a sentire quella voce il cuore di Alex perse un battito.
Il sacerdote si alzò e avanzò di qualche passo verso la giovane.
Aveva riconosciuto nel tono della sua voce una nota familiare: l’aveva sentita negli ultimi giorni una così simile eppure diversa. Ma non poteva essere la stessa, piuttosto…
«Tu…» la voce le si ruppe in gola.
Il Grande Sacerdote si tolse l’elmo, e il lunghi capelli blu ricaddero fluenti incorniciando il bel viso dell’uomo.
Alla vista di quel volto, di quegli occhi, un turbinio di emozioni si fece strada nella ragazza che rimase a guardarlo incredula.
I bisbigli indistinti del vociare dei cavalieri d’oro la riportarono alla realtà e subito si ricompose cercando di apparire indifferente.
«È passato tanto tempo Alexandra, eppure non sei molto cambiata» disse Saga sciogliendosi in un sorriso sincero.
Athena, seduta sul suo trono, non capiva cosa stesse accadendo «Vi conoscete già?» chiese confusa.
«Io e mio fratello abbiamo seguito l’addestramento di Saint insieme a lei, tanto tempo fa» rispose Saga.
«Già, è passato tanto tempo, troppo, non ha senso rivangare il passato» Kanon si fece avanti, intervenendo nella conversazione, e il suo tono era più sprezzante di quanto volesse in realtà.
«Concordo» si limitò a dire Alexandra.
«Molto bene allora» disse Saga «resta solo da assegnarti un alloggio per la tua permanenza al Santuario…» l’ex cavaliere parve pensarci attentamente «Mhmm beh si, credo che la Terza casa possa andare bene, se per Milady va bene naturalmente» si rivolse ad Athena.
«Perfetto» asserì lei.
«COSA?!» le voci di Aledandra e Kanon echeggiarono all’unisono nella stanza in un misto di incredulità e nervoso. Gli altri cavalieri d’oro guardavano la scena con molto interesse e alcuni evidentemente la trovavano molto divertente: uno di loro dai capelli corti blu scuro e il viso da sadico era intento a sghignazzare animatamente.
«Bene miei cavalieri, tornate alle vostre case, per ora è tutto» la Dea non si curò minimamente delle proteste e congedò i suoi cavalieri, i quali si inchinarono e uscirono dalla sala discutendo fra di loro. «Delego questa questione a te, Saga» e dicendo questo con un gran sorriso Athena si ritirò nelle sue stanze.
«Sono certo che troverai la Terza Casa molto confortevole, Alexandra» Saga sfoggiò un gran sorriso che per un attimo fece passare la rabbia alla fanciulla. Anche da piccoli, non aveva mai saputo dire di no al suo viso d’angelo, in particolare quando sorrideva e i suoi occhi blu spendevano lucenti.
«Confortevole un accidenti! Non voglio ragazzette a zonzo per la casa, ho diritto alla mia privacy! Perché non l’affibbi ad Aphrodite? Sono sicuro che avrebbero molte più cose in comune» protestò animatamente il custode della terza casa.
«Kanon…» iniziò con tono pagato il fratello.
«Per una volta sono d’accordo con lui, Saga: non è proprio il caso di condividere lo stesso tempio, credimi» disse la ragazza sprezzante.
«Hai bisogno di protezione, e mio fratello non ti perderà di vista».
«Ecco, proprio riguardo a questo, non credo che sia una buona idea, insomma a stento sa badare a se stesso, forse con un altro cavaliere mi sarei più protetta» disse Alex con un ghigno di sfida dipinto sulle labbra.
«Lo vedi? Mezza parola e già non la sopporto! Chiedi a qualcun altro di farle da balia, questa cosa non può funzionare, assolutamente» disse un perentorio Kanon alzando le braccia al cielo.
«Kanon, non te lo sto mica chiedendo» il tono del sacerdote si fece serio e autoritario «è un ordine» puntualizzò con un finto sorriso «e poi Alexandra ti assicuro che Kanon ti saprà proteggere egregiamente, in fondo lo ha fatto fino ad ora, non credi?»
«Ma…» iniziarono i due.
«Devo andare adesso e tu Alexandra dovresti riposare. Buonanotte» e li congedò sparendo dietro la tenda.
I due rimasti soli nell’enorme sala si guardarono un istante con un’espressione a metà strada fra l’afflitto e il frustrato per poi alzare gli occhi al cielo rassegnati.
Nei loro pensieri una sola convinzione:
“Questa è davvero una pessima idea…”
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 Cap 9 – Fra ricordi e rancori
I due uscirono in fretta dal tredicesimo tempio, curandosi di stare ben distanti l’uno dall’altro e, soprattutto, di non guardarsi negli occhi.
Inaspettatamente trovarono tutti i cavalieri d’oro ad attenderli nel cortile antistante al tempio.
«Alexandra questi sono i Gold Saint di Athena» disse Mur avvicinandosi con un sorriso «Hanno ritenuto opportuno presentarsi, visto che rimarrai con noi per qualche tempo».
«Oh… capisco, beh…» rispose la ragazza impacciata gettando uno sguardo oltre le possenti spalle del cavaliere in direzione degli altri Saint.
«Quante formalità, Mur! Non c’è bisogno di tutta questa etichetta, siamo fra amici in fondo» un ragazzo dai capelli blu si fece avanti, aveva un bellissimo viso d’angelo anche se il suo atteggiamento lo faceva apparire molto più dongiovanni «Sono Milo, cavaliere di Scorpio. È un piacere conoscerti» disse prendendole la mano e baciandogliela.
Alexandra rimase interdetta, un po’ perché ancora imbambolata a guardare il giovane che, in tutta onestà, era proprio un bel adone, e un po’ perché spiazzata da quel gesto tanto inusuale per lei. In fondo lei, così come le sue compagne, di uomini ne avevano conosciuti ben pochi, solo messaggeri che chiedevano udienza alla Dea e i rispettivi soldati accompagnatori. Senza contare che per loro sacerdotesse ogni rapporto con il genere maschile era categoricamente vietato: Artemide era molto gelosa delle sue protette, fin dai tempi del mito. Nessuna poteva anche solo provare interesse per un uomo senza il suo esplicito consenso, un consenso che, in ogni caso, arrivava molto di rado.
«Ma non avevi detto niente formalità?» chiese Mur ironico.
«Che vai blaterando? Questo non ha nulla a che vedere con la formalità, è solo un gesto di apprezzamento per una bella ragazza» rispose Milo sfoggiando il suo sorriso migliore. Quel complimento fece arrossire Alex che ritrasse la mano velocemente come se avesse preso la scossa.
«Milo, ti consiglio di evitare di sfoderare la tua ben nota arma di seduzione; con questa di ragazza in particolare» intervenne un ragazzo dai capelli castani «devo ricordarti che è una sacerdotessa di Artemide e, come ben sai, non è prudente importunare le sue protette, sempre che tu non viglia andare incontro alla sua collera, che per l’appunto è già ricaduta su di noi per altri motivi» disse il ragazzo sfoderando una saggezza che andava sicuramente molto aldilà della sua giovane età.
«Si, vecchio maestro. Però che spreco…» sbuffò Milo strizzando l’occhio alla giovane sacerdotessa.
Alexandra non badò a quest’ultimo gesto perché troppo intenta a cercare di capire il perché di quello strano appellativo. Il ragazzo parve capire i dubbi della ragazza.
«Io sono Dohko, cavaliere di Libra, in verità ho ben più di 250 anni, è una lunga storia…» tagliò corto il cavaliere.
Alex annuì capendo che non era il momento di chiedere spiegazioni in merito.
«Beh, passiamo alle presentazioni» intervenne Mur dolcemente.
«Lui è Aldebaran, Saint del Toro» disse indicando un omone altissimo e imponente ma che trasudava bontà da tutti i pori. Il cavaliere salutò la ragazza con un sorriso.
«Dunque…beh Kanon già lo conosci. Poi c’è DeathMask, cavaliere di Cancer» il quale guardò Alex con un ghigno canzonatorio « lui è Ioria, il Saint del Leone».
«Piacere» disse Ioria con espressione seria.
«poi il cavaliere della Vergine, Shaka» continuò Mur. Alexandra gli andò vicino e gli mise una mano sulla spalla «eccomi, è un piacere».
«Ti assicuro che, per quanto possa sembrati strano, io ci vedo benissimo» disse Shaka pacato. Alexandra voleva sprofondare sottoterra per la gaffe appena fatta mentre DeathMask iniziò a sghignazzare senza ritegno.
«Oh, ehm, scusami io credevo che…»
«Non fa niente, è un errore comune…» rispose sempre con lo stesso tono il cavaliere della Vergine.
«Beh, si continuiamo…allora dove ero rimasto…ah si, Dohko e Milo li hai già conosciuti, poi loro sono Shura del Capricorno e Camus dell’Acquario» entrambi la salutarono un po’ freddi «e per finire lui è Aphrodite, cavaliere dei Pesci».
«Piacere mia cara» disse il ragazzo dai lunghi boccoli azzurri. Alexandra notò una certa somiglianza con l’uomo che le aveva venduto gli abiti vicino Tebe. Intuendo l’ascendente del cavaliere, rivolse un’occhiataccia a Kanon per la sua precedente affermazione di dividere la casa con lui; notò solo in quel momento che Kanon si era allontanato dal gruppo, tenendosi in disparte.
«Ecco, hai conosciuto tutti» sentenziò Mur soddisfatto.
«Ne manca uno» constatò la ragazza ricontando mentalmente gli uomini che aveva davanti a sé.
«Ah…si beh Aiolos, il cavaliere del Sagittario, in effetti lui…» iniziò Mur impacciato.
«Mio fratello è morto anni fa… nel tentativo di salvare Athena…da Saga» intervenne freddo e distaccato Ioria.
Alexandra ebbe una fitta al cuore, aveva sentito del tradimento di Saga. Nonostante il totale isolamento di Parnitha, a volte qualche messaggero portava notizie.  Ma in effetti sapeva anche di più: sapeva chi aveva piantato il germe della cattiveria in Saga. La fitta di dolore si tramutò presto in rabbia, una profonda rabbia e delusione.
“Come hai potuto...” pensò con rammarico.
«Ioria, non ha senso nutrire ancora astio» intervenne Dohko «non dobbiamo più permettere che vecchi rancori ci dividano, non possiamo permettercelo, soprattutto ora».
«Esatto e poi abbiamo già trattenuto abbastanza la nostra giovane ospite» sorrise amabilmente Aldebaran «credo tu sia molto stanca, dovresti riposare».
«E noi tutti dovremmo tornare alle nostre rispettive case» precisò Camus.
«Bene, Alex, ti lasciamo nelle abili mani di Kanon. Buonanotte» la salutò Mur scendendo la scalinata. Gli altri cavalieri lo seguirono a ruota dopo aver salutato a loro volta.
DeathMask prima di scendere si avvicinò a Kanon.
«Compare, se la situazione dovesse farsi pesante, il miglior rimedio sono due birre e il maxi schermo della quarta.» disse dando una sonora pacca sulle spalle del cavaliere per poi scendere ridacchiando le scale.
Kanon, facendo finta di nulla, mise le mani dietro la nuca stiracchiando la schiena.
«Forza, andiamo» ordinò alla ragazza.
 
 
Scesero in fretta fino alla terza casa. Kanon si fermò davanti al portone e con un inchino cavalleresco che sapeva più di strafottente, la invitò ad entrare.
«Benvenuta alla reggia» la sfotté.
Alexandra entrò e l’ambiente che le si presentò davanti la lasciò decisamente stupita: era totalmente diverso da quello che si era aspettata. L’arredamento della casa era tutto in stile moderno: divani di pelle dalla linea molto squadrata con al centro un imponente camino in marmo nero, una cucina attrezzata open space con un’isola al posto del tavolo.  Tutte cose che la sacerdotessa non aveva mai visto: era abituata ad ambienti molto più naturali e spartani a Parnitha.
Rimase sull’uscio della porta, guardando con indecisione la sala. Kanon allora la sorpassò e si diresse al camino per accenderlo.
«Hai intenzione di rimanere lì tutto il tempo?» chiese.
«No, no… è solo che…» iniziò lei.
«Non amo particolarmente il classico» disse lui anticipandola «qui non troverai statue, colonne o grandi vasche termali…quello è più il genere di Saga» disse con un velo di disgusto «da quando questa casa è passata a me, ho deciso di darle un tocco contemporaneo. Lui del resto ha tutto lo spazio che vuole, lì al tredicesimo tempio, per giocare a fare l’imperatore» finì la frase sprezzante.
«Non è esattamente quello che mi aspettavo» commentò Alex facendo spallucce «dov’è la mia stanza?» chiese.
«In fondo, la terza porta a destra»
«e la tua?»
Kanon per poco non fece cadere la legna del camino per l’imbarazzo. Sforzandosi di mostrare l’espressione più indifferente che poté, si voltò verso la ragazza e inarcò un sopracciglio.
«Perché vuoi saperlo scusa?»
«Non voglio certo rischiare di finire nella tua stanza cercando il bagno!» rispose lei indignata.
«Si, certo. Potevi semplicemente chiedere dov’era il bagno» constatò lui in tono di sfida sfoggiando lo sguardo più bastardo del suo repertorio.
Alexandra aprì la bocca come a voler rispondere, ma l’ovvietà della sua affermazione la mise in imbarazzo.
Lo odiava! Odiava quel suo atteggiamento strafottente!
«Ma vai al diavolo!» disse lei irata dirigendosi nella sua stanza.
Stava per aprire la porta quando…
«quella è la mia stanza» disse Kanon senza distogliere lo sguardo dalla legna che bruciava.
“Accidenti!” la ragazza strinse i pugni e fece qualche passo più avanti; poi, rivolgendosi a Kanon, indicò con un dito la porta che aveva davanti a sé con l’espressione più incavolata che riuscì ad ottenere.
Kanon la guardò con sufficienza e annuì.
SBAM!
Alex sbatté la porta dietro di sé, non prima di aver urlato al cavaliere un acido e laconico «Buonanotte».
Kanon si lasciò cadere stancamente sul divano di pelle e si passò una mano fra i lunghi capelli sbuffando.
“Perché capitano tutte a me?”
 
Le prime luci dell’alba filtrarono all’interno della Terza Casa indisponendo un Kanon ancora dormiente. Si rigirò sul divano dove la sera prima si era addormentato, coprendosi gli occhi con il braccio.
Aveva passato una lunga notte a riflettere sulla situazione: era terribile e allo stesso tempo assurdo trovarsi a dividere la stessa casa con lei. Non l’aveva più rivista per anni e ora si trovavano catapultati insieme in quella storia per chissà quale scherzo del destino.
No, di sicuro qualche divinità doveva avercela con lui, non c’era altra spiegazione. I pensieri più disparati si fecero largo nella sua mente e capì che ormai ogni speranza di riaddormentarsi era bella che svanita.
Si alzò controvoglia dal suo giaciglio d’accomodo e si sgranchì la schiena. Il divano era certamente stupendo ma non poteva dirsi lo stesso della sua comodità.
Si diresse al bagno con l’intento di farsi una bella doccia fredda per svegliarsi del tutto, lungo il tragitto indugiò davanti la porta chiusa della camera di Alexandra.
“Chissà che starà facendo” la sua mente scivolò inesorabilmente nell’immagine di lei nel letto mentre dormiva e quando si rese conto della natura dei suoi pensieri li ricacciò dentro con rabbia. “Cosa accidenti vuoi che stia facendo?! Piantala con questi pensieri!” ordinò a se stesso.
Reputava del tutto fuori luogo fantasticare su quella ragazza. Ok, ammetteva che non era affatto da buttare, anzi. Ma il passato che aveva in comune con lei creava un legame emozionale che avrebbe reso tutto complicato, troppo complicato. A lui poi non piacevano le cose complicate. Eppure c’era qualcosa che lo teneva lì incollato davanti quella porta e lo invitava ad entrare.
“Beh, in fondo sono stato incaricato di non perderla di vista, quindi entrare a controllare sarebbe perfettamente in linea con il mio incarico. Si, è così” ghignò soddisfatto nell’aver trovato una scappatoia convincente alla situazione. Con cautela mise la mano sulla maniglia della porta e l’abbassò senza fare rumore.
«Che stai facendo?» l’improvvisa voce del gemello lo fece trasalire.
«Cos…TU che ci fai qui?» lo rimproverò duro Kanon.
«Sono venuto a controllare che andasse tutto bene. Va tutto bene, vero?» rispose Saga gettando lo sguardo sulla mano di Kanon ancora posata sulla maniglia con fare furtivo.
Kanon seguì lo sguardo del fratello e constatando dove si trovasse ancora la sua mano la ritrasse immediatamente «Era proprio quello che mi stavo accertando!» si giustificò stizzito.
«Hai tutto sotto controllo vedo.»
«Esattamente» disse Kanon con aria di superiorità.
«Certo» rispose Saga facendo dietro front e dirigendosi all’uscita «Ti interesserà sapere che Alexandra è già uscita di qui, circa mezz’ora fa...» disse prima di uscire.
«Cos…? Non può essere!» Kanon spalancò la porta della camera e notò con molto disappunto che era vuota.
«Accidenti!» imprecò.
 
 
Alexandra si era svegliata molto presto quella mattina, in ogni caso non era riuscita a dormire granché. Non aveva avuto difficoltà ad uscire senza essere vista o sentita: era abituata a muoversi furtivamente fra i boschi e sapeva essere invisibile se lo voleva.
Arrivò rapidamente all’arena dei duelli, era ancora molto presto e in giro per il Santuario non vi era nessuno.
Alex si affacciò a vedere quello che ad occhi estranei sarebbe sembrato più un teatro greco scavato su una collina. La sabbia dell’arena era qui e lì segnata da grandi macchie scure, sicuramente tracce di sangue rappreso, dei residui degli scontri cruenti che avvenivano in quel luogo.
Rivedendo l’arena le affiorarono alla mente tutti i duri allenamenti sostenuti in un lontano passato quasi dimenticato.
 
******
Due ragazzini, gemelli, lottavano instancabilmente da ore nell’arena. Era quasi il tramonto e il rosso del sole si dipingeva sulle bianche pietre di tufo dell’arena. Il vento soffiava incessante fra gli arbusti che sembravano frusciare a ritmo dei colpi incassati dai due.
I due lottavano senza che l’uno riuscisse a prevalere sull’altro.
«Ehi Kanon!!!!» una ragazzina sorridente dai lunghi capelli castani chiamò uno dei due dagli spalti. Fu giusto un attimo che il ragazzino si distrasse a guardarla e il pugno dell’altro lo centrò in pieno volto scagliandolo indietro di qualche metro.
«Accidenti Kanon, non distrarti!» si lamentò l’altro.
Kanon si alzò massaggiandosi il mento e sputando a terra un misto di saliva e sangue.
«Non è stata colpa mia!» si giustificò.
«In battaglia una distrazione del genere può essere fatale!» disse saccente il ragazzino identico a Kanon.
La ragazzina dai cappelli castani scese velocemente dagli spalti entrando nell’arena.
«Io e gli altri andiamo a fare una nuotata! Venite anche voi?» disse con un gran sorriso e due occhioni da cerbiatta ammaliatori.
«Deianira, ci stiamo allenando, non è il momento» rispose Kanon imbarazzato.
«Eddai! Tu vieni Saga?» si rivolse all’altro speranzosa.
«Beh, in fondo me lo merito, ho vinto la sfida» rispose Saga con un ghigno soddisfatto «Kanon, tu devi rimanere ad allenarti, non riuscirai mai a competere per un’armatura se ti lasci distrarre da tutto» disse severo.
«Ma non è giusto!» protestò Kanon.
Saga prese per un braccio Deianira e si allontanò senza dire altro lasciando il fratello solo nell’arena.
Questi irato più che mai riprese ad allenarsi prendendo a pugni e calci una colonna rotta.
Alexandra aveva visto la scena dagli spalti, rimanendo in disparte. A quell’epoca era una sacerdotessa alle prime armi, ma nonostante la sua giovane età mostrava già doti spiccate rispetto alle altre. La maschera argentata le copriva il volto ed era incorniciata da bruni capelli corti fino al mento.
«La colonna non è un valido avversario» urlò al ragazzino dagli spalti.
Questi si voltò di scatto non avendola notata fino a quel momento.
«Che ci fai qui?» chiese.
«Mi stavo allenando» fece spallucce lei raggiungendo il centro dell’arena con un balzo «Ho bisogno di un compagno, se non sei troppo impegnato a malmenare quel pezzo di pietra, potresti batterti con me» propose.
Il ragazzo ghignò «Ti faresti male».
«Vogliamo scommettere?» rispose lei sorridendo dietro la maschera.
I due si scagliarono l’uno contro l’altro in una serie di colpi e calci serrati. Si divertivano un mondo a lottare insieme, era evidente che il loro non era solo un semplice allenamento ma anche un gioco.
Kanon con una rapida mossa riuscì ad atterrarla ed a bloccarla mettendosi sopra di lei. «Ti arrendi?»
La ragazza riuscì ad afferrargli il collo con le gambe ed a scaraventarlo lontano liberandosi dalla presa «Un Saint non si arrende mai!» disse rialzandosi.
Kanon si alzò a sua volta e guardò la ragazza sorridendole.
«Diventerai proprio una brava Saint» le disse.
«E tu saprai meritare la cloth» rispose lei ricambiando il sorriso. Nonostante la maschera era sicura che Kanon riuscisse a leggere le sue emozioni meglio di chiunque altro.
Kanon improvvisamente si incupì e andò a sedersi sugli enormi gradoni dell’arena.
«Cosa c’è?» chiese Alex sedendosi vicino a lui.
«Non credo che riuscirò ad ottenerla. Saga… lui è molto più bravo di me, di sicuro otterrà lui la cloth» disse amaramente guardando il cielo ormai quasi del tutto blu.
«Si, lui è molto bravo» rispose lei e Kanon si incupì ancora di più «ma tu, tu non sei da meno. Partirai già sconfitto se la pensi così».
Kanon si voltò a guardarla «Forse hai ragione».
«Certo che ho ragione!» disse lei fingendosi offesa. «Facciamoci una promessa» si alzò di scatto mettendosi davanti a lui ed allungando la mano «promettiamoci di diventare dei Saint e di lottare insieme per Athena fino alla morte!» disse carica d’entusiasmo.
Kanon sorrise e afferrò la sua mano «Insieme!».
 
******
 
«Ah sei qui! Ma che diamine ti salta in mente? Andartene di soppiatto da sola! Vuoi mettermi nei guai?» la voce furente di Kanon la fece riemergere dal mare di ricordi.
«Stavi dormendo e anche piuttosto rumorosamente, non volevo svegliarti. E poi non sono mica una reclusa!» si lamentò lei.
«Sei sotto la nostra protezione, ergo non te ne puoi andare in giro da sola vanificando tutti i nostri sforzi» rimbeccò Kanon.
«So difendermi da sola» ribatté acida.
«Ma davvero? Conciata così?» il cavaliere indicò la sua spalla fasciata.
«Senz’altro»
«Smettila di dire sciocchezze e andiamo» disse lui.
Alexandra si arrabbiò molto, non le andava di essere paragonata ad una scolaretta invalida. Senza ribattere alcunché si scagliò contro il cavaliere sferrando un pugno con il sinistro. Kanon parò senza problemi il colpo. Non volendosi arrendere, Alex rispose con un calcio seguito da una gomitata sulla spalla.
Il cavaliere dopo aver parato tutti i colpi le diede un colpo alle gambe che le fece perdere l’equilibrio sicché cadde a terra di schiena dando tutto il tempo a Kanon di mettersi sopra di lei e bloccarle il braccio sano sopra la testa.
«Ti arrendi adesso? Non sei in grado di combattere» disse lui.
Alexandra provò con tutte le sue forze a divincolarsi ma non ci riuscì. Non rispose, non avrebbe mai accettato la resa e Kanon capì che era inutile aspettarselo.
Si alzò e le porse il braccio per aiutarla ma lei rifiutò scostandolo bruscamente e mettendosi in piedi da sola.
«Quelle fasciature vanno cambiate» sentenziò Kanon.
«Faccio da sola, grazie»
«Piantala di avere questo atteggiamento, voglio aiutarti» rispose duro il cavaliere stringendo gli occhi a due fessure «Andiamo».
Alexandra lo seguì senza dire più una parola.
 
Tornati alla terza casa Kanon prese delle bende pulite e la invitò a sedersi sul divano di pelle.
«Scopri la spalla» ordinò e la ragazza per tutta risposta lo guardò con circospezione «Non provo alcun piacere a vederti senza abiti, se è ciò che ti infastidisce» disse lui mentendo in maniera convincente anche a se stesso «ma non posso medicarti se non scopri la spalla»
Alex obbedì con riluttanza guardando, per pudore, nella direzione opposta.
Le abili mani del cavaliere iniziarono ad armeggiare con le bende, togliendo quelle vecchie e logore e iniziando ad avvolgere quelle pulite. I suoi tocchi, con grande sorpresa della ragazza, risultarono estremamente delicati e piacevoli. Era evidente che quei gesti li aveva compiuti diverse volte nella sua vita. Non che Alex fosse stupita: lui era un cavaliere, lo sapeva, aveva dovuto lottare molte volte e di sicuro nonostante la sua innegabile forza doveva aver riportato numerose ferite e di conseguenza aveva imparato come automedicarsi.
Il silenzio creatosi fra i due iniziò a divenire insostenibile.
«Perchè lo hai fatto?» chiese Alex con lo sguardo perso nel vuoto.
«Fatto cosa?» chiese a sua volta Kanon non capendo realmente la domanda.
«Perché hai fatto questo a tuo fratello Saga?» specificò lei voltandosi a guardarlo con un’espressione indecifrabile «Ahi!» gemette.
Kanon aveva legato la benda talmente stretta da farle male. Improvvisamente gli occhi blu del cavaliere dapprima sereni mutarono divenendo inquieti, come il mare che si agita all’improvviso per l’insorgere di una tempesta.
«Ho fatto, puoi andare» rispose freddo lui alzandosi e uscendo in fretta dalla casa lasciando la ragazza da sola, senza una risposta.
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Offline Pandora

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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #3 il: 29 Settembre, 2017, 22:50:57 pm »
 Cap 10 – Accordi
Il Grande Sacerdote si era alzato presto, come tutte le mattine, per sbrigare il gran numero di seccature burocratiche che di giorno in giorno si accumulavano sempre di più nella sua scrivania.
Quando Athena gli propose di diventare suo vicario, Saga non credeva affatto che ci sarebbero state tutte quelle inutile faccende minori a cui badare. Insomma, aveva già ricoperto quella carica, in effetti più come despota, eppure aveva sempre pensato che il ruolo di Grande Sacerdote si limitasse a custodire e proteggere Athena, prendere decisioni importanti, gestire i grandi problemi del Santuario. Invece gli erano state affibbiati anche compiti insulsi e fra questi organizzare le Panatenee, le festività in onore della loro Dea. Al solo pensiero un brivido di disgusto gli attraversò la schiena.
Non poteva credere che in un momento simile la priorità del vicario di Athena dovessero essere le Panatenee.
“Accidenti! Siamo in guerra e dovremmo trovare il tempo di festeggiare? Certe volte non riesco a capire proprio quella donna!” Pensò Saga sprofondando nel suo seggio e passandosi nervosamente una mano fra i lunghi capelli blu. Prese alcune carte dall’imponente scrivania che aveva di fronte e iniziò a leggerle distrattamente.
«Levatevi dai piedi!»
«Devo insistere, mio signore! Il Sommo Sacerdote è nelle sue stanze e nessuno ha il permesso di entrare!»
Un gran vociare proveniente dalla sala del trono lo fece distrarre. “Che diamine succede adesso?” si chiese sbuffando e alzandosi dalla sedia con scatto felino e uscendo rapidamente dallo studio.
Si diresse a grandi falcate verso l’enorme sala principale facendo frusciare le lunghe vesti cerimoniali che indossava.
Kanon era intento a discutere animatamente con due guardie all’ingresso.
«Devo assolutamente conferire con Saga, levatevi di mezzo. Vi avverto: io passerò, che lo vogliate o no!» disse un sempre più alterato Kanon in preda ad una evidente crisi isterica.
«Lasciatelo passare» intervenne Saga avanzando. Le guardie si inchinarono rispettosamente e, obbedendo all’ordine, uscirono dal grande salone.
Kanon si diresse velocemente verso il grande trono in fono alla sala, aveva i pugni stretti e un’espressione furibonda.
«Lo sai, all’inizio pensavo non ci fosse malignità nelle tue decisioni, ma ora credo proprio che tu lo abbia fatto di proposito per farmi perdere le staffe!» sbraitò il gemello guardando con odio Saga.
Questi per tutta risposta si accasciò sul trono passandosi una mano sulle tempie.
«Si può sapere di cosa stai parlando?» chiese sospirando ad occhi chiusi «Non è il momento di fare certe scenate, ho altro a cui pensare, fratello».
«Mandala da qualche altra parte!» rispose Kanon diretto.
«Parli di Alexandra?» chiese Saga confuso alzando lo sguardo.
«Non fare la parte dell’ingenuo adesso! Sapevi che non era il caso di affidarla a me e lo hai fatto deliberatamente e di proposito!»
«L’ho affidata a te…» iniziò saga scandendo le parole in un sibilo spazientito «…perché sono sicuro che con te sarebbe più al sicuro».
«Non ne sarei così sicuro: mi fa saltare i nervi, da un momento a l’altro potrei anche decidere di farla fuori» disse Kanon evidentemente scocciato.
«La tua aria da duro ingannerà gli altri, Kanon, ma non me. Non lo faresti mai, non a lei comunque»  rispose il fratello.
Il cavaliere distolse in fretta lo sguardo, sempre più irritato. Era conscio della verità racchiusa in quelle parole, ma sentirle pronunciare proprio da Saga aveva un ché di insopportabile.
«Comunque» continuò Saga ignorando gli sbuffi di Kanon «se davvero è così impossibile avere a che fare con lei, cerca di comportarti in modo più professionale… che poi è quello che dovresti fare… insomma devi evitare qualsiasi…» il Sacerdote pensò bene a quale parola usare «…emotività» finì la frase annuendo con un sorriso di scherno.
«Risparmiami le lezioni, Saga. Non siamo più bambini» disse Kanon glaciale.
«E tu non comportarti come tale. Sei un cavaliere e ti è stato affidato un incarico. Invece di lamentarti, preoccupati di svolgerlo al meglio» il tono di Saga ora era serio e autoritario.
«Tsk…d’accordo» acconsentì con grande sforzo.
Saga si alzò dal trono dirigendosi all’uscita del tempio «Veniamo a cose più importanti» superò Kanon e con un gesto della mano lo invitò a seguirlo.
Appena i due furono fuori, la luce del sole ancora basso sull’orizzonte li abbagliò.
«I propositi diplomatici di Athena sono l’unica possibilità che abbiamo di spuntarla in questa guerra; da soli non abbiamo alcuna chance di sopravvivere» disse serio Saga.
«Noi Gold siamo perfettamente in grado di proteggere il Santuario e Athena» rispose Kanon convinto delle sue affermazioni.
«Contro l’intero Olimpo?» lo rimbeccò Saga «Gli Dei si stanno schierando contro di noi, verremo tutti sbaragliati, non abbiamo la forza di fronteggiarli tutti senza aiuto»
«Quindi dovremmo elemosinare l’aiuto degli altri Dei che ancora non hanno deciso da che parte stare? È questo il piano?» chiese Kanon sprezzante.
«Volevo dirlo in modo diverso, ma si, è così. Athena è decisa ad approfittare dell’aiuto di Alexandra: lei potrà convincere gli altri della verità».
«È troppo pericoloso! Le sacerdotesse di Artemide le stanno dando la caccia; se vogliono ucciderla, andare in giro per il mondo a trovare divinità di dubbia lealtà sarebbe come servirla su un piatto d’argento» contestò Kanon anticipando le preoccupazioni di Saga.
«Esattamente» Saga scostò una ciocca di capelli che, prepotente, era andata a coprirgli il viso angelico «Comunque Alexandra non si è ancora ripresa, abbiamo tempo per pensare ad una soluzione».
Kanon senza dire una parola fece per andarsene scendendo la lunga scalinata di fronte a sé.
«Kanon» lo fermò Saga afferrandogli un braccio «potrebbe non esserci altra scelta, lo sai, vero?».
«In quel caso terrò fede al mio incarico…» rispose Kanon liberandosi bruscamente dalla presa e sparendo definitivamente dalla vista del gemello.
 
 
Alexandra stava distesa sul letto da ore, guardando il soffitto della sua camera con occhi vuoti e spenti: pensava ancora alla domanda che aveva rivolto a Kanon, alla quale non aveva ricevuto risposta.
“Chi sono io per fargli quella domanda in fondo? Non dovrei intromettermi, non è una cosa che mi riguarda, dopotutto. Non più.”
Eppure il pensiero non le dava pace. Com’era possibile che lui, Kanon, avesse fatto una cosa simile a suo fratello, al Santuario, ad Athena.
Da bambini sognavano di diventare cavalieri insieme e di proteggere Athena e la giustizia da tutto e tutti. “Avevamo promesso. Già... e sono stata proprio io ad infrangere per prima la promessa...”
Una fitta alla spalla ancora fasciata la face distogliere dai suoi pensieri. Decise di alzarsi ed andare fuori a prendere una boccata d’aria.
Il vento fresco le accarezzò dolcemente i lunghi capelli facendole salire un brivido lungo la schiena.
«Ciao!»
Alexandra per lo spavento balzò su se stessa come un gatto. Si guardò a destra e sinistra non vedendo nessuno, così si voltò dietro e scorse un ragazzino dai corti capelli ramati che la guardava con un sorriso furbetto.
«C...ciao. Mi hai spaventata ragazzino» disse prima incerta ma poi sorrise rendendosi conto che era solo un bambino.
«Sono Kiki, fratello di Mur, il cavaliere dell’Ariete» si annunciò il bambino con aria fiera.
«Si, beh lo avevo intuito dai...» disse imbarazzata Alex indicando i due punti rossi sulla fronte.
«Tu sei Alexandra, la sacerdotessa di Artemide?»
«Si, sono io. O almeno lo ero fino a qualche giorno fa, adesso non so. La divina Artemide è in collera con me per qualcosa che non ho fatto. Credo di non avere più la sua protezione» rispose Alexandra tristemente.
«Protezione?» chiese Kiki.
Alexandra scostò i capelli e scoprì leggermente la spalla destra coperta ancora dai bendaggi, mostrando un tatuaggio a forma di luna crescente decisamente sbiadito.
«Vedi, la Divina Artemide marchia con questo tatuaggio tutte le sue protette, il mio è ormai quasi impercettibile, segno che non sono più nelle sue grazie. Lei ci ha sempre protetto da tutto: dai mali del mondo, dalle sue cattiverie, e in particolare dagli uomini e dalla loro cupidigia» spiegò lei.
«Si, mio fratello mi ha raccontato tanto su di voi, ecco perché ero così ansioso di incontrarti» disse il bambino con aria furbetta. «però...in tutta onestà a me sembra più una reclusione...» constatò poi.
A quelle parole Alex sorrise mesta: le parve di ascoltare Deianira, ogni volta che si lamentava della loro vita nei boschi.
“Deianira...è colpa mia se ti hanno presa...” si ricordò dell’amica scomparsa, e si amareggiò di non sapere nulla della sua sorte.
«Qualcosa non va?»
«No, nulla» sorrise «Ascolta Kiki, dovrei parlare con tuo fratello, mi conduci da lui?»
«Ma certo, seguimi!» rispose Kiki sorridente e con una corsa la superò e prese a scendere la lunga scalinata della Terza Casa invitandola a seguirlo.
 
****
 
Deianira si risvegliò in un ambiente buio, non riusciva a scorgere nulla attorno a sé. Aveva le mani legate ad una catena che scendeva sopra la sua testa. Istintivamente cercò subito di liberarsi da quelle catene ma senza successo.
Non ricordava quasi nulla, solo un fitto dolore alla testa le ricordò di averla battuta forte contro una parete prima di svenire.
Il panico iniziò ad impossessarsi di lei: prese a dimenarsi cercando in tutti i modi di liberarsi dalla morsa delle catene. Calde lacrime cominciarono a solcarle il volto.
«Cara ragazza, è perfettamente inutile che ti dimeni, quelle catene sono state fabbricate da Efesto» una voce femminile dietro di lei la fece trasalire. Era calda e ammaliatrice eppure nelle sue note si intuiva una vena di follia.
Deianira cercò di voltarsi dietro.
«Chi sei?!» urlò.
La donna schioccò le dita e la sala si illuminò di una flebile luce di torce, abbastanza per permettere a Deianira di intravedere la sua interlocutrice.
Era una donna dai lunghi capelli neri leggermente scomposti. Una lunga veste drappeggiata di un viola cupo le copriva le forme sinuose come quelle di un serpente.
Gli occhi erano scuri anch’essi così come le sue labbra tinte di un rossetto scuro che risaltavano macabra sulla sua pelle chiara.
La donna si avvicinò lentamente a Deianira, con un sorriso inquietante, prese a girarle attorno come uno squalo fa con la sua preda. Rigirava fra le sue mani un calice con un liquido rosso al suo interno.
«Non aver paura» disse con un tono tuttavia poco rassicurante «Sono Eris, sorella del divino Ares»
Deianira sbarrò gli occhi e la rabbia iniziò a prendere il posto della paura.
«Ares? Bene, allora digli che non erano questi gli accordi! Io ho fatto la mia parte, ho tenuto fede all’accordo, ora lui deve fare lo stesso!» la fanciulla era furente ma al contempo intimorita.
«Certo mia cara, certo» rispose la donna melliflua «però vedi c’è stato un piccolo cambiamento nel nostro accordo. Il fatto è che abbiamo ancora bisogno del tuo aiuto, mia cara».
«No, basta! Non farò altro! Vi ho aiutato a far scoppiare il conflitto che desideravate, adesso Ares deve liberarmi dal mio patto con Artemide, era questo l’accordo!».
«L’accordo era questo. Il problema, carina, è che la tua amichetta è riuscita a fuggire insieme a quei due debosciati del Grande Tempio e se la tua amichetta se la canta riguardo l’accaduto, come dire, tutto il tuo operato diventa nullo» disse la Eris visivamente infastidita.
Dentro di sé Deianira si rallegrò di sapere che Alexandra stava bene, non avrebbe mai voluto coinvolgerla in tutta questa storia.
«Alexandra non faceva parte dell’accordo. Lei non c’entra nulla, Ares mi aveva assicurato che...»
«Le cose sono cambiate. Adesso la ragazza è d’intralcio» sentenziò la donna seria.
«Pretendo di parlare immediatamente con Ares! Adesso!» il tono autoritario di Deianira non scalfì minimamente Eris che anzi scattò verso di lei afferrandole i capelli e costringendola a guardarla nei suoi profondi occhi neri.
«Sei proprio una sciocca e viziata ragazza! Non te ne accorgi? Non sei nella condizione di pretendere nulla» disse in un sibilo.
Lo strattone ai capelli prese  a far scorrere nuovamente le lacrime dagli occhi di Deianira.
Eris lasciò la presa e si voltò dando le spalle alla ragazza.
«Pensaci, mia cara, il divino Ares ti offre una scappatoia dalla tua... misera condizione, e il prezzo è solo la vita di una sciocca ragazzetta. In fondo... è colpa sua se ti trovi in questa situazione, dico bene? Ma si certo, l’amicizia... è una squallida illusione» disse voltandosi di nuovo verso Deianira «non esiste, fidati. Tu cose le devi dopotutto? Ti ha trascinato verso una vita fatta di rinunce e sofferenze e per cosa? Per un segreto, per una vergogna...»
«Come sai queste cose?» chiese sconcertata Deianira.
«Ma è tutto qui...» Eris le puntò un dito sulla fronte facendole male «nella tua mente...»il suo dito scivolò poi lungo il suo viso, sulle sue labbra, lungo il suo collo fino a puntare in mezzo ai suoi seni, proprio dritta al suo cuore «...e il tuo rancore è tutto qui... lo sento» sorrise perfida inarcando la testa indietro inspirando profondamente, come a sentire nell’aria un odore piacevole.
La fanciulla ammutolì di colpo, soppesando le parole della Dea.
Questa allora si voltò nuovamente e si allontanò da lei.
«Pensaci bene, tesoro» disse prima di sparire nel buio lasciando Deianira sola con se stessa.
“Alex... Perdonami...”
 
****
 
Athena stava seduta sul suo trono dorato, pensierosa. Era possibile che l’umanità non potesse vivere in pace e serenità? Si chiedeva spesso perché fosse condannata ad una vita di lotte e privazioni. Rimpiangeva la sua infanzia, così spensierata, così felice.
Da Dea aveva vissuto solo anni inquieti: tante suoi cavalieri erano morti o avevano affrontato l’impossibile per lei. E poi, quando tutto era finito e le era stato concesso di riportarli in vita ecco che di nuovo erano costretti a rischiare la vita.
Forse avrebbe solo dovuto scontare le sue colpe con Zeus, in questo modo tutto sarebbe finito e i suoi cavalieri avrebbero vissuto in pace come meritavano.
“Cosa sto dicendo? Nessuna divinità avrà mai pietà di loro, senza di me verrebbero tutti uccisi o peggio relegati nel Tartaro!”
«Mia signora»
La Dea sobbalzò sul trono riportata alla realtà da quel richiamo.
«Saga, vieni pure» disse cercando di mascherare al meglio le sue preoccupazioni.
«Mia signora, devo parlarle di una faccenda importante...»
«Naturalmente Saga, ma prima dimmi: procedono bene i preparativi per i festeggiamenti?» sorrise amorevole.
Saga si avvicinò al trono facendo frusciare la sua veste di Gran Secerdote. Il sole era tramontato da un pezzo e le torce rischiaravano l’enorme sala.
«Si, mia Dea, è tutto pronto per i festeggiamenti. Ma era proprio di questo che volevo parlarvi» ammise il cavaliere guardandola con i suoi occhi blu cobalto.
Athena lo guardò interrogativo e allora Saga continuò anticipando ogni sua domanda.
«Mi chiedevo...viste le circostanze...è proprio necessario procedere con i festeggiamenti? Insomma, siamo nel bel mezzo di un conflitto, i cavalieri avvertono la tensione, così come tutti gli abitanti del Santuario e ogni dove si sentono mormorii di disappunto per queste Panatenee»
Athena si alzò dal trono e Saga si zittì.
«Saga, ti assicuro che nessuno più di me è in ansia per questo conflitto».
Il cavaliere abbassò allora il capo.
«Capisco le tue preoccupazioni, tuttavia non devi sottovalutare l’importanza di questi festeggiamenti: è importante far distrarre i cavalieri prima di una battaglia, inoltre queste festività hanno uno scopo ben preciso» disse sibillina.
«Potrei essere messo al corrente dei suoi piani?» Saga non nascose il suo disappunto stavolta. Non gli andava affatto che la Dea prendesse decisioni senza interpellarlo: era si la Dea, però lui era il suo vicario e doveva essere al corrente di ogni cosa. O forse ancora non si fidava di lui?
Ricacciò subito quel pensiero assurdo. Sapeva bene che Athena aveva riposto piena fiducia in lui quando lo aveva nominato Gran Sacerdote. Lui fra tutti, con il suo passato poi, come avrebbe potuto dargli quell’incarico se non si fosse fidata?
«Ma certo, perdonami se non te ne ho parlato prima, ma ero sicura che avresti avuto da ridire» rispose la fanciulla sorridendo colpevole. Saga si intenerì, nonostante fosse ormai una donna, nonostante tutto ciò che aveva affrontato, riemergeva sempre il suo lato umano, il suo lato fallibile e imperfetto, così lontano dalla sua divinità.
«Il fatto è che queste feste sono una perfetta occasione diplomatica: non soltanto i membri del Santuario parteciperanno, ma anche delegati delle divinità che cercheremo di accattivarci. Quale migliore occasione di un incontro diplomatico di un festeggiamento? I toni saranno distesi e non ci saranno attriti, almeno spero. Inoltre tutto si svolgerà nel nostro territorio e quindi i rischi saranno minimi... specialmente per Alexandra...» finì il discorso rivolgendo a Saga un sorriso complice.
Saga improvvisamente capì tutto. Come aveva fatto a non pensarci? Era un piano molto astuto, ma del resto lei era la Dea dell’astuzia, cosa poteva aspettarsi di meno?
«Tenete molto a lei, vero? Tu e tuo fratello...» chiese curiosa la Dea.
«Ci conosciamo da tempo, si...» rispose Saga adombrandosi e tagliando corto.
«Capisco» Athena intuì che il suo cavaliere non aveva alcuna voglia di toccare l’argomento, ma si ripropose di indagare nuovamente sulla faccenda.
«Ad ogni modo anche Alexandra dovrà fare la sua parte: dovrà assistermi nel parlare con i delegati, la sua presenza e la sua testimonianza saranno fondamentali. Naturalmente per avvalorare le sue parole sarebbe il caso che anche Kanon e Mur si unissero a noi»
«Naturalmente, provvederò ad informarli io di tuta la faccenda» annuì Saga.
«Bene, se è tutto con il tuo permesso vorrei ritirarmi nelle mie stanze, sono un po’ stanca. Anche tu dovresti riposare, non hai una bella cera».
Non riusciva a non preoccuparsi per i suoi uomini e più di tutti aveva preso a cuore Saga. Nonostante il suo passato tormentato, nonostante tutto il male che aveva fatto a lei ed a molti altri, non riusciva a non provare pietà ed amore per quell’uomo all’apparenza così forte ma in realtà fragile, proprio come lei.
«Mia signora» acconsentì con un profondo inchino e Saga la vide sparire con un sorriso dietro ai pesanti tendaggi rossi.
Il cavaliere uscì dal tredicesimo tempio e iniziò a scendere le scalinate. Un sorriso divertito fece la comparsa sul suo volto dapprima serio:
“Beh, vediamo il lato positivo: sarà uno spasso dirlo a Kanon”
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 Cap 11 – Tu non sai
Il buio della sera si fece largo tra gli ultimi sprazzi di arancio del tramonto e il Santuario iniziò ad essere rischiarato dalla flebile luce dei bracieri e delle torce disseminate qua e là nei templi. I soldati iniziarono i loro giri di ronda per accertarsi che tutto fosse tranquillo. Il silenzio pervase ogni luogo.
«STARAI SCHERZANDO!!»
Le urla di un Kanon evidentemente furente si diffusero potenti in tutte e dodici le Case.
«Non scherzo affatto» rispose Saga cercando di celare quanto più possibile la sua aria divertita.
Kanon prese a camminare furiosamente avanti e indietro per la Terza Casa, borbottando parole incomprensibili al fratello, il quale comunque intuì che dovevano trattarsi di insulti.
Dal canto suo Saga si sedette nel divano allargando le braccia sulla spalliera. Aveva abbandonato gli abiti cerimoniali da Grande Sacerdote per mettersi più comodo. Sapeva bene che convincere il fratello non sarebbe stato facile perciò pensò bene di indossare i suoi abiti preferiti: una camicia di lino candido stretta invita da una cintura di cuoio e dei pantaloni scuri sempre dello stesso tessuto.
«Te lo ripeto, no, no e assolutamente no!» riprese a lamentarsi Kanon puntando minaccioso un dito contro il gemello.
Saga fece finta di non sentire le sue lamentele, buttò indietro la testa sulla spalliera del divano, chiudendo gli occhi.
«Dov’è Alex?» chiese.
Kanon si voltò dandogli le spalle con un sonoro sbuffo.
«Non ne ho la più pallida idea, è tutto il giorno che non la vedo»
Saga aprì gli occhi, lo guardò e alzò un sopracciglio. “Forse non è stata poi una buona idea affidarla a lui” pensò.
«Non lo sai? Ah beh, è un bel modo di tenere fede al tuo incarico» disse con disappunto alzando le braccia incredulo.
«Oh ma insomma che ne so! Stava andando da Mur più o meno dieci minuti fa… » rispose Kanon
“Lo sapevo!… mi sembrava strano, infatti” pensò Saga divertito.
L’ilarità di Saga non dovette sfuggire al fratello che subito si maledì per aver confessato.
Non gli andava affatto che Saga pensasse che la controllava più di quello che dava a vedere, che tenesse a lei. “Non è così?” pensò “accidenti!” ricacciò il pensiero subito.
«Comunque non cambiare argomento!» ribatté quindi acido «Io non farò questo, scordatelo, è fuori discussione. Ma per chi diavolo mi hai preso? No, non lo farò, non puoi chiedermi questo!» il volto di Kanon era ormai un misto di rabbia e disperazione.
«Cosa ti fa pensare che te lo stia chiedendo?» rispose Saga schifato «Io, in effetti, te lo sto ordinando» disse con il tono autoritario da Grande Sacerdote.
Kanon sbuffò ancora e incrociò le braccia al petto «Non è giusto!»
Saga si intenerì a vedere quella scena, gli ricordava quando erano piccoli: essendo lui il maggiore tra i due era solito comandare, dirgli cosa fare, e lui, come ogni fratello minore, non era mai contento di obbedire. Eppure lo aveva sempre fatto, lo aveva sempre ascoltato, facendo tutto ciò che gli chiedeva.
Al pensiero si sentì in colpa: lo aveva sempre comandato a bacchetta, anche se lo faceva per il suo bene, non poteva fare a meno di pensare che probabilmente era stata proprio quella mancata libertà a farlo cedere, a trasformarlo nel mostro che in realtà non era. Probabilmente era lui il vero mostro, ciò che era emerso dalla profondità del suo cuore era in realtà il suo vero essere, Kanon non ne aveva colpa.
«E’ tutta colpa tua!»
Le parole di Kanon lo riportarono alla realtà e come una coltellata lo trafissero al cuore.
Gli ci volle qualche istante per realizzare che Kanon si stava riferendo a tutt’altro argomento, tuttavia l’espressione interrogativa aveva già fatto capolino sul volto di Saga.
«Tu sei il Grande Sacerdote, insomma! Non potevi importi? Dire che non era una buona idea? Dove si è mai visto festeggiare quando si è in guerra?»
«Si, non posso negare che è la medesima cosa che ho pensato io...»
Per tutta risposta Kanon alzò le braccia “ Ma è ovvio, infatti!” pensò guardando il fratello con l’espressione di chi sa di aver ragione.
«Tuttavia» continuò Saga imperterrito «Non appena Athena mi ha spiegato il suo piano, ho dovuto convenire con lei che fosse effettivamente la soluzione migliore»
«Frena, frena, fammi capire bene...» Kanon si porto la mano sulle tempie chiudendo gli occhi spazientito «Il nostro piano è quello di indire dei festeggiamenti in onore di Athena, la stessa con cui l’intero Olimpo è in collera, invitando inoltre tutti i delegati degli stessi Dei che la vogliono morta accattivandoceli e sperando che abbandonino i loro propositi bellicosi o che, addirittura, ci diano il loro sostegno? Ma è geniale!» concluse Kanon ironico alzando le braccia al cielo.
«Mh, in effetti è quasi tutto esatto con la differenza che ad essere invitati saranno solo i delegati degli Dei che non hanno ancora deciso da che parte stare» fece spallucce Saga.
«Si, certo! E come facciamo a sapere con certezza chi di loro non ha ancora deciso in realtà? io la vedo più come un pretesto per invitare i lupi nell’ovile! Non hai pensato che questo potrebbe essere un’ottima occasione per il nemico di fare fuori Alexandra?!» Kanon era furente.
Saga si alzò dal divano e si diresse all’uscita della Casa seguito a ruota da Kanon che non aveva la minima intenzione di lasciarlo andare via senza una risposta.
Raggiunto Saga all’esterno lo prese per una spalla e lo costrinse a voltarsi per guardarlo in faccia.
«Saga, state mettendo in pericolo la sua vita!» disse serio.
«Credevo non ti importasse» il volto del fratello era indecifrabile.
Kanon si adombrò e sorpassò Saga dandogli una spallata.
«Non mi va di fallire il mio incarico» tagliò corto.
«Perchè non mi dici qual’è davvero il problema, Kanon?» Saga si voltò per guardarlo in volto ma il gemello rimase di spalle senza rispondere.
«Vuoi che te lo dica io? Il problema è che non riesci ad andare avanti! Non riesci a pensare a lei solo come un incarico da portare a termine! E’ vero l’ho affidata a te perché so che tu tieni e lei almeno quanto ci tengo io ma se non riesci ad essere razionale non riuscirai mai a proteggerla!» Saga aveva ormai la voce tremante dalla frustrazione, si avvicinò furente al fratello e lo costrinse a girarsi verso di lui.
Ciò che vide lo fece titubare: Kanon aveva il viso rigato dalle lacrime e i pugni stretti che divennero quasi rossi per la foga, ciononostante il suo sguardo era furibondo.
«Ti sbagli, fratello, io non tengo a lei, non più! Quello sei tu. Sei tu che l’hai sempre protetta, è te che veniva sempre a cercare quando era in difficoltà. È quindi giusto che sia tu ad occuparti di lei» detto questo si voltò di scatto e iniziò a scendere la lunga scalinata con passo svelto.
«Kanon! Aspetta!» cercò di fermarlo Saga, ripresosi dallo schock di aver visto il fratello in quello stato “Tu non sai..”
 
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Saga stava passeggiando lungo la scogliera nei pressi del Santuario. Si era allontanato dai festeggiamenti per l’investitura che lui e altri cavalieri avevano ricevuto quel giorno.
Nonostante avesse ottenuto l’armatura d’oro dei Gemelli, ciò che desiderava di più al mondo, non riusciva ad essere felice come immaginava.
Sentiva la sua vittoria immeritata.
Quello stesso pomeriggio aveva lottato nell’arena con altri cavalieri per l’investitura, sapeva bene che gli unici a poter sperare realmente di vincere erano lui e suo fratello Kanon. Le sue previsioni si rivelarono esatte sicché sia lui che Kanon erano giunti in finale e dovettero sfidarsi.
Lui sapeva bene che sarebbe andata così, si erano sempre allenati insieme e dunque era conscio che la forza di entrambi si equivaleva.
Sarebbe stata una dura lotta, sarebbe durata a lungo, il vincitore sarebbe stato deciso sul filo del rasoio, solo chi aveva la volontà più forte l’avrebbe spuntata e loro erano entrambi motivati.
Lo erano entrambi. Prima di quel giorno.
Solo il giorno prima Alexandra e Deianira avevano erano andate via per servire la Dea Artemide.
Lui era rimasto distrutto, non dalla loro scelta di partire, bensì dalla motivazione per la quale lo stavano facendo.
“Distrutto...” pensò “mai quanto lui...”.
Saga pensò inevitabilmente al fratello, sapeva il legame che vi era tra lui ed Alexandra, era una profonda amicizia, forse molto di più. Era lì quando gli disse che se ne sarebbe andata, senza dargli una spiegazione valida. Dovette assistere impotente a quello spettacolo, per non infrangere una promessa, vide l’anima del fratello cadere in pezzi.
“Tu lo sapevi! lo sapevi e non hai detto o fatto nulla!” quell’accusa che sapeva di verità lo tormentava. Era vero, lui sapeva. Sapeva tutto, sapeva che voleva andarsene, sapeva perché.
Quel perché gli bruciava in petto di rabbia. Il senso di colpa per non essere riuscito ad evitarlo, la tristezza di averla capita, il rimorso di averlo tenuto segreto.

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Alexandra giunse in fretta alla prima casa, accompagnata dal piccolo Kiki.
Quando entrarono trovarono Mur intento a rovistare fra alcune pergamene.
«Mur, ciao» si annunciò la ragazza.
«Fratellone, Alex vuole parlarti» disse il bambino dai capelli rossi con un gran sorriso.
Mur alzò lo sguardo e si rivolse alla ragazza con un sorriso dolce e rasserenante «Alex, entra pure» la invitò a sedersi al tavolo.
La ragazza si avvicinò al cavaliere e si accomodò sulla sedia. Il tavolo davanti a lei era pieno di pergamene e fogli con disegni e lunghi trattati che Alex non capì, o comunque non ci prestò attenzione.
«Dimmi» la esortò il cavaliere.
«Mur, ascolta, ho bisogno del tuo aiuto»
Mur continuò a fissarla senza battere ciglio, aspettando che continuasse.
«Devo andare via, io… non posso rimanere qui, devo tornare a casa, spiegare tutto… io… devo trovare Deianira...» disse la ragazza soffocando le lacrime.
Mur la fissò interdetto.
«Alex, ascoltami, so bene come ti senti» la rassicurò poggiandole una mano sulla spalla «ma in questo momento non è il caso di prendere decisioni avventate»
«Si, ma...»
«Oltretutto...» continuò «non ti sei ancora ripresa del tutto, non puoi sperare di raggiungere Parnitha in questo stato»
«Io ce la faccio e poi...»
«Senza contare che Artemide ti vuole morta e le sue sacerdotesse ti danno la caccia»
«Le conosco bene, so come...»
«Inoltre, che ne sarà di Kanon?»
A quelle parole Alex ammutolì di colpo e Mur seppe di aver trovato il punto giusto su cui fare pressione.
«Che… che vuoi dire?» disse la ragazza fingendo di non capire.
«Cosa credi penserebbe se te ne vai così?»
“Di nuovo...” pensò Alex con una fitta allo stomaco.
«Ti ha salvato la vita, Alex» disse Mur severo «Sarebbe da ingrati adesso andarsene sapendo che gli è stato affidato il compito di proteggerti poi, lo metteresti nei guai»
Alex voleva sprofondare, si sentiva in colpa come una bambina che riceve un rimprovero dai genitori. Pensò di essere un’egoista, di pensare solo a se stessa quando lì c’erano tanti che avevano rischiato la vita per lei.
«Inoltre non puoi andare via adesso, tu sei l’ospite d’onore!» concluse Mur sorridendo nuovamente.
Alex alzò lo sguardo interrogativa.
«Oh, già. Tu non lo sai ancora, è vero.»
La fanciulla lo guardò sempre più confusa ma con un misto di preoccupazione.
 
 
Athena stava scendendo le scale diretta alla Casa dell’Ariete, accompagnata da Dohko. Aveva intenzione di parlare con Mur per concordare con lui la strategia da adottare durante le Panatenee.
Dopo aver parlato con Saga, aveva convocato Mur e gli altri cavalieri per spiegare il suo piano, tutti eccetto Kanon, al quale avrebbe parlato il fratello.
Dentro di sè tirò un sospiro di sollievo consapevole che le era spettato il compito più facile: sapeva infatti che le proteste di Kanon sarebbero state di gran lunga più animose rispetto a qualsiasi altra lamentela mossa dagli altri suoi cavalieri.
A giudicare dalle urla che provenivano dalla Terza Casa, mentre scendeva le scale, aveva avuto ragione.
“Speriamo che Saga sia riuscito a convincere Kanon” pensò “anche se il difficile sarà far approvare…”
 
«CHE COSA?!» un urlo spaventoso si levò dalla Prima Casa.
 
«Oh, bene. Lo sa già» constatò la Dea rivolgendosi a Dohko con un sorriso a metà strada tra il divertito e il preoccupato.
 
 
 
«No, Mur! Non posso, assolutamente, no, no no» Alexandra era in preda di una evidente crisi isterica. Andava ruotando intorno al tavolo scuotendo la testa, Mur le correva dietro cercando di calmarla e Kiki guardava la scena divertito.
«Dai, Alex, non è la fine del mondo! È solo una festa. Tu devi solo essere te stessa e raccontare ciò che è successo agli altri delegati» tentò di convincerla il cavaliere della Prima.
«Tu non capisci Mur, io non sono brava nelle pubbliche relazioni, io sono una guerriera niente di più, non sono in grado di convincere nessuno» si giustificò lei.
«Suvvia, mia cara, tu hai tutta la mia fiducia»
La voce di Athena interruppe l’imbarazzante teatrino.
«Dovevo immaginarlo che c’era il suo zampino!» disse acida Alex socchiudendo gli occhi.
Mur si inchinò rispettoso alla Dea ma non prima di aver fulminato Alex per la sua risposta.
«In ogni caso, fiducia o no, non lo farò. Non mi renderò ridicola solo per salvare il vostro regale fondoschiena!» continuò la sacerdotessa.
Athena si corrucciò.
«Nel caso non lo avessi notato, non è stato il mio fondoschiena in pericolo negli ultimi giorni e non è stato il mio fondoschiena ad essere salvato dai miei cavalieri che hanno rischiato la vita per farlo!» rispose la Dea stizzita puntando i piedi.
Alexandra incrociò le braccia. Quanto ancora doveva durare questo ricatto morale? In fondo non aveva chiesto a nessuno di rischiare la vita per lei, e di certo non era stata lei a cacciarsi in quella situazione.
Ciononostante aveva dato la sua parola che avrebbe ricambiato il favore ricevuto.
“Ma non così, accidenti!” pensò.
«Ascoltate, Athena, gli accordi non erano questi. Io ho promesso che avrei accompagnato i vostri cavalieri come emissari di pace, non si era parlato di una festa pubblica e di pubbliche relazioni!» cercò di convincerla.
«Lo so, ma si è presentata questa occasione, e di certo a te non dispiacerà che il tutto si concluda in un paio di giorni invece che andare a zonzo qui e lì con i miei cavalieri in missioni che potrebbero durare mesi...così potreste partire prima per andare a salvare la tua amica» Athena sapeva bene come risultare convincente, era la Dea dell’astuzia e sapeva trovare gli argomenti giusti per convincere anche la persona più restia.
Alexandra rimase in silenzio, soppesando le parole della divinità.
Athena capì di essere riuscita a convincere la ragazza.
«Si può sapere cosa sono tutte queste urla stasera?» Disse un Milo divertito entrando nella Casa.
«Non si può stare tranquilli, Prima alla Terza, ora alla Prima, possibile che non si possa avere un minimo di silenzio?» lo seguì a ruota DeathMask con le braccia dietro la nuca.
«Dovreste essere a presidiare i vostri templi voi» li riprese duro Dohko che era rimasto in silenzio fino a quel momento.
DeathMask sbuffò.
«A dire la verità io stavo cercando Alexandra, ero sceso alla Terza Casa sperando almeno di trovare Kanon ma non ho visto nessuno dei due» disse Milo rivolgendo un sorriso alla fanciulla al quale per tuta risposta lo guardò interdetta.
«Beh, a giudicare dalle urla hai saputo delle Panatenee» rise Milo facendo arrossire Alex che si maledì per essere risultata così ridicola.
«Sarebbe un grande onore per me poterti scortare durante la serata» disse Milo con il suo sorriso più bello.
Se prima Alex era rossa per la vergogna ora era in fiamme.
«Ah… beh… io… non… si, c-certo» farfugliò.
«Splendido!» Esultò Athena soddisfatta di essere riuscita nel suo intento.
«Forse è il caso che ognuno di noi torni alle rispettive case...» disse Mur.
«Decisamente… mia Signora» Convenne Dohko invitando la Dea a rientrare.
Tutti uscirono dalla Prima casa fatta eccezione per il suo custode e Alex.
Non appena rimasero soli con scatto fulmineo la ragazza afferrò Mur per il collo della sua tunica trascinando giù il viso del cavaliere all’altezza del suo.
«Mur, questo è un disastro!» sibilò lei.
«Stai tranquilla, dai, sarai fantastica» sorrise il cavaliere.
La fanciulla prese a strattonare il ragazzo «Tu non capisci! Non ho idea di cosa indossare!»
Mur sospirò angosciato.
“Donne...”
 
 
Nonostante Mur avesse provato a tranquillizzarla, Alex era più nervosa che mai.
Chi avrebbe potuto immaginare che la missione affidatagli da Artemide si trasformasse in quest’incubo.
Senza rendersene conto, invece che tornare alla Terza casa, si era diretta l’arena dei duelli.
Si sentiva ancora a disagio per tutto ciò che era successo con Kanon la sera prima, per tutto il giorno non lo aveva visto, anzi lo aveva opportunamente evitato.
Ormai era notte fonda, si era quasi convinta a tornare al tempio, convinta che non avrebbe incrociato il cavaliere a quell’ora tarda. Il vento frusciava tra gli arbusti secchi intorno all’arena sollevando la sabbia che andava a cozzare contro le sue gambe nude.
Le era sempre piaciuto il vento. La placida brezza che le accarezzava i capelli le dava un senso di tranquillità. Come una mano affettuosa che ti sfiora lentamente.
“Come la sua...” arrossì.
Alex scosse il capo furiosamente per scacciare quei pensieri. Fece presto a fare dietrofront per tornare alla Casa dei Gemelli quando un rumore indistinto la fece voltare nuovamente.
Nell’oscurità dell’arena fece fatica a distinguere una sagoma seduta su di una colonna rotta al centro dell’arena.
Nonostante gli desse le spalle, Alex capì subito di chi si trattava: i suoi lunghi capelli, quel fisico scultoreo. Kanon.
Il cuore le salì in gola.
Il cavaliere stava lì, da solo, seduto su quella colonna, con le braccia poggiate sulle gambe, ricurvo e con il capo chino, come se stesse assorto nei suoi pensieri.
Si forzò a raggiungerlo, muovendosi lentamente.
Era sicura che il cavaliere l’avesse sentita arrivare, eppure non si mosse minimamente.
«Cosa… cosa fai qui a quest’ora?» chiese titubante Alexandra.
Nessuna risposta.
«Spero tu non mi stessi cercando» scherzò.
Nessuna risposta.
“D’accordo...” pensò tirando più aria che poteva nei polmoni per farsi coraggio
«Senti, io… non dovevo farti quella domanda ieri… non sono affari miei, è solo che tu hai sempre adorato Saga e non capisco come tu abbia potuto far...»
«Come osi?» Kanon si alzò di scatto dalla colonna sibilando a denti stretti quella domanda.
Alex non rispose e rimase intontita.
Il cavaliere si voltò di scatto e il suo sguardo era davvero cupo e inquietante, quasi posseduto da una rabbia demoniaca.
La ragazza spaventata fece due passi indietro allontanandosi.
«Proprio tu. Proprio tu fai la predica a me?» Kanon si avvicinava lentamente.
«Io...non...» farfugliò lei indietreggiando ancora.
«La cosa è quasi esilarante lo sai...» rise folle Kanon «E va bene. Magari allora ti rigiro la domanda. Come hai potuto tu fare questo a noi?» scandì lentamente le ultime parole «Come hai potuto fare questo a me?!» finì urlando.
Alex provò a dire qualcosa ma Kanon la interruppe.
«No, non dire nulla! Lo sai? Non lo voglio sapere, non mi interessa! In fondo non ha più importanza, dico bene?» Disse Kanon appoggiandosi ad una colonna vicina.
«Kanon… tu… non… tu non sai cosa è successo quel giorno...io...» provò a dire Alex con le lacrime che spingevano per uscire.
«No! Hai ragione! Non lo so!» Kanon scagliò un pugno con rabbia contro la colonna che si frantumò contro le sue dita «Ma tanto l’importante è che lo sappia Saga giusto? Non hai ritenuto di doverlo dire anche a me!» Kanon aveva gli occhi rossi dalla rabbia.
Rimasero in silenzio per un minuto che parve interminabile.
«Ho fatto una scelta, Kanon. Una scelta che mi è costata più di quanto volessi» disse Alex ormai quasi in lacrime.
La fanciulla si voltò per andarsene ma prima che potesse farlo Kanon l’afferrò per il braccio facendole male e costringendola a voltarsi.
Loro visi erano vicinissimi.
«Tu non sai quanto è costato a me!» scandì con rabbia il cavaliere. Con uno strattone le lasciò il braccio e fece per andarsene.
Si fermò un’istante.
«E peggio ancora, non ti importa...» la voce di Kanon tremava.
Senza dire altro se ne andò lasciando Alex da sola nell’arena.
La ragazza cadde in ginocchio. Il vento le scombinò i capelli che andarono a cozzare con le lacrime ormai copiose che sgorgavano dai suoi occhi. I suoi singhiozzi riempirono l’aria.
«Kanon.. Io... non potevo...non potevo dirtelo...»
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Offline Pandora

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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #4 il: 29 Settembre, 2017, 22:52:34 pm »
 Cap 12 – Doccia fredda
Erano le prime luci dell’alba. Alexandra non aveva dormito per nulla quella notte, era stata tutto il tempo a riflettere. Ripensò alle parole di Kanon della sera precedente, al suo sguardo, al suo odio.
“Mi odia…” si rattristò “ma perché mi stupisco?”
Non volle più pensarci, decise di uscire per fare una passeggiata, ogni minuto passato in quella casa la faceva stare peggio.
Si alzò dal letto, andò allo specchio per controllare il suo aspetto.
Aveva gli occhi gonfi per le lacrime versate e due occhiaie scure per la notte passata insonne.
Una fitta al braccio destro le fece notare l’evidente livido che aveva sullo stesso. La stretta di Kanon era stata più forte di quanto in quel momento avesse sentito.
Per nulla contenta del suo aspetto, legò i capelli in una coda di cavallo e uscì in fretta dalla stanza.
Si guardò attorno con circospezione, augurandosi di non trovare Kanon in giro. Nonostante avesse paura di incontrarlo non riusciva a fare a meno di pensare a lui, a come si erano lasciati.
Il silenzio era assordante. Non sapendo nemmeno perché si avvicinò alla porta della camera del cavaliere poggiando una mano sulla maniglia, indecisa se aprire o meno quella porta.
«E’ incredibile quante cose abbiate in comune voi due»
La voce di saga la fece letteralmente trasalire.
«Mh, si proprio la stessa scena» sorrise il Grande Sacerdote.
«Saga, ciao, non ti avevo sentito entrare» disse Alexandra allontanandosi impacciata dalla porta.
«Kanon è uscito molto presto, credo sia all’arena a spaccare pietre o qualcosa del genere»
Solo in quel momento Saga ebbe modo di scrutarla con attenzione. Subito il suo sorriso si trasformò in una smorfia di preoccupazione.
«Che ti è successo?» chiese avvicinandosi. Le alzò il mento con una mano per vedere meglio i suoi occhi.
«N-no.. niente...»
Il cavaliere notò il livido sul braccio «e questo?» chiese severo.
«Un incidente, non preoccuparti» disse sforzandosi di sorridere e coprendo il livido con la mano.
Saga si passò la mano fra i capelli blu, poi senza preavviso prese la mano della ragazza e la trascinò verso il divano dove la invitò a sedersi.
«Io e te dobbiamo parlare» annunciò il cavaliere rimanendo in piedi davanti la ragazza che dal canto suo rimase in silenzio abbassando lo sguardo per non incrociare gli occhi dell’amico.
«Non può andare avanti così, il suo comportamento non mi piace!» lo sguardo di Saga era più serio che mai.
«Senti non devi preoccuparti, d’accordo? È tutto a posto e poi una volta finite queste dannate Panatenee me ne andrò e tornerà tutto come prima» rispose lei.
«Interrompo qualcosa?» Il cavaliere della Dodicesima Casa interruppe le proteste del Grande Sacerdote.
«No, Aphrodite, entra pure» disse il gemello seppur con una vena di disappunto.
«Fantastico, ciao cara, mi manda Mur» disse il cavaliere rivolgendosi ad Alexandra la quale si alzò dal divano cercando di sorridere il più possibile.
«Santo cielo ce ne vorrà di lavoro» constatò il cavaliere dei Pesci squadrando la fanciulla da capo a piedi.
Alexandra lo guardò interrogativo ma questi si girò uscendo dalla casa, sicché la ragazza si rivolse all’amico che per tutta risposta fece spallucce.
«Allora Alexandra ci vogliamo muovere? Il tempo stringe, le Panatenee iniziano domani!» disse Aphrodite spazientito sbucando dall’uscio.
La ragazza sbuffò sonoramente “Cosa mi tocca fare!”
«Senti, ne riparliamo dopo» disse Alex rivolgendosi a Saga e uscendo a passo svelto dalla Terza Casa.
 
Boati e lampi provenivano dall’arena da più di un’ora ormai. Il cavaliere dello Scorpione era rimasto a guardare la scena dagli spalti. Kanon stava frantumando qualsiasi cosa con una violenza inaudita, rocce, colonne, alberi, nulla si salvava dalla sua collera. Era chiaro che fosse particolarmente arrabbiato e persino un cavaliere valente come lui sapeva bene di doverlo lasciare in pace in quei momenti.
Tuttavia decise ugualmente di scendere per parlare con il compagno. Dopo la guerra contro Hades il loro rapporto era decisamente migliorato, non che fossero diventati amici, ma vi era un certo rispetto.
«Lo sai, se continui così ben presto non avremo più un’arena» disse Milo scherzando.
A quelle parole il cavaliere dei gemelli si fermò di colpo. Il suo corpo turgido e marmoreo era ben visibile a causa della maglia ormai zuppa di sudore. Si scostò dal viso una ciocca di capelli anch’essi imperlati di sudore.
«Non è il momento, Milo» tagliò corto.
«Oh, lo vedo. Sempre particolarmente turbato» constatò l’ovvio.
«Mi sto solo allenando» Kanon non aveva alcuna intenzione di parlare dei suoi problemi, men che meno con il cavaliere di Scorpio.
«In questo caso, le rocce non sono un valido avversario»
Detto ciò Milo si mise in posizione di guardia.
Kanon senza nemmeno guardarlo andò a sedersi sulla gradinata asciugandosi il sudore del viso con una pezza fradicia.
Milo seguì il cavaliere e si sedette poco distante da lui.
«Non che siano affari miei… però è strano, stai così da quando una certa amica è giunta al Santuario, sarà una coincidenza?» il suo tono era decisamente retorico.
Kanon non parlò e allora Milo insistette con le provocazioni, per suscitare una qualsiasi reazione nel cavaliere dei Gemelli.
«Comunque la Dea Athena mi ha accordato il permesso di accompagnarla durante la serata di domani quindi potrai prenderti una sera libera dai tuoi impegni di custode, sai, così ti potrai dedicare liberamente a quelli diplomatici» scherzò.
Kanon continuava a rimanere in silenzio fissando il vuoto.
«Alex è proprio una bella ragazza, decisamente il mio tipo di donna ideale» constatò «Torno a ripetere, non che siano affari miei, ma ho trovato strano che con la vostra amicizia non fosse mai nato qualcosa idi più e...»
Non poté finire la frase perché Kanon si alzò con uno scatto dalla gradinata, andando via.
«Hai ragione Milo» disse voltandosi con sguardo pungente «non sono affari tuoi».
Si allontanò velocemente dall’arena lasciando il cavaliere di Scorpio da solo.
Sentiva montare dentro di sé una rabbia rinnovata. Camminava senza meta per le distese ai piedi delle dodici case. Le parole di Milo lo avevano disturbato non poco. Come si permetteva di ficcare il naso, non erano affari suoi dopotutto. “L’accompagno io domani, così tu sei libero, Tsè! Se pensava di infastidirmi con questa frase si è sbagliato di grosso” pensò stringendo i pugni. Nonostante la sua mente rifiutasse l’idea, sentì una rabbia diversa montargli sullo stomaco. Forse, gelosia?
“No assolutamente!… La sua donna ideale, poi! Ma non scherziamo!”
Senza volerlo i ricordi si fecero strada prepotenti nella sua mente.
 
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I due ragazzi si stavano allenando duramente. Adoravano combattere assieme e, per quanto gli dispiacesse ammetterlo, Kanon non faceva nessun favoritismo nei confronti di Alexandra, nonostante fosse una donna riusciva abilmente a tenergli testa.
Naturalmente in ogni scontro era lui ad avere la meglio, ma nonostante questo era fiero della sua amica.
Finito l’allenamento si accasciarono sudati e sfiniti sul prato di una collinetta attorno l’arena.
Alexandra si distese per rifiatare, e la maschera argentea brillava del riflesso del sole. Si godettero il silenzio e la tranquillità del posto per qualche istante, senza proferire parola. Il vento soffiava facendo frusciare di tanto in tanto la tenera erbetta del prato contornata qui e lì di piccoli e colorati fiori di campo.
«Ehi, Kanon, com’è il tuo tipo di donna ideale?» chiese la ragazza a bruciapelo e il suo tono di voce non faceva trasparire alcuna emozione.
Kanon si voltò a guardarla interdetto, non si aspettava una domanda del genere e si chiedeva perché gliela stesse ponendo così di punto in bianco.
«Perché lo chiedi?» chiese ridendo il ragazzo. I suoi occhi brillavano di un azzurro intenso.
«Mh, così» rispose vaga facendo spallucce.
«Beh una cosa è certa, la mia donna ideale è più femminile di te» scherzò lui dandole un pugno amichevole sulla spalla.
Alexandra non parlò per qualche istante. «Ah, come le ancelle che ti ronzano sempre attorno» rise lei «Come Deianira..» chiese poi con un tono nuovamente apatico.
«Beh, si, come Deianira»
Alex si adombrò.
«Ha una cotta per me sai?» disse Kanon sdraiandosi con le braccia dietro la nuca e l’aria trionfante.
«E chi non ce l’ha…?» rispose Alex mettendosi seduta.
I suoi capelli corti frusciavano al vento sembrando canneti danzanti.
Kanon si mise a sedere pensieroso.
«Mh, beh, tu non ce l’hai» constatò lui tornando a sorridere con aria di sfida.
«Questo perché non sei il mio tipo» rimbeccò lei stizzita dandogli una spallata.
«Ah davvero? E sentiamo come sarebbe il tuo tipo?»
«Non come te» tagliò corto lei.
«Sei troppo vaga» incalzò.
Alexandra finse di pensarci su «Beh, un tipo forte, coraggioso, sicuro di sè...»
«Ehi! Vorresti dire che io non lo sono?» Kanon si alzò in piedi offeso da quelle parole.
«Beh, vorrei anche un uomo che mi sappia ascoltare, che sia protettivo» disse convinta.
«Protettivo?»
«Si, insomma, che si prenda cura di me, che mi protegga e mi difenda da tutto e tutti» disse guardando in cielo.
Kanon ci pensò un attimo, poi la guardo e si mise a ridere.
«Tu ti sai difendere benissimo da sola, Alex. Non hai bisogno di un uomo che lo faccia per te!»
Alex si alzò in piedi arrabbiata.
«Ecco lo vedi? È per questo che non sei tu il mio uomo ideale!» con uno spintone lo fece ruzzolare giù dalla collina ma il ragazzo prima di cadere riuscì ad afferrarla per un braccio trascinandola giù con sé sempre ridendo animatamente.
Rotolando senza controllo, Kanon si ritrovò sopra Alexandra che intanto si era sciolta anch’essa in una risata.
Il ragazzo la fissò intensamente, senza sapere perché una marea di emozioni gli attraversarono il petto come tante lame facendogli male, un male tuttavia tremendamente piacevole.
Istintivamente allungò la mano verso il viso della ragazza, afferrando un lato della maschera che le copriva il volto.
Alexandra rimase imbambolata senza muoversi, ipnotizzata da quel gesto inaspettato.
Riuscì a ritrovare all’ultimo istante un briciolo di lucidità per rendersi conto di quello che stava accadendo. Afferrando di scatto la mano di lui, lo fermò prima che rimuovesse la maschera argentea.
A quel gesto Kanon riprese il controllo di sé e si allontanò da lei scusandosi.
La aiutò ad alzarsi e prese a grattarsi nervosamente la nuca «Forse è il caso che vada, Saga mi starà cercando, si, per l’allenamento...allora io… vado… ci vediamo dopo»
 
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Il cuore di Kanon perse un battito pensando a quell’episodio.
“L’accompagni tu un cavolo!” pensò dirigendosi a falcate alla Terza Casa.
 
 
 
Aphrodite portò Alexandra fino alla Casa dei Pesci.
«Che dovrei fare, si può sapere?» chiese la ragazza.
«Alexandra, cara, Mur mi ha detto che non hai un abito per domani sera e la cosa è decisamente grave!» disse Aphrodite scandalizzato.
«Si, beh, magari troverò qualcosa alla Terza Casa, oppure qualche ancella mi presterà un abito. Troverò una soluzione insomma» disse lei cercando in tutti i modi di svignarsela da quella situazione.
«L’ospite d’onore? Arrangiata? Oh Dei! Spero tu stia scherzando!» Aphrodite era visibilmente scosso.
Finse di riprendersi da un malore «No, no, no. Avrai un abito adatto all’occasione e al tuo status. Ci penserò io» sentenziò senza ammettere repliche.
Alex dovette arrendersi al suo aguzzino che inoltre sembrava divertirsi un mondo in quelle vesti.
Gli venne in mente il commesso di quel negozietto di abbigliamento, erano effettivamente molto simili nell’atteggiamento. Deianira avrebbe decisamente fatto pappa e ciccia con lui, pensò.
Il ricordo dell’amica la fece rattristire, ma non ebbe il tempo di crogiolarsi nel dolore che il cavaliere spuntò nella stanza con una marea di tessuti fra le braccia.
“Oh per tutti gli Dei che situazione!” imprecò Alex.
 
 
Deianira era ancora rinchiusa nella stessa stanza buia, in quei giorni di prigionia era dimagrita tantissimo e aveva il viso sciupato ed emaciato.
Le catene alle quali era legata le avevano logorato i polsi. Non sapeva da quanto fosse lì, il tempo era incalcolabile poiché la stanza era rischiarata solo da alcune torce.
“Perchè mi stanno facendo questo? Cosa vogliono ancora da me?” pensò sconfortata.
Purtroppo per lei la risposta a quelle domande non si fece attendere. L’enorme portone di ferro si aprì cigolando e vi entrò Eris con il solito sorriso maligno sulle labbra. Fin dall’inizio era stata la sua carnefice, ogni qualvolta entrava nella stanza non faceva che torturarla con le sue parole, fomentava in lei il rancore e l’odio che ogni giorno diventavano sempre più forti. Quando Eris andava via, Deianira faceva sempre più fatica a ritrovare il controllo di sé e sentiva che ogni ora che passava era sempre più vicina a cedere.
«Cara, cara, Deianira» disse Eris girandole attorno lentamente. Si fermò dietro di lei poggiando le sue dita affusolate sulle spalle della ragazza e le sussurrò all’orecchio.
«Dimmi, sei giunta alla conclusione più ovvia? La tua amica ti ha tolto tutto… l’uomo che amavi… la tua libertà… la tua vita… tu hai fatto tutto per lei... e lei? cos’ha fatto lei per te?» disse fingendosi dispiaciuta. La ragazza non rispose. Le unghie di Eris affondarono allora nella carne diafana della giovane facendola sanguinare.
Un urlo le si spezzò in gola e le lacrime non ebbero la forza di uscire, prosciugate dai pianti sempre più frequenti.
Eris si allontanò dalla ragazza ghignando di gusto.
«Beh, forse hai bisogno ancora di un po' di tempo per rifletterci» disse poi e con una risata sadica uscì dalla stanza sbattendo il portone.
 
 
«Sorella, come sta la nostra giovane ospite?» chiese Ares ridendo mentre scuoiava una delle sue vittime.
«Cede giorno dopo giorno, presto sarà soggiogata dal rancore» disse Eris raggiungendo il fratello.
«Bene...» sospirò l’uomo «Quella ragazzetta al santuario è ancora viva, la cosa mi disturba molto, non voglio che mi metta i bastoni fra le ruote» disse lavorando con più foga e rabbia la sua vittima.
«Purtroppo finché rimane lì non c’è modo di attaccarla» rispose la donna infastidita.
«La mia cara sorellina Athena, ha deciso di invitare i diplomatici dei nostri fratelli ad una festa al Santuario, per convincerli a schierarsi con lei»
Eris rise di gusto.
«Una festa? Sarà divertente»
«Oh, mia cara, non credo che siamo stati invitati...» l’espressione di Ares divenne maligna «noi...» sorrise.
«Potrebbe essere un’occasione per eliminare quella mocciosa» Eris si leccò le labbra pregustando il momento «Manda me» lo pregò.
Ares scosse il capo afferrando lascivo il mento della donna «Se andiamo noi ad eliminarla in quell’occasione, potremmo rischiare di unire ancora di più Athena con gli altri Dei...»
Eris fece la faccia offesa e triste.
«Ma se la uccidesse uno dei suoi...» rifletté il Dio.
I due si guardarono con sguardo complice e risero di gusto.
Ares si sedette sul suo trono e Eris si mise sulle sue ginocchia accavallando la gamba sensuale.
«Ate! Presentati al mio cospetto!» chiamò Eris.
Immediatamente davanti ai due Dei apparve una donna, bellissima, dai lunghi capelli biondi mossi che le ricadevano lungo il corpo snello. Questa si inchinò rispettosa di fronte al Dio.
«Mia cara figlia» cominciò Eris «Ho un incarico per te...»
 
 
La sera era calata in fretta. Tra un vestito e l’altro Alexandra era rimasta ore e ore con Aphrodite ed era ormai sfinita.
Fosse stato per lei si sarebbe fermata al primo abito ma il cavaliere dei pesci non era mai soddisfatto.
Uno era troppo banale, l’altro non la valorizzava, l’altro ancora aveva un colore inadatto alla carnagione. Un disastro.
L’uomo sparì di nuovo nell’altra stanza alla ricerca di un altro abito e Alex ne approfittò per sedersi sul letto.
“E’ ridicolo! Cosa cambia se indosso un vestito invece che un altro?!” pensò.
Non aveva mai amato imbellettarsi, aveva sempre pensato che fosse un modo come un altro per ingraziarsi gli uomini e abbindolarli. “Gli uomini sanno guardare solo l’aspetto, diventano superficiali o perdono la ragione” una fitta dolorosa le attraversò il petto. Il ricordo che più di tutti aveva cercato di seppellire nel profondo della sua memoria si fece largo nei suoi pensieri, facendole male. Si strinse istintivamente le ginocchia al petto, tremando, e sentì le lacrime iniziare a pungerle gli occhi.
Fortunatamente ci pensò l’urlo di Aphrodite a distrarla da quel pensiero.
«EUREKA!» esultò il cavaliere entrando trionfante nella stanza.
«Stavolta ci sono, ho trovato l’abito perfetto!»
Alexandra sorrise per il comportamento dell’uomo.
«Vogliamo provarlo?» chiese Aphrodite malizioso.
«E’ l’ultimo però!» rispose lei ridendo e alzandosi dal letto.
 
 
Alexandra torno alla Terza Casa che ormai era notte. Aveva il vestito fra le braccia, rigorosamente impacchettato da Aphrodite perché nessuno lo vedesse.
Entrò in punta di piedi per non fare rumore, immaginando che, vista l’ora, Kanon stesse già dormendo.
Si avvicinò alla porta della sua camera aprendola lentamente, senza farla scricchiolare.
«Sei tornata»
La voce di Kanon la fece trasalire e l’abito le cadde dalle mani. Si voltò indietro constatando che il cavaliere stava lì seduto sul divano.
“Come ho fatto a non vederlo?” si chiese dandosi della stupida.
«Si» rispose secca la ragazza «Ero alla Dodic...»
«Lo so» la interruppe lui alzandosi e raggiungendola con pochi passi.
Si avvicinò a lei, vicino, troppo.
Alexandra indietreggiò stringendosi contro la porta della sua camera.
Kanon guardò il pacchetto ai suoi piedi e lo raccolse.
«E’ l’abito per la festa?»
«Si..» rispose imbarazzata.
«Milo rimarrà soddisfatto» la voce di Kanon si fece cupa.
Alex arrossì imbarazzata. Tuttavia ritrovò presto il controllo e la rabbia scacciò l’imbarazzo.
«Si beh, non ti riguarda» rispose acida prendendo il pacchetto dalle sue mani e provando ad allontanarsi da lui per entrare nella stanza.
Kanon sbatté le mani sulla porta bloccandola fra le due braccia.
«Non mi riguarda mai con te, eh?» disse con voce più bassa avvicinandosi ancora a lei «Un giorno le pretenderò le risposte».
Puntò i suoi occhi di un blu profondo come il mare fissi in quelli della ragazza e il suo sguardo si fece ancora più serio. Alex iniziò a sentirsi tremendamente a disagio.
«Vorrei andare nella mia stanza, sono stanca» la ragazza cercava di divincolarsi da quella situazione, sforzandosi di essere più acida che poteva.
Kanon riprese il controllo si allontanò di colpo da lei che vedendosi libera corse in camera sbattendo la porta.
Il cavaliere si passò una mano in viso cercando di tornare in sé.
«Ci vuole una doccia… fredda» Disse tornando in camera confuso e preoccupato.
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 Cap 13 – Provocazioni
Il sole era già alto in cielo quando Alexandra si svegliò. Si era addormentata tardi la notte prima, immersa com’era nei mille pensieri che affollavano la sua mente. Alla fine si era addormentata per stanchezza.
Si mise a sedere sul letto, stirando le braccia in alto per sgranchirsi. Si accorse dalla luce che filtrava dalla finestra che era molto tardi, così si alzò repentina e andò allo specchio per accertarsi del suo aspetto.
Fortunatamente le occhiaie erano sparite del tutto, merito della dormita di quella notte, e il livido sul braccio era ormai quasi impercettibile. Abbastanza soddisfatta della sua immagine, frugò tra i vestiti per indossarne di puliti e ritrovò con piacere i suoi abiti da sacerdotessa. Accarezzò mesta il fresco tessuto del suo abito. Sorrise. Con quegli abiti si era sentita sicura per anni, aveva trovato il suo posto fra le sacerdotesse di Artemide. Le sue sorelle, la sua Dea, l’avevano protetta da ogni male.
Li indossò e ripensò con una smorfia alle parole del piccolo Kiki del giorno prima. Sebbene potesse sembrare una esistenza in gabbia, lei era felice così. Lontana da tutto, fra i boschi che tanto amava e che tanto le mancavano. Lontana dagli uomini.
Un brivido le percorse la schiena e immediatamente il ricordo della sera precedente fece capolino nella sua testa. Le emozioni si accavallarono una sull’altra in contrasto fra di loro. Paura, desiderio, repulsione, attrazione, tristezza, rabbia, felicità, disagio. Le ripercorse tutte una dopo l’altra. Sentire Kanon così vicino a lei, il suo corpo, il modo in cui la guardava, così diverso rispetto allo sguardo d’odio o indifferenza alla quale si era abituata; la fecero sentire a disagio e in confusione.
Per molti anni era vissuta castigando ogni emozione, ogni desiderio verso l’altro sesso, era normale che si sentisse confusa “non significa niente” pensò per rassicurarsi anche se  con poca convinzione.
“E’ solo un uomo, pensa solo alle sue pulsioni”
A quel pensiero il turbinio di emozioni diverse venne spazzato via da quella che l’aveva dominata per anni. La stessa emozione che più di tutte le altre aveva cercato di sconfiggere da quel giorno: la paura.
Iniziò a tremare senza controllo e improvvisamente il ricordo della sera prima si tramutò in qualcosa di spaventoso ed angosciante. Lo sguardo di Kanon gli ricordò d’un tratto quegli occhi che con così tanta fatica aveva cercato di dimenticare. Si accucciò sulle sue ginocchia, stringendosele al petto, in un evidente attacco di panico. Il respiro si fece affannoso e il battito accelerò a dismisura. La fronte si imperlò di sudore mentre il suo colorito divenne sempre più pallido.
Venne trascinata di nuovo in quell’incubo e la sua mente lo rese sempre più reale, come se fosse di nuovo lì.
«No! Ti prego… lasciami! Non farlo…per favore» urlò istintivamente con la voce rotta.
Le lacrime presero a scorrere copiose dai suoi occhi chiusi per la disperazione.
Bussarono alla porta.
Come se si fosse svegliata dopo un brutto incubo, Alexandra aprì di scatto gli occhi, il respiro pian piano si regolarizzò. Gettò lo sguardo allo specchio che aveva a fianco, guardando la sua immagine riflessa.
Si vide ancora accucciata, con il volto bagnato dalle lacrime e ansimante.
Bussarono nuovamente.
«Alex, tutto bene? Posso entrare?»
Mur.
La voce del cavaliere fece rinsavire la ragazza che velocemente si rimise in piedi e asciugandosi le lacrime cercò di darsi un contegno.
«S-si Mur, entra pure» acconsentì con la voce ancora tremante.
Il cavaliere entrò nella stanza e guardò la fanciulla con sospetto.
«Tutto bene? Stavi parlando con qualcuno? ho sentito delle voci e..»
«Si, cioè, n-no, cioè, mi stavo vestendo e io… parlavo con me stessa» mentì Alex cercando si sfoggiare un sorriso.
Mur non era affatto convinto così prese a guardarsi intorno con circospezione. Non vedendo nulla di strano si rivolse alla ragazza.
«Comunque, mi manda la Dea Athena, voleva che mi accertassi che tu fossi pronta per stasera e mi ha dato una serie di appunt…»
«No Mur, adesso non ho tempo per questo, devo andare, scusami» disse in fretta Alexandra. Poi prese il suo arco e la faretra appesi vicino la porta e sorpassando il cavaliere uscì velocemente dalla stanza.
«Ma…» Mur rimase inebetito davanti la porta con un paio di fogli in mano.
 
 
Alexandra uscì correndo dalla Terza Casa e si diresse velocemente al campo d’addestramento, non curandosi minimamente di chi incontrasse per strada.
Una volta arrivata si scelse un posto un po’ più isolato, non le andava di stare in mezzo agli altri allievi. Si scelse un albero fra tanti e iniziò a tirare con l’arco. La rilassava scoccare le frecce, era l’allenamento che più le piaceva.
Ad ogni freccia si sentiva più leggera, scaricava la rabbia e la frustrazione.
«Sei brava»
Una voce proveniente dalle sue spalle la spaventò facendole sbagliare il colpo.
Fece una smorfia di disappunto e si voltò per vedere chi fosse il tizio che l’aveva fatta sbagliare.
Un ragazzo alto e muscoloso dai capelli castani e leggermente riccioluti stava seduto in una roccia dietro di lei, fissandola.
“Aspetta io ti conosco” pensò
«I-Ioria, giusto? Cavaliere del Leone» chiese indecisa.
Il ragazzo non rispose ma si limitò a sorridere dolcemente.
«Non volevo farti sbagliare, hai una buona mira comunque» disse il ragazzo avvicinandosi a lei.
«Grazie. Le sacerdotesse di Artemide sono addestrate al tiro con l’arco fin dagli esordi» rispose portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Però tu sembri divertirti molto» constatò.
«Mi rilassa»
«Certo, capisco» sorrise lui.
«Sai, anche mio fratello si divertiva particolarmente a tirare con l’arco» una vena di malinconia si dipinse negli occhi del giovane Gold.
Alexandra ebbe una fitta allo stomaco. Aveva sentito la storia, sapeva cos’era successo al fratello, sapeva chi era stato, sapeva di chi era la colpa.
«Mi dispiace» ammise la sacerdotessa abbassando lo sguardo «io..»
«E’ passato tanto tempo» la anticipò Ioria con aria rassegnata.
Alex rimase in silenzio.
«Non è facile, seppellire il mio rancore, a volte riemerge senza ch’io lo voglia. Ma nonostante tutto sono riuscito ad andare avanti»
«Lo hai perdonato dunque? Per ciò che ha fatto?» Alexandra guardò Ioria nei suoi occhi color del miele.
«Perdonato? Naaah! Non sono un santo» ammise grattandosi la nuca «però non riesco ad odiarlo, capisci? cioè, malgrado la mia indole spesso mi faccia… beh… ringhiare come un animale» scherzò lui.
Alexandra sorrise di rimando. Nonostante dalle parole del ragazzo provenisse una ferma convinzione, non riusciva a crederci. Come poteva non odiarlo? Era colpa sua se Saga aveva causato tanto dolore a tutti, era colpa sua se Saga si era tramutato nel mostro che aveva ucciso il fratello.
Strinse i pugni rabbiosa.
“Hai tradito tutti, persino il tuo stesso sangue.” pensò.
«Ho capito che tutti meritano una seconda occasione» continuò Ioria attirando l’attenzione della ragazza.
«Bisogna riconoscere che Kanon è stato un aiuto prezioso nello sconfiggere Hades, da allora ha combattuto per difendere i suoi compagni e la Dea Athena. Mi ha salvato il di dietro diverse volte» ammise con un leggero imbarazzo.
«Si ma ciò non cancella cosa ha fatto» rispose di scatto Alex con tono duro.
«No, come potrebbe. Però vedi, se rimani fossilizzato sul passato, sugli errori delle persone, non ti accorgerai mai del buono che hanno dentro, e non credo sia giusto etichettare le persone solo per il loro sbagli» disse Ioria poggiandole una mano sulla spalla «Anche tu avrai fatto degli errori, no?»
La ragazza sorrise amaramente.
«Più di quanto pensi…Però tu sei l’ultima persona che mi aspettavo mi facesse un discorso simile»
Ioria rise di gusto «Lo so, in effetti fino a qualche tempo fa anche io stentavo a riconoscermi. Però le persone cambiano» disse convinto «spesso grazie all’aiuto di qualcuno» sorrise.
«Ioria!!» una voce femminile chiamò il cavaliere e i due si voltarono simultaneamente per vedere chi fosse.
Una ragazza, una sacerdotessa di Athena dai capelli rosso fuoco si avvicinò correndo a loro. Ioria le sorrise. Con molta sorpresa di Alexandra non appena fu davanti a loro si tolse la maschera argentata che indossava.
«Ciao!» la ragazza salutò il cavaliere con un bacio sulla guancia.
Alexandra era un misto di imbarazzo e stupore.
La rossa si rivolse poi a lei «Ciao, tu devi essere la sacerdotessa di Artemide. Finalmente ti incontro» sorrise «Io sono Marin»
«Alexandra, piacere» rispose «scusami, ma tu non…»
«Porto la maschera?» la anticipò lei.
«Si»
«Beh noi sacerdotesse possiamo stare a volto scoperto con le altre donne» sentenziò «mentre con gli uomini se vedono il nostro volto abbiamo due scelte o…»
«Ucciderlo o amarlo. Si, lo so bene» finì la frase Alex.
«Sei molto informata sulle nostre usanze, vedo» Marin era sorpresa.
«Sono stata una sacerdotessa di Athen. Un tempo»
«Ah, ora è tutto chiaro» disse la sacerdotessa annuendo.
«Beh, allora sarai in grado di fare due più due» Intervenne Ioria mettendo un braccio attorno la vita di Marin «Io sono ancora vivo e vegeto quindi…»
«Non per molto mio caro!» lo bacchettò la ragazza «Avevi detto che avresti fatto la dimostrazione ai miei allievi» si lamentò dando dei pugnetti sul petto del cavaliere.
«Accidenti!» imprecò Ioria «scusami vengo immediatamente» disse poi stampandole un bacio sulle labbra.
Alexandra si intenerì nel vedere quella scena e sorrise automaticamente.
«Scusaci Alexandra, adesso NOI dobbiamo andare» disse sorridendo Marin.
Detto ciò si rimise la maschera e prendendo per mano Ioria lo trascinò via con sé.
Il cavaliere ebbe giusto il tempo di rivolgere un veloce saluto ad Alexandra prima di sparire con la compagna.
Alex era di nuovo di buon umore, quell’incontro le aveva restituito un po’ di serenità.
Tuttavia quella piacevole sensazione durò poco: non appena si rese conto dell’orario le venne un colpo. Era tardissimo!
«Dannazione!» imprecò.
Aveva giurato ad Aphrodite che si sarebbero visti nel primo pomeriggio alla Terza Casa per permettergli di prepararla al meglio per la serata. Inoltre Mur doveva riferirgli chissà quali direttive, Milo sarebbe passato a prenderla alle otto per scortarla alla festa e il tutto sperando di non incrociare Kanon lungo il cammino.
Il pensiero di ciò che la aspettava la fece rabbrividire.
Ripreso arco e frecce corse senza sosta diretta alla casa dei Gemelli.
 
 
 
«Sei in ritardo!» La bacchettò Aphrodite picchiettando il piede sul pavimento di marmo.
«Lo so, lo so, scusami ho perso la cognizione del tempo» si giustificò Alex rifiatando appoggiata ad una colonna.
«Poche chiacchiere dobbiamo sbrigarci quindi svelta, svelta! Fila in camera!»
Dopo un paio d’ore di trattamenti Alexandra era truccata, acconciata e vestita di tutto punto.
«Aphrodite… non me lo ricordavo così stretto il vestito» disse Alexandra preoccupata notando che l’abito le calzava molto più aderente del previsto, risaltando così le sue forme in maniera a dir poco provocante.
«Lo so, ho apportato delle modifiche prima di consegnartelo, non è stupendo?» disse il cavaliere con un sorriso sornione «Questo abito ti valorizza molto, dovresti indossare sempre vestiti così femminili lo sai»
Il suo commento parve più una critica che un consiglio e Alexandra non poté fare a meno di ricordare che era la medesima critica che le moveva sempre Kanon.
Tra un misto di eccitazione e paura si trascinò verso lo specchio per osservare il risultato finale e ciò che vide la lasciò senza parole. Non si era mai vista così attraente, ne immaginava di poterlo diventare. In effetti non le era mai importato. Con riluttanza dovette ammettere che il cavaliere dei Pesci aveva fatto un bel lavoro.
Indossava un abito color avorio molto aderente con uno spacco altissimo sul lato destro che lasciava scoperta quasi interamente la gamba fino all’inguine. Era sorretto da due spalline, tenute insieme da due spille di madreperla, che si incrociavano sul davanti creando uno scollo a V incorniciando i suoi seni. Per aggiungere ancora del pepe all’abito Aphrodite aveva ben pensato di creare uno scollo molto profondo e drappeggiato sulla schiena, cose che ad Alexandra non piacque molto.
Non le andava che si notasse il tatuaggio a forma di luna ormai quasi del tutto sbiadito, cosa che era resa ancora più evidente da i suoi capelli raccolti in una acconciatura alta e leggermente scomposta.
Alex si voltò verso il cavaliere.
«Senti, davvero, è molto bello, però io non mi sento a mio agio agghindata così» si lamentò «è troppo provocante, poi questi sandali alla schiava hanno un tacco troppo alto e mi fanno male»
«Fandonie!» rispose il cavaliere incrociando le braccia al petto «L’occhio vuole la sua parte, ti sarà più facile convincere i delegati se avrai la loro più totale attenzione» la sua convinzione non le dava modo di replicare.
Alexandra si sedette sul letto sconsolata. Il cavaliere dei Pesci si intenerì e si avvicinò sedendosi poi accanto a lei.
«Sei stupenda» le disse scostandole una ciocca dal viso «e non preoccuparti, io sarò sempre vicino a te pronto con un paio di ballerine!» sorrise lui.
Alexandra sorrise a sua volta, rincuorata.
«Oh accidenti adesso sono io in ritardo!» balzò in piedi Aphrodite.
«Devo andare a prepararmi tra pochi minuti arriveranno i delegati. Ci vediamo alla festa, splendore» disse correndo via dalla stanza ma non prima di averle lanciato un occhiolino ammiccante.
“Indietro non si torna. Immagino di non avere altra scelta che arrivare in fondo a questa serata… Forza e coraggio!”
Con un po’ più di determinazione uscì dalla stanza, Milo sarebbe arrivato da un momento all’altro. Si sentì improvvisamente più nervosa. Praticamente quello era la cosa più simile ad un appuntamento che avesse mai avuto.
Guardò l’orologio.
“Mh, è in ritardo” pensò.
Nell’attesa si appoggiò ad una colonna, i piedi già iniziavano a farle male.
«Credevo che il tuo compito fosse quello di convincere i delegati, non di portarteli a letto…»
Senza che Alex se ne accorgesse, Kanon si era avvicinato alle sue spalle. Istintivamente la ragazza si voltò, spaventata, trovandoselo davanti a pochi centimetri di distanza. Così vicino che poté specchiarsi nell’armatura dorata che il cavaliere indossava quella sera, con tanto di mantello.
Kanon si allontanò leggermente per poterla osservare meglio.
«… magari ho frainteso» disse ironico.
Alexandra si sentì tremendamente imbarazzata, tanto che lì per lì non riuscì a dire nulla.
«Mh.. credevo che le sacerdotesse di Artemide fossero…aspetta com’è che dite? Ah, si, intoccabili»
«Infatti!» affermò con fierezza Alex.
«Capisco. Beh, è una bella sfida non toccarti per come sei conciata» disse iniziando a girarle intorno mentre i suoi occhi percorrevano il suo corpo con ingordigia.
«Vuoi smetterla? Cosa sei uno squalo?» Alex si girò per ritrovarselo davanti iniziando ad essere molto arrabbiata «e poi smettila di guardarmi così».
«Così come?» chiese avvicinandosi pericolosamente a lei.
«Con quello sguardo. Mi infastidisci» Alex lo spinse via.
Kanon si seccò molto per quel gesto.
«Oh, scusami. Magari volevi che fosse qualcun altro a guardarti così» il suo tono si era fatto sprezzante.
«Magari non voglio semplicemente che sia tu a farlo» chiarì lei sempre più infuriata, fronteggiandolo.
Kanon perse il controllo e con uno scatto la spinse con forza contro la colonna, bloccandole la via di fuga con le mani appoggiate alla medesima.
Alex rimase spiazzata e il freddo marmo della colonna a contatto con la sua schiena nuda le fece venire i brividi.
«Allora lascia che uno con un po’ più di esperienza in merito ti dia un consiglio» le sussurrò con un tono di voce strano «La prossima volta che ti vesti in questo modo metti in conto che non puoi essere selettiva su chi ti guarda»  il suo viso era così vicino che Alexandra poteva sentire il calore del suo alito sulle labbra «ci sono tanti malintenzionati in giro»
A quelle parole la ragazza si arrabbiò , se possibile, più di prima.
«Non è mai stato un tuo problema, mi sembra» disse acida fissandolo con sguardo tagliente.
Quelle parole sortirono lo stesso effetto di uno schiaffo per Kanon che si allontanò dal suo viso, rimanendo a fissarla intensamente.
«Interrompo qualcosa?» la voce di Milo raffreddò gli sguardi dei due.
Ciononostante Kanon sembrò non sentirlo nemmeno.
«Alexandra io..»
«Devo andare» lo interruppe lei.
Con rapidità sgusciò via dalla sua presa.
A grandi falcate raggiunse il cavaliere di Scorpio e con un gesto lo invitò ad andare via. I due uscirono in fretta dalla Terza Casa.
«Stai bene?» chiese Milo scendendo le scale al fianco della ragazza.
«Si. Benissimo» il suo sguardo era impassibile.
«Sei splendida..» disse il cavaliere cingendole la vita con il braccio.
Kanon era rimasto nella stessa posizione, con il capo chino, strinse i pugni che divennero rossi per la foga.
«Avrei voluto che lo fosse…»
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Offline Pandora

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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #5 il: 29 Settembre, 2017, 22:53:53 pm »
 Cap 14 – Una notte da dimenticare - Parte 1
Lo spiazzo di fronte la Prima Casa era stato allestito magistralmente. Lunghe fila di tavoli imbanditi di qualsivoglia leccornia stavano disposti ordinatamente lungo tutto il perimetro. In ogni dove si vedevano grandi vasi e ghirlande con fiori freschi il cui profumo andava a mescolarsi a quello delle candele aromatiche disseminate qui e lì. L’ambiente era rischiarato dalla luce di enormi candelabri in ferro battuto, alti e intrecciati su se stessi.
Il pavimento era un tappeto di petali rosei che nascondevano le bianche rocce squadrate del piazzale.
Sul lato destro era stata posta una gigantesca statua in marmo bianco raffigurante Athena nike, una riproduzione in scala dell’originale che si trovava alle spalle del Tredicesimo Tempio. Ai piedi della scultura erano stati posti innumerevoli cesti di cibarie, fiori e anfore di vino ed olio, tutte offerte votive alla Dea, com’era tradizione.
Una decina di ragazze tutte vestite di bianco erano intente a suonare i più disparati strumenti, dalla cetra al flauto, per intrattenere gli ospiti che si erano già affollati ai tavoli.
Alexandra scese la scalinata della Prima Casa accompagnata da Milo. Rimase stupefatta da quello spettacolo. Tutto era stato organizzato nei minimi particolari, niente lasciato al caso.
«Beh, direi che Saga ha accontentato il desiderio della Dea Athena di avere una grandiosa festa» disse Milo guardandosi attorno.
«Si, non si è certo risparmiato» convenne la ragazza.
«Alexandra, vuoi scusarmi? Credo che Dohko mi stia facendo cenno di raggiungerlo. È questione di un istante» si scusò il cavaliere sfoggiando un gran sorriso.
«No, certo vai pure» sorrise lei di rimando.
«Torno subito» si congedò da lei con un elegante baciamano prima di raggiungere il compagno.
Alexandra avanzò verso il centro della piazza. Sentiva addosso gli sguardi di tutti i presenti e la cosa la fece sentire a disagio. Non era abituata a stare al centro dell’attenzione. Iniziò a giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli, guardandosi attorno, cercando una faccia amica.
«Devo ammettere che Aphrodite ha fatto un lavoro sublime»
La voce di Saga le sembrò quella di un angelo salvatore in quel momento. Si voltò e lo vide avanzare verso di lei con i suoi abiti cerimoniali da Grande Sacerdote. Non erano i soliti, erano più adorni e preziosi, segno che venivano utilizzati solo per le grandi cerimonie. L’ampia tunica bianca era filigranata d’oro e il collo era contornato da un tessuto lucido anch’esso dorato, intarsiato di rubini e smeraldi. La stola che gli ricadeva davanti era verde smeraldo ricamata con disegni preziosi.
Quell’abbigliamento era così pomposo che chiunque si sarebbe sentito ridicolo a portarlo. Chiunque, ma non Saga. La fierezza con cui portava quegli abiti facevano sì che gli donassero particolarmente.
Ad accompagnare Saga c’era Mur, vestito di tutto punto nella sua splendente armatura dorata.
Alexandra non poté che rivolgergli un gran sorriso.
«Sei quasi irriconoscibile Alex» disse Mur guardandola esterrefatto.
«Stupenda» lo corresse Saga accarezzando dolcemente la guancia della ragazza.
Alex arrossì.
«Grazie… a dire il vero credo che Aphrodite abbia un po’ esagerato» disse imbarazzata affondando lo sguardo sul tappeto di petali.
Saga le alzò il mento e le scostò i capelli che le ricadevano davanti al viso per poterla osservare. Finse di analizzarla con più attenzione.
«Beh, credo che in molti non riusciranno a staccare gli occhi da te stasera…» il sorriso del cavaliere avrebbe fatto sciogliere chiunque «uno sicuramente» finì la frase ammiccando in direzione di alcuni invitati.
Alex non riuscì a capire immediatamente. Rivolse lo sguardo in direzione del punto indicato da Saga e non appena lo vide le sue gambe tremarono.
Kanon era in mezzo alla folla e la guardava fisso. Non appena si accorse del suo sguardo, però, distolse lo sguardo ostentando normalità, come se stesse semplicemente sorvegliando la piazza.
Saga si avvicinò all’orecchio di lei.
«Non ti ha persa di vista un solo istante» le sussurrò.
«Non ho dubbi» rispose acida.
Saga sorrise.
«Credo sia solo molto preoccupato per te»
«Penso proprio che non sia questo ciò che gli passa per la testa stasera!» il tono della ragazza era grave e accusatorio «Fidati» puntualizzò.
«Credevi forse di restargli indifferente? Alex, non lo sei per nessuno qui. Non puoi pretendere di esserlo proprio per lui»
Alex ci pensò un momento.
«Si comporta in modo strano. Mi sembrava fossi preoccupato anche tu» lo incalzò guardandolo fisso in quegli occhi blu.
«Si, sono preoccupato. Ha sofferto molto lo sai? E credo che soffra ancora…»  sospirò visibilmente angosciato «e lui quando soffre…beh… fa sempre qualcosa di stupido»
Alex ammutolì.
«Comunque, non è il caso di discuterne stasera. Dovrebbe essere una festa, dopotutto» sorrise lui facendo cenno a Mur di andare «solo non metterti nei guai stasera, fai attenzione» disse dandole un bacio sulla fronte per poi voltarsi e andare via.
«Tu più di tutti dovresti sapere che lo farò» gli urlò la ragazza prima che si allontanasse troppo per sentirla.
Saga si voltò un’istante a guardarla «Beh, ti lascio in buone mani, stavolta» sorrise prima di tornare sui suoi passi.
Alexandra si voltò nuovamente in direzione di Kanon, ma stavolta non lo vide.
Si udì un forte rumore di tamburi, le ancelle smisero di suonare e tutti si voltarono in direzione della Casa dell’Ariete .
In cima alla prima rampa facevano la loro figura tutti i cavalieri d’oro, disposti a semicerchio, splendenti nelle loro armature. Faceva eccezione solo l’armatura del Sagittario il cui totem era posto fra gli altri cavalieri in memoria del defunto compagno. Al centro c’era il Grande Sacerdote pronto a fare il suo discorso non appena i tamburi avessero smesso di suonare.
«Oggi, ricorre come di consueto il giorno delle festività in onore della nostra Dea protettrice» il tono di Saga era solenne «Onore alla nostra Dea» urlò poi con le braccia rivolte in cielo e tutti ripeterono la formula.
Saga si fece da parte prostrandosi e fece la sua comparsa Athena, splendente nella sua aura dorata e rasserenante, che avanzava sicura, cingendo lo scettro di Nike.
Tutti i presenti iniziarono ad esultare e solo quando la Dea alzò la mano si zittirono per consentirle di parlare.
«Sono tempi difficili e tumultuosi questi, ma sono proprio questi momenti che ci ricordano il valore dell’amicizia e della lealtà» il tono della donna era molto diverso da quello di Saga, era molto più simile a quello di una madre amorevole che parla ai suoi figli.
«Ricordate sempre che la forza di ognuno di voi risiede sempre nel vostro compagno o amico. Non sottovalutate mai il valore la forza che scaturisce da questa unione, essa è più potente di qualsiasi altra cosa. Tutto si piega di fronte l’amore, niente contrasterà mai il suo potere infinito, perciò coltivatelo e abbiatene cura, sempre»
Il discorso riscosse consensi, tutti annuivano e bisbigliavano fra loro.
«Proprio per ricordarvi tutto ciò» continuò la Dea «questa sera si uniscono a noi i rappresentanti delle altre Divinità, in segno di amicizia e vicinanza di intenti» annunciò la donna e subito un altro rimbombo di tamburi accompagnò l’ingresso dei vari delegati ospiti accompagnati ognuno da due ancelle o servitori.
Erano sette in tutto, più i loro accompagnatori per un totale di ventuno presenti. Questi fecero la loro comparsa dalla rampa laterale, inchinandosi alla Dea, uno per uno, in segno di rispetto
Alexandra ebbe una fitta allo stomaco nel vederli e l’ansia tornò ad impadronirsi di lei.
«Eccomi, ti chiedo scusa, non potevo mancare all’apertura»
La voce del cavaliere di Scorpio rimbalzò nelle orecchie della fanciulla tornando indietro senza scalfirla.
Solo quando questi le poggiò la mano sulla spalla si accorse della presenza del ragazzo.
«Nervosa?» chiese lui con un sorriso.
«Un po’…» ammise.
«Andrà tutto bene. Andiamo, Athena ti sta aspettando» detto ciò la prese per mano e la condusse dalla divinità.
Intanto la musica aveva ripreso a suonare e i delegati erano impegnati a discutere fra di loro o con altri ospiti.
Kanon si guardava intorno nervosamente, aveva perso di vista Alexandra e i suoi occhi color cobalto correvano veloci da una parte all’altra della piazza per trovarla.
“Dannazione dov’è finita?”
«Kanon di Sea Dragon»
Una voce familiare alle sue spalle lo fece bloccare.
«Non avrei mai pensato di rivederti qui» ghignò il cavaliere di Gemini voltandosi poi verso il misterioso interlocutore «Sorrento di Siren»
«Ne è passato di tempo» rispose l’altro. Era un giovane esile dai lineamenti delicati e i capelli color glicine e indossava una possente armatura costituita da scaglie dorate.
«Molto…» asserì il cavaliere.
I due si guardarono intensamente. I loro sguardi erano fissi l’uno in quello dell’altro e non lasciavano trasparire alcuna emozione.
Dopo qualche istante Sorrento, non potendo più resistere, si sciolse in una fragorosa risata che dopo poco contagiò anche Kanon.
Il Marine gli si avvicinò e diede una sonora pacca sulla spalla all’ex compagno d’arme.
«Che diavolo ci fai qui?» chiese Kanon sorridendo.
«Si dà il caso che io sia il nuovo celebrante di Nettuno» rispose con finta tracotanza il ragazzo «Julian mi ha affidato l’incarico poco dopo la sconfitta di Hades» uno sguardo fiero si dipinse sul suo volto.
«Celebrante… però! Nessuno lo meritava più di te» disse sinceramente Kanon poggiando una mano sulla spalla di Sorrento.
«E’ naturale!» rise «comunque…vi siete cacciati in un bel guaio stavolta» disse poi tornando serio «inimicarvi mezzo Olimpo uccidendo la Pizia, ma come diamine vi è saltato in mente? Sapevo che eri incline a cacciarti nei guai, Kanon, ma questa è follia!»
Kaon rimase spaesato dalle parole ammonitrici del Marine.
«Frena un momento, da chi hai saputo tu queste cose?» chiese Kanon
«Stento a credere che tu possa essere così ingenuo, amico mio. Subito dopo l’accaduto il celebrante di Apollo ha messo praticamente i manifesti. Pende una taglia altissima su di te, il tuo amico Gold e quelle due sacerdotesse di Artemide» disse con tono grave.
«Aspetta Sorrento, noi non abbiamo affatto ucciso la Pizia. Ci hanno incastrato!» la voce di Kanon divenne più cupa e nervosa.
«Non importa Kanon! Avevate già la nomea di blasfemi quando avete ucciso Hades, ma adesso la maggior parte delle divinità chiede la vostra testa»
«Tsè, non è la prima volta che affrontiamo un Dio» Kanon cercò di camuffare la sua preoccupazione dietro una maschera di strafottenza.
«Questa volta è diverso, amico mio. Niente di questo posto si salverà, verrete sterminati come bestie» Sorrento aveva il volto serio.
Kanon si passò una mano fra i capelli. Era consapevole della verità racchiusa in quelle parole.
«Lo so, è proprio per questo che siete tutti qui»
«Era evidente, ma tu pensi che serva a qualcosa? Non essere sciocco sai bene che molti dei delegati che sono qui stasera hanno il solo scopo di carpire informazioni sulla vostra strategia. E vi andrà bene se non tenteranno qualcos’altro» rispose il Marine
I pensieri di Kanon si rivolsero automaticamente ad Alexandra. Aveva provato ad avvertire Saga dei rischi di quella mossa, ma alla fine il volere della Dea aveva avuto il sopravvento.
«Ad ogni modo, se è vero quello che dici e qualcuno sta effettivamente cercando di screditarvi, non sarà facile per Alexandra convincere i delegati» continuò Sorrento.
«Ci riuscirà» rispose Kanon serio.
«Che sia brava o meno non importa» il tono di Sorrento si fece più sibillino «Ci sono in ballo giochi di potere, Kanon, a nessuno importa della verità. Chi si schiererà con voi lo farà solo per evitare che venga scosso l’ordine prestabilito. Perché, se Athena cade, ci sarà una lotta senza pietà per accaparrarsi il suo potere e molte, moltissime divinità hanno il timore che possa accadergli la medesima cosa. Probabilmente Persefone rimarrà dalla vostra parte, e forse anche Demetra che non vorrà mettersi contro la figlia…»
«E Poseidone? Da che parte sta?» chiese allora Kanon.
«Vi ha già aiutati contro Hades, non vi negherà il suo supporto neanche questa volta» annuì con convinzione.
Il cavaliere parve rincuorato da quella risposta.
«Kanon, devi fare attenzione. È molto più semplice per loro eliminare gli individui scomodi… e voi lo siete».
«Bene. Il vostro aiuto ci servirà» rispose Kanon fingendo di non aver sentito l’avvertimento «ora scusami Sorrento, devo andare» disse poi sorpassando il vecchio amico per allontanarsi velocemente. Non riusciva a smettere di pensare ad Alexandra, le parole di Sorrento lo avevano messo in allarme, doveva trovarla.
«Kanon!»
Il cavaliere  si fermò senza voltarsi.
«Spero vivamente che abbiate un piano, perché il nostro aiuto non basterà».
«Lo spero anch’io» rispose a voce bassa prima di andare via.
 
Milo condusse Alexandra alla Prima Casa. Il suono della musica giungeva ovattato dallo spiazzale disperdendosi fra le colonne del tempio. Alcuni bracieri illuminavano l’enorme sala principale della casa dell’Ariete e il riflesso delle fiamme traballava sul lucido pavimento di marmo.
«Alexandra, eccoti qui!» Athena rivolse un caloroso sorriso alla ragazza non appena la vide arrivare in compagnia di Milo.
La ragazza si avvicinò lentamente al gruppo mentre il cavaliere rimase rispettosamente a distanza.
«Signori, questa è colei di cui vi parlavo prima» la annunciò la Dea
«Alexandra, questi sono i celebranti rispettivamente di Efesto, Afrodite e Dioniso» disse poi indicandole i tre individui con cui stava parlando poco prima.
«S-salve» rispose lei impacciata.
I tre la squadrarono con attenzione e Alex fece altrettanto con loro.
Il celebrante di Efesto era un omone corpulento e massiccio, molto alto, con una barba incolta e i capelli scuri legati in un codino dietro la nuca.
Di contro il celebrante di Dioniso era un uomo in carne e di statura media. Alexandra lo trovò decisamente fuori posto rispetto all’incarico che ricopriva: dava più l’idea di un bonaccione che non di un capo autoritario.
Infine il celebrante di Afrodite era un uomo molto avvenente, alto e muscoloso, dai lunghi capelli biondi e con un viso ammaliatore.
“Non potevo aspettarmi di meno dalla Dea della bellezza” pensò.
«Dunque è lei la sacerdotessa di cui tutti parlano? Colei che ha tradito la sua stessa divinità?» parò il celebrante di Efesto per primo.
Athena intervenne rispondendo alla domanda con il suo solito tono garbato
«Come vi stavo spiegando giusto un momento fa, c’è stato un enorme malint…»
«Io non ho tradito nessuno!» sbottò Alex.
I tre si voltarono a guardarla all’unisono.
«Eppure i fatti parlano chiaro» aggiunse il celebrante di Dioniso trangugiando un calice di vino rosso.
«Quali fatti? Nessuno di voi era presente, cosa potete saperne?» Alexandra fece una faccia indignata.
«Metti forse in dubbio le parole di Eschilio, celebrante di Apollo, insolente?» la voce del Celebrante di Efesto tuonò facendo trasalire la sacerdotessa.
«Via, via, Varsos, la ragazza sta solo cercando di spiegare la sua versione» intervenne una donna dai capelli biondo , avvicinandosi sinuosamente agli altri, accompagnata da Sorrento.
Era una donna affascinante, dal suo viso traspariva molta furbizia e scaltrezza, due doti che ben si conciliavano con la sua bellezza.
«Megàra, celebrante di Ermes» si presentò.
«Salve…» si limitò a rispondere Alexandra che stava ancora cercando di inquadrare la donna.
«Dunque, cara, perché non ci racconti una volta per tutte ciò che è successo» la esortò Megàra.
Athena guardò Alex e la incoraggiò con un sorriso a parlare.
Alexandra prese fiato, gonfiando il petto si mise ben eretta e avanzò verso i suoi interlocutori. Presasi di coraggio iniziò a raccontare tutto ciò che le tornava alla mente. Di come i due cavalieri erano venuti a Parnitha, del depistaggio delle sacerdotesse uccise, del drago di Cadmo, delle parole della Pizia e dell’attacco dei due seguaci di Ares, Spiro e Keres, che avevano ucciso il giovane oracolo e rapito la sua compagna.
Tutti i presenti ascoltarono con attenzione le parole della ragazza e la sua ferma convinzione sembrava averli persuasi. Varsos prese a massaggiarsi pensieroso la barba riccioluta mentre gli altri si guardarono annuendo.
«Quindi tu sostieni che Ares stia tramando contro l’Olimpo» una donna si fece largo fra gli altri celebranti. Era una donna non molto giovane, dai capelli color rame che le ricadevano ai lati del viso in un caschetto corto. Era seguita da un’altra donna più paffuta e bassa con i capelli castani legati in una acconciatura raccolta e da un’altra molto giovane con i capelli corvini lisci e la pelle chiarissima.
Rispettivamente le celebranti di Demetra e Persefone.
«E quali sarebbero le sue ragioni?» chiese la stessa avvicinandosi ad Alexandra con un sorriso falso stampato sulle labbra.
«Io…io non lo so» ammise titubante la fanciulla.
«Mh… tu non lo sai» ripeté lentamente la donna «e quali prove hai per avvalorare la tua teoria? A parte il tuo racconto fantasioso che, ammettiamolo, potresti aver inventato di sana pianta» lo sguardo della donna divenne maligno.
«Kerkyra, non hai ragione di credere che Alexandra menta» intervenne Athena seria.
«Che motivo avrei avuto per inventarmi tutto poi? Perché avrei dovuto tradire la mia Dea?» Alexandra era esasperata e visibilmente infastidita.
«Certo, si, nessuno» convenne Kerkyra «Ah, no, ci sono. Certo, qui i presenti non sanno che prima di diventare una seguace di Artemide, eri una sacerdotessa di Athena»
Tutti i presenti ammutolirono e guardarono la fanciulla sorpresi di quella rivelazione.
«Come lo…?»
«Oh, si, la mia Dea Era ha provveduto ad informarmi prima di questo incontro» disse rivolgendosi poi agli altri celebranti «Uhm, probabilmente questo fa un po’ vacillare la sua credibilità» la sua espressione mutò in falso stupore.
Athena restò in silenzio, visibilmente preoccupata. Alcune gocce di sudore iniziarono a ornare come perle lucenti la sua fronte candida. Sapeva bene che questa rivelazione avrebbe messo in una scomoda posizione Alexandra, che la sua imparzialità sarebbe venuta meno.
«Alexandra non è più una sacerdotessa di Athena» la voce di Saga fece girare tutti i presenti. Il Sacerdote avanzava lentamente verso di loro, seguito a ruota da Mur e Shaka.
«Il suo vincolo di fedeltà nei confronti della Dea e del Santuario è cessato il giorno in cui si è concessa ad Artemide» la sua autorità in merito non lasciava spazio ad obbiezioni.
Saga si  interpose tra Alexandra e Kerkyra, come a volerle fare scudo con il suo corpo.
«Mh… ma non il suo legame, come dire, affettivo con questo posto. Dico bene, Saga?» ribatté la donna sorridendo. Il cavaliere impallidì leggermente a quella affermazione e inghiottì una quantità smisurata di saliva cercando di non mostrare segno di cedimento.
Per tutta risposta Kerkyra si voltò e iniziò a passeggiare avanti e indietro fingendo di riflettere attentamente.
«Beh, giunti a questo punto ritengo non ci sia altra soluzione…»
Tutti si voltarono a guardarla interrogativi. Sorrento, invece, fece un’espressione preoccupata.
«C’è solo un modo per stabilire la veridicità delle sue parole» disse poi rivolgendosi ai colleghi celebranti «Il pozzo di Aletheia».
«No!» disse Saga di getto facendo un passo avanti coprendo Alexandra.
Athena iniziò a sudare freddo rimanendo tuttavia in silenzio. Mur, Shaka e Milo si guardarono preoccupati.
«Il pozzo di Aletheia» continuò Kerkyra «ci dirà se sei sincera» sul volto della donna si dipinse una soddisfazione malvagia.
«D’accordo» asserì con decisione Alexandra sorpassando Saga.
Il cavaliere d’istinto le afferrò un braccio bloccandola «Alex» disse preoccupato.
La ragazza non se ne curò e si divincolò dalla stretta.
«Se questo dimostrerà la mia buona fede, lo farò»
Kerkyra sorrise «Perfetto»
Gli altri celebranti annuirono e diedero il loro consenso.
«Hai dieci giorni. Dieci giorni per raggiungere il Pozzo e dimostrare ciò che dici» disse Varsos.
«Bene!» rispose Alex più determinata che mai. Con un inchino carico di stizza si congedò dai delegati uscendo rapidamente dalla Prima Casa.
 
Kanon iniziava ad essere davvero preoccupato: non riusciva più a vedere Alexandra, dopo la cerimonia d’apertura l’aveva persa di vista. Cercava furiosamente tra la moltitudine di persone che affollavano la piazza ma non riusciva ad identificarla.
Si avvicinò ad un tavolo e prese un calice di vino trangugiandolo nervosamente. Poi un altro, e un altro ancora.
“Accidenti a quella irresponsabile! Dove si sarà infrattata?”
L’alcool del vino salì immediatamente alla testa regalandogli una sensazione piacevole.
“Si sarà sicuramente cacciata nei guai” pensò riempendosi un altro bicchiere.
“O magari lei e Milo si sono appartati da qualche parte” rifletté pervaso da una gelosia irrazionale constatando che anche il cavaliere di Scorpio era sparito. Bevve avidamente il vino e si mise a fissare il vuoto del calice che rigirava tra le mani.
«Buonasera»
Una voce femminile lo fece sussultare.
Una donna gli si avvicinò di soppiatto. Era bellissima. Un corpo esile ma allo stesso tempo formoso nei punti giusti. Un leggero vestito di lino bianco molto corto le incorniciava alla perfezione le forme sinuose. Il viso simile a quello di una ninfa, dolce e candido, era contornato da lunghi capelli biondi. Le sue labbra rosse si incurvarono in un sorriso non appena incrociò lo sguardo del cavaliere di Gemini.
Questi rimase interdetto per qualche istante fissando la figura che aveva di fronte.
La squadrò per bene prima di voltarsi nuovamente a scrutare in mezzo alla folla.
«Cerchi qualcuno?» chiese ancora la ragazza.
Kanon si voltò spazientito «Senti, sono un po’ impegnato adesso, non ho tempo per…? qualsiasi cosa tu abbia in mente» rispose.
La bionda ridacchiò.
«Certo, capisco, un cavaliere d’oro deve avere molto a cui pensare stasera» disse con tono angelico fissando ironicamente il calice nelle mani del cavaliere.
Kanon non ascoltò, impegnato com’era a cercare Alexandra.
La ragazza si avvicinò a lui appoggiandosi maliziosamente al tavolo e scoprendo leggermente le gambe.
«Offrimi da bere» propose.
«Non è il momento» tagliò corto Kanon. Senza ascoltarlo la fanciulla aveva preso la brocca del vino e aveva iniziato a versarlo in due calici.
«Avanti… solo un bicchiere» insistette porgendogliene uno.
Kanon era molto infastidito. In altre occasioni non sarebbe rimasto indifferente alla bellezza della donna, anzi non avrebbe nemmeno fatto troppi complimenti alle sue avances. Tuttavia in quel momento i suoi pensieri erano rivolti a ben altre preoccupazioni.
«Se lo bevo mi lasci in pace?» chiese il cavaliere spazientito.
Per tutta risposta la ragazza sorrise candidamente.
«Solo uno» puntualizzò Kanon prendendo il calice dalle mani della donna.
La distrazione con cui lo fece non gli fecero accorgere del flebile bagliore che illuminò il calice non appena questi lo prese dalle sue mani.
La donna prese a sorseggiare lentamente il suo vino mentre Kanon, per fare prima, lo ingurgitò tutto in un solo lungo sorso.
Subito dopo aver bevuto Kanon si sentì strano. La vista iniziò a ballargli e i rumori del vociare delle persone divennero dei ronzii fastidiosi e assordanti.
Iniziò a barcollare cercando di mettere a fuoco le immagini che giungevano ai suoi occhi appannate e confuse.
«Cos..?» non riusciva più a parlare, la testa gli girava furiosamente.
Si voltò verso la donna e la vide che sorrideva amabilmente mentre con un dito accarezzava il bordo del suo calice.
«Che maleducata, non mi sono nemmeno presentata» la sua voce rimbombò nelle orecchie del ragazzo.
«Il mio nome è Ate…»

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 Cap 15 – Una notte da dimenticare - Parte 2
Alexandra corse via dalla Prima Casa, scendendo rapidamente la lunga rampa di scale che l’avrebbe ricondotta alla festa. Era terribilmente arrabbiata per quanto successo poco prima. Nessuno dei delegati aveva voluto crederle e si sentì un’incapace per non essere stata in grado di convincerli della verità.
“ Sapevo che sarebbe stato tutto inutile! Non so nemmeno perché ci ho provato” pensò stringendo i pugni.
«Alex!» Saga la stava rincorrendo da quando era uscita dal tempio dell’Ariete.
«Alex, aspetta! Ti prego» gli ci volle relativamente poco per raggiungerla e quando lo fece la bloccò afferrandola per un braccio.
«Alex, per favore, non devi farlo!» la supplicò preoccupato il cavaliere.
«No!» si voltò di scatto la ragazza divincolandosi dalla presa e guardandolo con occhi fiammeggianti.
«Alex» riprovò Saga con un tono più pacato «Tu non sai a cosa stai andando incontro. È una trappola insomma, è un modo per farti uscire allo scoperto e ucciderti, non lo capisci?!» tentò di convincerla.
«Non mi importa! Sei tu che non capisci…» rispose la ragazza sospirando e voltando le spalle all’amico.
«Alex, ti prego, devi starmi a sentire. Anche ammesso che tu riesca a raggiungere il Pozzo sana e salva, non hai idea di cosa ti aspetta lì»
«Qualsiasi cosa sia devo affrontarla. Non ho paura»
«Dovresti invece. Persino gli Dei non si sottopongono con leggerezza al giudizio di Aletheia. Esso è apparentemente solo un pozzo buio e profondo, ma una volta entrati ti conduce nel baratro della tua stessa anima.»
Alex rimase voltata senza scomporsi. Saga, spazientito, la costrinse a voltarsi per guardarla negli occhi «Si addentra nei meandri del tuo cuore, costringendoti a rivivere tutti i momenti più bui della tua vita, ogni singolo tormento, così che possa capire la sincerità del tuo animo»
Alexandra iniziò a vacillare, il pensiero che qualcuno potesse indagare così a fondo nella sua anima, carpire tutte le sue emozioni mentre riviveva le sue paure più grandi la turbò non poco.
«Chi è uscito da quel pozzo ne è rimasto devastato: molti sono impazziti dal dolore, altri ancora sono addirittura morti. Kerkyra lo sa bene cosa ti attende ed è proprio per questo che lo ha proposto, per condurti alla follia o peggio ancora alla morte . Non devi andare, Alex, il prezzo da pagare è troppo alto» la supplicò Saga con il cuore in mano.
Gli occhi di Alexandra fissavano il vuoto, così spenti e inespressivi da sembrare in trance.
«Questa è la mia unica occasione per sistemare tutto, per provare ciò che dico, per riavere la fiducia di Artemide, per salvare Deianira, per…» Alex si bloccò cercando di trovare le parole giuste «per tornare alla mia vita».
Saga si incupì.
«Ti prego, Saga. Non ho altra scelta. Devo tornare a casa, non posso più stare qui»
“Non ce la faccio”
Si accasciò sconfitta su un gradino delle scale, affondando la testa tra le mani.
Saga si sedette accanto a lei cingendole le spalle in un caldo abbraccio.
«Lo so» si limitò a dire.
La ragazza alzò lo sguardo, i suoi occhi erano lucidi di lacrime che non avevano il coraggio di uscire fuori. Si abbandonò in quell’abbraccio fraterno poggiando la testa sulla spalla di lui e affondando nell’incavo del suo collo. Respirò a pieni polmoni il suo profumo, così intenso e rilassante.
Le mani del cavaliere vagarono tra i capelli di lei e tolsero il fermaglio che teneva su l’acconciatura, facendo così ricadere i lunghi capelli bruni sulle spalle nude. Le dolci carezze di Saga la fecero calmare e lei lo ringraziò tacitamente per quel gesto tanto inaspettato quanto, inconsciamente, desiderato.
«Io non voglio che tu vada» le sussurrò Saga «dimmi cosa fare per convincerti a non andare» le disse alzandole il mento.
«Non puoi» rispose lei con un sorriso amaro «devo farlo, qualsiasi cosa comporti»
Saga scosse il capo.
«No, troveremo una soluzione. Non permetterò che rischi la tua vita. Questa volta ti proteggerò» disse Saga serio.
«Ma…»
«Shhh..» Saga le mise un dito sulle labbra per zittirla. «Devo farlo» disse con un filo di voce mentre il suo dito scivolava accarezzando le labbra rosee della ragazza che dal canto suo non riusciva più a controbattere.
Le sue labbra si avvicinarono lentamente a quelle di Alexandra. Il cuore della ragazza iniziò a battere a mille, il respiro le si bloccò per un tempo che le parve interminabile.
«Saga.. io.. non..»
Le labbra del cavaliere si poggiarono sulle sue in un bacio casto e dolcissimo. Per un istante tutti i suoi pensieri e le preoccupazioni si azzerarono, scomparvero come se non ci fossero mai state. Per la prima volta nella sua vita provava un’emozione sconosciuta, quella che si prova ad essere baciata. Chiuse gli occhi assaporando quel momento.
“Kanon”
Nella mente della ragazza si dipinse il volto del gemello. Perché? Perché pensava ancora a lui?
Una stretta al cuore la attanagliò facendola allontanare, lentamente, da quel contatto dapprima così bello.
«Saga…» provò a dire la ragazza, con un filo di voce, mortificata.
Tuttavia prima che potesse parlare il cavaliere le mise una mano sulla guancia, dolcemente.
«Sai avrei tanto voluto esserci io lì… nel tuo cuore…» disse amaramente «ma so bene che non è così… e che non lo sarà mai»
Alexandra lo guardò negli occhi, non c’era collera o risentimento sul suo volto, eppure lei si sentì tremendamente colpevole. Si maledì per non essere stata capace di dimenticare colui che non l’aveva mai notata, che la disprezzava per ciò che aveva fatto senza neppure conoscerne le motivazioni. Si maledì per aver respinto l’uomo che invece c’era sempre stato per lei, che l’aveva protetta con tutte le sue forze e che, l’unica volta che non poté farlo, aveva comunque capito.
Gli occhi della ragazza divennero lucidi.
«Va bene, sai? Lo capisco. Solo, ti prego, ricorda questo gesto come mio» disse accarezzandole i capelli.
Alexandra annuì ma una lacrima non resistette a venir fuori. Una lacrima che Saga prontamente asciugò.
«Non piangere… Io ci sarò comunque per te, sempre, e ti proteggerò. Almeno questo, per favore, consentimi di farlo»
«Va bene..»
Saga sorrise. La tirò a sé e l’abbracciò facendole appoggiare la testa sul suo petto. Le baciò la fronte mentre la sua mano non smetteva di accarezzarle i capelli.
«Se solo sapesse meritarti…» disse con una smorfia.
L’allontanò dolcemente da sé.
«Ora è meglio che tu vada. Ti manderò Milo per farti scortare alla Terza Casa»
Senza aggiungere altro si voltò e andò via, lasciando Alexandra lì da sola, sulle scale, con una tristezza infinita nel cuore.


«Il mio nome è Ate…»
Quel nome prese a rimbombargli nelle orecchie. Tutto girava vorticosamente intorno a lui facendogli venire le vertigini. Iniziò a sudare freddo e ad ansimare.
“Cosa mi succede? Dannazione, è un veleno, un allucinogeno? Non riesco a riprendere il controllo” pensò Kanon in preda alla confusione.
Guardò in direzione della donna, la sua figura si sdoppiava per poi ricongiungersi mentre questa si avvicinava a lui.
La vide pronunciare delle parole che non riuscì a capire mentre la mano di lei si poggiava sul suo petto, all’altezza del cuore.
Il sorriso della donna divenne improvvisamente demoniaco e Kanon non riuscì a capire se fosse reale o solo un effetto di quell’allucinogeno. Ma non ebbe il tempo di curarsene perché non appena la mano di lei toccò il suo petto un bruciore intenso lo pervase e sentì una fortissima pressione sul petto proveniente dall’interno del suo corpo, come se gli stessero strappando via il cuore.
Il respiro gli mancò per il dolore. La vista gli si oscurò definitivamente mentre un fischio assordante risuonava nelle sue orecchie.

Improvvisamente tutto ritornò alla normalità. Kanon si guardò attorno spaesato come se si fosse svegliato da un sogno fin troppo reale. Niente più fischi, dolore o vista appannata e confusa.
Nessuna donna.
“Che abbia immaginato tutto? Magari ho bevuto troppo” pensò
Eppure il suo sesto senso gli diceva che non poteva essere un effetto del vino, era tutto troppo reale.
Ad un tratto sentì una voce femminile nella sua testa.
“Alexandra” il suo nome echeggiò nelle sue orecchie, più e più volte.
Kanon scosse il capo per scacciare quella voce eterea dalla sua mente, senza riuscirci.
“Trovala” ancora l’eco.
Ad un tratto gli occhi di Kanon divennero vuoti e si mosse animato da una volontà non sua. Un solo scopo: trovare Alexandra.
La cercò ossessivamente dovunque in mezzo alla folla. I suoi occhi correvano veloci da un lato all’altro.
Finalmente poco dopo la vide, in lontananza, mentre usciva dalla Prima Casa e si mosse velocemente per raggiungerla.
Si bloccò non appena vide il fratello insieme a lei, e rimase nell’ombra a guardare da lontano.
La scena che vide lo fece soffrire come mai prima d’ora: lui che l’abbracciava, che la stringeva a sé.
Sentì qualcosa rompersi dentro.
“Guardala” di nuovo l’eco nella sua testa “Preferisce lui a te”
Kanon distolse lo sguardo provando con tutte le sue forze a non ascoltare quella voce, ma questa si fece più forte e insistente.
“Guardalo… lo ha rifatto… lui si è preso di nuovo ciò che ti era caro”
Tornò a guardarli. Vide quel bacio. Quel dannatissimo bacio.
La rabbia inizio a montargli dentro, forte, irrazionale, folle.
“Lei ha sempre preferito lui. È lui che ha sempre cercato, è con lui che si è sempre confidata. Ti hanno tenuto sempre all’oscuro di tutto. Tu non conti niente per lei”
«No! Basta!» urlò in preda alla disperazione crollando sulle ginocchia. «Smettila!» si tappò le orecchie scuotendo convulsamente la testa.
“Lui ha avuto il coraggio di prendersi ciò che voleva. Tu sei un vigliacco”
«No, non è vero!»
“Lo desideri più di ogni altra cosa, da anni, perché negarlo?” la voce si fece più
suadente.
«N-no, non posso»
La resistenza di Kanon iniziava a venir meno.
“Vai e prendi ciò che ti spetta”
Kanon tornò a guardare i due che erano ancora molto vicini. La sua mano sul volto di Alex. Poi di nuovo lei tra le sue braccia. Strinse i pugni e il respiro si fece agitato.
Sentì la gelosia impossessarsi di lui, di ogni fibra del suo corpo.
“Te la porterà via, di nuovo”
Vide il gemello andare via e poco dopo lei che saliva le scale in compagnia di Milo.
Si alzò in piedi. Dai suoi occhi traspariva la follia che lo stava divorando.
«No» la sua voce era mutata, sapeva di malvagità « non di nuovo»



Alexandra salì lentamente le scale che l’avrebbero riportata alla Casa dei Gemelli.
Era stanca e scossa. I piedi le facevano un male tremendo e non vedeva l’ora di togliersi quegli abiti.
La brezza della sera le toccò le spalle nude facendole salire un brivido.
Milo la precedeva, salendo le scale in silenzio. Aveva capito che la ragazza era preoccupata per quanto accaduto e non poteva certo biasimarla. Non poteva sapere che i pensieri di lei non erano affatto rivolti al pozzo di Aletheia in quel momento.
I due giunsero davanti l’ingresso della Casa.
«Sicura di stare bene?» chiese il cavaliere.
«Mh?» Alex era così assorta da non aver capito la domanda.
«Forse è il caso che aspetti qui con te finché Kanon non rientra» disse Milo premuroso.
«No, tranquillo. Vai pure. È tutto apposto. Kanon tornerà sicuramente presto e poi non corro pericoli qui» sorrise.
«Sicura?»
«Si, certo. Andrò diretta a letto non preoccuparti, sono molto stanca»
«Va bene» rispose lui anche se non troppo convinto.
La ragazza gli parve veramente molto strana e non se la sentiva di lasciarla da sola, ma non poteva di certo costringerla. Così, controvoglia, si congedò con un ultimo baciamano e augurandole buonanotte passò oltre la Casa per dirigersi al suo tempio.
«Buonanotte» rispose lei di rimando con un sorriso.
Entrò velocemente all’interno e constatò che effettivamente Kanon non era ancora rientrato. Tirò un sospiro di sollievo, non aveva voglia di parlare più con nessuno per quella sera. Voleva solo buttarsi nel letto.
Ciononostante aveva la gola secca, così si diresse alla piccola cucina per bere qualcosa. Prese la brocca d’acqua poggiata sul bancone e versò il contenuto del
liquido in uno dei bicchieri posti vicino ad essa. Bevve avidamente tutto il contenuto beandosi della sensazione piacevole del contatto di quel liquido fresco con la sua gola.
«Sei tornata»
Quella voce la fece trasalire e per poco non si affogò con l’acqua che stava bevendo.
Kanon era entrato silenziosamente, molto silenziosamente. Si era spogliato della sua armatura, il cui totem si era riposto lì vicino, e ora indossava i suoi soliti abiti di lino.
«Mi hai spaventata» disse la ragazza realmente scossa.
«Mh…Come mai?» chiese Kanon avvicinandosi al piccolo piano bar vicino al divano. Prese una bottiglia di liquore e versò il contenuto del liquido trasparente in un bicchiere.
«N-non.. non ti avevo sentito entrare» rispose incerta.
«Ah capisco» sorrise lui bevendo tutto il contenuto del bicchiere in un’unica volta.
Se ne versò un altro bicchiere e si voltò a fissare Alexandra. La squadrò per bene soffermandosi dapprima sul suo abito provocante e poi sui suoi capelli sciolti.
«Serata movimentata?» chiese ironico.
«Non è esattamente l’aggettivo che avrei utilizzato» rispose scocciata lei, ripensando a tutto ciò che era successo quella sera. Non aveva alcuna intenzione di discutere con lui, nessuna intenzione di assecondare la sua gelosia ingiustificata. Così posò il bicchiere ormai vuoto sul bancone e fece per andarsene.
Kanon si mosse velocemente parandosela davanti e impedendole di andare via.
«Ti dispiace? Vorrei andare nella mia stanza, sono molto stanca» disse lei cercando di superarlo ma Kanon glielo impedì.
«Cosa c’è? Tutte queste emozioni ti hanno stremata?» chiese buttando giù l’altro liquore.
Alex era sempre più infastidita.
«Non capisco di che parli. Ora scusami» lo spinse via con forza e si diresse alla sua camera.
Kanon si mosse nuovamente alla velocità della luce e si parò davanti la porta della stanza impedendole di entrare.
Alex si bloccò di colpo. Il cavaliere mosse qualche passo verso di lei e non appena fu abbastanza vicino con il pollice prese ad accarezzarle le labbra lascivamente.
«Io credo di si» il suo tono era strano e inquietante.
La ragazza non capì immediatamente a cosa si riferisse, tuttavia ben presto un pensiero orribile si fece largo nella sua mente e sbiancò di colpo.
“Non è possibile. Che abbia visto tutto? Ma come..?”
Gli occhi sbarrati dal terrore. Il pensiero che potesse aver visto tutta la scena le fece tremare le gambe. Fece un passo indietro allontanandosi dal cavaliere.
«Tu…?» provò a dire con un filo di voce e per tutta risposta Kanon sorrise nel vederla così in imbarazzo.
«Che ti prende?» chiese ironico iniziando a girarle attorno «Ah, forse ho capito. Devi essere ancora scossa per quel bacio» rise.
Alexandra non sapeva che dire. Non sapeva cosa fare o cosa pensare. Provava emozioni contrastanti per il bacio che aveva ricevuto poco prima, inoltre non aveva avuto ancora il tempo di metabolizzare la cosa.
«Dimmi una cosa» continuò Kanon fermandosi dietro di lei «Per una sacerdotessa di Artemide come te, così…inviolata…intoccabile…» il tono di Kanon divenne malizioso «deve essere stata la prima volta» le sussurrò all’orecchio scostandole i capelli.
Un brivido percorse la schiena della ragazza che rimase immobile, incapace di muoversi.
Non rispose.
Kanon ghignò amaramente e allontanandosi da lei si diresse nuovamente al piano bar.
Alexandra si riprese da quello shock momentaneo e la rabbia iniziò a crescere dentro di lei. Il fatto che avesse visto tutto non gli dava il diritto di giudicarla. Raccolse quindi tutto il suo coraggio e si voltò ostentando una calma solo apparente.
«Si. È stata la prima volta» rispose cercando di dare alle sue parole un tono autorevole e spavaldo.
Kanon annuì e bevve un altro bicchiere di liquore per poi scagliare con rabbia il bicchiere che andò a frantumarsi conto una colonna vicina.
Quel gesto intimorì non poco Alexandra il cui cuore prese a galoppare per la paura.
Inaspettatamente Kanon iniziò a ridere. Tuttavia la sua era una risata folle, maniacale, che fece indietreggiare ancora la ragazza verso la porta della sua camera.
«E bravo il mio caro fratellino…non perde mai occasione per primeggiare» disse guardandola sempre con quello strano sorriso in volto.
La ragazza indietreggiò fino a toccare con la schiena la porta chiusa della sua stanza e cercò di afferrare la maniglia con la mano.
“Si è preso tutto” l’eco nella testa di Kanon si fece risentire “ogni cosa”
Il ragazzo scosse la testa infastidito e Alexandra lo notò. Capì che c’era qualcosa di strano in lui.
«Stai bene?» chiese preoccupata ma Kanon fece finta di non sentire.
«Il migliore al corso di addestramento…» continuò «colui che si è preso l’armatura di Gemini…» il suo tono era amaro e risentito.
Prese ad avvicinarsi lentamente alla ragazza. «Colui che per primo ha avuto la tua fiducia…il tuo affetto…il tuo amore…» la gelosia si fece largo nel suo cuore «il
primo a baciarti»
«Kanon smettila, mi spaventi» rispose lei cercando più nervosamente la maniglia della porta .
Gli occhi di Kanon divennero fiammeggianti di rabbia.
“Prendi ciò che ti spetta”
Con uno scatto fulmineo la prese e la sbatté con violenza contro la parete di pietra del tempio. Così forte che Alexandra poté sentire le scapole incrinarsi provocandole un fortissimo dolore che la fece gemere. Le bloccò le braccia sopra la testa, stringendole i polsi con fermezza in modo che non riuscisse a liberarsi.
«Credo che tu debba qualcosa anche a me» disse Kanon fissandola intensamente.
La ragazza iniziò a divincolarsi con tutte le sue forze, cercando in tutti i modi di sfuggire alla sua presa.
«Kanon, lasciami!» disse furiosa, dimenandosi.
Per tutta risposta Kanon la schiacciò con il suo corpo contro la parete stringendo ancora di più la presa sui polsi.
«Kanon!... mi fai male!» gemette.
Alex sentì il calore del corpo del ragazzo premuto contro il suo il quale faceva contrasto con la parete fredda a contatto con la sua schiena. Kanon affondò il viso sui suoi capelli, beandosi del suo dolce profumo. Alex poté sentire l’alito del ragazzo sul suo collo unito ad un pungente odore di alcool.
«Kanon, sei ubriaco, non sei in te. Lasciami!» lo pregò in preda alla disperazione con gli occhi lucidi. I suoi ricordi ritornarono a quella sera. Quella dannata sera che segnò per lei la fine di tutto. L’ansia di rivivere quel momento la fece dimenare con ancora più forza ma fu tutto inutile, il cavaliere la teneva saldamente ferma e non riusciva a liberarsi in alcun modo.
«Questa volta sarò io il primo, Alex» le sussurrò all’orecchio «Me lo devi. Saga ha avuto sempre tutto, perfino il tuo primo bacio» digrignò i denti con rabbia stringendo con più foga la stretta.
Senza darle modo di opporsi premette le sue labbra contro quelle di lei, forzando con la lingua la sua bocca che tuttavia rimase serrata.
Alexandra istintivamente scosse il capo cercando di separarsi da quel bacio così violento. Non appena ci riuscì si voltò dall’altra parte mentre calde lacrime rigavano ormai il suo viso.
Con la mano libera Kanon le afferrò il mento costringendola a guardarlo negli occhi.
«Tu mi hai rovinato la vita» disse il cavaliere con una espressione a metà strada tra la disperazione e la follia «mi hai fatto sprofondare nel baratro della mia anima oscura. Per colpa tua ho vissuto una esistenza lontano dalla luce e…»
Alexandra chiuse gli occhi, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo.
«Guardami!» le urlò.
Ubbidì ormai in lacrime.
«Ma non ti è bastato, no. Torni qui, dopo tutti questi anni, e mi fai questo? Con mio fratello!»
«K-Kanon io.. non.. ti prego» provò a dire tra i singhiozzi.
Il cavaliere era ormai in balia della sua stessa rabbia. Non riusciva più a fermarsi. La sua mano andò a stringere il collo di lei, con forza. Si avvicinò nuovamente al suo orecchio.
«E’ giunto il momento di dare qualcosa anche a me, Alex» le sussurrò «Consideralo solo un indennizzo per il male che mi hai fatto..»
A quelle parole la ragazza iniziò a tremare come una foglia. Intuì cosa stava per accadere, ma rimase paralizzata dalla paura, incapace di muoversi, di opporre
resistenza. Gli occhi divennero vitrei per il terrore mentre il respiro le moriva in gola.
La mano destra di Kanon continuava a tenerle bloccati i polsi mentre l’altra, dal suo collo, iniziò a scendere lentamente sul corpo di lei, accarezzandole lascivamente prima i seni, poi i fianchi fino ad arrivare alla sua gamba scoperta dallo spacco altissimo dell’abito.
Trovando finalmente la sua pelle nuda sotto la mano un brivido di piacere lo pervase e lo fece impazzire ancora di più. Le labbra di lui dal suo orecchio si fiondarono sul suo collo iniziando a baciarlo con passione, a leccarlo, perfino a morderlo. La sua mano si insinuò sotto la gonna risalendo sempre molto lentamente sul suo corpo.
A quel contatto Alexandra ricominciò a piangere, più forte, dimenandosi con tutta la forza che possedeva per sottrarsi a quelle carezze lussuriose.
Il ragazzo, infastidito dai suoi tentativi di divincolarsi, afferrò un lembo del suo vestito e lo strappò via con foga facendo rimanere la ragazza semi nuda sotto di lui.
«Kanon fermati ti prego» lo supplicò disperata.
Ma lui era ormai giunto ad un punto di non ritorno. La voce nella sua testa continuava a spronarlo ad andare avanti e lui obbediva come una marionetta, incapace di fermarsi. Tuttavia dentro di sé Kanon era cosciente di ciò che stava per fare, la sua anima piangeva calde lacrime di sangue e lottava per opporsi.
Senza preavviso, la prese e la scaraventò sul divano poco distante. Alexandra provò ad alzarsi velocemente per scappare ma non ne ebbe il tempo. Infatti subito Kanon le fu addosso bloccandola con il peso del suo corpo.
«Perché continui ad opporti?» chiese con rabbia.
«Io non voglio!» gli urlò lei cercando di spingerlo via con le mani.
«Se fossi Saga a quest’ora ti saresti già concessa!» l’accusò.
«No!» rispose disperata continuando a piangere.
“Mente. Vuole solo farti soffrire ancora!”
Solo allora Alex si accorse che anche Kanon aveva il volto rigato dalle lacrime.
Non riusciva a capire cosa stesse accadendo ma si rese conto che il cavaliere aveva leggermente allentato la presa. Raccolse tutte le forze che le rimanevano in corpo e, approfittando dell’occasione, spinse via Kanon facendolo ruzzolare giù dal divano.
Il ragazzo sbatté la schiena contro il tavolino posto ai piedi e gemette.
Alexandra approfittò di essere finalmente libera e alzatasi dal divano corse rapidamente verso l’uscita del tempio. Tuttavia i tacchi alti che indossava non le agevolavano la fuga, infatti poco prima di arrivare all’uscita prese una storta che la fece stramazzare al suolo sbattendo malamente il ginocchio.
«Dannazione!» imprecò. Il ginocchio le faceva così male che non riusciva a rialzarsi.
Si accorse che intanto Kanon si era ripreso e stava camminando verso di lei con uno sguardo omicida dipinto in volto.
Presa dal panico, iniziò a strisciare sul pavimento cercando di raggiungere l’uscita gridando aiuto con tutto il fiato che l’era rimasto.
“Ti vuole rovinare. Il suo solo scopo è rendere la tua vita un inferno”
Kanon la raggiunse in fretta e quando lo fece la prese e la scaraventò contro una colonna facendola sbattere con violenza.
Alexandra gemette dal dolore e si accasciò ai piedi della colonna incrinata per lo schianto.
La prese per i capelli e la sollevò rimettendola in piedi.
“Uccidila. Una volta morta sarai finalmente libero”
Mosse da una volontà a lui estranea le sue mani si strinsero sul collo della ragazza esercitando una pressione tale da stroncarle il respiro ma non così forte da spezzarle il collo.
“Dalle una morte lenta e dolorosa”
«K-Ka…n…n»
Alexandra non riusciva più a respirare con le mani cercò di liberarsi da quella stretta mortale. Le su unghie graffiarono disperatamente le mani e le braccia di Kanon. La vista iniziò ad appannarsi mentre il suo viso divenne in pochi istanti cianotico. Stava inesorabilmente per perdere conoscenza.

«KANON!» la voce di Saga irruppe nella stanza.
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Offline Pandora

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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #6 il: 29 Settembre, 2017, 22:55:23 pm »
 Cap 16 – Tormento
Saga stava ritornando mesto al Tredicesimo Tempio. La sua mente non faceva che ritornare a pocanzi, a quel bacio. Immagini ed emozioni si accavallavano dentro di lui in maniera confusa.
Da una parte il pensiero delle labbra di lei contro le sue era così dolce da fargli provare un brivido di piacere, dall’altra il medesimo pensiero gli causava un senso di colpa indescrivibile. Era contento e allo stesso tempo pentito di quel gesto e non poteva fare a meno di chiedersi cosa avesse provocato in Alexandra, cosa avesse pensato di lui in quel momento. Conosceva bene i sentimenti della ragazza e sapeva che non erano rivolti verso di lui.
 “Eppure..”
No, la sua reazione a quel bacio era nulla di più che senso di colpa.
“Non dovevo farlo” pensò risentito.
Era quasi giunto alla Sesta Casa quando un pensiero tremendo di fece strada in lui.
“E se avessi rovinato tutto con lei? Se quel bacio avesse azzerato la sua fiducia nei miei confronti?” pensò terrorizzato.
L’idea che avesse potuto rovinare il loro rapporto gli era insopportabile. Teneva a lei più di quanto il suo cuore volesse ammettere ma allo stesso tempo sapeva che lei non era in grado di ricambiare i suoi sentimenti, infatuata com’era del fratello. Inoltre non voleva dare questo dolore a Kanon, lui l’amava alla follia anche se non era capace di ammetterlo a se stesso. Quando era andata via Kanon aveva completamente perso la ragione. Non gli importava più di nulla.
 
************************************************************
«Kanon! Dannazione concentrati!” urlò Saga mentre sferrava contro il fratello una serie di colpi portati alla velocità della luce.
L’arena era ricolma di gente che urlava e incitava i due gemelli a combattere con più ferocia.
Il Grande Sacerdote guardava dall’alto del suo trono il combattimento, soppesando le abilità dei due contendenti, cercando di capire chi dei due fosse meritevole di indossare la Gold Cloth di Gemini.
Kanon rispondeva distrattamente ai colpi e ne riceveva più di quanti ne riuscisse ad infliggere.
Un colpo ben assestato lo fece volare al suolo. Si asciugò un rivolo di sangue che gli colava dal labbro, guardando Saga dal basso con gli occhi totalmente spenti e disinteressati.
«Si può sapere cosa ti prende? Sai lottare meglio di così!» disse Saga infuriato.
Kanon non rispose e rimase a terra. Il sole brillava ardentemente sulle loro teste facendo risplendere le pietre bianche degli spalti. Il caldo era insopportabile e unito allo sforzo di quel combattimento aveva imperlato di sudore la fronte dei gemelli.
«Alzati!» gli intimò Saga  «Alzati e combatti, idiota!»
Kanon si alzò da terra e prontamente Saga si mise in posizione di guardia, aspettando il suo attacco. Tuttavia il gemello rimase immobile, con le braccia che gli ricadevano lungo i fianchi mentre guardava a terra senza alcuna emozione in viso.
Saga si infuriò ancora di più e gli sferrò un pugno in pieno volto. Lo afferrò per il collo della sua tunica scuotendolo bruscamente.
«Lei se n’è andata, Kanon!» gli sibilò spazientito «Devi dimenticarla, devi andare avanti, lo capisci?”
Improvvisamente Kanon parve un altro. I suoi occhi brillarono di un nuovo vigore. Si divincolò dalla presa del fratello spingendolo via con un calcio ben assestato sul suo petto. Poi una serie di colpi, senza una logica, senza controllo, totalmente in balìa di una rabbia cieca.
Saga parò abilmente tutti i colpi indietreggiando, tuttavia, sotto la pressione di quell’attacco. Un suo colpo, scagliato con molta tecnica, colpì in pieno Kanon che fu costretto a bloccare il suo attacco.
«Smettila di combattere per le ragioni sbagliate, Kanon!» lo riprese.
«Taci! Smettila di fingere di sapere cosa provo!» Kanon era furioso.
Saga non lo ascoltò.
«Se vuoi davvero l’armatura di Gemini dovrai lottare con tutte le tue forze per ottenerla, quindi rimani concentrato!» disse poi mettendosi in guardia.
Kanon si scagliò di nuovo contro il fratello, con più foga. Stavolta i suoi colpi seguivano una logica ben precisa, sicché riuscì a mettere in difficoltà Saga.
La folla gridava concitata incitando ora uno orai l’altro gemello a vincere lo scontro.
L’ennesimo colpo di Kanon mise in seria difficoltà Saga che si ritrovava ai ferri corti, non riuscendo ad adattare una strategia per contrastare gli attacchi del fratello.
Kanon allora approfittò della sua incapacità per sferrargli il colpo decisivo che fece cascare Saga sul pavimento sabbioso dell’arena. In un istante Kanon gli fu sopra bloccandolo con il braccio premuto sulla gola.
Lo scontro sembrava essere ormai deciso: Saga non riusciva più ad alzarsi.
Kanon era sul punto di vincere quando
“Me ne vado…ho deciso di servire Artemide”
La voce di Alexandra echeggiò nelle sue orecchie. Il ricordo di quelle parole lo fece distrarre.
Senza accorgersene allentò la presa su Saga che, vedendosi libero, riuscì a spingere via il fratello ribaltando la situazione.
Kanon venne atterrato e bloccato dal gemello il quale lo teneva ben saldo non permettendogli in alcun modo di muoversi. Ma non era necessario. Kanon non provò nemmeno a divincolarsi. I suoi occhi erano spenti e fissavano il vuoto.
Saga, sopra di lui, ansimava per lo sforzo.
Il Grande Sacerdote si alzò, segno che lo scontro era ormai concluso, e tutti quanti rimasero in silenzio aspettando con ansia il verdetto, seppur scontato.
Saga lasciò la presa su Kanon e si alzò in piedi.
«Saga, hai combattuto con abilità ed onore, meritando la vittoria» proclamò il Grande Sacerdote con tono solenne «L’armatura dei Gemelli è tua. Indossala con onore e dedizione ricordando sempre che essa è per servire Athena e la giustizia nel mondo»
Saga chiuse gli occhi, sorridente. Era in estasi per essere riuscito ad ottenere la tanto agognata armatura.
La folla urlò soddisfatta, acclamando il suo campione mentre Saga si prostrava rispettosamente dinnanzi al vicario di Athena.
Si concesse di esultare qualche istante per la vittoria ma tutta la sua felicità si dissolse non appena i suoi occhi si posarono su Kanon.
Era ancora disteso per terra, con lo stesso sguardo perso, i pugni stretti ad afferrare la sabbia bianca del terreno e gli occhi ricolmi di lacrime.
****************************************************

“Kanon…”
Quel ricordo fece incupire Saga.
Kanon avrebbe di certo vinto quel giorno, se non si fosse distratto alla fine. Si sentì in colpa per avergli sottratto l’armatura che anche lui desiderava tanto. Saga sapeva bene che il fratello aveva perso per colpa di Alexandra, l’amava troppo per dimenticarla.
“No” si corresse Saga “Ha perso perché non è stato capace di controllare le sue emozioni. Ha perso perché non è stato in grado di lottare per ciò che voleva. Ha perso perché si è arreso” rifletté in un misto di rabbia e rammarico.
La sua mente tornò ad Alexandra. Non gli andava di metterla in difficoltà per un suo egoistico capriccio.
Così decise di tornare indietro da lei, per chiederle scusa.
Scese di nuovo le scale, passando rapidamente la Quinta e la Quarta Casa.
Finalmente vide la Terza Casa in lontananza. Alexandra era lì. Tirò un sospiro per infondersi coraggio.
«AIUTO! Ti prego, NO!»
Le urla disperate di Alexandra giunsero improvvisamente alle sue orecchie. Ebbe un tuffo al cuore. Non avendo idea di cosa fosse successo si precipitò per le scale, in fretta, correndo senza sosta verso la Casa dei Gemelli.
“Alex resisti, sto arrivando” pesò mentre un’ansia atroce lo divorava.
Una volta giunto a destinazione varcò l’ingresso della Casa pregando con tutto se stesso di essere arrivato in tempo. La scena che gli si parò davanti, tuttavia, gli fece spalancare gli occhi e fu come uno schiaffo al cuore.
Kanon aveva spinto Alex contro una colonna e le sue mani le stringevano con forza la gola, soffocandola.
Il volto della ragazza era livido e i suoi occhi dapprima sbarrati dal terrore stavano diventando sempre più spenti, segno evidente che si stava abbandonando.
«KANON!»
Saga reagì d’istinto, senza riflettere, e si scagliò contro il fratello afferrandolo alle spalle e tirandolo via per fargli lasciare la presa su Alexandra.
«Sei impazzito?! Lasciala!» ordinò.
Kanon fu costretto a mollare la presa e la ragazza stramazzò al suolo tossendo con forza e tenendosi la gola dolorante con le mani.
Saga la guardò per accertarsi che stesse bene ma così facendo si distrasse e Kanon ebbe il tempo di colpirlo con un pugno in pieno volto che lo fece barcollare indietro.
Saga guardò il fratello e vide nei suoi occhi la follia, la stessa follia di quel giorno infame, quando gli propose l’assassinio di Athena.
«Che accidenti stai facendo?!» gli urlò.
«Stanne fuori, fratello!» gli intimò Kanon minaccioso.
«Starne fuori?» chiese allibito Saga lanciando uno sguardo in direzione di Alexandra. Solo allora notò che aveva i vestiti tutti strappati e le lacrime agli occhi. «Che diamine le hai fatto?! Bastardo!» disse Saga fuori di sé, intuendo cosa potesse essere successo.
«Non ti riguarda» rispose l’altro infastidito.
A quelle parole Saga perse il controllo e si lanciò contro di lui sferrandogli un pugno di una potenza inaudita che lo fece sbattere con violenza contro la parete che si frantumò sul colpo.
Muovendosi alla velocità della luce gli fu subito vicino e lo bloccò con forza contro il muro afferrandolo per la tunica e sbattendolo di nuovo con rabbia.
«Dimmi che non le hai fatto del male, maledetto!» gli urlò.
Kanon sputò il sangue che aveva in bocca a causa dello schianto e ghignò divertito.
«Dimmi che non l’hai toccata!» alzò ancora di più la voce.
Per tutta risposta Kanon rise di gusto.
«Cosa c’è fratellino? Ti scoccia che potresti non essere stato tu il primo?»
Saga lo sbatté nuovamente contro la parete, così forte che Kanon gemette dal dolore. Rivolse lo sguardo di nuovo verso Saga stavolta con gli occhi carichi di rabbia.
«Era mia e tu lo sapevi! Non ti permetterò di prenderti anche lei!»
Kanon spinse via il fratello con un calcio facendolo indietreggiare.
«Se era tua dov’eri tu quando aveva bisogno di te?!» obiettò Saga con rabbia «Tu non hai idea di cosa abbia passato! Né hai idea di cosa le hai fatto ora!»
Kanon si infuriò ancora di più e lo attaccò con una serie di colpi rapidi e potenti che tuttavia Saga riuscì a parare.
«No, hai ragione non ne ho idea!» gli urlò continuando a colpirlo « Non lo so perché si è sempre confidata con te invece che con me!»
Saga parò l’ultimo colpo rispondendo poi con un pugno.
«Non hai mai capito niente di lei!» gli urlò Saga.
Kanon non rispose, limitandosi a lanciargli un’occhiata di disprezzo. Ignorando la presenza del fratello, si diresse in direzione di Alexandra.
«Non avvicinarti a lei!» Saga aveva lo sguardo indemoniato «Te la farò pagare per quello che le hai fatto!»
Iniziò ad espandere il suo cosmo, ancora ed ancora, mentre la sua aura dorata faceva svolazzare le lunghe vesti da Grande Sacerdote.
Kanon indietreggiò, capendo le intenzioni del gemello, ma non ebbe il tempo di fare alcunché.
«Galaxian Explosion!!!»
Una esplosione di luce scaturì dal corpo di Saga insieme a un’onda d’urto potentissima. Scagliò il suo colpo con tutta la potenza che aveva in corpo investendo in pieno Kanon che, nonostante i suoi sforzi di parare il colpo, venne spazzato via e andò a sbattere contro una colonna che si spezzò a metà all’impatto.
Kanon cadde a terra privo di coscienza e un bagliore luminoso si sollevò dal suo corpo emettendo una risata diabolica prima di spirare via dissolvendosi.
Saga rimase interdetto per ciò che aveva visto, non riuscendo a capire. Ma non se ne curò poiché la sua attenzione venne attirata da Alexandra che intanto aveva perso conoscenza.
Era riversa al suolo, mezza nuda, con ancora il viso bagnato dalle lacrime.
Il cavaliere corse verso di lei preoccupato. Si buttò in ginocchio vicino a lei verificando che respirasse ancora e che il suo battito fosse normale. Era debole, ma c’era. Tirò un sospiro di sollievo.
Tuttavia il corpo di Alex era pieno di lividi e fatture. Dalla sua nuca scivolava un rivolo di sangue che andava ad impastarsi con i capelli scuri.
Nonostante fosse svenuta il suo corpo era scosso da tremori continui.
Saga provò un  misto di tristezza e rabbia nel vederla ridotta così. Si strappò via le vesti da Sacerdote rimanendo a torso nudo e avvolse dolcemente il corpo di lei con l’ampio telo bianco. La prese delicatamente in braccio e la sentì così fragile che aveva quasi paura di farle male solo sfiorandola.
In quel preciso momento fece la sua comparsa Milo accompagnato da Ioria. I due si erano precipitati avendo sentito il cosmo di Saga espandersi.
«Saga!» lo chiamò Milo preoccupato.
I due guardarono alternativamente Saga con in braccio Alex svenuta e Kanon privo di sensi al suolo, non riuscendo a capire cosa fosse accaduto. Si rivolsero a Saga con lo sguardo interrogativo e preoccupato.
«Ioria» ordinò Saga perentorio e serio senza curarsi di dare alcune spiegazione «Vai da Mur, avvertilo che le sto portando Alexandra e che ha bisogno di cure urgenti.»
«Subito» ubbidì il cavaliere correndo via alla velocità della luce.
«Milo, va a chiamare Shaka e Dohko, digli di raggiungermi al più presto alla Prima Casa»
Milo annuì e tornò a guardare Kanon riverso a terra.
«E lui?» chiese.
«Portatelo nella sua stanza e richiudetecelo. Voglio che sia sorvegliato notte e giorno» ordinò Saga uscendo poi dalla Terza Casa con la ragazza fra le braccia.
Milo non disse nulla e si limitò ad annuire rispettosamente.
Alexandra emise un gemito di dolore.
«Shh.. tranquilla. Sei al sicuro adesso. Ci sono io» le disse il gemello scendendo in fretta le scale.
 
 
Mur uscì dalla camera dove avevano portato Alexandra. Ad attenderlo fuori c’era un preoccupatissimo Saga che quando lo vide balzò in piedi avvicinandosi in fretta al cavaliere dell’Ariete.
«Come sta?» chiese agitato.
«Ha diverse ossa rotte, un ginocchio fratturato e la spalla lussata. Inoltre ha un ematoma celebrale causato da un forte colpo alla nuca. È messa male, ma il corpo tornerà a posto» disse Mur.
Saga affondò il viso tra le mani, afflitto, voltandosi a dare le spalle al cavaliere.
«Credo che il danno più grande sia stato causato alla sua mente. Era sotto shock quando ha ripreso conoscenza» continuò Mur.
Saga sbatté il pugno contro la parete della stanza, con rabbia.
“Maledetto! Come hai potuto ridurla così” pensò ritraendo il pugno che aveva mandato in frantumi il muro.
Mur non disse niente. Aveva capito chi fosse stato a ridurla in quello stato e sapeva quanto doveva essere stato difficile per Saga apprenderlo. Lui stesso non riusciva a credere che Kanon avesse fatto una cosa simile, insomma, era sempre stato un tipo molto irruento e impulsivo, ma addirittura da tentare di violentare Alex e poi di soffocarla? No, Mur non riusciva a capire. Il suo sesto senso gli diceva che qualcosa di strano era accaduto quella notte ma non sapeva cosa e di certo le sue teorie non avrebbero consolato Saga.
«Posso vederla?» chiese il gemello a voce bassa.
«Le ho dato qualcosa per calmarla. Sta riposando» rispose Mur scostandosi dalla porta per farlo entrare.
Saga si avvicinò alla porta aprendola piano.
«Saga…» lo chiamò Mur. Tuttavia non ebbe il coraggio di dire nulla.
Senza proferire parola Saga entrò nella stanza richiudendo la porta dietro di sé.
La stanza era buia, rischiarata solo da una candela posta sul comodino accanto al letto. Su uno sgabello vicino c’erano numerose bende immerse in una ciotola piena d’acqua che era divenuta rossa, tinta dal sangue della ragazza. Su di un tavolo erano poggiate diverse garze, medicine, un paio di forbici e un bisturi il tutto illuminato dal chiaro di luna che filtrava dalla finestra sopra di esso.
Si avvicinò lentamente al letto dove Alexandra stava distesa. Aveva gran parte del corpo fasciato da bianche bende di cotone sporcate qui e lì da macchie di sangue. Un’altra benda le fasciava le fronte semi coperta dai capelli bruni che le ricadevano scomposti ai lati del viso.
Saga si sedette sul letto, vicino a lei, e notò che il viso era ancora bagnato da lacrime, segno che doveva aver pianto ancora prima di crollare grazie al calmante datole da Mur. Nonostante il sedativo, Alexandra continuava ad avere degli scatti convulsi nel sonno.
Le accarezzò la guancia con il dorso della mano.
«Mi dispiace» le sussurrò «avevo detto che ti avrei protetta ma… per la seconda volta non ne sono stato capace» disse stringendo i denti mentre gli occhi gli diventavano lucidi.
Saga provava una rabbia indescrivibile. Non poteva sopportare di vederla così di nuovo e ancor di più sapendo che questa volta era colpa di Kanon.
Le diede un delicato bacio sull’angolo delle labbra mentre una lacrima scivolò sul volto di lei.
Uscì in fretta della stanza, deciso ad andare fino in fondo alla faccenda.
 
 
Non appena varcò la porta c’erano sia Milo che Ioria ad attenderlo, ansiosi di sapere come stesse la ragazza. Poco dopo fecero il loro ingresso anche Shaka e Dohko, seguiti da una preoccupatissima Athena.
«Come sta?» chiese la Dea rivolgendosi a Saga con aria angosciata.
«Ora riposa» si limitò a rispondere il Saga che intanto aveva abbandonato i vestiti da Grande Sacerdote indossando vesti più leggere e comode.
«Ma cosa è successo?» chiese preoccupata, Milo le aveva spiegato sommariamente qualcosa ma non riusciva a capacitarsi dell’eventualità che Kanon, un suo cavaliere, avesse potuto deliberatamente fare una cosa del genere.
«Sinceramente, mia Signora, non lo so» rispose Saga massaggiandosi stancamente le tempie.
Lo guardo di Athena si spostò su Shaka e Dohko, decisamente i più saggi e sapienti tra tutti i cavalieri, nella speranza che almeno loro avessero una risposta.
«Kanon?» chiese Saga, trattenendo a malapena la rabbia che ancora lo consumava.
Il primo a parlare fu Dohko.
«Ha ripreso conoscenza» annuì «ma non ricorda nulla di quanto successo se non brevi tratti confusi»
Saga strinse i pugni.
«Come sarebbe non ricorda nulla?» il suo tono si faceva sempre più nervoso.
«L’ultima cosa che ricorda è una donna che gli offre da bere, poi un senso di smarrimento e confusione e dopo più nulla» intervenne Shaka pacatamente come suo solito.
«E’ ancora sorvegliato?» chiese Saga e i due annuirono «Bene, voglio che rimanga così» disse perentorio.
«Si, ma, cosa può voler significare?» rifletté ad alta voce la Dea «che sia stato drogato?»
Shaka scosse il capo «lo escludo, nessun allucinogeno è tanto potente da indurre un cavaliere d’oro a compiere simili azioni»
«Quando l’ho colpito e ha perso conoscenza, un bagliore accompagnato da una risata malvagia ha spirato dal suo corpo» intervenne Saga.
Shaka e Dohko si guardarono con complicità.
«Potrebbe essere stato posseduto da un’entità malvagia» ipotizzò Dohko «questo spiegherebbe il perché della sua amnesia»
«Che vuoi dire?» chiese Milo sconcertato.
«Spiegati meglio, Dohko» lo esortò la Dea evidentemente preoccupata dalle sue affermazioni.
«Una creatura dai poteri divini potrebbe aver posseduto Kanon, inducendolo contro il suo volere a compiere quelle azioni» spiegò Shaka.
«Qualcosa come il Genro mao Ken di Saga?» chiese Ioria confuso.
«No» intervenne Milo «la mente di Kanon non è debole, anche lui padroneggia l’arte della manipolazione mentale, non sarebbe mai caduto in un tranello simile»
«Si ma Kanon è legato…sentimentalmente ad Alexandra» disse la Dea incerta guardando , il quale non ebbe all’apparenza alcuna reazione «Insomma, questo non potrebbe averlo, in un certo senso, reso più vulnerabile?» si spiegò meglio.
«Potrebbe essere così» convenne Ioria ma Shaka scosse il capo contrariato.
«No, io credo invece che si tratti di qualcosa di ben più potente. Il Genro mao Ken si limita a controllare la mente confondendola. Milo ha ragione, Kanon non sarebbe mai caduto nell’inganno di quelle illusioni. In questo caso credo che il potere malvagio che ha sedotto Kanon abbia agito ancora più in profondità, arrivando a corrompere il suo stesso cuore.» rispose.
Saga intanto continuava ad ascoltare tutte quelle teorie in silenzio.
«C’è chi è in grado di fare una cosa simile?» chiese Ioria preoccupato.
«Anche tra le divinità c’è chi è capace di manipolare il cuore dei mortali, di corromperli e sedurli» annuì Athena.
«Senza dubbio non è un potere alla portata di un comune mortale» convenne Dohko.
«Si ma come accidenti ha fatto Kanon ad essere soggiogato così? Insomma lui è un cavaliere tra i più valenti. Avrà senz’altro percepito il pericolo, no?» chiese Ioria incredulo.
«L’allucinogeno potrebbe averlo confuso a tal punto da renderlo vulnerabile ad un attacco» rispose Mur entrando in quel momento nella stanza portando con se una serie di pesanti coperte.
«Se così fosse Kanon non avrebbe colpa di quanto accaduto» disse sorridendo Milo tirando un sospiro di sollievo.
Dohko annuì.
«Nessuna colpa?!» intervenne finalmente Saga con tono severo.
Milo si maledì mentalmente per aver usato quelle parole mentre tutti abbassavano lo sguardo per il disagio.
«Kanon è un cavaliere, che indossa le sacre vestigia di Gemini. Aveva un compito ben preciso e non solo lo ha fallito ma si è reso complice del suo fallimento! Se solo avesse mantenuto la mente fredda come si addice ad un cavaliere tutto ciò non sarebbe successo!» accusò Saga alzando un po’ troppo la voce.
Athena si avvicinò cautamente a lui, poggiando una mano sul suo braccio muscoloso.
«Saga, capisco cosa provi» disse comprensiva «Ma alla luce di quanto scoperto, Kanon non era in sé, è stato sedotto da potere immenso, non ha colpa. Tu stesso hai visto quell’entità spirare dal corpo di tuo fratello. Capisco che per te è difficile, ma in fondo al mio cuore so che Kanon non avrebbe mai potuto fare del male ad Alexandra intenzionalmente… e lo sai anche tu» disse seria.
Una fitta al cuore travolse Saga.
Era vero. Nemmeno lui credeva che Kanon avesse potuto fare intenzionalmente tutto ciò. Ma lo aveva visto mentre tentava di strangolarla, era lì. Aveva visto Alex in fin di vita.
Scosse il capo contrariato.
«Sinceramente non lo so più» rispose sospirando.
Athena abbassò lo sguardo, demoralizzata.
«Ciononostante» disse poi tramutando il suo sguardo in determinazione «ho intenzione di vederci chiaro in questa storia»
 
 
«Ate ha fallito» constatò Ares rigirando un pugnale fra le mani.
Eris uscì dall’ombra ridacchiando.
«Fallito? No…» rispose avvicinandosi a lui.
Ares la guardò sorridendo.
«Ate si è solo divertita un po’…» disse mettendosi a cavalcioni sul fratello scostando il lungo abito scuro mostrando così le sue lunghe gambe bianche.
«Ci sono molti modi di uccidere una persona…» continuò enigmatica passando un dito sulla lama del pugnale nelle mani di Ares.
«Puoi trafiggerla…o strangolarla…» sorrise spostando il suo dito lascivamente sul viso del Dio.
«Oppure farla totalmente impazzire…portandola a togliersi la vita...» la donna rise pregustando la scena e avvicinò le sue labbra a quelle di Ares.
«Con una morte lenta e agonizzante…» gli sussurrò libidinosa.
La mano del Dio si spostò dietro la nuca di lei avvicinandola a sé.
Eris sorrise. Le loro labbra si incontrarono in un bacio appassionato e feroce quando, improvvisamente, Ares le afferrò i capelli di lei tirandola indietro con un forte strattone.
Eris emise un gemito di piacere e Ares avvicinò il pugnale al viso della donna, accarezzandolo con la punta della lama.
«Non ammetto errori»
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 Cap 17 – La notte non è finita
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«Kanon.. ti prego..no!»
Le sue suppliche. Inutili, inascoltate.
Il corpo semi nudo di lei. Le mani che tastano lussuriose ogni centimetro di pelle scoperta. Si insinuano fra le gambe, desiderando di più.
Sospiri di piacere accompagnati da un forte e insistente desiderio sessuale nei suoi confronti.
Poi rabbia. Ceca. Folle.
Le sue mani stringono il collo di lei. Si divincola, lotta. La presa si fa più salda mentre i suoi occhi pieni di lacrime diventano sempre più vitrei.
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«Alex!»
Kanon si svegliò di colpo. Sudato ed ansimante. Si guardò attorno confuso: era nella sua stanza, buia, rischiarata solo dalla luce della luna che filtrava dalla piccola finestra laterale.
Affondò la testa fra le mani, cercando di calmarsi. Il respiro affannoso di chi ha fatto un brutto incubo. Si portò indietro dei ciuffi ribelli che gli ricadevano davanti agli occhi.
“Era solo un sogno” pensò sospirando.
Eppure le sensazioni provate erano così reali, così vere.
Si sforzò di ricordare come aveva fatto ad arrivare alla sua stanza. Nulla. La sua mente era un pozzo oscuro.
“Cosa diamine è successo?” si domandò, furioso del fatto che non riuscisse a ricordare alcunché.
Gli ritornava alla mente solo il corpo di Alexandra, nudo, fra le sue mani. Un brivido di piacere gli attraversò il corpo fino al bassoventre.
Scacciò il pensiero con forza, cercando di non darci peso. Erano solo gli strascichi del sogno di pocanzi, si disse.
Nel silenzio della stanza il cigolare della porta di legno lo fece sobbalzare.
Kanon rimase interdetto nel vedere Shaka e Dohko entrare.
«Che ci fate qui?» chiese senza troppi giri di parole.
«Ti sei svegliato» rispose laconico Dohko.
Kanon alzò un sopracciglio constatando l’ovvietà delle sue parole e non capendo il motivo di quella visita. Era notte, probabilmente era nella sua stanza a dormire come ogni sera, perché mai questo avrebbe dovuto stupire il cavaliere di Libra?
Shaka si avvicinò al letto con la sua solita espressione apatica, non lasciando trasparire nulla dal suo volto.
«Cos’è successo?» chiese il biondo.
Kanon era più confuso che mai ed iniziava anche ad arrabbiarsi per l’atteggiamento strano dei due.
«Come sarebbe cosa è successo?» chiese a limite della pazienza.
I due si scambiarono uno sguardo complice.
«Non ricordi nulla di stanotte?» chiese Dohko.
Kanon rimase interdetto a quelle parole. Cosa doveva ricordare?
«Si!... cioè non proprio…» si corresse il gemello, visibilmente a disagio.
«Perché non ci dici semplicemente cosa ricordi delle ultime ore» intervenne Shaka.
Kanon sbuffò scocciato. Perché questo terzo grado?
«Ero alla festa con voi fino a qualche ora fa, ve lo siete dimenticati?» chiese stizzito.
«E dopo?» indagò Dohko, enigmatico.
Kanon ci rifletté.
«Stavo cercando Alexandra, l’avevo persa di vista» ammise «poi una bella ragazza mi ha offerto da bere e…» si bloccò un istante.
Il vuoto.
Da quel momento non ricordava più nulla. Solo tanta confusione, immagini senza senso.
«E…?» lo incitò Shaka.
Kanon si portò le mani alle tempie, stringendole con forza, cercando di ricordare.
«E niente… non ricordo altro» disse scuotendo il capo «forse sono tornato qui, non ricordo bene, magari ero ubriaco e sono andato a letto» ipotizzò.
I due cavalieri si guardarono nuovamente e annuirono. Senza dire più una parola aprirono la porta e fecero per uscire dalla stanza.
«Ehi!» li fermò Kanon balzando giù dal letto come un gatto.
Non appena i suoi piedi nudi poggiarono al pavimento la testa iniziò a girargli velocemente e dovette appoggiarsi per non cadere a terra.
Tuttavia non ci badò, voleva a tutti i costi capire cosa stava succedendo e chi avrebbe potuto dargli una risposta stava uscendo velocemente dalla stanza: doveva fermarli.
«Aspettate! Che accidenti sta succedendo si può sapere?!» chiese furioso.
«Kanon, per il tuo bene, rimani qui» disse autoritario Dohko alzando una mano per fargli intendere di fermarsi.
Per tutta risposta Kanon barcollò fino a raggiungere i due e afferrò Shaka per una spalla mettendoci più forza di quello che voleva.
«Voglio sapere cos’è successo!» protestò con un tono di voce che non ammetteva repliche.
«Non lo sappiamo» rispose il biondo divincolandosi dalla presa «Ma hai già combinato abbastanza guai per stasera» disse sibillino il biondo «perciò resta qui» ordinò in fine.
«Per ora è un consiglio amichevole, Kanon. Ma se opponi resistenza ci costringi a richiuderti con la forza» precisò Dohko autoritario.
Kanon spalancò lo sguardo, incredulo nel sentire quelle parole.
Non riusciva a capire il perché di quell’atteggiamento, cosa poteva aver mai combinato di così grave da suscitare quella reazione nei suoi compagni?
I due uscirono dalla stanza lasciando Kanon interdetto sull’uscio.
«Tienilo d’occhio» ordinò Dohko a voce bassa.
Fece il suo ingresso DeathMask che si parò davanti la porta con le braccia conserte e un ghigno divertito stampato sulle labbra.
«Amico… devi stare più attento quando fai le tue malefatte..» disse ironico il cavaliere della Quarta «non lo sai? niente può metterti nei guai quanto una donna» rise.
Kanon sbarrò nuovamente gli occhi, indietreggiando, mentre un pensiero orribile si faceva strada nella sua mente.
Quel sogno. No. Non poteva essere vero.
Con scatto felino si avvicinò al cavaliere del Cancro, afferrandolo bruscamente per la maglia. Il suo volto si dipinse di un misto di rabbia e preoccupazione
«Dov’è Alexandra?»
 
 
C’era silenzio ora alla Prima Casa. Ognuno dei cavalieri era tornato al proprio tempio e anche la Dea Athena si era ritirata nelle sue stanze.
Solo Saga era rimasto lì, seduto su una sedia, a leggere distrattamente un mucchio di carte poste sul tavolo di fronte a lui. La luce flebile e danzante delle candele rischiarava gli antichi documenti che aveva di fronte.
Cercava in quelle vecchie pergamene la risposta a quanto successo qualche ora prima, ma nonostante i suoi sforzi non trovò nulla di convincente. Creature magiche, erbe o infusi allucinogeni, demoni. Nulla.
Si massaggiò stancamente gli occhi che iniziavano a ballargli per via dell’ora tarda e dello stress accumulato quella sera.
«Dovresti andare a riposare»
La voce pacata e amichevole di Mur lo distrasse dai mille pensieri che affollavano la sua mente stanca.
Il cavaliere dell’ariete era appena uscito dalla camera di Alexandra con una serie di bende sporche di sangue fra le mani.
«Non preoccuparti, ho solo cambiato le fasciature» lo anticipò notando lo sguardo preoccupato di Saga.
«Riposa?»
Mur annuì.
«Non riesco a credere che tutto questo sia successo» ammise afflitto Saga «E vorrei tanto sapere perché»
Mur si avvicinò all’amico e gli poggiò una mano sulla spalla.
«Non preoccuparti ne verremo a capo» la sua voce era sicura e tranquillizzante come sempre «tuttavia ora devi andare a riposare» lo bacchettò severo.
Saga sorrise amaramente «Non credo che riuscirei a riposare»
Mur gli lanciò un’occhiataccia.
Per tutta risposta il gemello sorrise alzando le braccia in segno di resa «Ok, d’accordo. Solo, se non ti dispiace, vorrei rimanere qui» chiese «sai.. per..»
Le labbra di Mur si piegarono in un sorrisetto soddisfatto.
«C’è una branda nella stanza in fondo, puoi sistemarti lì» disse facendogli cenno con la testa.
«Grazie» rispose Saga alzandosi dalla sedia e guardando con apprensione la porta della stanza dove riposava Alex.
«Veglio io su di lei, tu vai pure» lo rassicurò Mur.
Saga sorrise con approvazione dando una pacca amichevole sulle spalle del compagno.
«Ah, qui c’è quello che mi avevi chiesto» disse Mur prima che l’altro andasse via, porgendogli un cofanetto di legno scuro intarsiato.
Saga annuì e lo prese dalle sue mani.
«Credi servirà?» chiese il cavaliere dell’Ariete preoccupato.
«Non saprei… se è vero che un’entità divina ha posseduto Kanon, non ha raggiunto il suo scopo e potrebbe tornare» rispose Saga cupo «è meglio essere pronti a tutto» sospirò.
Mur annuì poggiando una mano sulla spalla del gemello, intuendo che le sue preoccupazioni erano rivolte perlopiù ad Alexandra.
Senza dire altro Saga si avviò lentamente verso la stanza indicatagli poco prima dall’amico ma prima di sparire oltre la porta si voltò nuovamente.
«Si, se c’è qualche problema ti chiamo» disse Mur sorridendo, anticipando la richiesta dell’altro.
Per tutta risposta questi ghignò divertito prima di sparire oltre la porta.

 
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Risate. Cupe, malvage, oscure. Tutto intorno a lei era buio. Correva senza sosta cercando di scappare da quella oscurità, cercando la luce. Le risa echeggiavano macabre scandendo i tonfi dei suoi passi sul pavimento di marmo.
La disperazioni di non riuscire a trovare una fuga da quel labirinto di tenebre le fece salire le lacrime agli occhi.
Improvvisamente un senso di soffocamento la fece cadere sulle ginocchia mentre le mani andavano a tastare la sua gola non capendo il motivo di quella sensazione.
Il respiro le si mozzò definitivamente e la vista le si oscurò del tutto.
Dopo qualche istante tornò a vedere, intuendo che aveva semplicemente chiuso gli occhi. Tuttavia ciò che vide le fece augurare di perderla nuovamente.
Di fronte a sé il volto di Kanon che la fissava con sguardo maniacale. Le sue mani le cingevano la gola in una stretta ferma e decisa. Capì improvvisamente a cosa era dovuta la sensazione di soffocamento.
Il cuore prese a battere all’impazzata, cercando di pompare quanto più sangue carico d’ossigeno al suo corpo. Ma ormai di ossigeno ce n’era ben poco. L’aria non arrivava più ai polmoni. Le gambe iniziarono a formicolarle segno che anche il cuore stava per cedere per lo sforzo. Le sue mani dapprima intente a graffiare le braccia di lui persero forza e insieme alle braccia le ricaddero senza vita lungo i fianchi.
Nei suoi occhi l’ultima immagine era quella di quegli occhi, blu come il mare in tempesta che la fissavano tra un misto di rabbia e follia.
Ancora risate.
 
 
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Alex si svegliò di soprassalto con la fronte imperlata di sudore e il respiro agitato. Con uno scatto fece per alzarsi dal letto in cui era distesa ma una fitta dolorosa alla spalla la fece bloccare a metà.
L’urlo di dolore le si mozzò in gola, che sentiva inspiegabilmente gonfia e dolorante. Non riusciva a parlare, se non ad emettere pochi suoni rochi.
Si guardo dapprima nervosamente intorno. La stanza era semi buia, solo la luce della luna faceva distinguere gli oggetti intorno a lei.
Un’ulteriore fitta dolorosa, questa volta alla testa, le fece spostare repentinamente lo sguardo dalla stanza al suo corpo che scoprì essere ricoperto di bendaggi.
Il cuore le batteva sempre più forte. Si sforzò, nonostante il dolore, di ricordare cosa fosse successo e la sua mente, spietata, trovò subito la forza di rimembrarle tutto.
Di nuovo una risata, femminile, rimbombò nella testa facendola guardare intorno impaurita.
«C…h…i?» chiamò, ma la voce non volle collaborare ed emise solo dei suoni indistinti.
«Povera piccola…» una voce sibilante come quella di un serpente le bisbigliò all’orecchio facendola voltare di scatto. Ma non vide nulla.
«Sento grande paura in te…» ancora il sibilo, stavolta Alex non riuscì a capire da dove provenisse e le sembrò più un eco nella stanza.
Un brivido le percorse la schiena mentre l’ansia iniziava ad impossessarsi di lei.
«C...o…s» provò ancora a parlare mentre cercava disperatamente di identificare il proprietario di quella voce.
Improvvisamente i suoi occhi verdi scorsero una figura avanzare nell’ombra e si sforzò di metterla a fuoco.
Non appena capì di chi si trattava si strinse istintivamente contro la spalliera del letto, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra di loro.
«Che ti prende? Non avrai paura di me?» chiese la figura emergendo completamente dall’oscurità.
I raggi lunari rischiaravano il suo corpo scolpendolo come la statua di una divinità. I lunghi capelli blu gli ricadevano lungo le spalle ondeggiando a ritmo dei suoi passi. Gli occhi cobalto piantati su di lei erano resi luminosi dal riflesso della luce bianca e le sue labbra piegate in un sorriso privo di emozioni.
“Kanon” il suo nome si materializzò nella mente di Alexandra colpendola come uno schiaffo in pieno volto.
Ricordò tutto ciò che era successo poco prima e adesso lui stava lì, di nuovo, davanti a lei.
Il respiro le si fece affannoso mentre Kanon avanzava lentamente verso di lei. Istintivamente Alex si buttò giù dal letto, cercando di scappare, ma non appena le gambe poggiarono sul fretto pavimento di pietra una fitta lancinante al ginocchio fasciato la fece barcollare.
Capì di avere il ginocchio fratturato ma in quel momento la paura fu più forte del dolore. Indietreggiò zoppicando cercando di allontanarsi da lui.
«Stammi lontano!» urlò con tutta se stessa ma, contrariamente alle sue intenzioni, ne uscì fuori solamente un sussurro roco.
Lo sguardo di Kanon si fece lussurioso, avvicinandosi a lei sempre molto lentamente, come se volesse infliggergli anche una tortura psicologica data dal fatto che era incapace di fuggire via.
Indietreggiò ancora Alexandra, andando a cozzare contro il tavolo di legno posto sotto la finestra. L’urto fece cadere a terra diversi rotoli di bende e boccette di vetro che si ruppero a contatto con il pavimento.
Con un gesto rapido Kanon si strappò via la maglia, rimanendo a torso nudo davanti a lei che dal canto suo iniziò a tremare intuendo ancora una volta le intenzioni di lui.
“No, non di nuovo” pensò disperata mentre le sue mani cercavano convulsamente sul tavolo dietro di lei qualcosa con cui difendersi.
Fortunatamente identificarono ben presto un bisturi tra i molti strumenti medici sparpagliati sulla tavola. Impugnando saldamente il coltellino lo puntò minacciosa verso Kanon.
«Stai indietro!» disse sempre con voce bassa, ma stavolta ferma e decisa.
Kanon non ascoltò, continuando ad avvicinarsi. Alex zoppicò ancora, allontanandosi, in una sorta di giro tondo. Sembravano due duellanti che si scrutano prima della lotta.
«Ti ho detto di non avvicinarti!» ripeté lei, ma le sue mani tremanti strette intorno al bisturi tradivano la sua fermezza.
Indietreggiando andò a sbattere improvvisamente contro qualcuno. Si voltò di scatto, impaurita da quell’ulteriore, sconosciuta, presenza.
Tuttavia ben presto i suoi occhi si illuminarono, scorgendo in quella figura alta e maestosa Saga. I suoi occhi si riempirono di lacrime alla vista del suo salvatore e istintivamente si buttò fra le sue braccia in cerca di protezione.
Saga ricambiò l’abbraccio, avvolgendola a sé e accarezzandole i capelli.
Alexandra alzò lo sguardo, riemergendo dalle sue braccia e gli occhi le si sbarrarono per lo sconcerto: davanti a sé non c’era affatto Saga, bensì Kanon che la fissava con lo stesso sguardo lascivo di prima.
Si spinse via dalla presa con uno scatto, ma quel gesto la fece sbilanciare sicché cadde rovinosamente a terra.
Si voltò indietro e vide che ora al posto di Kanon c’era Saga che la guardava con lo stesso sguardo lussurioso del gemello.
«N-no..» supplicò con la voce strozzata. Lo sforzo di parlare le faceva bruciare terribilmente la gola mentre le lacrime scendevano copiose sul suo viso incoraggiate dalla disperazione che ormai aveva preso il sopravvento.
Di nuovo la risata malefica echeggiò nella stanza.
«E’ colpa tua..» sibilò nuovamente quella voce nell’aria,  facendo tremare Alex.
«E’ colpa tua se ho perso tutto» intervenne Kanon come per finire la frase di quella misteriosa entità.
«E’ colpa tua se il male mi ha corrotto» continuò Saga.
«E’ colpa tua se mi hanno rapita» disse una voce femminile emergendo dall’oscurità alla sinistra della ragazza.
Alex si voltò in lacrime scorgendo Deianira che avanzava verso di lei.
«No… io non… non volevo» scoppiò il lacrime.
Una presenza femminile si materializzò improvvisamente dietro di lei e prese ad accarezzarle i capelli dolcemente.
«Shhhh… no… non volevi» disse la donna dietro di lei, amorevole.
«Tutto questo dolore… ha reso la tua vita un inferno» continuò lei addolorata «ogni tentativo di porre rimedio… ha causato solo altro dolore, come in un circolo vizioso».
Alex singhiozzava sonoramente ad occhi chiusi. La voce della donna era melliflua ma nascondeva dentro di sé una nota mal celata di crudeltà.
«Ma tu sai come far finire tutto questo..» sibilò la donna all’orecchio di lei, svanendo poco dopo.
Alex guardò il bisturi tra le sue mani, fissandolo con attenzione ipnotica.
«Non ti causerò più alcun dolore» le disse Kanon senza che lei distogliesse lo sguardo dallo strumento che aveva nelle mani.
«Smetterai di far soffrire chi ti sta intorno» continuò Saga.
«Sarai libera e non dovrai più soffrire» finì Deianira sorridendo dolcemente in direzione dell’amica.
Alexandra impugnò il coltellino con una sola mano, mossa da una volontà che non sentiva propria, come fosse in trance. Alzò lo sguardo al cielo fissando il soffitto mentre le lacrime avevano ormai smesso di uscire dai suoi occhi lucidi e verdi come smeraldi.
Si aprì in un urlo rabbioso, Alexandra, gridando con tutta la forza che riuscì a trovare dentro di sé mentre la sua mano si mosse rapidamente.
Il bisturi tagliò di netto, facendo gocciolare sangue ogni dove.
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Offline Pandora

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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #7 il: 29 Settembre, 2017, 22:56:40 pm »
 Cap 18 – Ate
Mur rimase solo a riflettere. Saga era andato da pochi minuti a riposare nella stanza che gli aveva indicato e il cavaliere ne approfittò per prendere in mano le sue scartoffie e riprendere il lavoro interrotto dal suo compagno d’arme.
Rimase assorto a sfogliare i documenti che aveva di fronte. Erano tutte pergamene antiche, alcune di esse erano sbiadite o logorate lungo i bordi, altre invece erano conservate meglio.
Le nozioni inondavano la sua mente come un fiume in piena. Storie di creature mostruose, di demoni, di Dei. Erano una miriade di informazioni e ben presto, non trovando alcuna nozione utile, iniziò a demoralizzarsi.
Se qualcuno o qualcosa aveva posseduto Kanon la risposta poteva essere in quelle carte, non doveva arrendersi così presto. Rigettò prepotente lo sguardo sui documenti, scrutando e leggendo con maggiore attenzione. Dopo alcuni minuti la sua attenzione venne catturata da una pergamena in particolare.
«Divinità capace di indurre in errore sia mortali che Dei. Si narra che fu capace di ingannare persino Zeus..» lesse a voce bassa pensieroso.
La sua espressione mutò velocemente in stupore e soddisfazione insieme. Forse aveva trovato la risposta che cercavano.
Il suo entusiasmo comunque durò poco non appena ebbe il tempo di realizzare cosa avesse letto.
“Non va bene” pensò preoccupato “spero di sbagliarmi”.
«Lei dov’è?!»
Una voce molto familiare nonché decisamente adirata irruppe nella stanza interrompendo le sue elucubrazioni e facendolo balzare con uno scatto dalla sedia dove era seduto.
Kanon entrò furente, guardandosi intorno smanioso.
«Kanon? Cos..?» chiese Mur confuso non riuscendo a capire come mai il cavaliere si trovasse lì.
Poco dopo la sua domanda ebbe una risposta perché insieme a Kanon fece il suo ingresso un ansimante e decisamente mal ridotto DeathMask.
Il cavaliere di Cancer aveva un occhio nero e un rivolo di sangue faceva capolino dalle sue labbra spaccate e gonfie.
«Mur!» disse Death con l’affanno «Mi ha preso alla sprovvista ed è scappato» si giustificò sputando con stizza un misto di saliva e sangue e asciugandosi poi la bocca con il lembo della maglia.
Mur alzò gli occhi al cielo infastidito da tanta incompetenza.
“Forse era meglio farlo sorvegliare da più cavalieri” pensò poi riflettendo su quanto fosse difficile già normalmente trattenere Kanon, anche quando non era furioso come allora.
«Mur, lei dove sta?» chiese di nuovo Kanon impaziente alzando di più la voce.
Il cavaliere dell’Ariete si voltò istintivamente verso la porta della camera di Alexandra e subito Kanon capì, dirigendosi a falcate verso di essa.
Mur si mosse alla velocità della luce, parandosi davanti la porta con le braccia spiegate in avanti.
«Kanon, aspetta» provò a fermarlo, ma Kanon tentò di oltrepassarlo senza dargli ascolto.
«Kanon, non credo sia il caso che tu la veda» ripeté «non così»
Kanon era visibilmente spazientito.
«Ascolta, Mur, io entrerò in quella stanza, che tu lo voglia oppure no! Se sarò costretto a spostarti con la forza lo farò» disse con gli occhi fiammeggianti.
«Kanon..» provò di nuovo Mur.
Il gemello sospirò «Senti, Mur, io… io devo vederla, ok?» disse con un tono diverso, quasi afflitto.
«Tu non vedrai proprio nessuno!»
La voce di Saga tuonò facendo voltare all’unisono i tre.
Uscì dalla stanza, evidentemente messo in allarme dalle voci. Riservò dapprima un’occhiata di rimprovero a DeathMask che abbassò lo sguardo imbarazzato, per poi rivolgere il suo sguardo truce verso il fratello.
«Non sarai tu ad impedirmelo» rispose freddo Kanon scostando di peso Mur che intanto era rimasto imbambolato a rimpiangere mentalmente di trovarsi tra due fuochi.
Con uno scatto Saga afferrò bruscamente Kanon per il braccio e lo allontanò dalla porta della camera di Alex.
«Non costringermi a ripetertelo con le cattive»
Il tono di Saga era freddo ma allo stesso tempo duro. Diede forza alla sua minaccia stringendo con forza il braccio del fratello che tuttavia si divincolò con rabbia dalla presa.
«Falla finita, Saga. Io la vedrò e non me lo imp..»
Non riuscì a finire la frase perché venne sbattuto con violenza contro la parete e bloccato da Saga.
«Credi di avere il diritto di andare lì da lei, dopo quello che le hai fatto?» disse in un sibilo rabbioso.
«Non ero in me, d’accordo?» sbottò urlando il fratello.
«Saga forse dovrei dirti che…» provò a dire Mur, chiedendosi se fosse il momento di informarlo di quanto aveva scoperto pocanzi.
«Questo non ti giustifica!» rispose Saga non ascoltando minimamente le parole dell’amico «avevi un compito e lo hai fallito! No, anzi hai fatto di più, non lo hai solo fallito, dovevi proteggerla da ogni pericolo e invece il pericolo sei diventato tu stesso!» Saga aveva nuovamente perso il controllo.
«Dannazione credi che avrei davvero potuto farle del male?! Io la…» si bloccò prima di finire la frase.
Infastidito allontanò da sé il fratello, affondando le mani fra i capelli nervosamente e voltandosi di spalle.
«Mi dispiace… d’accordo? Non so nemmeno io come ho potuto fare quello che ho fatto… né come ho potuto permettermi di farlo accadere..» disse Kanon con un filo di voce tenendo la testa bassa.
«Non è a me che devi delle scuse» rispose Saga freddo «in ogni caso, francamente, non so se basteranno»
Kanon ebbe una fitta al cuore.
Ripensava a quello che aveva osato fare, aveva non solo tentato di violentarla ma anche di ucciderla. Come aveva potuto farlo? Sapeva benissimo che non c’era giustificazione che tenesse e sapeva altrettanto bene che nessuna scusa sarebbe stata sufficiente per recuperare uno straccio di rapporto con lei. Già prima di quella sera le cose non andavano di certo bene, ma ora, dopo ciò che le aveva fatto…
In ogni caso doveva vederla, doveva vedere con i suoi occhi cosa le aveva fatto, doveva accertarsi del suo stato, doveva dirle che gli dispiaceva, anche se non sarebbe bastato.
Improvvisamente le urla di Alex interruppero i suoi pensieri e tutti e quattro si guardarono allarmati nel sentirle.
Senza pensarci un istante Kanon buttò giù la porta della camera con una spallata ed entrò nella stanza seguito a ruota dagli altri.
Alex era riversa a terra, al centro della stanza, in un lago di sangue, con una profonda ferita al polso e un bisturi insanguinato stretto nell’altra mano.
A quella vista Kanon sbiancò di colpo e si fiondò subito vicino alla ragazza.
«Alex!» urlò toccandole con una mano il viso divenuto pallido per l’emorragia.
«Dannazione!» imprecò notando la profonda ferita che perdeva copiosamente sangue imbrattando anche i suoi vestiti. Si strappò un lembo di stoffa dalla maglia legandolo stretto intorno al polso di lei per bloccare l’afflusso di sangue.
«Alex! Alex rispondi» la chiamò preoccupato sollevandola da terra reggendola con il braccio. Era pallida e aveva perso conoscenza.
Saga guardava la scena immobile, incapace di muoversi. Mentre gli altri due si guardavano intorno cercando di capire cosa potesse essere accaduto.
«Alex!» continuava ad urlare Kanon scuotendola.
Una macabra risata li fece sobbalzare tutti all’unisono. Iniziarono a guardarsi intorno con circospezione.
«Uff! odio chi interrompe i miei giochi! Proprio sul più bello poi» sbuffò stizzita la voce.
«Chi sei?» chiese urlando Saga.
La voce non rispose, continuando a ridere sguaiatamente.
«Mostrati!» ordinò Saga furente.
Un’aura dorata prese a volteggiare sulle loro teste come un vortice di fumo che poco dopo si addensò poco distante da loro materializzandosi in una donna dai lunghi capelli biondi e il viso angelico.
La luce bianca della luna la faceva apparire ancora più diafana e colorava i suoi capelli d’argento.
Nel vederla i tre si misero in posizione di guardia mentre Kanon rimase a terra stringendo a sé Alex per proteggerla.
«Io sono Ate» disse melliflua la donna prostrandosi beffardamente in un inchino.
Subito dopo si voltò verso Kanon e sorrise innocente «Ti ricordi di me?» gli chiese.
«Per il tuo bene, avrei sperato di no» rispose il cavaliere a denti stretti mentre gli tornava alla mente cosa gli aveva fatto quella donna.
«Ahww, che scortese!» mugugnò Ate imbronciata «Eppure ci siamo divertiti così tanto» rise.
Kanon aveva il volto rosso per l’ira, avrebbe voluto saltarle addosso per strangolarla ma le parole di Mur lo distrassero da quel proposito.
«La Dea degli inganni, come sospettavo» disse a voce bassa Mur «dobbiamo essere prudenti Saga» lo ammonì il cavaliere vedendo l’amico pronto per balzarle contro.
«Quindi sei tu la causa di tutto questo!» intervenne Saga stringendo i pugni.
«Oh, no! Vorrei tanto prendermi tutto il merito ma il tuo caro fratellino, beh, diciamo che mi ha molto facilitato il compito» rispose Ate con un sorrisetto.
Kanon strinse i pugni abbassando lo sguardo verso Alex.
«Non darti pena, carino» lo riprese la donna «Grazie anche al tuo splendido lavoro di qualche ora fa, non soffrirà ancora per molto» il suo viso angelico mentre pronunciava quelle parole la facevano apparire ancora più inquietante.
«Nemmeno a te rimane molto da vivere!» la minacciò Saga avanzando verso di lei.
Ate rise di gusto per quella affermazione e per tutta risposta Saga si scagliò contro di lei per colpirla ma prima che il suo pugno andasse a segno la donna si dissolse per poi riapparire dietro di lui.
«Sciocco mortale, io sono una Dea, pensi forse di avere qualche possibilità?» rise lei.
Saga non aveva alcuna intenzione di demordere e attaccò ancora e ancora ma tutti i suoi colpi non facevano che colpire l’aria.
Attaccarla in quel modo era inutile: era tremendamente rapida e capace di evitare ogni suo attacco pur se scagliato alla velocità della luce.
Saga si fermò per rifiatare, tutti quei colpi gli avevano fatto dissipare inutilmente molte energie.
«Rivolgi i tuoi colpi contro la persona sbagliata» gli sibilò la voce all’orecchio «non sono io la causa di tutto questo e tu lo sai».
Il cavaliere chiuse gli occhi stringendosi le tempie, quella voce rimbombava assordante nella sua testa.
«Saga!» lo chiamò Mur.
«Saga, no! non ascoltarla!»  lo ammonì anche Kanon preoccupato.
«Tu sai di chi è la colpa…»
D’un tratto una serie di immagini presero a scorrere rapidamente davanti gli occhi di Saga. Vide il fratello che abusava di Alexandra, con violenza, senza curarsi dei suoi lamenti disperati. Sentiva la voce di lei supplicare il suo nome in una accorata richiesta d’aiuto. Poi ancora Kanon che la strangolava ridendo con perfidia.
Saga rimase immobile, scosso da quelle immagini.
«Saga!»
Mur e DeathMask vedendolo in quello stato si mossero all’unisono per  raggiungerlo e cercare di farlo tornare in sé ma prima che riuscissero ad avvicinarsi un’onda d’urto li scagliò via facendoli sbattere contro la parete della stanza.
«Saga, non è reale! Ti sta ingannando!» lo implorò Kanon non allontanandosi tuttavia da Alexandra che continuava ad essere priva di sensi.
Ate ridacchiò materializzandosi al fianco di Saga «Mh, vedi? Cerca anche di farti credere che non è vero… ma tu sai che lo è… lo hai visto» bisbigliò lascivamente al suo orecchio.
Fu un attimo . Gli occhi di Saga brillarono di rabbia e con un impeto d’ira afferrò Ate per il collo, stringendole la gola con una mano mentre l’altra estrasse da dietro la schiena un lucente pugnale dorato e la colpì con violenza allo stomaco spingendola contro la parete e inchiodandocela.
Ate spalancò gli occhi ma il gemito di dolore non ebbe la forza di uscire rimanendole bloccato in gola.
«Cos…?» con gli occhi carichi di incredulità la donna guardò Saga mentre le sue labbra rimasero spalancate.
«Credevi di potermi ingannare con le tue illusioni?» le chiese acido Saga «Beh, in fondo, non erano un granché» constatò «Hai potuto ingannare Kanon approfittando della sua impreparazione, ma io ero già preparato ai tuoi giochetti, Ate!»
Il volto di Saga si piegò in una smorfia di disprezzo mentre rigirava il pugnale nello stomaco della donna che questa volta gemette di dolore. Estrasse velocemente il pugnale, allontanandosi dalla Dea che rimase appoggiata alla parete mentre un fiume di sangue le macchiava gli abiti bianchi che aveva addosso.
La mano di Ate andò a tastare la ferita allo stomaco e rimase sconcertata nel vedere le sue bianche dita affusolate sporche di sangue. Il suo sguardo di incredulità si infranse non appena si poggiò sulla daga dorata impugnata dal cavaliere.
«M-ma… quella… è…?» disse con le sue restanti forze prima di accasciarsi al suolo lasciando una scia rossa sulla parete di pietra.
Mur e DeathMask si avvicinarono lentamente a Saga tenendo lo sguardo fisso sulla donna ormai senza vita.
«Pfiù» sospirò il cavaliere della Quarta «Per un momento avevo creduto che ti avesse in pugno»
«Beh, ad un certo punto ho temuto di perdere me stesso» ammise Saga.
«A quanto pare la daga è servita» disse Mur rivolgendo lo sguardo al pugnale dorato, sporco di sangue, fra le mani dell’amico.
«Temo ci servirà ancora» rispose sibillino.
«Alex» disse preoccupato Kanon, facendo voltare gli altri tre.
La ragazza aveva ripreso colore, grazie alla fasciatura al polso che aveva bloccato l’emorragia, e stava lentamente riprendendo conoscenza.
«Ehi, si brava, così. Torna da noi» la incitò dolcemente Kanon scostandole un ciuffo ribelle dal viso.
Anche gli altri tre tirarono un sospiro di sollievo nel vederla riprendere.
Alexandra aprì lentamente gli occhi e le ci volle qualche istante per mettere a fuoco le immagini intorno a sé. Tuttavia non appena vide il volto preoccupato di Kanon fissarla il suo iniziale stordimento di dissipò in fretta lasciando il posto ad una sensazione spiacevole allo stomaco: paura.
Nonostante la debolezza e gli atroci dolori che attanagliavano il suo corpo cercò di divincolarsi dalle braccia del cavaliere in preda al panico. Kanon rimase visibilmente scosso da quella reazione e non oppose resistenza.
Avendo visto tutta la scena, Saga si avvicinò ai due e prese delicatamente Alex dalle braccia del fratello.
«Shh... va tutto bene, calmati» la tranquillizzò a voce bassa mentre Kanon era rimasto in ginocchio a terra con lo sguardo fisso nel vuoto.
Alex svenne di nuovo per lo sforzo causato anche dal panico di vedersi tra le braccia di colui che fino a qualche ora prima era stato, inconsciamente, il suo aguzzino.
«Mur» disse Saga porgendole la ragazza.
Il cavaliere annuì avvicinandosi e prendendo Alex in braccio.
«Occupati di lei» gli chiese Saga per poi voltarsi a guardare Kanon.
Sia Mur che DeathMask uscirono dalla stanza lasciando i due fratelli da soli.
Kanon era ancora immobile, inginocchiato nella pozza di sangue lasciata da Alexandra. Gli occhi spalancati come se avesse visto un fantasma.
Lo sguardo di terrore della ragazza gli si era impresso nell’anima ferendolo nel profondo. Sentiva di averla persa, di nuovo come allora, e questa volta era solo colpa sua. L’aveva ferita più di quanto poteva immaginare, più di quanto volesse credere.
Calde lacrime iniziarono a rigargli il volto cadendo a terra e mescolandosi con il sangue viscoso della ragazza.
Saga si avvicinò mestamente al gemello poggiandogli cautamente una mano sulla spalla.
Non c’era bisogno di parole, come mai fra di loro. Tramite quel semplice contatto Kanon poté percepire, non tanto il perdono, ma più che altro la comprensione del fratello.
Rimasero così, in silenzio, a bearsi di quel legame fraterno così assurdamente ambivalente, sempre a cavallo tra amore e odio. Un legame unico e indissolubile, nonostante tutto.
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 Cap 19 – Al peggio non c’è mai fine
Erano passati tre giorni dagli ultimi spiacevoli eventi, in ogni dove al Santuario si respirava aria di tensione. Quell’attacco inaspettato li aveva resi consapevoli della loro vulnerabilità e, soprattutto, della pericolosità del loro nemico. Proprio per questo motivo nessuno si stupì quando Athena richiamò tutti i suoi cavalieri al Santuario, anche quelli che erano in giro per il mondo per addestrarsi o in missione: la situazione richiedeva tutte le forze disponibili messe in campo.
Nonostante la preoccupazione generale, quei tre giorni erano stati abbastanza tranquilli per i più. Facevano eccezione naturalmente i cavalieri d’oro per i quali quei tre giorni furono quasi un inferno, impegnati com’erano non solo a sorvegliare le rispettive Case ma anche a sorbirsi ogni giorno lunghe estenuanti riunioni tenute da Saga e dalla Dea. Si discuteva sempre animatamente sul da farsi con il preciso intento di mettere in atto un piano di difesa adeguato alla gravità della situazione.
L’unico esonerato da tali incontri era Mur, che invece aveva ricevuto l’incarico di sorvegliare in ogni momento Alexandra durante la sua convalescenza e di proteggerla da qualsiasi pericolo. Kanon rimase molto male quando gli venne espressamente tolto l’incarico di proteggere la ragazza ma non poté certo protestare, dopo quello che era successo, era già tanto che non fosse stato radiato dalla casta dei cavalieri d’oro.
Alexandra quei tre giorni li aveva passati in una sorta di coma indotto: Mur le dava dei farmaci per farla dormire il più possibile in modo tale da accelerare la sua guarigione. Saga la andava a trovare molto spesso, ogni qualvolta non doveva svolgere i suoi compiti da Grande Sacerdote, e si premurava inoltre di rassicurare tutti gli altri cavalieri delle sue condizioni tutte le volte che glielo chiedevano. In particolare Milo, Ioria e Aphrodite, che avevano instaurato con lei un legame d’amicizia molto forte, compatibilmente con i loro incarichi, scendevano quanto più spesso possibile alla Prima per farle visita.
Kanon, invece, non si era neppure più avvicinato alla Prima Casa. Non che gli fosse stato vietato, dopo quella notte tutti i sospetti riguardo la sua pericolosità erano caduti. Tuttavia, sebbene fosse comprensibile che la ragazza non avesse alcuna voglia di vederlo, Athena si era rifiutata di imporgli una distanza forzata da lei. La Dea riteneva infatti che i due avrebbero dovuto chiarirsi al più presto, anche in previsione di ciò che attendeva la ragazza. Ciononostante Kanon non aveva avuto il coraggio di vederla nuovamente. Dopo quella sera, lo sguardo terrorizzato di lei non faceva che tormentarlo, impresso com’era nella sua mente. Aveva paura che, andando a trovarla, avrebbe suscitato in lei di nuovo quella reazione e non poteva sopportare nuovamente un simile schiaffo alla sua anima. Il dolore che provava nell’aver distrutto ogni rapporto con lei era pari solo al rimorso per quello che aveva fatto. Nonostante tutto non mancava mai di chiedere informazioni riguardo le sue condizioni a Mur o a Saga non appena li incontrava, e faceva in modo che accadesse spesso.
Il quarto giorno Alexandra si svegliò di primo mattino. Mur infatti, aveva sospeso la sera prima i farmaci, ritenendo che avesse già recuperato le forze a sufficienza.
Il sole non era ancora sorto del tutto e la luce flebile filtrava dalla finestra accompagnata da una brezza mattutina fresca e frizzante. La ragazza si mise cautamente a sedere sul letto, stiracchiandosi intontita per la lunga dormita.
Era confusa e spaesata come chiunque che si sveglia dopo un lungo sonno. Si alzò dal letto, beandosi del contatto dei suoi piedi nudi con il freddo pavimento di pietra, e si diresse verso il mobile vicino alla parete sovrastato da uno spartano specchio con una cornice di legno. Si sciacquò il viso, ancora impastato di sonno, approfittando di una ciotola di acqua fresca posta sopra il mobile per poi asciugarsi la faccia con un panno di cotone messo lì a fianco.
Si guardò allo specchio notando sul suo volto alcune cicatrici ormai rimarginate e, come colta da un improvviso lampo di genio, si ricordò di quello che era successo e i suoi occhi si gettarono veloci a scrutare il suo corpo seguiti a ruota dalle sue mani.
Con un sospiro di sollievo notò che non aveva più alcun bendaggio e che il ginocchio doveva essere guarito del tutto a riprova il fatto che fosse lì in piedi tranquillamente.
Merito delle cure miracolose di Mur, aveva recuperato in fretta, le rimaneva solo un leggero gonfiore alla nuca dove aveva sbattuto la testa, ma quello sarebbe andato via in un paio di giorni al massimo.
Non ricordava quasi nulla, il suo ultimo ricordo nitido era Kanon che tentava di strangolarla.
Un moto di rabbia le attanagliò lo stomaco, ma subito dopo un altro pensiero più insistente scacciò il primo e si fece largo in lei: aveva fame, moltissima.
Senza curarsi troppo del suo aspetto, ritenendolo comunque abbastanza dignitoso, uscì in fretta dalla camera correndo a piedi nudi nell’ampio salone della Prima Casa facendo frusciare la leggera veste bianca che indossava.
Si avvicinò alla piccola cucina spartana di Mur che era provvista giusto dell’essenziale. Con una smorfia e con lo stomaco che le brontolava iniziò a frugare negli stipetti dei mobili alla ricerca disperata di qualcosa da mettere sotto i denti. Non trovando niente di appetibile se non conserve e altri composti poco invitanti sbuffò sonoramente guardandosi intorno.
La sua attenzione venne catturata da un cesto di frutta fresca posta sul tavolo e, maledicendosi per non averla vista prima, si catapultò a prendere una mela tra gli altri frutti disponibili, addentandola con ingordigia quasi maniacale.
«Buongiorno!»
La voce di Mur la fece sobbalzare, come chi viene sorpreso con le dita nella marmellata. Si voltò di scatto verso il cavaliere che era evidentemente appena rientrato da un giro di ronda o qualcosa di simile, visto che indossava la sua armatura dorata.
«Ehi...» rispose Alex leggermente imbarazzata di essersi fatta cogliere alla sprovvista mentre “rubava” il suo cibo.
«Sei mattiniera...» constatò Mur con un grande sorriso che fece tranquillizzare la ragazza «e vedo anche che hai fame, è un buon segno…» rise posando lo sguardo sulla mela addentata che la ragazza tentava in vano di nascondere dietro di sé.
La ragazza sorrise di rimando e tornò a mangiare la sua mela conscia che ormai era stata scoperta.
«Mi sembra di non mangiare da giorni» ammise lei tra un morso e l’altro.
«Beh, in effetti è quasi la verità» rispose pacatamente Mur riempendosi un bicchiere d’acqua e lei lo guardò interdetta «sei stata in coma per tre giorni e quel poco di nutrimento che hai assunto te lo abbiamo somministrato tramite flebo» si spiegò dopo aver bevuto un sorso d’acqua.
Alex spalancò gli occhi sorpresa, senza tuttavia smettere di mangiare.
«Tre giorni?» chiese.
«Eh si»
«Ero ridotta così male?» chiese lei sedendosi sul tavolo mentre con la mente ritornava al colpevole di tutto ciò.
«Beh si, diciamo che se non ci avessi aggiunto del tuo saresti guarita prima» rispose Mur ma la ragazza non riuscì a intendere.
«Ate ti ha soggiogato, come ha fatto con Kanon, e ti ha indotto a tagliarti le vene per poi…» si spiegò meglio il cavaliere ma Alex lo interruppe bruscamente.
«Frena, aspetta. Cosa? Ate chi?» chiese lei più confusa che mai mentre prendeva dalla cesta una pera matura iniziandola a mangiare.
«Oh, si scusami. Vedi è una storia lunga, praticamente...» incominciò a spiegare il cavaliere ricordandosi che naturalmente la ragazza non poteva sapere nulla di quanto successo realmente.
«Mur, sono io. Come sta Alex?»
La voce di Saga interruppe il loro discorso e i due si voltarono all’unisono in direzione del cavaliere che camminava verso di loro intento a leggere alcune carte.
Non appena Saga alzò lo sguardo si bloccò di colpo lasciando cadere i fogli che aveva fra le mani notando che Alexandra era lì davanti, seduta sul tavolo.
«Beh, direi bene» sorrise Mur in direzione dell’amico.
Alex balzò rapidamente giù dal tavolo, facendo cadere a terra la pera che stava mangiando fino a poco prima, e corse in direzione di Saga buttandosi fra le sue braccia in un caloroso abbraccio che il cavaliere ricambiò senza remore.
«Ehi, ti sei ripresa finalmente» disse lui sorridendole.
Alex ricambiò gioiosa il sorriso «Sto meglio» confermò.
«Meno male. Eravamo tutti preoccupati» rispose sospirando amorevolmente.
«Eh si, chi più di altri…» intervenne enigmatico Mur aprendo un’anta della cucina e fingendo di cercarvi qualcosa di molto importante all’interno.
Alex si voltò a guardarlo con aria interrogativa mentre Saga, capendo il riferimento, gli lanciò un’occhiataccia.
«Beh? Che c’è?» Mur lo guardò con innocenza alzando le braccia come se realmente non capisse il motivo di quel tacito rimprovero.
«Accidenti… tre giorni...» rifletté ad alta voce Alex interrompendo la scenetta tra i due che la guardarono con curiosità.
«Ma è tantissimo!» continuò lei senza curarsi dei loro sguardi « Mi hanno dato solo dieci giorni accidenti, vuol dire che me ne restano solo… sei!» contò lei in preda al panico.
«Alex di che stai parlando?» chiese Mur non capendo lì per lì a cosa si riferisse la ragazza, al contrario Saga si incupì.
«Mur, per favore riunisci tutti al Tredicesimo Tempio» ordinò misterioso Saga.
Il tono dell’amico non ammetteva repliche sicché Mur, pur non capendo, annuì e uscì in fretta dalla Prima Casa.
Alex dal canto suo stava già correndo verso la sua stanza, intenzionata a cambiarsi il più in fretta possibile.
«Vale anche per te» precisò Saga autoritario prima che lei potesse sparire nella sua stanza.
Alex frenò di colpo voltandosi con l’espressione più imbronciata che riuscisse a fare.
«Ma io devo andare…» provò lei addentrandosi con falsa indifferenza nella stanza ma Saga scosse il capo severo.
«Tu non te ne vai dal Santuario se prima non abbiamo chiarito ogni dettaglio di questa missione suicida, e non te ne andrai da sola comunque!» rispose lui facendo per andarsene.
«Ma…» protestò lei pur sapendo che era inutile, la cocciutaggine di Saga era da sempre proverbiale.
«E sbrigati, ti aspetto al Tredicesimo Tempio» puntualizzò prima di uscire dalla Prima Casa.
 
 
 
Alex salì velocemente le scale che l’avrebbero portata in cima al Santuario. Era intenzionata a sbrigare al più presto quella scomoda faccenda che la teneva ancora bloccata lì.
“Non vedo il motivo per cui non posso partire immediatamente, non abbiamo mica tutto questo tempo da perdere!” pensò sbuffando «E Saga poi?… dannazione quanto è cocciuto! Ma cosa pensa? Di assegnarmi una scorta? So badare benissimo a me stessa senza contare che fino ad ora le sue scorte mi hanno causato più guai di quanti me ne abbiano risolti!» si disse ad alta voce ripensando automaticamente a Kanon e a quello che aveva passato solo qualche notte fa a causa sua.
«E’ la persona più indicata a proteggerti» fece il verso all’amico «Si, si è visto!» disse ironica.
I minuti che impiegò a salire li passò tutti a lamentarsi di quella situazione assurda.
Arrivata al Tredicesimo Tempio si fermò davanti l’ingresso tirando un sospiro infastidita.
«Forza Alex, non cedere di un millimetro, tu hai le tue ragioni e se vuoi andartene da sola sei liberissima di farlo» si motivò. Aveva anche indossato i suoi abiti da sacerdotessa con tanto di faretra piena ed arco per enfatizzare che fosse pronta ad andare e che nessuno l’avrebbe fermata.
«Allora è vero! Stai bene!»
La voce acuta e gioviale di Aphrodite la raggiunse prima che varcasse la soglia. Senza darle il tempo di fare alcunché il cavaliere si avvicinò a lei stringendola in un abbraccio.
«Oh, ero così preoccupato» le disse quasi commosso allontanandola da sé per guardarla meglio.
«Accidenti che brutta cera però» commentò Aphrodite indignato portandosi un dito sul mento «Ma niente che un buon fondotinta non possa celare» scherzò.
Alex sorrise, era felice di vederlo, si era dimostrato davvero un grande amico, strano, ma pur sempre un amico.
«Su, su, ora andiamo, ti stanno aspettando già tutti dentro» disse frettoloso spingendola di peso oltre l’ingresso.
“Addio entrata decisa” pensò con rammarico la ragazza facendosi trasportare all’interno.
Una volta entrata nel grande salone trovò ad aspettarla i cavalieri d’oro più qualche Silver, tra i quali riconobbe Marin, intenti a discutere a voce bassa tra di loro. Fortunatamente non individuò Kanon fra gli altri cavalieri e la sua assenza la fece sentire meglio. Non aveva alcuna intenzione di incontrarlo e pensò, con una certa soddisfazione, che la sua assenza fosse giustificata da qualche punizione che gli stessero infliggendo per quanto aveva fatto.
 La Dea Athena stava seduta, come di consueto, sul suo trono dorato e stava dicendo qualcosa a Saga, posto accanto a lei, a voce bassa. Alex non riuscì a sentire naturalmente, ma capì dall’espressione del Grande Sacerdote che lui non era affatto d’accordo con quanto lei gli stava dicendo.
Aphrodite si schiarì la voce, facendo notare a tutti la loro presenza e Alex non fu affatto contenta di quel gesto perché tutti si voltarono verso di lei, prestandole attenzione. Quegli sguardi la fecero sentire leggermente a disagio ma il tutto scomparve non appena i volti dei più si incurvarono in sorrisi sinceri.
Alex sorrise di rimando, rivolgendo lo sguardo in particolare a Milo, Ioria e Marin mentre avanzava lungo l’ampia stanza accompagnata da Aphrodite.
«Sono felice di vedere che stai meglio» ruppe il silenzio Athena sorridendole.
Per tutta risposta Alex si limitò ad annuire in segno di ringraziamento.
«Purtroppo la situazione in cui siamo, come sai, non ci permette di rifiatare a lungo» continuò la Dea realmente dispiaciuta «L’incarico che ti hanno affidato i delegati è davvero molto rischioso, Alexandra» andò al sodo senza troppi giri di parole «Saga mi ha detto che sei decisa ad andare comunque e per questo hai tutta la mia stima, ma, devo chiedertelo, sai a cosa vai incontro?» chiese preoccupata alzandosi dal trono e muovendo qualche passo verso di lei.
«Ha importanza?» chiese senza pensarci Alex e la Dea la guardò interdetta «Devo andare comunque, qualsiasi sia il rischio. Non vedo altre alternative» rispose decisa.
«Questo è vero» ammise la donna «tuttavia non posso chiederti di rischiare la vita per la nostra causa, non è…»
«Non lo faccio per voi» la interruppe secca la sacerdotessa «lo faccio per riavere la mia vita» precisò.
Saga abbassò lo sguardo, quasi deluso da quella affermazione, mentre Athena sorrise amaramente.
«Certo, è naturale» disse «Molto bene, che gli Dei ti proteggano» rispose tornando a sedersi sul suo trono.
“Mh, tutto qui? È stato più facile del previsto” pensò
Alex non rispose e fece un inchino stizzita facendo per andarsene velocemente.
«Tuttavia…» la fermò la Dea e la ragazza si voltò infastidita «Non posso lasciarti andare da sola. Uno dei miei cavalieri ti accompagnerà.» disse perentoria.
«Con tutto il rispetto, fino ad ora i suoi cavalieri mi hanno causato solo guai, quindi mi perdoni se non li voglio ancora tra i piedi. Farò molto prima se andrò da sola» rispose Alex non nascondendo l’ironia nelle sue parole.
«Uno dei miei ti accompagnerà per assicurarsi non solo che tu raggiunga incolume il Pozzo di Aletheia ma che tu compia la tua missione la cui riuscita, a prescindere dalle tue motivazioni, è di fondamentale importanza per noi» precisò la Dea con un tono che lasciava poco spazio alle proteste della ragazza.
Alex portò le braccia al petto, imbronciata per quella autorità alla quale, suo malgrado, doveva sottostare.
«D’accordo» bofonchiò.
«Mia signora» intervenne Saga prostrandosi «Mi offro io di accompagnarla»
“Oh beh, magari Saga potrei sopportarlo” pensò Alex tirando un sospiro di sollievo nel vedere l’amico proporsi come suo accompagnatore.
«No, Saga. Mi dispiace ma in qualità di Grande Sacerdote mi servi qui» rispose Athena scuotendo il capo e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli viola.
“E ti pareva…” disse tra sé Alex, per nulla sorpresa.
«Ad ogni modo so bene chi mandare con lei» rispose la Dea sorridendo candida e Saga scosse il capo contrariato.
Quel gesto poteva significare solo una cosa e Alex sbarrò lo sguardo sconcertata al solo pensiero.
“Non dirlo” pregò dentro di sé.
«Kanon l’accompagnerà e la riporterà indietro sana e salva» disse Athena convintamente.
«Cosa?!» sbottò la ragazza ad alta voce e il suo tono fu più stridulo di quanto volesse in realtà.
«Mia signora, con tutto il rispetto, visti i recenti avvenimenti, Kanon forse non è la persona più indicata a…» intervenne Shaka ma la Dea alzò una mano e lo zittì sorridendo con tutta l’aria di chi sa il fatto suo.
«No, io credo invece che sia proprio lui il più indicato a svolgere questo compito» affermò mentre tutti la guardavano interdetti, tranne Saga, il cui sguardo era più tendente al rassegnato.
«Kanon è molto orgoglioso, non accetterà di fallire di nuovo il compito assegnatogli quindi è l’unico che sono sicura si impegnerà al massimo per portare a termine la missione» disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Alex spalancò la bocca, incredula nel sentire quelle parole, ma la situazione non fece che peggiorare.
«Scusate il ritardo, mi hanno avvertito tardi di questa riunione»
Kanon era appena entrato nella sala camminando a passo svelto facendo tintinnare la sua armatura dorata. Tuttavia non appena vide Alex davanti a sé prese improvvisamente a camminare più lentamente, evidentemente a disagio nel trovarsela lì senza preavviso.
Con l’aspetto di chi sta andando verso il patibolo si avvicinò al trono evitando di guardare la ragazza negli occhi e Alex fece lo stesso, infuriata nel vederselo spuntare.
«Ah Kanon, proprio te» sorrise Athena vedendolo arrivare e il cavaliere si inginocchiò ai suoi piedi, non tanto per rispetto ma più che altro per non essere costretto a guardare Alex.
«Ho un incarico importante da affidarti» disse la Dea e Kanon alzò lo sguardo in un misto tra curiosità e sospretto «Dovrai accompagnare Alexandra al Pozzo di Aletheia e riportarla qui sana e salva»
Kanon ingoiò litri su litri di saliva non riuscendo a capire perché gli stessero facendo questo. Perché lui? Dopo quello che aveva fatto poi, cos’era? Una sadica punizione?
«Io?» chiese Kanon senza tuttavia fare trasparire il suo disagio.
«Si» confermò con femezza Athena.
«Ma insomma cos’è? Una barzelletta?!» intervenne Alex furibonda mentre il viso le diventava rosso.
Tutti gli altri cavalieri presenti si guardarono allarmati e i più vicini indietreggiarono di qualche passo preoccupati di quello che sarebbe potuto succedere di lì a poco.
«Starete scherzando! Io non mi faccio accompagnare proprio da nessuno, men che meno da questo qui!» disse puntando il dito minacciosa verso Kanon il quale si alzò in piedi infastidito di essere stato etichettato in quel modo.
«Non ti preoccupare non c’è alcun pericolo che ti accompagni!» rispose di rimando Kanon alzando la voce.
«Bene!» confermò lei.
«Bene!» precisò lui per avere l’ultima parola.
«Kanon tu farai come ti è stato ordinato, sono stato chiaro?» intervenne Saga autoritario e tutti si voltarono a guardarlo meravigliati di sentirgli pronunciare quelle parole. Persino Athena lo guardò sospettosa: fino a poco prima non era affatto d’accordo con quella decisione, perché ora aveva cambiato idea?
«E tu, Alex, se ci tieni ad andare starai a queste condizioni»
Sia Alex che Kanon lo guardarono esterrefatti.
“Perché mi stai facendo questo?” pensarono in contemporanea i due, esasperati da quella assurda situazione.
Kanon voltò lo sguardo stizzito, sapeva bene che non poteva opporsi a quell’ordine ciononostante non riusciva a capire perché dovesse essere proprio lui. In effetti, era un po’ quello che si stavano domandando tutti i presenti, compreso Saga che tuttavia riponeva grande fiducia nella sua Dea e aveva deciso di fidarsi del suo giudizio.
«Tutto ciò è assurdo» protestò la sacerdotessa alzando le braccia al cielo.
«Ti rimangono solo sei giorni, Alex, per arrivare laggiù e la strada è lunga» la riprese Athena «non credo sia il caso di perdere ulteriore tempo in vane proteste» disse furbamente.
Alex strinse i pugni e gonfiò le guance in una smorfia di disappunto per poi voltarsi di scatto e dirigersi a grandi falcate verso l’uscita.
«Partiamo tra due ore, vedi di sbrigarti!» ordinò lei rivolgendosi a Kanon senza tuttavia degnarlo di uno sguardo.
Kanon alzò gli occhi al cielo per poi farli ricadere sul gemello con uno sguardo truce.
Tutti gli altri presenti, capendo che la riunione era evidentemente finita tirarono un sospiro di sollievo nel poter tornare alle loro occupazioni, e lo fecero in fretta. Subito dopo anche Athena si ritirò soddisfatta nelle sue stanze ma non prima di aver lanciato a Kanon un’occhiata molto ambigua.
Non appena i due fratelli rimasero soli Kanon ne approfittò per riversare sul gemello tutta la sua disapprovazione.
«Si può sapere a che gioco state giocando tu e Athena?»
«Nessun gioco, Kanon, ti è solo stata affidata una missione» rispose Saga mal celando la sua poca convinzione.
«Perché a me? Qui non si può parlare di un semplice incarico, di una coincidenza, questo è stato fatto deliberatamente di proposito!» protestò «Se volevate punirmi, d’accordo, è giusto, lo capisco, ma così è spietato anche per te»
«Che vuoi che ti dica? Io non te l’avrei più affidata nemmeno se fossi stato l’ultimo Saint disponibile sulla faccia della terra» ammise Saga sprezzante.
«Grazie» rispose ironico il gemello «e allora perché le hai dato ragione?»
«Semplicemente perché è la mia Dea e mi fido del suo giudizio» disse sinceramente «Comunque non devo certo giustificarmi con te»
«Ascolta. Scegli qualcun altro. Io non posso andare con lei» disse serio Kanon.
«Perché per una volta non ti sforzi di andare aldilà del tuo egoismo e ti comporti da cavaliere?!» lo rimproverò duramente il fratello «Ti è stata data una seconda occasione per dimostrare che meriti il tuo rango, approfittane e svogli il tuo compito come si addice ad un cavaliere d’oro!»
Kanon fece per protestare ma Saga glielo impedì.
«E’ tutto» lo liquidò con la sua solita autorità da Grande Sacerdote.
Con un sonoro sbuffo Kanon si allontanò dal gemello, dirigendosi verso l’uscita del Tempio.
«A proposito» lo bloccò Saga prima che potesse uscire «Questo potrebbe servirti» disse lanciandogli qualcosa di pesante avvolto in delle bende di lino grigio legate con della corda. Kanon afferrò al volo il curioso pacchetto e anche senza aprirlo capì di cosa si trattasse.
«Devi proteggerla, Kanon. Ad ogni costo, siamo intesi? Se le accade qualcosa questa volta non te lo perdonerò» gli disse Saga guardandolo fisso.
«Nemmeno io…» rispose lui a voce troppo bassa perché il fratello lo potesse udire prima di uscire dalla sala lasciandolo solo.
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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #8 il: 29 Settembre, 2017, 22:58:04 pm »
 Cap 20 – Partenza
Erano circa le dieci del mattino quando Kanon arrivò al confine del Santuario. Il sole era già alto e arroventava l’aria di quella giornata ormai decisamente estiva, solo un leggero venticello rendeva sopportabile quella arsura. Ad aspettarlo trovò Alexandra, già alquanto infastidita per l’attesa, insieme a Mur e Saga.
«Era ora» sbuffò lei con le mani sui fianchi e picchiettando il piede sul terreno sabbioso con impazienza.
Kanon fece finta di non ascoltarla e si rivolse a Mur.
«Dunque, dove sarebbe questo dannato Pozzo?» chiese il cavaliere di Gemini contrariato.
«Stavo giusto spiegando ad Alex la strada» confermò Mur annuendo «Secondo i documenti che sono in mio possesso dovrebbe trovarsi sul monte Oeta» ricominciò a spiegare il cavaliere dell’Ariete per rendere partecipe anche il compagno.
«Ti ragguaglio io strada facendo, ora non possiamo permetterci di perdere altro tempo» liquidò la discussione la sacerdotessa.
«Come ti pare» rispose freddo Kanon.
Alex era davvero furibonda al pensiero di dover intraprendere quel viaggio proprio con lui. Non aveva digerito la decisione di Athena ed era sempre più convinta che quella donna fosse più una sadica strega invece che la Dea della giustizia. Ad ogni modo doveva portare a termine quella missione se voleva riavere la sua vita tra i boschi di Parnitha e soprattutto se voleva rivedere Deianira, perciò suo malgrado doveva accettare la scomoda presenza del cavaliere.
Saga invece non aveva più proferito parola, stava lì con il volto basso e cupo, evidentemente angosciato. Alexandra sapeva il motivo della sua tristezza, ricordava bene la sera in cui l’aveva supplicata di non andare e ricordava quel bacio.
Quel pensiero la fece arrossire impercettibilmente. Era stato un gesto così inaspettato che, nonostante tutto quello che era successo dopo, la sua mente la riportava a quel momento con insistenza.
Ad altre donne sarebbe subito balzata agli occhi l’evidenza dei sentimenti di Saga, tuttavia lei non riusciva a credere che quei sentimenti potessero essere rivolti verso di lei. Non che non le avesse mai fatto capire quanto tenesse a lei, sia chiaro. Anche durante gli anni trascorsi insieme al Santuario lui era sempre stato premuroso e gentile. Con lui aveva sempre potuto parlare e, in effetti, era anche l’unico con il quale aveva potuto confidarsi quella spiacevole notte prima della sua partenza. Saga la capiva come nessun altro sapeva fare e lei ingenuamente aveva sempre creduto che quel suo affetto fosse più simile a quello di un fratello.  Ad avvalorare ancora di più quel pensiero era il fatto che lui era l’unico ad essersi accorto dell’interesse di lei nei confronti del gemello.
Prepotentemente e senza preavviso, com’era solita fare, la sua mente gli fece balzare davanti gli occhi il ricordo di quella giornata.


******************************************************************

Era una giornata afosa, proprio come quella. Il caldo aveva reso insopportabili gli allenamenti all’arena, così, spinti dalle insistenti moine di Deianira, i due gemelli e lei si erano fatti trascinare fino al fiume nei pressi del Santuario per fare una nuotata e rinfrescarsi.
Saga, come sempre, era un po’ contrariato nell’interrompere gli allenamenti ma era difficile non darla vinta a Deinaira. Con i suoi modi sapeva sempre come convincere tutti. Di contro Kanon non se l’era fatto ripetere due volte e, non appena arrivarono, lui e Deianira si fiondarono in acqua senza perder tempo.
Dal canto suo Alex non aveva affatto voglia di nuotare, si era fatta trascinare lì sol perché non aveva intenzione di sorbirsi le solite lamentele dell’amica che l’accusava di essere svago-deficiente. Così, approfittando dell’euforia dei due, si accomodò indisturbata lungo l’argine, rimanendo ad osservare la scena a distanza.
Passarono così diversi minuti finché Saga, stancatosi di nuotare, uscì dall’acqua lasciando gli altri due a divertirsi da soli. Aveva notato che Alex era rimasta in disparte e decise di raggiungerla.
Kanon e Deianira sembravano divertirsi un mondo. Ridevano e scherzavano mentre si spruzzavano acqua a vicenda, rincorrendosi e afferrandosi per buttarsi rispettivamente in acqua. Ora lui la tirava giù sott’acqua per dispetto, ora lei riemergeva per fare altrettanto, sempre ridendo goliardicamente.
Alex non poté fare a meno di provare una morsa d’invidia allo stomaco. Era lampante che Deianira provasse qualcosa per Kanon, e anche se così non fosse stato l’amica non aveva esitato a confidarle più volte di essere cotta di lui. Non che la cosa la stupisse: come amica dei due gemelli veniva letteralmente sommersa da rivelazioni di quel tipo. In tantissime, tra ancelle e sacerdotesse, avevano perso la testa per uno dei due gemelli, o per entrambi. Naturalmente i due ragazzi non potevano che andare fieri di cotanta popolarità anche se, fra i due, era sempre stato Kanon quello ad ostentarlo con più strafottenza, probabilmente anche perché sapeva che ad Alexandra dava molto fastidio.
Ovviamente nemmeno Alexandra era indifferente al fascino dei due fratelli, ma il suo proverbiale orgoglio le impediva di ammetterlo e ogni qualvolta si toccava l’argomento i due finivano per litigare o sviare frettolosamente la discussione.
Era sempre andata fiera del suo carattere, Alex. Era una delle reclute migliori di quegli anni. Sempre ligia al dovere, rispettava ciecamente la dottrina imposta alle sacerdotesse. In fondo, pensava sempre, il suo obbiettivo era ottenere un’armatura e servire Athena, per pensare agli uomini ci sarebbe stato tempo.
Quando vedeva Deianira però, così a suo agio insieme ai ragazzi, i quali ogni volta che la vedevano non avevano occhi e attenzioni che per lei, si sentiva incompleta.
In quei momenti il suo lato femminile, che aveva sempre cercato di reprimere per diventare una guerriera forte e valorosa, riemergeva prepotente facendole provare un insano desiderio di essere guardata allo stesso modo. In particolare, sebbene fosse restia ad ammetterlo, da Kanon, che in lei aveva sempre visto solo una compagna d’allenamento e non anche una donna.
«La gelosia non ti si addice, sai?»
Alex balzò come un gatto. Era così immersa nei suoi pensieri da non essersi accorta che Saga stava lì accanto a lei a fissarla intensamente con un sorrisetto beffardo dipinto sulle sue labbra carnose. Il suo fisico asciutto e già molto muscoloso per la sua giovane età era messo ancor più in risalto dalle gocce d’acqua che scivolavano lungo i suoi marmorei addominali e i lunghi capelli, anch’essi ancora fradici, gli ricadevano lungo il viso d’angelo rendendo i suoi occhi ancora più blu.
A quella vista Alex non poté fare a meno di pensare alla strage di ragazze che i due gemelli erano soliti fare e dovette ammettere che il tutto era decisamente giustificato dalla loro bellezza quasi divina.
«Mh? Di che parli?» chiese lei con falsa indifferenza riprendendosi da quella vista e celando, anche grazie alla maschera che indossava, l’imbarazzo di essere stata scoperta.
«Andiamo, ormai dovresti aver capito che non ho certo bisogno di toglierti quella maschera per capire quale espressione si cela lì dietro» rise lui sedendosi vicino a lei.
Era vero. Saga aveva sempre avuto la straordinaria quanto unica capacità di capire ogni suo stato d’animo con una facilità tale da farle dubitare che vi fosse effettivamente qualcosa a coprire il suo viso.
«Hai preso un granchio» affermò Alex stizzita «stavo solo guardando il panorama assorta» mentì spudoratamente cercando di non far tremare la sua voce.
«Sei proprio una frana a mentire» rispose lui schernendola bonariamente.
«Tu invece sei un esperto eh?» rise lei divertita.
«Tra le tante cose…» si vantò «Tuttavia è talmente lampante cosa provi per lui che anche senza le mie innate doti intuitive non riusciresti a darmela a bere» affermò con sicurezza.
Alex arrossì sotto la maschera. Era davvero così evidente? Pensò preoccupata.
«Sul serio, non so cosa tu abbia visto, ma ti assicuro che ti sbagli» provò lei.
«Ok, come vuoi. Ma che mi dici di lui invece? È evidente che non gli sei affatto indifferente. Sono suo fratello, puoi fidarti, lo conosco» rispose Saga fissandola così intensamente che Alex ebbe l’impressione che riuscisse davvero a guardarla oltre la maschera.
«Lo conosci proprio male allora. Tuo fratello ha occhi praticamente per qualsiasi ragazza gli passi a due metri di distanza» rispose sarcastica «fatta eccezione per me»
«E questo non ti dice niente?» chiese lui sibillino.
«Si, che non si è accorto che sono una donna» il tono di Alex era un misto tra sarcasmo e delusione.
Saga rise di gusto a quella affermazione.
«Mh… io un pensierino su di te ce lo farei volentieri» disse lui tornando serio per un istante.
Alex si voltò a guardarlo interrogativa. Che voleva dire quella affermazione?
«Hai ragione, sei proprio bravo a mentire. Dovresti insegnarmi» propose lei scherzando e ricacciando dentro l’imbarazzo per le parole dell’amico.
Saga sorrise mentre abbassava lo sguardo in un’espressione quasi delusa.
«Comunque, dovresti deciderti a togliere la maschera con lui e dichiararti.» disse poi seriamente «Almeno così la smetterebbe di distrarsi agli allenamenti quando ci sei pure tu» finì poi con tono canzonatorio alzandosi in piedi.
«Sai che chi ci vede in volto ha solo due alternative: essere amato o essere ucciso per mano nostra» rispose severa lei ripetendo quasi con tono solenne gli insegnamenti che le erano stati impartiti fin dalla giovanissima età.
Saga fece spallucce «Beh, se mi sbaglio riguardo i tuoi sentimenti, e non credo, dovresti ucciderlo. Comunque la si metta sarebbe una liberazione per me» rise.
«Che altruista!» lo sfotté lei guardandolo dal basso.
«Ok, di’ a quei due che si sono divertiti abbastanza» chiuse la discussione Saga rendendosi conto dell’ora tarda «E soprattutto di’ a Kanon di riportare le sue chiappe all’arena per allenarsi altrimenti l’unica armatura che vedrà sarà quella dei suoi superiori da lucidare!» disse lui facendo per tornarsene al Santuario.
«Potresti anche dirglielo tu!» protestò Alex.
«Mh, a te da più ascolto» disse lui con un cenno della mano in segno di saluto prima di allontanarsi definitivamente.
 
********************************************************************


“Perché diamine mi ritorna alla mente quel giorno?!” pensò Alex contrariata da quell’inspiegabile bombardamento di ricordi.
Intanto Kanon e Mur erano intenti a discutere della bisaccia ricolma di tutto l’occorrente che il cavaliere della Prima Casa aveva preparato in previsione del lungo viaggio.
Alex si voltò in direzione di Saga, notando che aveva ancora lo sguardo adombrato. Il senso di colpa la pervase: non aveva alcuna voglia di andarsene lasciandolo così. Non se lo meritava.
Oltretutto, si sentiva in dovere di chiarire quanto era successo qualche sera prima. Credeva di averlo ferito ritraendosi da quel suo bacio ricolmo di sentimento che, oltretutto, non le era stato per nulla indifferente come avrebbe, giustamente, potuto pensare Saga dalla sua reazione.
«Saga, ti posso parlare?» chiese lei.
Senza tuttavia aspettare un assenso prese il gemello per la mano e lo trascinò in disparte. Quel gesto non sfuggì a Kanon che, con la coda dell’occhio, era intento a guardare la scena senza darlo a vedere.
Saga guardò la ragazza incerto.
«Ascolta, ci tenevo a parlarti di una cosa. Vista la pericolosità della missione, questa potrebbe essere la mia ultima occasione quindi..»
«Non dire così!» la rimproverò severo Saga guardandola intensamente.
Alex non si curò del rimprovero, aveva raccolto tutto il suo coraggio per parlargli e aveva paura che se avesse temporeggiato ancora non l’avrebbe più fatto.
«Io… volevo parlarti di quella sera…si, sai… di quel..» continuò lei con una vena di incertezza nella voce senza riuscire a specificare a cosa si riferisse.
Non ce ne fu bisogno. Saga capì subito che alludeva al suo bacio e per tutta risposta si mise una mano dietro la nuca grattandosela nervosamente.
«Ah… si, certo. Volevo parlartene pure io, insomma, volevo… credo… chiederti scusa, non so cosa mi sia saltato in mente… ti ho vista in quel modo e io…ho pensato…d-di…» farfugliò lui imbarazzato.
 
Kanon intanto guardava sottecchi la scena sicché Mur, accorgendosi della distrazione del ragazzo, voltò anche lui lo sguardo in direzione dei due.
«A proposito, prima che tu vada» gli disse Mur «Credo che sia bene che tu sappia che Alex, insomma, non sa nulla riguardo a cosa è successo realmente quella notte. Non c’è stato modo di informarla. Forse sarebbe il caso che le parlassi prima di andare, per spiegarle tutto intendo»
Kanon ascoltò le sue parole senza tuttavia distogliere lo sguardo da quei due «Non credo farebbe differenza» rispose apatico.
 
Alex guardava Saga interdetta, quasi divertita di vederlo reagire in quel modo così impacciato. Non lo aveva mai visto così e il fatto che fosse così per lei le fece in un certo senso tenerezza.
Non seppe bene se fu quel sentimento farglielo fare. O piuttosto la consapevolezza che Kanon era lì vicino che li guardava e il pensiero di fargli un dispetto le dava un sadico piacere. O ancora semplicemente la voglia di farlo.
Fatto sta che con uno scatto rapido si mise sulle punte e poggiò le sue labbra sul volto di Saga, terribilmente vicino alle sue labbra tanto da sfiorarle con le sue.
Quel gesto zittì improvvisamente il cavaliere che rimase pietrificato. Uguale reazione, in termini diversi, ebbero gli altri due spettatori. Il viso di Mur passò velocemente dal bianco al rosso per poi distogliere velocemente lo sguardo, imbarazzato, mordendosi il labbro inferiore visibilmente a disagio.
Kanon, invece, rimase impassibile, sebbene un centinaio di emozioni si stessero affollando dentro di lui, nessuna di esse fece capolino sul suo viso.
Alex si allontanò lentamente da quel contatto, sorridendo dolcemente in direzione del ragazzo «Volevo solo dirti grazie» gli disse semplicemente.
Saga dovette lottare con tutto se stesso per impedirsi di prendere fra le mani il suo viso e baciarla, lì, in quel momento, anche davanti a suo fratello.
La ragazza fece una smorfia di indecisione «Ehm, credo che…è il caso che vada...» disse allontanandosi ma prima che riuscisse a farlo Saga la afferrò dolcemente per una mano, trattenendola.
«Devo essere proprio pazzo a lasciarti andare» le disse con voce bassa e roca guardandola negli occhi con uno sguardo magnetico. Si guardarono intensamente per alcuni interminabili istanti, quando...
«Credevo non dovessimo perdere tempo!» gli urlò Kanon non nascondendo il suo disappunto mentre strappava bruscamente la bisaccia dalle mani di Mur.
«Devo andare» rispose titubante Alex.
Saga la tirò a sé, abbracciandola delicatamente.
«Ne riparliamo quando torni» le sussurrò per poi distaccarsi controvoglia da lei.
Alexandra annuì.
«Quando torno» confermò lei alzando una mano per salutarlo.
«Allora? Vogliamo andare?» incalzò ancora Kanon facendo per andare via.
A quell’ennesimo richiamo la ragazza balzò infastidita. Si allontanò velocemente da Saga raggiunse Kanon.
Si voltò un’istante indietro a guardare i due cavalieri che la fissavano in lontananza e sospirò affranta.
Iniziò il suo viaggio, con la consapevolezza di stare partendo decisamente con il gemello sbagliato.
 
 
Passarono alcune ore e i due avevano già messo parecchia distanza tra loro e il Grande Tempio. Il percorso si snodava in aperta campagna, le basse colline tinte di giallo contornavano il sentiero sterrato contrastando nella linea d’orizzonte con il cielo limpido e azzurro. Qui e lì qualche ulivo carico di frutti e qualche basso arbusto tingevano di verde il paesaggio bucolico. Man mano che proseguivano il caldo si faceva sempre più insistente complice l’orario che, a giudicare dalla posizione del sole, era ormai prossimo al mezzodì.
I due rimasero in rigoroso silenzio per tutto il tragitto, ognuno per le sue ragioni.
Il primo a rompere il ghiaccio fu Kanon.
«Allora, il monte Oete? Dista più o meno tre giorni di cammino» constatò lui senza guardarla, procedendo a passo spedito davanti a lei.
Alex venne presa alla sprovvista da quella domanda.
«Si, è quella la nostra meta» confermò laconica.
«Dovremo passare vicinissimi a Parnitha per mantenerci sulla strada più breve…» continuò Kanon «…e un mucchio di sacerdotesse infuriate ci da la caccia. Gliela serviremo proprio su un piatto d’argento» disse ironico.
«Dimentichi che sono una sacerdotessa anche io» rispose lei stizzita «so come eludere la loro sorveglianza, quindi, se fai come ti dico ti prometto che non ti farai male» lo canzonò.
 «Non ho dubbi» disse sardonico «e una volta giunti lì?» chiese.
Alex sbuffò sonoramente, infastidita da quel terzo grado. Kanon si bloccò di colpo, girandosi verso di lei che, presa alla sprovvista, non ebbe il tempo di frenare andando così a cozzare contro il suo ampio petto.
«Stammi a sentire, se ti devo accompagnare in questa accidenti di missione, devo sapere per filo e per segno tutto ciò che la riguarda, intesi?» la rimproverò duramente. Alex dovette rimangiarsi gli insulti più disparati che erano già lì sulla punta della lingua pronti ad esplodere e ammettere a se stessa che aveva ragione.
«Una volta giunti lì» scandì lei cercando di mantenere saldo il suo autocontrollo «dobbiamo raggiungere la città di Trachis, che si trova alle pendici del monte, nei pressi del fiume Evinos. Stando alle carte di Mur è lì che si trova il Pozzo di Aletheia»
Inaspettatamente per lei, Kanon si aprì in una risata isterica, voltandosi e mettendosi le mani tra i lunghi capelli blu.
«Quella Trachis?» sottolineo la domanda nevrastenico per poi rispondersi da solo «Fantastico! Meraviglioso!» si disse alzando le braccia.
«Si può sapere qual è il tuo problema?» chiese lei incrociando le mani al petto con aria di superiorità.
Kanon si voltò verso di lei con un sorrisetto ironico che fece imbestialire ancora di più Alex.
«Si dà il caso che la suddetta città sia custodita da tempo immemore dai Centauri»
Alex alzò un sopracciglio «e allora?» chiese divertita.
«E allora, è chiaro che non sai nulla su di loro altrimenti non avresti quel sorrisetto idiota stampato in faccia!» le disse sprezzante.
Alex fece la faccia offesa “ma come si permette!” pensò.
«Creature mitologiche metà uomo e metà cavallo, uhhhhh paura!» lo canzonò lei «Direi che ho affrontato di peggio, per esempio te» lo schernì duramente lei roteando gli occhi.
«Ah si certo» disse lui sorridendo strafottente «è evidente che tu conosci il raccontino scritto sui libri, molto brava» le disse facendole un applauso derisorio.
«Visto che sembri un esperto, spiegami» lo invitò lei con falsa cortesia.
Kanon si fece serio «I centauri sono creature oscure. Enormi e poderosi, abili nella lotta come pochi. Ma non è questo che ti deve far preoccupare: la loro forza è pari solo alla loro dissennatezza. Abituati agli eccessi, nel bene e nel male, agiscono per impulso quasi animale»
Alex rimase ammutolita, turbata non tanto per il senso delle sue parole ma piuttosto per l’espressione preoccupata con cui le pronunciò. Il fatto che Kanon potesse temere tanto quelle creature che per lei erano sempre state misconosciute la fece tentennare sulle sue certezze e prima che se ne rendesse conto il dubbio che il cavaliere potesse aver ragione sulla pericolosità di quegli esseri si era già impadronita di lei.
«Ah, inoltre, camminano sempre in branco» specificò lui accentuando il tono critico.
 «Questo Mur non me lo aveva detto» rispose lei gonfiando le guance indispettita.
«Beh, ora lo sai» disse beffardo lui «Vogliamo andare?» le chiese poi prostrandosi in un finto inchino e indicandole la strada.
Alex strinse i pugni furiosa e lo sorpassò camminando spedita.
«Questa è la volta buona che ci lasci le penne» le disse Kanon.
«Non vedo come potrebbe importarti visto che fino a qualche giorno fa ci stavi pensando tu stesso!» lo accusò acida continuando ad avanzare.
«Sono solo curioso di vedere cosa ci ucciderà. Se le tue amiche fanatiche e vendicative, o i centauri, o Aletheia o chissà quale altra diavoleria ci aspetta» riflettè ad alta voce lui.
Alex si voltò di scatto con gli occhi fiammeggianti «Se hai così paura allora torna indietro! Non ti ho chiesto io di venire quindi nessuno ti trattiene!»
Kanon rimase frastornato da quella improvvisa reazione.
“Eh no cara mia. Nemmeno io ho chiesto di accompagnarti, me lo hanno ordinato e purtroppo per te non posso contravvenire agli ordini” pensò.
«Ho una missione» specificò lui serio non ritenendo di doverle dare ulteriori spiegazioni.
«Ohhh, missione! Che parolone! Torna indietro è meglio. Tanto cosa cambia? Ormai ti dovresti essere abituato a fallire, mi sembra» disse lei fuori di sé.
Quelle parole furono un vero e proprio schiaffo al suo orgoglio. Per quanto fosse doloroso ammetterlo, era vero. Aveva sempre fallito. Aveva fallito quando doveva ottenere l’armatura. Aveva fallito perfino i suoi propositi malvagi. Aveva fallito con lei. L’intera serie di disfatte gli passò davanti agli occhi in rapida successione facendolo rimanere pietrificato davanti a lei. Nei suoi occhi blu come il mare si dipinse la consapevolezza della veridicità di quelle parole e non ebbe il coraggio di dire alcunché.
Alex non disse più nulla e si voltò proseguendo il suo cammino.
Kanon la seguì mesto e in silenzio, intenzionato nonostante tutto a non lasciarla da sola.
 
 
 
L’enorme salone dell’Olimpo brulicava di divinità, maggiori e non. I marmi bianchi della sala risplendevano quasi di luce propria creando un’atmosfera eterea.
Gli Dei erano divisi in piccoli gruppi intenti a parlare fra di loro della situazione attuale e in ognuno si udivano pareri discordanti.
«Mh, io sono convinta che dovremmo aspettare prima il giudizio di Aletheia» disse melliflua Aphrodite facendo ondeggiare i suoi lunghi riccioli biondi «In fondo erano questi i patti»
«Patti?!» intervenne Apollo furente nella sua splendente armatura dorata, accecante come il sole «Vi siete permessi di scendere a patti con dei deicidi tanto per cominciare! Quegli insolenti mortali si sono permessi di insultarmi uccidendo il mio oracolo prediletto!»
«Ma è proprio questo che dobbiamo accertare» rispose dolcemente la Dea della bellezza «La ragazza sostiene che è stato tutto un inganno perpetrato da Ares, solo Aletheia ci dirà se le sue parole dicono la verità»
«Sciocchezze! Mettete in dubbio la parola del mio celebrante, Eschilio, dando ascolto ai vaneggiamenti di una insulsa ragazza!» la accusò Apollo.
«Mio fratello ha ragione» intervenne Artemide «Quelle due inette…» disse la Dea disgustata «hanno tradito la mia fiducia! erano mie protette e hanno osato schierarsi dalla parte di quei due insetti blasfemi» disse iraconda.
«Eppure io sento che c’è qualcosa di strano in tutta questa faccenda» disse Ermes portandosi un dito sul mento.
«E cosa ci sarebbe di strano?» intervenne Ares avvicinandosi lentamente al gruppo facendo roteare nella mano una coppa di vino. Al suo fianco c’era Eris, tetra e macabra nel suo abito scuro.
«E proprio quello che vogliamo capire» rispose Ermes lanciando uno sguardo sospettoso in direzione del Dio della guerra.
«Lo trovo giusto» sorrise benevolo Ares «Lasciamo pure che la tua affascinante sacerdotessa raggiunga Aletheia, così che abbia modo di provare la sua onestà» disse in direzione di Artemide con un sorrisetto perfido stringendo un braccio attorno alla vita della sorella che, tuttavia, a quelle parole gli lanciò un’occhiata interdetta.
«Dovremmo quindi rimanere impassibili?» chiese sconcertata Artemide «questa poteva essere l’occasione per me e mio fratello di lavare quella terribile onta!»
«Ho parlato io stesso con nostro padre Zeus e anche lui è d’accordo nel lasciare che la ragazza chiarisca tutto» rispose Ares bevendo poi il contenuto del suo calice.
«A che gioco stai giocando?» intervenne nella discussione Julian, incarnazione di Poseidone, avvicinandosi alle spalle di Ares e brandendo nella mano destra il tridente, simbolo del suo potere.
Il Dio si voltò a guardarlo con una espressione innocente e stupita.
«Gioco? Nessun gioco, zio» sorrise «Ho solo a cuore che emerga la verità in modo tale da non avere rimpianti per le decisioni future» mentì.
«Sta molto attento» lo avvisò Julian fissandolo intensamente con i suoi occhi color del mare.
«Zio…» sorrise Ares prostrandosi in un mezzo inchino e congedandosi insieme alla sorella da tutti gli altri.
Non appena furono abbastanza distanti dagli altri Eris afferrò Ares per un braccio.
«Che stai facendo?» chiese preoccupata e irata «Se quella mocciosa raggiunge Aletheia e svela i nostri piani per noi è la fine!» protestò.
Ares ridacchiò accarezzandole maliziosamente il viso pallido.
«Sta tranquilla. Sono stato io a suggerire a nostra madre di inviarla lì» ammise lui.
«E perché mai?! Quella ragazza può esserci letale come una serpe velenosa, ho già perso la mia adorata Ate per colpa sua!» si lamentò la Dea.
«La sua morte non è stata vana» rispose Ares con un sorriso perfido «Fortunatamente per noi Ate ha compiuto il suo dovere rendendo l’anima di quella ragazzetta fragile come un filo d’erba» rise.
Eris parve capire le intenzioni del fratello e rise di rimando, sadica.
«Quindi lasciamo pure che giunga lì senza alcun impedimento. Non appena entrerà in quel pozzo, la prova di Aletheia la spezzerà in due come un rametto secco. Ne uscirà morta o come un vegetale. In fondo… solo chi affronta la prova con successo ottiene lo specchio della verità, quella poverina non ha alcuna speranza, senza quello specchio nessuna divinità le crederà e quindi fallirà la missione…inoltre al contempo ce ne sbarazzeremo per sempre» socchiuse gli occhi assaporando la perfezione del suo stesso piano.
«Mi piace questa tua perfidia» lo adulò lei accarezzandogli il petto marmoreo «Però… senza risposte… molti Dei continueranno a dubitare di te» disse poi tornando a preoccuparsi.
Ares rise malignamente.
«E’ proprio quello che voglio… Caos…»
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 Cap 21 – Rimorsi
Il primo giorno di cammino volgeva ormai al termine. Il sole era prossimo a scomparire dietro la cresta di monti in lontananza creando riflessi rossi e arancio nel cielo terso.
Alex e Kanon non si erano più rivolti la parola, fatta eccezione per qualche commento strettamente inerente al viaggio.
Grazie alle conoscenze della ragazza riuscirono a oltrepassare gran parte del territorio antistante la foresta di Parnitha senza incrociare le sacerdotesse di Artemide. Nonostante Alex sembrasse conoscere a menadito le strategie di caccia delle sue compagne, Kanon non era del tutto sicuro che il loro passare inosservati fosse imputabile solo all’abilità della ragazza. Ciononostante era decisamente sollevato del fatto di non aver dovuto ingaggiare alcuno scontro fino ad ora.
Alex dal canto suo non si riteneva ancora fuori pericolo: avevano da percorrere ancora qualche chilometro per uscire dai territori battuti dalle sue compagne e aveva tutta l’intenzione di volersi allontanare da lì il prima possibile. Nonostante la sua fretta non riuscì a celare la sua malinconia nel passare così vicina alla sua casa, dove aveva trascorso diversi anni, con la consapevolezza di non poterci tornare.
Kanon si era subito accorto del suo cambiamento di umore e, guardando anche lui in direzione della fitta foresta in lontananza, non era riuscito a trattenere un commento sarcastico.
«Che mai ci troverai in quel posto» aveva commentato contrariato.
Alex, naturalmente, non si era degnata di dargli una risposta, era troppo arrabbiata con lui e in ogni caso non si aspettava che un uomo come lui potesse capire ciò che provava.
Non avrebbe capito il senso di pace che aveva provato negli anni trascorsi tra quei boschi. Il calore di sentirsi protetti, al sicuro, lì lontana dal mondo e dall’ingiustizia che lo governava, lontana dagli uomini e dalla loro malvagità.
Ma in fondo che poteva saperne lui di attaccamento? Lui che aveva tradito il suo stesso sangue, i suoi compagni, la sua Dea, i suoi stessi principi.
Un brivido le attraversò la schiena.
“E pensare che tu, proprio tu, eri l’unica cosa che ogni giorno mi faceva voltare indietro” pensò amaramente.
Si diede della sciocca per aver provato qualcosa per quell’uomo che solo pochi giorni prima le aveva causato tanto dolore. Dentro di sé non riusciva ancora a capire come avesse potuto fargli una cosa simile. Credeva di conoscerlo, credeva che nonostante il suo carattere, nonostante le sue azioni malvage, mai al mondo avrebbe potuto fare del male a lei. Ma si sbagliava, era evidente.
Ricacciò con forza qualsivoglia emozione: non avrebbe mai più permesso ai suoi sentimenti di farle abbassare la guardia come era accaduto quella notte, diversi anni fa.
Quando aveva lasciato il Grande Tempio si era ripromessa che mai nessuno le avrebbe più fatto del male, che non sarebbe mai stata debole. Soffocò a stento il ricordo di quella notte che si faceva largo prepotentemente dentro di lei. Per la seconda volta Kanon era stato la sua debolezza, ma non sarebbe mai più successo.
«Ormai è quasi buio. Dovremmo accamparci» la voce di Kanon giunse fastidiosa alle sue orecchie.
Un po’ per convinzione un po’ perché era molto infastidita da lui e dal suo atteggiamento, complice anche i suoi pensieri di pocanzi, gli si rivolse con molta alterigia.
«Andremo avanti. Abbiamo ancora qualche ora di cammino prima che cali la notte»
Kanon la guardò con aria di sufficienza.
«Qui sei tu l’esperta…» iniziò a dire con il tono di voce decisamente sarcastico quasi ad annunciare la ramanzina che stava per farle «tuttavia, ritengo che nella situazione in cui siamo sia sconsigliabile fermarci a riposare allo scoperto. Quindi, sarebbe il caso di accamparci in quella piccola radura poco distante, lontano dagli occhi delle sentinelle di Artemide, invece che avventurarci ancora esponendoci al pericolo visto che non c’è un altro riparo funzionale come quello per miglia e miglia. Però decidi tu» sottolineo sardonico l’ultima affermazione. L’analisi di Kanon era maledettamente corretta e l’ovvietà con cui la espose fece infervorare ancora di più Alex che tuttavia si forzò di non controbattere, consapevole di non poter obiettare.
In ogni caso la ragazza non aveva la benché minima intenzione di dargli apertamente ragione, così senza dire una parola si diresse spedita verso il boschetto indicato da lui.
Kanon gongolò trionfante mentre un sorrisetto soddisfatto gli si stampava in viso.

Quando raggiunsero la radura il sole era ormai scomparso del tutto e rimaneva ancora qualche minuto di luce prima che il buio della notte oscurasse il cielo.
«Vado a cercare della legna per il fuoco» disse lei una volta giunti a destinazione, il suo tono forzatamente apatico mal celava l’astio che provava nei suoi confronti.
«Lascia stare, vado io, tu riposati» rispose Kanon anticipandola e addentrandosi per primo all’interno del boschetto.
“Cerca anche di fare il galante adesso”
Poco male, pensò lei, in effetti tutto quel camminare l’aveva stremata. Lasciò quindi che fosse Kanon a pensare alla legna e si accomodò su di una grande roccia, fortunatamente liscia e priva di spuntoni.
Si tolse dalla spalla faretra ed arco che si premurò di poggiare accanto a lei, non troppo distanti, in modo tale da averli a portata di mano in caso di improvvisa necessità.
Per fortuna il caldo si era notevolmente affievolito con il calare della sera e un leggero venticello fresco iniziò a spirare facendo frusciare il fogliame degli alberi tutt’intorno.
Rimase per diversi minuti a deliziarsi di quella gradevole frescura ad occhi chiusi prima di slacciarsi i sandali alla schiava che indossava per massaggiarsi stancamente i piedi doloranti.
Kanon fece più rapidamente di quanto si aspettasse e in men che non si dica fu di ritorno con un mucchio di legna secca fra le braccia. Senza proferire parola, accese poco distante da lei un caldo fuoco scoppiettante.
Lo vide frugare attentamente nella bisaccia datagli da Mur quella mattina e senza volerlo il suo sguardo si soffermò un po’ troppo sui glutei sodi del cavaliere messi in bella mostra dalla posizione accovacciata da lui assunta.
“Che stai facendo? Distogli immediatamente lo sguardo!” si rimproverò mentalmente lei.
«Che hai da fissare?» le chiese lui continuando ad armeggiare, senza nemmeno girarsi a guardarla.
Quella domanda le arrivò alle orecchie come uno schiaffo in faccia. Come diamine aveva fatto ad accorgersi del suo sguardo? Si chiese lei voltandosi rapidamente dall’altra parte, cercando di celare l’imbarazzo.
«Niente, guardavo che stavi combinando» mentì lei sforzandosi di apparire distaccata.
Kanon non insistette, si voltò e le lanciò un piccolo pacchetto che la ragazza, colta di sorpresa, riuscì per pura fortuna ad afferrare prima che cadesse.
«La cena» annunciò laconico lui sedendosi per terra tenendo fra le mani un pacchetto identico.
Alex slegò con cautela lo spago che teneva chiuso il fazzoletto di stoffa e il suo stomaco brontolò affamato alla vista della focaccia farcita che teneva tra le mani.
Non avevano mangiato granché durante il tragitto e la fame iniziava a farsi sentire.
Addentò con appetito la sua cena assaporandola attentamente per buona pace delle sue papille gustative. Lo sguardo si rivolse di nuovo verso Kanon che dal canto suo aveva già ingurgitato tutto il pasto e ora teneva tra le mani un otre ricolmo di acqua.
Si affrettò ad aprirlo e gettando indietro la testa bevve avidamente il contenuto con così tanta foga che alcune gocce sfuggirono dalle sue labbra e gocciolando lungo il suo collo finirono per bagnargli la maglia di lino azzurro che indossava.
Alex masticò lentamente il boccone e senza volerlo i suoi occhi verdi si soffermarono un po’ troppo a fissarlo.
Finito di bere Kanon si asciugò il viso con il dorso della mano e solo allora notò lo sguardo insistente di lei. Inarcò un sopracciglio guardandola indeciso.
«Hai sete?» le chiese storcendo le labbra in una smorfia di curiosità.
Alex si riprese da quella apparente catalessi e annuì. In verità non aveva molta sete, ma doveva giustificare in qualche modo il suo sguardo altrimenti equivoco, no?
«Si, grazie» gli rispose posando la focaccia ai suoi piedi pronta, stavolta, a prendere al volo l’otre.
Tuttavia Kanon non glielo lanciò, alzandosi invece da terra si diresse verso di lei intenzionato a porgerglielo con le sue mani.
Alex non si aspettava quel gesto, se vogliamo, di cortesia, comunque raccolse il recipiente dalle sue mani senza batter ciglio e inarcando la testa iniziò a bere il liquido. Quella posizione tuttavia dava una splendida visione del suo decolté al cavaliere che guardandola dall’altro godeva di un’ottima visuale dei suoi seni tondi stretti nell’abito.
Per quanto sapesse che non era il caso di indugiare troppo a fissare il corpo di lei, per paura della reazione che quella vista poteva causargli, Kanon non fu in grado di distogliere lo sguardo tanto in fretta come avrebbe voluto.
Alex accorse dello sguardo insistente di lui e con stizza, finito di bere, restituì la borraccia a Kanon.
«Smettila di guardarmi così» lo rimproverò poi duramente, portandosi i lunghi capelli in avanti al petto per coprire la scollatura.
Il cavaliere si morse le labbra maledicendosi mentalmente per essersi messo nelle condizioni di meritare quel rimprovero. Ciononostante il tono stizzito della ragazza lo fece arrabbiare: in fondo la stava solo guardando, non è che le era saltato addosso. Pensò lui giustificandosi.
“Stavolta…” corresse il tiro la sua coscienza.
«La smetti di essere così prevenuta nei miei confronti?» le rispose quindi indignato.
«Prevenuta?» chiese lei spalancando gli occhi in un misto di incredulità e sdegno «Visto quanto successo di recente, direi che non sono affatto prevenuta, Kanon» scandì acida.
Kanon si voltò spazientito.
“Ok, hai ragione… però…”
«Non ne hai motivo te lo assicuro» le disse serio «Non sono lo stesso di quella sera»
La risata isterica di Alexandra interruppe bruscamente il suo discorso.
«E questo cosa vorrebbe dire? Sei cambiato così? Pouf! All’improvviso?» rise lei al limite dell’ironia.
“Mi credi così ingenua?” pensò lei risentita.
Kanon si alterò non poco a vederla ridere di lui in quel modo.
«Non ero me stesso, d’accordo?» provò a spiegare lui, alterandosi, ma Alex non gliene diede la possibilità.
«Non eri te stesso» ripeté lei soppesando le sue parole, il suo tono cambiò improvvisamente, facendosi grave «Kanon, tu hai tentato… di..» la sua stessa affermazione le morì in gola, incapace anche solo di dirla mentre il suo sorrisetto di scherno scomparve con la stessa velocità con cui era apparso.
Un brivido di terrore le attraversò il corpo mentre le immagini di quella sera le tornavano alla mente, ma la stessa paura si mescolò ben presto alla rabbia.
Kanon nel vederla cambiare così repentinamente espressione, provò un profondo senso di disagio capendo che non presagiva nulla di buono per lui. Sapeva bene che ciò che gli aveva fatto Ate non giustificava le sue azioni, ciononostante non riusciva più a tenersi dentro la verità su quanto era successo.
“In fondo perché dovrei passare per quello che non sono?” pensò.
“Smettila di fare il santo quado sai bene di non esserlo, forse non saresti arrivato a tanto ma Ate non ha fatto altro che assecondare i tuoi desideri” lo rimproverò la sua coscienza.
Magari era vero, in fondo provava realmente tutto quell’odio, quel rancore e  quella gelosia che gli causava un insano desiderio di averla tutta per sé. Scosse la testa rigettando con forza quella teoria.
“No, io non sono quel mostro” si disse.
Non importava cosa avesse pensato di lui, se gli avrebbe creduto o meno. Lei doveva sapere.
«Lasciami spiegare, per favore» si sforzò di apparire calmo.
Alex gettò gli occhi al cielo, dandogli l’impressione di non avere alcuna intenzione di starlo a sentire, tuttavia Kanon non demorse.
 «Quella sera un’entità malvagia ha preso il controllo delle mie azioni…»  disse sperando in cuor suo che le sue parole riuscissero almeno ad affievolire il rancore di lei.
Alex balzò in piedi in uno scatto e si allontanò da lui, scuotendo il capo contrariata.
Le sue spiegazioni le scivolarono addosso come acqua. In quel momento, la rabbia e anche la paura che provava nel ricordarsi di quella sera non le permettevano di pensare lucidamente.
«Maledizione vuoi stare a sentirmi? Lo capisci? non ero io!» continuò lui esasperato.
Alex lo guardò per un istante negli occhi. No, non voleva sentire scuse. Non c’erano giustificazioni per quello che aveva osato farle. Si voltò dandogli le spalle e facendo per andarsene, ma con un gesto rapido Kanon le afferrò il braccio, bloccandola.
«Non avrei mai potuto farti del male…devi credermi» le disse supplichevole.
«Non toccarmi!» Alex si voltò di scatto, liberandosi dalla sua presa con uno strattone colmo di rabbia. I suoi occhi erano divenuti lucidi, segno che le lacrime stavano spingendo per venire fuori, e come fossero due pozze d’acqua trasparente lasciavano intravedere ogni sua emozione al cavaliere di Gemini.
«Non devi mai più toccarmi!» scandì lei minacciosa facendo un passo indietro.
“Stammi lontano” pensò mentre sentiva la sua anima sgretolarsi.
Kanon rimase pietrificato dalla sua reazione e lei ne approfittò per voltarsi nuovamente ed andare via.
In un istante Kanon si lanciò verso di lei e la afferrò alle spalle, tenendole le braccia incrociate sul petto per bloccare i suoi movimenti. Le sue braccia avvolsero il corpo esile di lei come in un forzoso abbraccio. Non c’era intenzione di farle del male, solo la voglia di tenerla a sé, per impedirle di andare via. Tuttavia la ragazza, vedendosi bloccata, iniziò a divincolarsi convulsamente, dimenandosi e scalciando senza sosta.
«Lasciami!» gli ordinò esasperata.
“Non posso” pensò lui stringendola con più forza tra le braccia.
«Alex, calmati! Aspetta!» la trattenne lui cercando di tenerla ferma «Devi ascoltarmi!»
La ragazza scosse il capo e per tutta risposta Kanon la voltò di peso costringendola a guardarlo. Le sue braccia si strinsero attorno alla vita di lei per tenerla saldamente bloccata, ma Alex non ne voleva sapere di calmarsi e continuava ad agitarsi tentando di sgusciare via come un’anguilla.
«Dannazione! Guardami!» la implorò «Tu sai che non ti sto mentendo! Sai che non avrei mai potuto farti del male! Mi conosci!» le urlò guardandola negli occhi.
I suoi occhi blu la trafissero come due lame, andando ad inchiodarsi dritti nel suo cuore.
In quel momento ogni fibra del suo essere avrebbe voluto credere alle parole di Kanon, ma il dolore che aveva provato e che continuava a provare non le consentiva di accettarlo.
«Lo credevo» rispose lei con espressione delusa ed amareggiata mentre una lacrima fuggiva via dai suoi occhi «Credevo di conoscerti. Ma ora…no… non lo so più, l’uomo che ho davanti non è più lo stesso che conoscevo. Hai fatto del male a tante, troppe persone…»
Lo sguardo di Alex era così carico di disapprovazione e delusione che gli fece male al cuore. Sciogliendosi in un sospiro affranto, Kanon allentò la presa, lasciandola andare.
«Hai ragione» ammise a voce bassa con un sorriso carico di amarezza.
Alex ebbe una stretta allo stomaco.
 «Ho fatto del male a tanti, persino e soprattutto al mio stesso fratello… e mentirei se ora dicessi che non l’ho fatto intenzionalmente. Sapevo ciò che facevo e volevo farlo» disse carico di rancore, stringendo i pugni e tenendo lo sguardo basso.
La ragazza riuscì a percepire il rimorso nella sua voce e ne rimase sconvolta. Nel profondo della sua anima sentì un inspiegabile moto di compassione nei suoi confronti.
«Ma ti giuro…» i suoi occhi affondarono di nuovo in quelli di lei «non avrei mai potuto fare del male a te»
Gli occhi blu del cavaliere brillarono del riflesso del fuoco e alla ragazza ebbe l’impressione di vederli lucidi.
Alex era visibilmente confusa da quelle parole, da quel suo tono così dolce e dannatamente diverso da quello a cui era abituata, da quel suo sguardo sincero.
«Anche se fosse vero ciò che dici… io non…non so se…vorrei che fosse diverso ma…» farfugliò la ragazza non sapendo nemmeno lei cosa dire o cosa pensare.
«Non lo pretendo» la interruppe lui intuendo ciò che la bloccava «non pretendo il tuo perdono o la tua comprensione. Ma non potevo sopportare che mi credessi tanto spietato da farti intenzionalmente una cosa simile. Meritavi di sapere la verità, anche se non cambia ciò che ho fatto»
Alex affondò i suoi occhi verdi in quelli blu profondi del cavaliere. La rabbia si era ormai placata e lei poté finalmente analizzare con raziocinio i fatti, meravigliandosi di quanto ora tutto le sembrasse così ovvio. Improvvisamente si ricordò delle parole di Mur, di come l’amico aveva tentato di spiegarle la situazione senza poi riuscirci per colpa del susseguirsi incessante degli eventi successivi. Lei non aveva nemmeno cercato di indagare sulla faccenda, era così arrabbiata per quello che Kanon le aveva fatto che non aveva neanche voluto sapere di una versione alternativa. Nella sua mente c’era solo lui con i suoi occhi indemoniati e folli che tentava ora di violentarla, ora di ucciderla. Tuttavia adesso l’evidenza dell’accaduto le balzava dinnanzi agli occhi con una ferocia quasi brutale. Se Kanon era stato posseduto davvero, ciò che era successo non era totalmente colpa sua. Certo aveva comunque una parte di responsabilità ma il pensiero che non avesse avuto realmente intenzione di farle del male ora la assillava, facendo crollare come un castello di carte ogni certezza costruita fino a quel momento. Quella creatura diabolica lo aveva manipolato, lo aveva plagiato per colpire lei. Il senso di colpa per non essere riuscita a capire da sola quanto era accaduto la fece stare male.
“Perché non me lo ha detto subito?” pensò lei confusa.
Inoltre, tutti sembravano sapere cos’era realmente accaduto, perché allora Saga non aveva detto nulla? Lui, al contrario degli altri, aveva avuto più di un’occasione per farlo.
Non riusciva a comprendere il comportamento del gemello, che avesse taciuto di proposito? Ma perché?
Tuttavia ora non aveva importanza tutto ciò, adesso c’erano solo loro due, ognuno con i rispettivi sensi di colpa. Il turbinio di pensieri in cui venne risucchiata si dissolse quando posò di nuovo lo sguardo sul cavaliere.
«Kanon io…» la voce le uscì fievole, quasi come un bisbiglio. Paradossalmente le parti si erano invertite: ora era lei che si sentiva tremendamente in colpa per averlo accusato ingiustamente.
«Non importa» la liquidò lui ricacciando qualsivoglia sentimento nel buio della sua anima, così com’era sempre stato abituato a fare. Non voleva la sua compassione, non la meritava. Ma avrebbe guadagnato il suo perdono, a qualsiasi costo.
«Domani ci mettiamo in cammino presto… cerca di dormire, rimango io di guardia»
Senza dire altro si allontanò da lei, andandosi a sedere su di un tronco caduto poco distante.
Alex non disse nulla né provò a fermarlo. Rimase lì, immobile, a fissarlo per diversi minuti con lo sguardo adombrato.
“A quanto pare siamo bravi solo a farci del male…” pensò amaramente mentre le lacrime traboccavano senza freno dai suoi occhi, libere finalmente di uscire.
Nessuno dei due chiuse occhio quella notte.


Saga passeggiava nervosamente avanti e indietro per la grande sala del trono. La lunga veste scura frusciava ad ogni passo e l’eco del tintinnio dei monili che indossava echeggiava rumoroso nel silenzio di quella sera.
Erano passate diverse ore da quando Alex e Kanon erano partiti, ormai la notte era calata sul primo giorno e Saga non poteva fare a meno di pensare insistentemente a loro.
Era molto preoccupato per le sorti dei due, conscio della pericolosità di quella missione. Si chiedeva dove erano giunti, se stessero bene, se qualche nemico li avesse colti di sorpresa. Ogni minuto che passava doveva lottare con se stesso e con la tentazione di lasciare il Santuario per corrergli dietro.
Non poteva farlo, naturalmente, i suoi doveri di Grande Sacerdote e le sue responsabilità nei confronti dell’intero Santuario glielo impedivano. Ciononostante l’ansia lo stava logorando. Oltre al pericolo della missione era anche preoccupato per quanto era successo giorni addietro con Kanon. Alex era decisamente furiosa con lui e naturalmente non poteva che darle ragione, in fondo il fratello le aveva fatto una cosa orribile, senza contare che la ragazza non aveva avuto modo di conoscere la verità su quanto accaduto.
“Dovevi dirglielo” si rimproverò.
Una parte di lui sapeva che era giusto avvertirla, magari avrebbe cambiato le cose.
“No, in fondo Kanon ha sbagliato, è giusto che raccolga le conseguenze di ciò che ha fatto” pensò
L’altra parte di lui, che aveva chiaramente preso il sopravvento, decise egoisticamente di tacere sulla questione. Saga sapeva benissimo che Alex continuava a provare qualcosa per lui e quel pensiero lo tormentava più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Teneva a lei in un modo spropositato, lo aveva sempre fatto, fin da ragazzi. A malincuore aveva sempre deciso di mettersi in disparte, non volendo mettersi tra i due perché, lo sapeva, anche Kanon era follemente innamorato di lei sebbene non avesse mai avuto il coraggio di confessarglielo.
Ma ora le cose erano diverse: da quando aveva visto il fratello tentare di abusare di lei e di ucciderla, qualcosa era scattato in lui. L’irrefrenabile istinto di proteggerla abbatté con forza ogni suo scrupolo. Già una volta aveva permesso che le mancanze di Kanon gliela facessero perdere, non voleva che capitasse di nuovo.
Il ricordo di quella notte orribile gli balenò davanti gli occhi, trascinando con sé tutto il senso di impotenza, di rabbia, di tristezza che aveva provato quel giorno.

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Nonostante fosse giugno inoltrato, quella sera era insolitamente fredda. Spirava un leggero vento che nonostante la sua blanda forza era reso fastidioso dalla temperatura bassa.
Saga passeggiava distrattamente su e giù per la collina adiacente all’arena dei duelli, scansando gli arbusti e le erbacce che qui e lì intralciavano il suo cammino.
Cera un silenzio inusuale nell’aria, complice l’ora tarda. Era completamente solo in quei luoghi, quella sera era stata data una festa per inaugurare l’inizio dei tornei per le investiture e tutte le reclute aspiranti al titolo di cavaliere si erano riunite per fare baldoria.
Nonostante le insistenze di Alex e Deianira, li era rimasto ben poco lì con gli altri a festeggiare, giusto il tempo di bere qualcosa in compagnia e poi si era isolato dal gruppo. Tra due giorni avrebbe dovuto lottare per l’investitura, era ciò che aspettava da tutta una vita e l’ansia e la preoccupazione avevano scacciato qualsivoglia intento di festeggiare.
“Festeggiare cosa poi?” Pensò sarcastico. “Tre quarti dei presenti non riusciranno ad ottenere l’investitura e avranno buttato gran parte della loro vita ad allenarsi inutilmente. Ci vedo poco da festeggiare”
Naturalmente era il solo a pensarla così. Tutti gli altri erano stati ben felici di svagarsi un po’ prima del grande giorno ma lui no, lui era sempre stato concentrato sul suo obbiettivo. In modo quasi psicotico, lo accusava sempre Kanon.
Saga fece una smorfia. Kanon faceva tanto il distaccato, ma lui desiderava l’investitura almeno quanto lui. In ogni caso non che Kanon amasse più di lui partecipare a quei patetici eventi, anzi era sempre il primo a fuggire quando gli altri ragazzi li invitavano a seguirli per fare qualche bravata. Tuttavia, come sempre accadeva, anche in quella occasione si fece trascinare dalle insistenze di Deianira. Come se non bastasse, anche Alexandra aveva insistito perché Kanon partecipasse ai festeggiamenti, probabilmente lo aveva visto troppo teso per quello che lo aspettava e aveva deciso che doveva svagarsi e ripulire la mente da ogni preoccupazione.
Saga sorrise. Alex si era sempre comportata così nei confronti del fratello. Sempre a preoccuparsi per lui. Non che con lui non facesse lo stesso, ma contrariamente che con Kanon, Alex non aveva granché motivo di farlo, visto lui era sempre molto concentrato e attento.
Kanon invece, beh, lui era diverso. Non che si impegnasse duramente agli allenamenti e in generale a svolgere i suoi doveri, tuttavia era come se agisse sempre con la paura di qualcosa che nemmeno lui era riuscito mai a capire.
Saga non mancava mai di rimproverarlo per il suo atteggiamento e Alex dal canto suo si limitava a dargli ragione quando Kanon era lì davanti. Ciononostante, non appena Kanon si allontanava, lei si schierava dalla sua parte rimproverandogli di essere troppo duro con lui e di non capire il senso di inadeguatezza che provava standogli vicino.
“Inadeguatezza? mah…” Saga non riusciva a capire. Aveva sempre considerato Kanon al suo livello, perché mai si sarebbe dovuto sentire inferiore?
Aveva più volte pensato che e parole di Alex fossero dovute solo ai suoi sentimenti per il fratello che non ai fatti in sé. Del resto quei due erano innamorati perdutamente, tuttavia non capiva come mai era il solo ad accorgersene.
Entrambi negavano spudoratamente qualsiasi coinvolgimento sentimentale e sebbene sapesse che la verità era ben altra, non riusciva a non essere contento pensando all’eventualità di essersi sbagliato.
Anche lui, come il fratello, provava qualcosa di molto forte nei  confronti della ragazza e nonostante lei non avesse mai sospettato nulla per lui era molto di più che semplice affetto e amicizia.
Tuttavia Saga era diverso, allora aveva ben altre priorità. Ottenere l’armatura dei Gemelli, diventare un cavaliere d’oro sempre più forte e potente fino a diventare un cavaliere temuto e rispettato in tutta la Grecia, e magari anche qualcosa di più. Quello si che era il suo vero sogno. Gli occhi gli brillavano al solo pensiero.
Avrebbe dato tutto se stesso per riuscire in quell’intento. Dopotutto lei avrebbe continuato ad essere lì con lui e un giorno, chissà, magari le cose sarebbero cambiate tra di loro. Per adesso, comunque, i suoi pensieri erano rivolti ad altro.
Senza rendersene conto si era già fatto molto tardi. Sicuramente i festeggiamenti stavano proseguendo e lo avrebbero fatto per chissà quanto ancora. Ma non per lui, no, niente come una sana dormita poteva prepararlo al meglio a ciò che lo attendeva. Con questo pensiero si incamminò verso gli alloggi maschili destinati alle reclute.
Mentre camminava spedito dall’ombra, dinnanzi a sé, scorse una figura camminare verso di lui lentamente.
A causa del buio non riuscì a capire chi fosse. Camminava in modo strano, quasi trascinandosi.
”Sarà qualche allievo che ha bevuto qualche bicchiere di troppo” pensò facendo una smorfia di disgusto.
Man mano che avanzava la figura si faceva sempre più chiara rivelando agli occhi del cavaliere un corpo esile e sinuoso. Era una ragazza.
La fioca luce della luna rifletté sulla maschera argentea che indossava.
“Una sacerdotessa? Che ci fa qui vicino agli alloggi maschili?”
Forse due ragazzi avevano pensato bene di appartarsi per scambiarsi effusioni amorose, pensò.
“Quanta poca serietà…” si disse facendo una smorfia, indignato.
La sua espressione mutò in pochi secondi, non appena riconobbe quella figura.
“Alex” sgranò gli occhi nel constatare che era davvero lei. 
La ragazza avanzava barcollando verso di lui. Saga gettò lo sguardo su di lei, notando solo in quel momento che aveva i vestiti laceri e strappati in più punti.
Non riuscendo più ad avanzare Alex cadde sulle ginocchia, esausta, ma prima che potesse accasciarsi al suolo con un movimento rapido Saga le fu vicino reggendola con un braccio.
«Oddio! Alex! Alex ma cosa..?» le disse preoccupato vedendola ridotta in quello stato.
«S-Saga...» rispose a fatica lei con la voce rotta dai singhiozzi, mentre calde lacrime scorrevano dietro la maschera finendo la loro corsa sui vestiti logori.
Senza riuscire a dire altro, svenne improvvisamente tra le braccia del ragazzo, stremata.
«Alex!» la chiamò lui scuotendola preoccupato.
Gli occhi blu di lui vagarono nervosamente sulla sua figura snella, soffermandosi sui punti lasciati nudi dai vestiti squarciati. I suoi abiti da sacerdotessa erano ridotti in brandelli lasciando intravedere tutta la sua nudità.
Solo in quel momento, guardandola meglio, notò che la maschera era macchiata da qualche schizzo di sangue ma lei, almeno all’apparenza, non era ferita. Di chi era allora quel sangue? Si chiese ansioso.
Ma non poteva preoccuparsene in quel momento. Doveva portarla al sicuro, aveva bisogno di cure.
Senza indugiare un altro istante, fece per sollevarla con le braccia per portarla via. Per prenderla al meglio la sua mano scivolò involontariamente tra le sue gambe ma non se ne curò, almeno fino a quando non sentì qualcosa di viscoso imbrattarlo.
Afferrò meglio Alex, tenendola saldamente in braccio, sicché poté scrutare attentamente la mano. Quando intuì cosa era quel liquido i suoi occhi strabuzzarono.
“Sei ferita… ma…” non appena realizzò da dove provenisse quel sangue rimase pietrificato e sbiancò di colpo.
«No…»

********************************************************************
Strinse i pugni, mentre quel ricordo gli lacerava l’anima.
«Alex...mi dispiace» sussurrò distrutto.
Calde lacrime bagnarono il viso di Saga.
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Offline Pandora

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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #9 il: 29 Settembre, 2017, 22:59:24 pm »
 Cap 22 – Incontri
Il cielo iniziava a rischiararsi della luce del giorno. Sebbene il sole non fosse ancora sorto, dietro le montagne in lontananza lanciava già i primi raggi rossastri, annunciando il suo arrivo imminente.
Gli uccelli iniziarono a cinguettare soddisfatti salutando il mattino mentre i loro versi si estendevano echeggiando per tutta la radura.
Alexandra non era riuscita a dormire quella notte, se non qualche minuto che era crollata per la stanchezza. Tuttavia, ogni qualvolta chiudeva gli occhi, immagini, ricordi, rimorsi la tormentavano fino a farla svegliare.
Nemmeno Kanon d’altro canto aveva riposato, impegnato com’era a rimanere di guardia, vigile nel caso si presentasse qualche pericolo.
Lei lo aveva osservato a lungo quella notte, senza farsi scoprire naturalmente. Era rimasto a sorvegliare il loro piccolo accampamento con diligenza tutto il tempo. Faceva i suoi giri di ronda, poi tornava a e si metteva seduto rimanendo da solo con i suoi pensieri.
Avrebbe potuto fare la guardia insieme a lui, dargli il cambio magari, visto che nemmeno lei aveva avuto modo di dormire, ma dopo quanto successo non trovava il coraggio di rivolgergli nuovamente la parola, non sapeva cosa dirgli e non voleva ritrovarsi in un silenzio imbarazzante con lui.
Si alzò nervosamente dal piccolo giaciglio che si era creata con alcune coperte gettate scomposte per terra e constatò che Kanon non era lì con lei. Probabilmente stava facendo l’ennesimo giro di controllo.
Sospirò sollevata mentre si guardava intorno per accertarsi di essere effettivamente da sola.
La nottataccia l’aveva destabilizzata non poco e sentiva il bisogno di sfogare tutti quei sentimenti che aveva tenuto repressi dentro di lei.
Si allontanò in fretta dal campo, prima che il cavaliere tornasse, addentrandosi nel boschetto. Gli alberi alti facevano filtrare poca luce dalle loro fitte fronde, creando un’atmosfera rilassante.
Aveva voglia di allenarsi, voglia di scaricare tutta la tensione accumulata quella notte e il modo migliore che conosceva era quello di esercitarsi nella lotta corpo a corpo.
Si fermò in un piccolo slargo circolare, ritenendolo il posto più indicato al suo scopo.
Respirò a pieni polmoni quell’aria frizzante del mattino e un brivido adrenalinico le attraversò il corpo. Si ricordò degli anni passati a Parnitha: anche allora era solita allenarsi di buon mattino, quando ancora tutte le altre sacerdotesse erano tra le braccia di Morfeo, distrutte per gli estenuanti allenamenti a cui erano sottoposte. Ma lei no, lei amava allenarsi in solitaria, senza essere disturbata, quindi si alzava sempre di buon mattino approfittando di quei momenti di calma e solitudine.
Senza perder tempo si avvicinò ad un albero, il più massiccio fra i tanti che attorniavano lo spiazzo, e si mise prontamente in posizione di guardia. Si caricò di tutte le emozioni, della rabbia, del senso di colpa, facendole scorrere dentro di sé come un fiume in piena. Iniziò a tirare pugni contro la dura corteccia dell’albero, dapprima piano, assestando duramente i colpi contro il legno, poi sempre più rapidamente e con maggiore potenza man mano che le emozioni crescevano forti dentro di lei.
Ben presto ai pugni ben assestati si unirono calci e pirolette, simulando una vera lotta.
I ricordi si accavallavano nella sua mente, spronandola a colpire più forte per scacciarli. Kanon, Saga, Deianira, Athena, Mur, Milo, Ioria. Tutti i loro volti scorrevano veloci davanti ai suoi occhi accompagnati da un turbinio di emozioni diverse.
Si fermò per riprendere fiato, rimanendo accovacciata su un ginocchio e ansimando pesantemente per lo sforzo.
Perché il destino era stato così crudele con lei? si ritrovò a chiedersi per l’ennesima volta da quando tutto era iniziato. Aveva trovato la sua pace a Parnitha e ora aveva perso tutto, per un assurdo scherzo del fato, si ritrovava catapultata di nuovo nel suo passato.
“Oh Dei, mi state forse punendo per quanto accaduto anni fa?” si chiese.
No, non poteva accettarlo. Avrebbe riavuto la sua vita, a qualsiasi costo.
Si rialzò con più grinta, con più rabbia, riprese a lottare contro quel nemico immaginario che era la sua frustrazione.
Il cosmo di Alexandra iniziò ad ardere con potenza, creando tutt’intorno una splendente aura smeraldo.
Calci, pugni, balzava da un punto all’altro dispensando lotta con ogni albero con foga sempre crescente, finché i suoi colpi non iniziarono a frantumarne la corteccia.
La sua foga divenne ceca rabbia, sicché ingaggiava battaglia con ogni cosa si trovasse di fronte, alberi o massi, tutto cedeva contro i suoi colpi.
Lottava come se fosse circondata da un nuvolo di nemici, girando su se stessa e colpendo alla cieca, fin quando l’ennesimo suo pugno venne improvvisamente bloccato.
«Se continui così ci farai senz’altro scoprire» la rimproverò una voce fin troppo familiare.
Si ritrovò Kanon di fronte. Aveva parato il colpo che lei aveva involontariamente diretto verso viso del cavaliere. Il cavaliere le tenne il pugno stretto nella mano alcuni istanti per poi scostarlo dalla traiettoria cosicché i due potessero guardarsi negli occhi.
Kanon la guardava con uno sguardo indecifrabile e serio.
«Mi stavo solo allenando» si giustificò lei, glaciale, ritraendo il pugno e facendo affievolire lentamente il suo cosmo.
Il cavaliere di Gemini si guardò attorno, osservando attentamente la distruzione tutt’intorno e un sorrisetto divertito si stampò sul suo volto.
«Vedo» le disse «Sei diventata molto forte» constatò mentre lei assumeva un’espressione altezzosa.
“Tsé, non sarai mica sorpreso?” pensò stizzita.
«Ciononostante, ci metti troppa rabbia» la rimproverò poi, tornando serio, senza darle il tempo di ribattere.
Alex alzò un sopracciglio «Troppa rabbia?» ripeté scandendo bene la domanda.
«Si. Ti lasci sopraffare dalle emozioni, non ti concentri sul vero obbiettivo. In battaglia una cosa del genere può esserti fatale» affermò con tono autoritario, come un maestro che si rivolge ad una allieva ancora principiante.
Alex ci pensò su per qualche istante e schioccò le labbra «Ma senti da che pulpito viene la predica»
Kanon sorrise distogliendo lo sguardo da lei.
«Saga mi rimproverava la stessa cosa…» ammise.
Alex si sciolse in un sorriso malinconico. Ricordava bene le critiche che gli muoveva il fratello ogni qualvolta si allenavano. Kanon era sempre stato più irruento e impulsivo rispetto a Saga che invece era sempre stato molto più riflessivo e pragmatico in combattimento. Ogni volta finivano per discutere animatamente e lei doveva intervenire per calmarli.
«Si, mi ricordo bene» annuì divertita ripensando a quelle scenette esilaranti.
Kanon si voltò nuovamente a guardarla «Beh… lo fa ancora in effetti» rise facendo spallucce.
Alex rise a sua volta.
I due rimasero a guardarsi intensamente, evidentemente stavano ripensando entrambi a quei momenti trascorsi insieme, ma ben presto quel gioco di sguardi e quel silenzio divennero imbarazzanti.
«Dobbiamo rimetterci in cammino… se ho sentito io il tuo cosmo potrebbe averlo percepito qualcun altro, è meglio levare le tende da qui» disse Kanon rompendo il ghiaccio.
Alex si limitò ad annuire per poi tornare insieme a lui in direzione del campo, dove avevano lasciato tutte le loro cose.
Ripresero il cammino, mettendo in fretta molta distanza tra loro e Parnitha.
Il viaggio proseguì in modo decisamente più sereno. I due avevano ripreso gradatamente a rivolgersi la parola, pur senza esagerare, e la cosa aveva fatto piacere ad entrambi che si sentirono meno a disagio nell’affrontare quel viaggio insieme. Fecero pochissime pause durante il tragitto, avevano voglia di arrivare il prima possibile senza perdere tempo, inoltre sapevano bene che ogni momento di più passato allo scoperto poteva farli cadere in qualche trappola.
La giornata passò molto rapidamente e prima che se ne accorgessero il sole aveva iniziato ad abbandonare il cielo per lasciare il posto alla notte. Avevano imboccato già da diverse ore un sentiero di montagna immerso in una fitta vegetazione.
«Dunque..» disse Kanon studiando attentamente la mappa datagli da Mur «Si, bene. Siamo a buon punto» affermò soddisfatto fermandosi.
A quelle parole Alex si avvicinò pacatamente a lui quanto bastava per gettare lo sguardo incuriosita in direzione della mappa. Kanon capì immediatamente le sue intenzioni e, sorridendo, si avvicinò di più a lei mostrandole la carta. «Ecco, vedi? Siamo qui» le disse indicandole con un dito il punto esatto. Effettivamente ormai erano circa ad un giorno di cammino dal monte Oeta. Erano giunti fino alle pendici del monte Parnaso, fermandosi dal lato opposto rispetto a dove si trovava il santuario di Delfi visto che non avevano alcuna intenzione di passare troppo vicini a quel santuario, dopo tutto ciò che era successo negli ultimi giorni.
Alex era così intenta a guardare la mappa che non si era resa conto di quanto fossero vicini. Quando se ne rese conto arrossì lievemente, mentre si lasciava inebriare dal suo profumo notando per la prima volta quanto fosse tremendamente accattivante.
Kanon si voltò a fissarla, stranito del fatto che non preferisse parola, e nonostante lei cercasse di nasconderlo, notò subito il suo lieve imbarazzo.
«Qualcosa non va?» le chiese alzando un sopracciglio fingendo di non capire.
Per tutta risposta la sacerdotessa arrossì ancora di più e si allontanò da lui con uno scatto, come se avesse preso la scossa. Il movimento brusco le fece scivolare la cinghia della faretra lungo il braccio.
«Eh? No, certo che no» rispose imbarazzata guardando altrove e mordendosi l’interno della guancia.
Le labbra di Kanon si curvarono in un sorrisetto strafottente. Si avvicinò a lei lentamente, finché furono, di nuovo, pericolosamente vicini. Nonostante avesse lo sguardo rivolto altrove, Alex percepì chiaramente il suo procedere verso di lei e il cuore iniziò a galoppare dentro al suo petto, sentendosi a disagio.
“Maledizione, che intenzioni ha adesso?” si chiese la ragazza rimanendo vigile.
Nonostante ormai sapesse che Kanon non era in sé la notte che aveva cercato di violentarla, non riusciva evitare di essere sospettosa nei suoi confronti.
Sussultò non appena sentì il dito di Kanon sfiorarle la pelle nuda del braccio e si voltò a fissarlo, intimorita.
Lo sguardo di lui si era fatto serio ed era intento a guardare il braccio di lei mentre il suo dito si mosse lentamente sulla sua pelle, come una delicata carezza, andando a raccogliere la cinghia di cuoio della faretra che era scivolata pocanzi, trasportandola al suo posto sulla spalla.
Quel contatto le fece venire un brivido lungo la schiena e quando gli occhi blu del cavaliere incrociarono i suoi sentì il cuore fermarsi per un istante.
La paura si era dissolta con una velocità che non credeva possibile e aveva lasciato il posto ad una emozione, per lei, molto più pericolosa.
«Direi che possiamo anche fermarci per la notte» asserì lui con voce insolitamente bassa e profonda, senza smettere di guardarla.
«S-si..» rispose Alex con un filo di voce quasi impercettibile. Non sapeva nemmeno lei cosa provare. Era in totale confusione.
«Ok… allora io vado… a prendere la legna» anche la voce di Kanon ora lasciava trasparire una certa indecisione, ma lui era decisamente più bravo a celare le sue emozioni.
Fece qualche passo indietro, allontanandosi da lei.
«Vado» ripeté prima di addentrarsi fra gli alberi scomparendo dalla sua vista.
Alex rimase sola, imbambolata a fissare il punto in cui era scomparso Kanon.
“Ok, le cose si stanno decisamente complicando” pensò lei sospirando.
Scosse il capo. Non era il momento di pensarci.
Si avvicinò alla bisaccia che Kanon poco prima di andarsene aveva lasciato poco distante. Tutta quella situazione le aveva fatto seccare la gola. Frugò attentamente nella borsa, cercando l’otre d’acqua che sapeva essere lì dentro. Sorrise trionfante non appena riuscì a trovarlo ma la sua espressione mutò immediatamente in disappunto non appena constatò che era vuoto.
«Fantastico!» disse sarcastica.
«Dovrei andare a riempirlo, non possiamo di certo stare senz’acqua»
Si guardò attorno indecisa sulla direzione da prendere. Ricordava di aver visto una fonte segnalata sulla mappa ma quest’ultima se l’era portata via con sé Kanon e lei non aveva intenzione di aspettare il suo ritorno.
Senza stare a lesinare ulteriormente, si addentrò anche lei in mezzo agli alberi, in direzione opposta a quella presa dal cavaliere poco prima.
“Mh.. mi sembra di ricordare che si trovi qui, da qualche parte...” pensò camminando spedita.
Aveva già percorso un bel po’ di strada senza trovare alcunché e iniziava a scoraggiarsi.
«Maledizione! Eppure dovrebbe essere qui da qualche parte!» disse tra sé, stizzita.
Un frusciare, improvviso, in mezzo alla vegetazione la fece trasalire.
«Cos..?»
Si guardò attorno con circospezione e rimase in silenzio, cercando di individuare da dove provenisse quel rumore.
Nulla.
“Sarà stato qualche animale” pensò tranquillizzandosi.
Un diverso rumore la fece rimettere all’ascolto. Stavolta le sue labbra si aprirono in un sorriso soddisfatto: rumore d’acqua.
Si affrettò a dirigersi verso quel rumore che via via diventava sempre più forte, scostando rami e cespugli per aprirsi la strada.
Quando finalmente giunse a destinazione lo spettacolo che le si parò davanti la fece rimanere meravigliata.
Gli alberi si aprivano in uno slargo semicircolare contornando una grossa parete di roccia bianca dalla quale sgorgava un’acqua cristallina e insolitamente luminescente che andava a depositarsi in una pozza alla base della stessa. Il piccolo laghetto era contornato da arbusti ricchi di fiori bianchi e lilla che risplendevano anch’essi grazie al riflesso dell’acqua. Tante minuscole lucciole con i loro bagliori rendevano quel luogo ancora più etereo.
«Che luogo è questo?» si chiese Alex rimanendo sbalordita dinnanzi a cotanto splendore.
 Si avvicinò cautamente alla fonte, muovendo passi lenti e circospetti, e non appena la raggiunse guardò dentro la pozza constatando che non era molto profonda. Si inginocchiò sul bordo. L’acqua era così limpida che poteva scorgere le pietre bianche e lisce sul fondo, inoltre sembrava splendere di luce propria e le increspature creavano giochi ipnotici per lo sguardo. Si sporse per guardare con maggiore attenzione.
Lo specchio d’acqua rifletteva il suo volto con una nitidezza quasi surreale, sicché immerse prudentemente una mano nell’acqua fredda, tastando con attenzione quel liquido luminescente.
“Sembra essere normalissima acqua” pensò.
Di nuovo un frusciare tra gli arbusti dietro di lei la fece sussultare.
«Kanon? Sei tu?» chiese indecisa, guardando qui e lì nervosamente.
Nessuna risposta.
Ancora fruscii indefiniti, tutt’intorno a lei.
Balzò in piedi impugnando il suo arco con la mano destra mentre l’altra andava ad accarezzare le piume delle frecce nella faretra alle sue spalle.
«Chi c’è?» chiese ancora minacciosa.
Improvvisamente i rumori tacquero. Per una manciata di minuti interminabili ci fu silenzio scandito solo dallo scrociare dell’acqua dietro di lei.
«Strano…» si disse a bassa voce, abbandonando la posizione di guardia.
Stava per voltarsi di nuovo verso la fonte quando improvvisamente qualcosa sbucò rapidamente dalla boscaglia dietro di lei fiondandosi nella sua direzione.
«AHHHH!!»
A quella vista cacciò un urlo spontaneo mentre le sua mano si mosse automaticamente per estrarre una freccia dalla faretra e scoccarla in fretta con l’arco contro il misterioso assalitore.


Kanon camminava distrattamente tra gli alberi mentre teneva tra le braccia un paio di rami secchi ormai privi di fogliame.
Non si era allontanato molto dal punto in cui aveva lasciato Alexandra, preferendo rimanere nei paraggi per qualsiasi evenienza.
Era tremendamente infuriato con se stesso. Possibile che non riuscisse a rimanere distaccato con lei?
“Non riesci proprio a tenere le mani a posto, eh?” si rimproverò “Dopo quello che hai combinato è meglio che non ti avvicini più a lei, possibile che non ci arrivi?!”
Non lo faceva di proposito. Era come se il suo corpo si muovesse in automatico e i suoi freni inibitori venissero completamente azzerati.
Mai come allora era stato preda dei suoi desideri. Forse solo quando, spinto dalle sue mire di potere, aveva quasi rovesciato il regno dei mari di Poseidone.
Fece una smorfia di disappunto a quel pensiero.
“No, non sono più quello di prima. Non posso più permettere alle mie emozioni di prendere il sopravvento, l’ultima volta che è successo ho combinato un disastro. Inoltre adesso sono un cavaliere e anteporre le emozioni al dovere non è da cavaliere!”
Gli balzarono alla mente i rimproveri di Saga. Il fratello glielo aveva detto in tutti i modi di comportarsi con più raziocinio, che era meglio per lui vedere Alex solo come un incarico da portare a termine, nulla di più.
Sapeva che il gemello aveva ragione. Però…
“Io dovrei vederla solo come un incarico? E tu allora, fratello?”
Ripensò a quella notte, quando li aveva visti baciarsi. Ripensò al giorno precedente, quando era stata lei a baciarlo. Tra i due c’era qualcosa, era evidente.
Sentì la rabbia montargli dentro, prepotente.
«Che ipocrita! Io dovrei vederla come un incarico mentre tu sei libero di farle la corte!» si disse pestando i piedi per terra con furia crescente.
“Smettila di tormentarti! È evidente che anche lei prova qualcosa per lui e non per te, lo sai che da sempre è stato così. Devi metterci una pietra sopra, dimenticala”
L’evidenza gli si palesò davanti facendolo incupire.
Come poteva? Come poteva dimenticarla? Nemmeno in tutti questi anni, quando credeva che ormai non l’avrebbe più rivista, c’era riuscito. Come avrebbe potuto farlo adesso che era di nuovo lì con lui? Come avrebbe potuto sopportare, poi, di vederla insieme a suo fratello?
No, era impensabile che potesse comportarsi in maniera distaccata. Eppure doveva provarci, in primis per il bene di lei: a causa della sua gelosia e della sua bramosia l’aveva quasi uccisa.
“Alex… se è questo che vuoi, io…”

«AHHHHHH»

Le urla della ragazza interruppero bruscamente i suoi pensieri.
«Alex!» disse in preda al panico, facendo cadere per terra la legna che aveva raccolto.
Senza pensarci si voltò indietro e iniziò a correre senza sosta verso il luogo in cui l’aveva lasciata.
«Alex! Dove sei?» chiese guardandosi intorno preoccupato, non vedendola da nessuna parte.
«Dannazione, dove ti sei cacciata?!»
L’ansia iniziò ad impadronirsi di lui.
Prese a correre senza una meta precisa, chiamandola a squarciagola nella speranza di sentirla nuovamente.
Non la udì per diversi istanti, ma non demorse e continuò a urlare il suo nome.
«Alex! Maledizione rispondi!»
Improvvisamente riuscì a sentire degli strani rumori provenire in lontananza. Non riuscì a distinguerli, tuttavia si diresse speditamente in quella direzione, sperando in cuor suo di trovarla.
Scostava freneticamente cespugli ed arbusti per farsi largo tra la fitta boscaglia, correndo senza sosta. Finalmente i rumori divennero più nitidi segno che doveva essere ormai vicino a raggiugerli.
Scostò l’ennesima pianta che gli si parava di fronte e ciò che vide gli fece sbarrare gli occhi per lo sconcerto.
Nel bel mezzo dello slargo creato dagli alberi tutt’intorno vide un enorme creatura, metà uomo e metà cavallo: un centauro.
Possente e mastodontico, aveva il manto scuro come la notte. La pelle umana era anch’essa scura ed abbronzata e faceva esaltare ancor di più la sua muscolatura prospiciente. Lunghi capelli castani erano annodati dietro la nuca in trecce scomposte che gli ricadevano lungo la schiena nuda coperta solo da una grande faretra di cuoio accompagnata da un lungo e affusolato arco di ebano.
Brandiva minacciosamente una grossa mazza in una mano mentre fissava una visibilmente scossa Alexandra che, di fronte alla creatura, stava ancora con l’arco teso fra le mani.
Lo sguardo di Kanon si fece, se possibile, ancora più angosciato.
«Alex!» le urlò.
La ragazza si voltò a guardarlo, accorgendosi solo in quel momento del suo arrivo. L’ibrido fece altrettanto, voltandosi a fissare il cavaliere con sguardo cupo e sospettoso. Portava la barba lunga e incolta che rendeva i lineamenti del suo viso ancora più inquietanti.
Il cavaliere di Gemini reagì d’istinto in quella situazione, capendo il pericolo, iniziò ad espandere il suo cosmo e richiamò la sua armatura dorata che dopo pochi istanti apparve con un lampo di luce.  Scomponendosi dal suo totem, la cloth andò ad assemblarsi sul corpo scultoreo di Kanon.
Il centauro rimase interdetto a quella vista. Si voltò parandosi davanti la ragazza, iniziando poi a raschiare con gli zoccoli il terreno.
«Stai lontano da lei, maledetto ronzino!» lo minacciò Kanon alzando la voce.
La creatura si indispettì per quella minaccia e si alzò sulle due zampe posteriori per poi ricadere pesantemente sulle quattro zampe in segno di sfida.
Il cavaliere d’oro decise di agire: espanse il suo cosmo in pochi istanti e si lanciò senza esitare contro il centauro che vedendolo avanzare si scagliò galoppando verso di lui facendo roteare l’enorme mazza.
«Kanon! No, aspetta!»
Inaspettatamente Alex gli corse incontro e gli si parò di fronte a braccia tese, fermando il suo attacco poco prima che potesse colpire il centauro.
Vedendosela davanti, sgranò gli occhi e la prese istintivamente per un braccio scostandola e portandola dietro di lui.
«Che stai facendo?! Stai indietro!» la rimproverò rimettendosi poi in guardia.
Alex non demorse, si parò di nuovo davanti, fronteggiandolo, e mettendogli le mani sul petto per fermarlo.
«Non è come sembra! Fermati!»
Detto questo si voltò verso il centauro che intanto, vedendola, aveva bloccato anche lui il suo attacco avvicinandosi mestamente, ma sempre minaccioso e circospetto.
«Va tutto bene, è con me» disse Alex rivolgendosi al centauro alzando una mano come si fa per tranquillizzare i cavalli imbizzarriti.
Kanon rimase sconcertato e confuso, non riuscendo a capire cosa stesse accadendo. Nonostante il centauro si fosse visibilmente tranquillizzato, il cavaliere rimase vigile. Conosceva bene la natura volubile di quegli esseri e sapeva di non dover abbassare la guardia.
Il centauro sbuffò indispettito «Una sacerdotessa di Artemide insieme ad un cavaliere d’oro di Athena» disse con voce cupa e roca guardando oltre la ragazza per analizzarlo.
«Come fai a saperlo?» chiese lei curiosa in direzione della creatura.
«Ne ho viste tante fino ad ora» rispose sibillino.
«Comunque si, io sono Alexandra e lui è Kanon, cavaliere d’oro di Gemini» lo presentò lei.
«Mpf… ma davvero?» chiese con un sorriso sarcastico il centauro squadrandolo dalla teta ai piedi.
Kanon rimase interdetto «Alex, posso parlarti un istante?» le disse afferrandola malamente per un braccio e trascinandola via.
«Stai scherzando? Hai idea di cosa sia quell’affare? Non è un dolce cavallino sperduto» le disse con un digrignando i denti spazientito.
«Va tutto bene, non ha cattive intenzioni…» provò a spiegare lei.
«Non ha…? Oh santa pazienza!» rispose lui grattandosi nervosamente la nuca e tirando un sospiro per calmare lo scatto d’ira che sentiva imminente «Ok, d’accordo, ti sei divertita abbastanza con quel…coso… ora, fidati, è meglio andare» scandì cercando di trascinarla via di peso.
«Qualcuno qui ha la coda fermamente tra le gambe» disse il centauro in una sorda risata.
Kanon si irritò non poco nel sentire quelle parole e si bloccò di colpo.
«Ritieniti fortunato, centauro, che andiamo di fretta» lo minacciò borioso il cavaliere dandogli le spalle.
«Uh-uh… sapessi che paura, mi tremano gli zoccoli» rise ancora più sguaiatamente.
Il gemello si voltò a fissarlo con sguardo truce.
«Calmatevi voi due» li riprese la ragazza prima che si compisse l’irreparabile.
Il centauro si avvicinò ad Alex sorridendole.
«E’ molto irascibile il tuo amico qui» le disse malizioso.
La ragazza sorrise di rimando e si rivolse a Kanon.
«Come ti stavo dicendo, non hai da temere, lui è…»
«Ortaone» la anticipò il centauro chinando il capo con fierezza.
Kanon alzò un sopracciglio assumendo un’espressione molto menefreghista.
«Si, come ti pare…» rispose acido per poi rivolgersi con sguardo duro verso Alex.
«Perché accidenti te ne sei andata a zonzo da sola?» la rimproverò.
La ragazza si portò le mani ai fianchi infastidita.
«Non ho mica cinque anni!» protestò.
«Sei incosciente come una bambina però! Non riuscivo a trovarti, mi sono…ahhh, lascia stare!» si bloccò prima di terminare la frase facendo un gesto infastidito con la mano.
“Mi hai fatto morire di paura” pensò dentro di sé.
Alex abbassò lo sguardo, lievemente mortificata.
«Ehi, rilassati, amico» intervenne Ortaone ridendo «Sei troppo ansioso»
«Tu fatti gli affari tuoi!» rispose duramente il cavaliere «Comunque, non sei un po’ lontano da casa? Che diamine ci fa un centauro da queste parti?» gli chiese sospettoso.
Ortaone sbuffò sonoramente pestando il terreno con gli zoccoli.
«Chi è che non si fa gli affari suoi, adesso?»
«Cosa c’è? Ho toccato un nervo scoperto?» lo rimbeccò altezzoso Kanon.
Alex guardò alternatamente i due con sguardo interrogativo.
«Non sono un centauro come gli altri» rispose laconico Ortaone non volendo rivelare altro.
Il cavaliere lo squadrò per bene e alzò un sopracciglio.
«A me sembri esattamente come gli altri invece»
«Fidati, ragazzo, se fossi come gli altri a quest’ora avrei già fatto uno zerbino con la tua pellaccia» rispose ghignando strafottente.
Kanon stava per ribattere ma Alex lo anticipò.
«Sei qui da solo?» chiese con una vena di preoccupazione.
Ortaone annuì, sorridendo amaramente.
«Diciamo che gli altri miei fratelli non mi considerano uno di loro»
«Che peccato..» bofonchiò Kanon ironico beccandosi un’occhiataccia da parte di Alex.
«E voi? Cosa ci fate qui, alle pendici del monte Parnaso?» chiese curioso Ortaone fissandoli attentamente mentre la sua mano accarezzava distrattamente la lunga barba scura.
«Che ti imp...Uhg!» Kanon non riuscì a finire poiché Alex gli diede una gomitata sullo stomaco.
«Siamo diretti al monte Oeta» rispose dunque la sacerdotessa.
«Non mi sembra il caso di mettere i manifesti con questo qui» sibilò Kanon a bassa voce, per non farsi sentire dall’altro.
«Il monte Oeta?» chiese Ortaone assumendo un’espressione preoccupata «Cosa vi conduce lì?»
«Dobbiamo raggiungere la città di Trachis»
IL centauro sbarrò gli occhi e guardò Kanon.
«E’ territorio dei centauri quello» gli disse.
«Si, infatti» scandì lui afferrando un braccio di Alex e scuotendola per zittirla.
«Lo sappiamo, ma abbiamo una missione importante» continuò lei non curandosi delle proteste di Kanon.
«Sarebbe?»
«Ora basta!» alzò la voce il gemello «Alex!» la rimproverò con sguardo eloquente.
«Non dovreste andare… i centauri sono molto territoriali, è pericoloso» li avvertì Ortaone.
Alex abbassò lo sguardo. Il centauro le si avvicinò e le sollevò delicatamente il viso con un dito. Kanon si infastidì non poco per quel gesto ma l’altro non se ne curò.
«Perché una sacerdotessa di Artemide dovrebbe recarsi lì?» le chiese, suadente, guardandola con i suoi occhi scuri e profondi come pozze di pece.
«Il Pozzo di Aletheia, devo andarci» si limitò a dire lei con un filo di voce.
Ortaone spalancò gli occhi e si rivolse a Kanon con sguardo truce.
«Perché?» chiese con gli occhi ridotti a due fessure.
Kanon non rispose e si voltò dall’altra parte corrucciato.
«Non ha importanza» intervenne la ragazza catturando l’attenzione del centauro «Ortaone… tu conosci bene quel luogo non è così?» chiese poi titubante.
«Lo conosco» asserì l’altro.
«Potresti accompagnarci fino a lì» propose lei mentre il centauro la fissava interdetto, soppesando le sue parole.
«Che?» chiese Kanon con voce stridente.
«Si, beh, farci da guida» spiegò meglio Alex.
«Mh…» rifletté Ortaone abbassandosi a guardarla negli occhi «Curioso…Sei una mortale davvero molto coraggiosa… o molto sciocca…» si corresse sorridendo beffardo «ti accompagnerò» affermò infine.
«Non se ne parla!» protestò il cavaliere ad alta voce.
Alex sbuffò spazientita e lo afferrò per un braccio per potergli parlare in disparte.
«Ragiona. Lui conosce a menadito quel luogo e gli altri centauri. Se vogliamo arrivare lì senza imbatterci in loro, questa mi sembra la soluzione migliore» gli disse a bassa voce.
«Vuoi evitare i centauri portandotene a spasso uno?!» chiese lui spazientito «Senti, non è una buona idea. Non puoi fidarti di lui, è troppo…»
«Allora fidati di me» lo interruppe lei guardandolo intensamente negli occhi, sicura di sé, mentre poggiava dolcemente una mano sul braccio erculeo di lui.
Kanon ammutolì e si morse il labbro, riflettendo attentamente.
«D’accordo…» acconsentì seppur con poca convinzione.
Alex gli sorrise e si rivolse poi al centauro.
«Portaci lì, Ortaone»
Questi annuì serio.
«Ci mettiamo in cammino domani. Ora devi andare a riposare» le disse Kanon.
La sacerdotessa sorrise trionfante, felice di aver raggiunto il suo scopo, e si addentrò contenta nella fitta boscaglia per tornare all’accampamento lasciando indietro gli altri.
I due si guardarono glaciali e seri per alcuni istanti, cercando di intuire l’uno le intenzioni dell’altro, non fidandosi minimamente.
«Vedi di non fare scherzi» lo minacciò il cavaliere duramente.
Ortaone non rispose e, sorpassandolo, si mosse per seguire Alexandra, facendo ondeggiare il suo corpo equino ad ogni passo e scomparendo poco dopo dietro gli arbusti.
Kanon strinse i denti in una smorfia contrariata.
«Dannata ragazza! Anche stanotte non si dorme…»

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 Cap 23 – Ortaone
Era ormai notte fonda quando i tre tornarono all’accampamento. Il frinire delle cicale echeggiava tra gli alti alberi, riempendo il silenzio della foresta.
Una volta arrivati, la sacerdotessa ripose nella bisaccia i due otri che, prima di tornare indietro, si era premurata di riempire alla fonte.
«Bene, è il caso che tu dorma un po’ prima di domani» disse Kanon rivolgendosi alla ragazza.
Alex si voltò a fissarlo divertita.
«Subito, mammina» scherzò sarcastica.
Kanon per tutta risposta le lanciò un’occhiata torva.
«Il tuo amico ha ragione: è bene che tu vada a riposare. Domani ci attende un lungo cammino, probabilmente non privo di pericoli» le disse Ortaone ponendosi accanto a Kanon come per spalleggiarlo.
«D’accordo, d’accordo!» rispose lei sconfitta alzando le braccia.
Si preparò un giaciglio con delle pesanti coperte di panno e si distese sopra di esse sbuffando, mettendosi poi su di un fianco e dando le spalle agli altri due.
«Buonanotte» disse infine facendo emergere un braccio dalle coperte in segno di saluto.
Kanon scosse il capo contrariato, alzando gli occhi al cielo.
“Quanta pazienza ci vuole!” pensò esasperato.
«Vai anche tu. Rimango io di guardia» gli disse il centauro distraendolo dai suoi pensieri.
Il cavaliere gli voltò le spalle.
«Non ti scomodare» rispose sprezzante «Non riuscirei a dormire con te qui, in ogni caso» sentenziò duro dirigendosi verso un grosso masso che si ergeva lì nei pressi.
Ortaone sbuffò contrariato.
«Non ho cattive intenzioni, se è questo che pensi» gli disse serio.
Kanon si bloccò per qualche istante, rimanendo di spalle. Fece spallucce, si voltò e si accomodò sul macigno con fare indifferente. Fece finta di riflettere.
«No, solo non sopporto l’odore di cavallo nell’aria. Emani un odore troppo nauseabondo per permettermi di dormire» rispose quindi incurvando le labbra un sorrisetto di scherno.
Contrariamente a quanto sperato dal cavaliere, Ortaone non diede segno di essersi offeso a quelle parole, anzi rise sonoramente, avvicinandosi mestamente a lui.
«Se la metti così, credo ti farò compagnia in questa lunga notte che ti attende» rispose il centauro ondeggiando i fianchi ad ogni passo.
A Kanon non sfuggì il suo tono ironico e per tutta risposta incrociò le braccia al petto.
«Voi ibridi equini non dormite?» chiese beffardo.
Ortaone si strinse le spalle.
«I centauri possono stare senza dormire per diversi giorni…» rispose serafico «E io ho dormito giusto ieri» disse infine lanciandogli uno sguardo d’intesa.
Kanon sbarrò lo sguardo, capendo che non poteva averla vinta.
«Beh, neanche io ho bisogno di dormire» mentì spudoratamente «Quindi, prego, accomodati pure» gli disse facendogli cenno con la mano.
Il centauro si accomodò vicino a lui, visibilmente divertito dalla boria del cavaliere. Nonostante fosse disteso sulle zampe la sua enorme stazza sovrastava di parecchio Kanon che dopo poco si sentì a disagio in quella posizione di inferiorità e si alzò stizzito con la scusa di ravvivare il fuoco.
Rimasero in silenzio per diverso tempo, senza degnarsi di uno sguardo.
Armeggiò diversi minuti nella bisaccia, fingendo di cercare qualcosa, si spogliò della sua armatura e si mise a lucidarla con attenzione, poi tornò nuovamente a ravvivare il fuoco, finché a corto di idee e costretto dalla stanchezza, controvoglia si rimise seduto sul macigno.
Ortaone aveva guardato con attenzione inquisitoria ogni sua mossa, senza nascondere il suo sorrisetto divertito che era rimasto sul suo volto per tutto il tempo.
«Sei un umano davvero bizzarro» sentenziò il centauro sorridendogli.
Kanon fece finta di non udire le sue parole e rimase a fissare il fuoco scoppiettante davanti a sé.
«Mi sei quasi simpatico» rise l’ibrido giocherellando con la barba riccioluta.
Kanon si voltò a guardarlo alzando un sopracciglio ironico.
«Non mi dire…» rispose facendo roteare i suoi occhi blu «Mi dispiace di non poter dire altrettanto» puntualizzò.
«Sei diverso dagli altri cavalieri…»
«Perché? Ne hai conosciuti così tanti?» lo canzonò Kanon pungente.
«Il mio maestro, Chirone, mi parlava spesso di voi» spiegò dunque il centauro guardando il cielo con gli occhi carichi di tristezza.
«Cosa? Chirone era il tuo maestro? Davvero?» chiese il cavaliere stavolta sinceramente sorpreso.
Ortaone si voltò verso di lui e gli occhi gli brillarono.
«Mi ha insegnato tutto ciò che so» annuì «Lo conoscevi?...Che sciocco… No, certo, come potresti…» si corresse ridendo della sua stessa ingenuità.
«Beh tutti sanno chi è… lui è stato l’anfitrione di noi cavalieri ai tempi del mito» confermò Kanon fissando le sue mani che nel mentre erano intente a giocherellare con un levigato sasso raccolto dal terreno.
Ortaone sorrise malinconico.
«Si, certo. Era molto saggio»
«Devi essere parecchio anziano per aver conosciuto Chirone» lo sfotté Kanon lanciando il sassolino nel fuoco.
Il centauro rise di gusto.
«Abbastanza. Mi ha cresciuto lui» confermò.
«Beh, allora forse non sei un rozzo animale come pensavo» lo schernì il gemello.
«Grazie» rispose Ortaone irridente «Comunque lui era fuori dal comune. Era diverso, voleva elevarsi più in alto rispetto agli altri e voleva per me la stessa cosa…»
Kanon pensò inevitabilmente a suo fratello. Anche Saga aveva sempre voluto il meglio per lui. Lo bacchettava, rimproverava continuamente ma tutto solo per spronarlo a dare il meglio di sé. Sfortunatamente lo aveva capito troppo tardi, dopo avergli fatto del male, e nonostante fosse ormai conscio di quella verità non mancava mai di arrabbiarsi ogni qualvolta veniva ripreso dal gemello.
Il mugugnare nel sonno di Alexandra interruppe i loro discorsi. Kanon lanciò uno sguardo nella sua direzione e la vide che tremava e si lamentava per il freddo.
Si rese conto che la temperatura era scesa improvvisamene di diversi gradi probabilmente a causa della notte e dell’altitudine.
Si alzò raggiungendola velocemente e, inginocchiatosi vicino a lei, la coprì dolcemente con una coperta posta lì vicino. A quel contatto con la coperta la ragazza smise immediatamente di tremare e il suo viso si rilassò tornando a dormire serenamente.
Kanon le accarezzò lentamente la guancia con il dorso della mano, sorridendo impercettibilmente in direzione di lei, prima di alzarsi e tornare a sedersi vicino ad Ortaone. Al centauro naturalmente non era sfuggito quel gesto e prese a fissarlo interdetto.
«Posso chiederti perché glielo permetti?» chiese confuso.
«Mh?» rispose l’altro non capendo a cosa si riferisse.
«E’ evidente che provi qualcosa per lei» constatò.
Kanon rise nervosamente.
«Cosa può saperne un cavallo di queste cose? »
«Sono un centauro» puntualizzò l’altro infastidito dall’ennesima frecciatina del cavaliere.
«Lascia perdere è meglio» rispose sprezzante Kanon.
 «Non sono certo indifferente all’amore, so più di quanto pensi a riguardo»
“Ma tu guarda se mi devo far fare la ramanzina da questo qui” pensò il cavaliere.
«Beh evidentemente non abbastanza, perché hai preso un abbaglio» affermò indispettito.
«Sei a dir poco cocciuto, ragazzo» lo rimproverò il centauro «Comunque sia, non hai risposto alla mia domanda: perché le permetti di andare a quel Pozzo?» incalzò non volendo demordere.
Kanon non rispose e si alzò con un balzo allontanandosi frettolosamente.
«Morirà» disse improvvisamente Ortaone facendolo bloccare di colpo.
«Non sopravviverà alla prova di Aletheia, nessun mortale può» continuò «Ne rimarrà distrutta e…»
«Non accadrà..» lo interruppe Kanon a voce bassa, stringendo i pugni, voltandosi poi a guardarlo intensamente.
Ortaone ricambiò lo sguardo e improvvisamente capì il motivo della determinazione del ragazzo e non controbatté, limitandosi ad annuire.
Kanon gli diede di nuovo le spalle.
«Comunque, pensiamo prima ad arrivarci vivi laggiù» disse cercando di mascherare il tremore nella sua voce.
«Avevo ragione su di te» rispose sorridendo trionfante il centauro «Sei diverso dagli altri cavalieri. Il tuo animo cela un conflitto irrisolto con te stesso che ti tormenta. Ti nascondi dietro una menzogna fingendo che non ti importa, cerchi di convincere gli altri e te stesso che sei un egoista al quale non interessa altro che il proprio tornaconto, perché? Ti sembra più semplice la vita di un bastardo?»
Kanon non rispose.
«Puoi mentire a te stesso su chi sei, ma io sono sicuro di non sbagliarmi quando dico di sapere cosa sceglierai al dunque…» disse profetico con un’espressione seria in volto.
«Se hai finito di psicanalizzarmi..» rispose acido Kanon voltandosi nuovamente stavolta con sguardo glaciale «credo riposerò qualche ora..»
Ortaone alzò un sopracciglio sorridendo beffardo.
«Cosa? Adesso ti fidi a lasciarmi da solo?» chiese il centauro strafottente.
«No. Però mi fido di cosa ti succederà se provi anche solo a farle del male» lo minacciò l’altro duramente.
«Non faccio fatica ad immaginarlo» rise Ortaone distogliendo lo sguardo «Vai pure tranquillo».
Senza dire altro Kanon si mise sdraiato poco distante da Alexandra rimanendo per diverso tempo con le braccia incrociate sotto la nuca a fissare pensieroso il cielo stellato, sforzandosi di rimanere sveglio più a lungo possibile.
Dopo poco tempo la stanchezza iniziò a prendere il sopravvento e i suoi occhi cedettero al peso del sonno.


L’alba giunse presto a rischiarare il cupo cielo della notte. Il sole, non ancora sorto, aveva iniziato a illuminare il cielo, e gli uccellini presero a cinguettare contenti svolazzando qui e lì fra i rami degli alberi facendo frusciare le foglie con il loro batter d’ali.
Alexandra si svegliò ormai sazia di sonno. Si mise seduta sulle coperte notando che una di esse era stata posta sulle sue spalle. Non ricordava di essersi coperta la sera precedente ma in quel momento non si curò di come quella stola fosse arrivata fin lì. Scostò quindi i teli e si alzò in piedi, stirandosi la schiena con le braccia rivolte verso l’alto.
Si guardò intorno e notò subito Kanon sdraiato poco distante ancora immerso nel sonno.
Sorrise.
“Beh, fortuna che dovevi rimanere di guardia..” pensò divertita scuotendo lentamente il capo mentre una vena di tenerezza nei suoi confronti prendeva il sopravvento.
Si voltò ancora si accorse che Ortaone non era lì. Lo cercò con lo sguardo tutt’intorno ma non lo vide da nessuna parte.
“Che sia andato via durante la notte?” si chiese con un pò di delusione.
«Buongiorno»
Una voce dietro di lei unita ad un sordo rumore di zoccoli la fece voltare.
«Credevo fossi andato via» ammise la ragazza con un sorriso impacciato vedendo il centauro avanzare verso di lei.
«Non è da me fuggire di soppiatto durante la notte» sorrise l’altro.
Solo in quel momento Alex notò che teneva tra le braccia un mucchio di mele rosse e succulente.
«Pensavo che avreste gradito la colazione» disse Ortaone notando lo sguardo insistente della ragazza che in effetti guardava i pomi con un’aria famelica.
La sera prima non avevano mangiato alcunché a causa di tutto ciò che era accaduto e i morsi della fame si facevano sempre più insistenti, risvegliati da quella vista soave.
Alex sorrise e si avvicinò al centauro prendendo incerta una mela dal mucchio e iniziandola a mangiare lentamente, cercando di contenere il suo appetito.
Il dolce sapore del frutto inebriò i suoi sensi e per un momento credette di stare mangiando delle mele fuori dal comune tanto erano squisite.
Ne prese un’altra e un’altra ancora.
«Il tuo amico credo dormirà ancora per un po’, lasciagliene qualcuna» sorrise il centauro.
Alex arrossì e ingoiò il boccone sorridendo impacciata.
«Credevo che mai al mondo avrebbe dormito con te qui…» disse lei guardando dapprima Kanon e poi il centauro notando che questi aveva assunto un’espressione indecisa.
«Beh, sai, lui è sempre molto diffidente» precisò la sacerdotessa chiarendo la sua precedente affermazione.
«Si, credo che faccia bene ad esserlo» rispose l’altro «quando tieni tanto ad una persona ti viene naturale volerla difendere da tutto e tutti» il tono di voce del centauro si fece sognante.
Alex arrossì di colpo e lo guardò indispettita.
«No. Il suo problema è che non si fida mai di nessuno» bofonchiò lei.
Ortaone rise di gusto.
«Si, è un tipo strano te lo concedo. Ma in fondo siete molto simili, nella vostra cocciutaggine»
Per tutta risposta la ragazza si sedette incrociando le gambe e diede un morso alla mela che aveva tra le mani, spazientita.
«Sono certo che tiene a te più di quanto voglia farti credere»
Alex non rispose, voltandosi a guardare con fare interrogativo verso il cavaliere.
“Se sapessi tutto non la penseresti così, Ortaone” si disse lei.
«Sembri molto sicuro di te» affermò lei guardando il centauro con i suoi grandi occhioni verdi.
«So bene cosa vuol dire tenere a qualcuno» ammise Ortaone fissandola di rimando.
«Tu?» lo incitò curiosa lei e l’altro annuì mesto.
«Anni fa. Si chiamava Ariane…Ti somigliava molto»
Alex non parlò, esortandolo con il suo silenzio a continuare.
«Era davvero splendida… non solo fisicamente… lei…» la foce si fece tremante «lei aveva la luce, nell’anima… sapeva vedere la bellezza in ogni cosa, perfino in uno come me…»
La sacerdotessa sorrise dolcemente, poggiando il mento sulle mani, incantata dalla dolcezza delle sue parole.
Improvvisamente Kanon si svegliò, probabilmente disturbato dal loro vociare, e si stiracchiò rumorosamente per metterli al corrente del suo risveglio ma i due non se ne curarono.
Balzò in piedi lanciando uno sguardo verso i due constatando che erano seduti vicini, troppo per i suoi gusti, così intenti a parlare da non essersi accorti del suo risveglio.
Si schiarì quindi la voce facendoli finalmente voltare nella sua direzione.
«Buongiorno» disse il cavaliere infastidito dalla loro precedente indifferenza.
«Dormito bene?» gli chiese Ortaone con un sorrisetto malizioso.
«Una meraviglia» lo rimbeccò lui massaggiandosi il retro del collo.
«Tieni» disse la sacerdotessa prendendo una mela e lanciandogliela.
Kanon l’afferrò al volo guardandola poi con un sopracciglio alzato.
«La colazione. Una premura di Ortaone» spiegò lei canzonatoria.
Il cavaliere se la rigirò tra le mani, indeciso.
«Non è avvelenata…» lo sfotté il centauro «Andiamo. Dobbiamo raggiungere il monte Oeta entro il tramonto» annunciò incamminandosi.
Dopo aver raccolto arco e faretra e lanciato un ultimo sguardo di rimprovero in direzione del cavaliere, la sacerdotessa si fiondò a passo svelto dietro il centauro.
Kanon prese a seguirli tenendosi a distanza e morse con rabbia la mela tra le sue mani.
«Assurdo, qua sembra che sia io il mostro!» mormorò con il boccone pieno.


Camminavano ormai da diverse ore. Mentre Alex e Ortaone parlavano del più e del meno, Kanon li precedeva camminando spedito e rimanendo in silenzio.
La ragazza si fermò un istante per rifiatare. Le gambe iniziavano a dolerle insistentemente per il troppo sforzo sostenuto negli ultimi giorni.
Il cavaliere si accorse del suo stato e si fermò anch’egli per aspettarla.
«Facciamo una pausa» disse con tono serio.
«No» si oppose il centauro beccandosi immediatamente un’occhiata carica d’astio da Kanon.
«Deve riposare» protestò.
«Se ci fermiamo non arriveremo per tempo» spiegò Ortaone con calma. Kanon stava per ribattere ma il centauro lo anticipò «Ti porterò io. Sali in groppa» le disse piegando la testa su di un lato e abbassandosi per agevolarle la manovra.
Alex lanciò uno sguardo indeciso verso il cavaliere che tuttavia non poté protestare a quella proposta ragionevole, sicché la ragazza si avvicinò poggiando le mani sul dorso equino di Ortaone che le porse il braccio per aiutarla a montare. La ragazza si issò sulle braccia e si mise a cavalcioni sopra di lui.
Proseguirono il cammino rimanendo perlopiù in silenzio. Kanon continuò a camminare davanti a loro non nascondendo il suo disappunto per quella situazione e lanciando occhiatacce ora in direzione di Alex ora di Ortaone. La ragazza invece dopo un iniziale disagio nel cavalcare il centauro, poco dopo si ritrovò a ringraziarlo mentalmente per quella concessione che le permetteva di riposare senza perdere tempo prezioso.
«Come l’hai conosciuta?» interruppe il silenzio la sacerdotessa, rivolgendosi al centauro con aria pensosa.
Kanon si voltò a guardarli con la coda dell’occhio, incuriosito da quella domanda che naturalmente non poteva comprendere.
Dal canto suo Ortaone continuava a camminare con lo sguardo fisso davanti a sé.
«Intendo Ariane» si spiegò meglio sporgendosi per guardarlo in volto facendo così scivolare i lunghi capelli corvini lungo la spalla.
Il centauro sorrise dolcemente a quella domanda.
«Un giorno stavo, come al solito, camminando tra i boschi e la incontrai per caso. Lei era una sorta di esploratrice e insieme ad un gruppo di altri uomini stava conducendo delle ricerche nei pressi del monte Pelio. Mi incuriosì fin dalla prima volta che la vidi» il tono di Ortaone divenne incantato, come se la sua coscienza fosse volata via lontano con i suoi ricordi.
«Il suo sguardo trasudava una grande passione per ciò che faceva. Non si vedevano mai molti comuni mortali da quelle parti e in ogni caso, vista la mia natura…beh… diciamo che quelli della mia razza si sono sempre tenuti alla larga da loro…ma quando incontrai lei…» gettò lo sguardo al cielo sorridendo «Ricordo che rimasi giorni interi a guardarla da lontano, rimanendo nell’ombra».
Alex sorrise amabilmente sentendo il suo racconto. Era stupita nel vedere quanta tenerezza traboccasse dalle sue parole. Ripensò agli ammonimenti di Kanon riguardo i centauri e li trovò così discordanti rispetto a quello che vedeva con i suoi occhi. Forse Kanon si sbagliava su di loro o forse Ortaone era diverso dagli altri, non lo sapeva, ciononostante si lasciò incantare dal suo racconto ascoltando con ingordigia ogni particolare.
«Un giorno Ariane si allontanò dai suoi compagni, addentrandosi nel bosco da sola. Io la seguii. Aveva un fascino così magnetico… sapevo che dovevo rimanere nascosto, che era pericoloso farsi vedere e che se l’avessi fatto probabilmente lei sarebbe scappata e l’avrei persa per sempre. Sarei potuto rimanere lì, a fissarla tutta la vita nell’ombra. Ma non lo feci»
«E cosa successe?» chiese la ragazza sempre più curiosa fissandolo intensamente.
«Balzai fuori dal mio nascondiglio, pronto a subire le conseguenze del mio gesto inconsulto. Il mio cuore si fermò quando incrociai i suoi occhi. Erano verdi, sai? Proprio come i tuoi» le disse il centauro voltandosi a guardarla «Verdi come smeraldi preziosi»
La ragazza arrossì. Ortaone la guardava con uno sguardo strano e i suoi occhi neri era diventati lucidi e luminosi. Fortunatamente per lei distolse quasi subito lo sguardo, tornando a fissare un punto indefinito davanti a sé.
«Ero preparato a vederla scappare. Ero certo che lo avrebbe fatto e probabilmente sarebbe stato più facile per me. Eppure rimase lì, immobile. I suoi occhi mi fissavano, ma non c’era alcuna paura nel suo sguardo, solo stupore ed interesse».
«Che strano» constatò Alex assorta.
«Si, lo pensai anche io in un primo momento. Ma probabilmente per entrambi in quell’istante si palesò una certezza, assurda quanto tremendamente ovvia. Dopo quel giorno i nostri incontri divennero più frequenti. Lei veniva spesso nei boschi per stare in mia compagnia. Si lasciava incantare dalle mie storie e io facevo altrettanto con le sue. Non passò molto tempo prima che il nostro rapporto diventasse…beh… più profondo»
Kanon continuava a camminare facendo finta di non sentire sebbene al contrario stesse,  pur senza darlo a vedere, ascoltando ogni singola parola con curiosità crescente.
«Eravate innamorati quindi?» chiese Alex stupita.
«Credo che l’amore sia la forza più potente e allo stesso tempo bizzarra che esista. Nessuno di noi può scegliere chi amare, accade e basta. E certe volte l’ironia vuole che sia un amore tanto inusuale e innaturale da essere impossibile. Eppure quando ti innamori non ti importa delle difficoltà, sai solo che faresti di tutto per l’altro e tanto basta per continuare»
«E poi? cosa vi è accaduto?» chiese dunque lei.
Il centauro si adombrò a quella domanda e abbassò leggermente lo sguardo a fissare il terreno.
Alex capì di aver toccato un tasto dolente e si morse la lingua maledicendosi per non aver saputo tenere la sua curiosità a freno.
«Scusa. Non devi rispondere se non vuoi» si giustificò mortificata.
Kanon si voltò un po’ di più per osservare meglio la reazione del centauro, curioso anche lui di sapere la risposta a quella domanda.
«Non fui in grado di proteggerla…» iniziò a dire con voce tremante «Un giorno ci dirigemmo verso la mia casa. Lei era così curiosa di vedere gli altri miei fratelli e io, nella mia ingenuità, volli accontentarla, ma gli altri centauri non erano come me, non condividevano il mio pensiero…non appena seppero di lei…» la voce gli si ruppe in gola.
Kanon abbassò lo sguardo, intuendo cosa fosse accaduto.
«Me la portarono via…» gli occhi del centauro divennero vuoti e spenti come pietre di onice.
Alex poggiò una mano sulla sua spalla e questi si voltò di scatto, come risvegliato improvvisamente da un brutto incubo, e i loro occhi si incrociarono fissandosi intensamente.
«Non fu colpa tua» gli disse lei.
Ortaone sorrise mesto mentre gli occhi gli divenivano lucidi. Accarezzò con una mano il viso della sacerdotessa.
«Vorrei tanto che tu avessi ragione. Era mio dovere proteggerla. L’amavo più di ogni altra cosa… non sarò mai capace di perdonarmi questo fallimento»
Alex abbassò lo sguardo tristemente mentre la sua mano andava a poggiarsi sopra quella del centauro che ancora le carezzava la guancia.
«Sono certa che Ariane lo ha fatto» rispose lei tornando a fissarlo con decisione.
Gli occhi verdi di lei brillarono di convinzione e al centauro mancò nuovamente un battito, come se improvvisamente avesse davanti il suo amore e non più la sacerdotessa.
Le labbra di Ortaone si piegarono in un sorriso sincero.
«Grazie…» le disse con gratitudine.
«Ci siamo» intervenne Kanon rompendo il silenzio che aveva tenuto fino a quel momento e indicando con un dito una enorme montagna che si ergeva in lontananza davanti a sé.
«Il monte Oeta»
Gli altri due si voltarono anch’essi in quella direzione e lo sguardo determinato di Alexandra contrastava nettamente con quello di Ortaone che invece ora appariva indeciso e ansioso.

Ci misero un paio d’ore ad arrivare alle pendici del monte. Era ormai tardo pomeriggio, entro qualche ora il sole avrebbe abbandonato il cielo per fare posto buio della sera.
«E’ meglio fermarci per la notte» disse il centauro arrestando il suo passo e fissando il cielo.
«Cosa? Ma siamo quasi arrivati» protestò la ragazza sulla sua groppa.
«Ci restano ancora poche ore di luce. Già normalmente non è prudente avventurarsi in questi territori, figuriamoci di notte» spiego pacatamente il centauro.
Alexandra sbuffò. Non voleva perdere ulteriore tempo e il fatto che dovesse fermarsi proprio quando ormai fosse così vicina alla sua meta la innervosiva alquanto.
«Proseguiremo domani» le disse soavemente Ortaone notando il suo disappunto.
«Ha ragione» convenne Kanon glaciale.
Alex fissò il cavaliere. Aveva cambiato atteggiamento nelle ultime ore di cammino, rimanendo sempre con lo sguardo basso e cupo, non aveva più proferito parola.
Era evidente che qualcosa lo turbava ma, come al solito, il gemello era così bravo da celare le sue reali emozioni, innalzando attorno a sé il solito muro di apatia.
Decisamente in minoranza, Alex non ebbe altra scelta che acconsentire a fermarsi per la notte.
Ortaone la fece scendere dalla sua groppa, chinandosi e porgendole la mano in aiuto.
Quando finalmente scese la notte, i tre si ritrovarono tutti davanti ad un caldo fuoco scoppiettante. Tuttavia non parlarono granché, preferendo rimanere ognuno immerso nei suoi pensieri.
Alexandra era la più taciturna. La determinazione iniziava a mescolarsi con la naturale ansia per ciò che le attendeva. In realtà non sapeva bene nemmeno lei a cosa andava incontro, fino a quel momento era stata così fortemente decisa ad compiere la sua missione che non si era soffermata a pensare a cosa questa comportasse realmente.
«Ortaone…» disse con un filo di voce rigirando mestamente tra le mani il pezzo di pane che doveva essere la sua cena.
Il centauro rivolse verso di lei il suo sguardo.
«Tu sai qualcosa sul pozzo di Aletheia?» disse con un tono che era più simile ad una affermazione che ad una domanda.
L’altro annuì, capendo immediatamente cosa volesse veramente sapere la ragazza.
«E’ una prova molto dura quella che ti attende» rispose glaciale mentre la ragazza dal canto suo continuava a fissare il pane tra le mani.
«Aletheia è lo spirito della verità e risiede in quel pozzo fin dagli albori del mondo. Una creatura aldilà del divino» iniziò a spigare il centauro con un tono mistico «A differenza dei comuni oracoli, ella non predice il futuro né tantomeno fa vece ad alcuna divinità. Presiede il tribunale più alto, e il suo giudizio è inappellabile. Chi entra in quel pozzo solitamente lo fa per dimostrare una verità e quindi una volta entrato chiede ad Aletheia di verificare la veridicità delle sue parole, concentrandosi intensamente su di esse. Ella scruta nel profondo dell’anima di chi entra in quel pozzo, cogliendo ogni sfumatura del suo essere. Tutto. Forza, paura, tormenti, gioie… ti svuota di tutto, tutto ciò che possa intralciare con l’unico vero bene supremo: la verità.»
«Perché questa…entità... dovrebbe svuotarti di tutto?» chiese confusa la ragazza lasciando trasparire una vena di ansietà nella sua voce.
«Vedi, la verità è un concetto molto complesso. Qualsiasi cosa, qualsiasi tua esperienza insieme alle emozioni che trascina con sé, può in qualche modo modificarla. È per questo motivo che Aletheia ti svuota di tutto. In questo modo rimane dentro di te la sola verità dei fatti.»
«Capisco..» rispose dubbiosa lei.
«Il problema è che questo processo non è così semplice» continuò il centauro mentre il suo tono di voce diveniva più cupo «Per fare ciò, Aletheia strappa letteralmente via tutto il resto. Ti costringe a rivivere tutto. Le tue gioie più grandi ma anche le tue paure, i tuoi tormenti, i tuoi ricordi più belli. L’anima di chi entra in quel pozzo viene realmente portata a limite della sopportazione e…» Ortaone si fermò prima di finire la frase, non trovando il coraggio di continuare.
«e nessuno, ad oggi, è mai uscito incolume da lì» finì per lui Kanon tenendo lo sguardo basso.
Il centauro annuì tristemente. Alex inghiottì un mucchio di saliva nel tentativo di calmare l’ansia che si faceva sempre più pressante nel suo cuore.
«Il fatto è che… solo un’anima davvero forte può sperare di uscire da lì con lo specchio della verità»
«Lo specchio della verità?» chiese la sacerdotessa.
«Si, lì c’è la prova che il tuo animo non mente. La prova che le tue parole dicono la verità»
«Ho capito..» confermò la sacerdotessa abbassando lo sguardo e giocherellando nervosamente con le mani.
“Un’ anima forte…e io lo sono?” si chiese lei.
La certezza di portare a termine la missione iniziò a vacillare sotto il peso dei dubbi. “Nessuno è mai uscito incolume da lì” le parole di Kanon continuavano a rimbombargli nella mente come un eco assillante.
Che speranza aveva lei di uscirne viva se nessun altro c’era riuscito? Anche se fosse riuscita a prendere lo specchio di Aletheia, a cosa le sarebbe servito se avesse perso la vita nel tentativo di ottenerlo? Ma in fondo, no, non era quello l’importante.
Improvvisamente una certezza si fece largo dentro di lei e la colpì come uno schiaffo in pieno volto: non le era mai importato di uscire viva da quella missione. Aveva sempre mentito a se stessa riguardo le motivazioni che la spingevano a tentare l’impossibile. Non era per riavere la sua vita e quel pensiero egoistico ora le risultava così estraneo. Quando aveva abbandonato il Santuario, si era lasciata alle spalle quel luogo e tutto ciò che era significato per lei, si era lasciata alle spalle tutte le sue amicizie, tutta la sua gioventù, promettendo a se stessa che da quel momento avrebbe pensato solo a se stessa e alla sua felicità. L’egoismo l’aveva protetta, l’egoismo l’aveva salvata. Tuttavia per natura non lo era mai stata, egoista, e la natura, si sa, vince sempre.
«Ora che sai cosa ti attende, dimmi, perché fai tutto questo?» le chiese il centauro quasi leggendo i suoi pensieri.
Alex alzò lo sguardo, spalancando gli occhi per quella domanda inaspettata.
«Io…» aprì la bocca per parlare ma la voce sembrava non voler uscire. Si voltò a guardare Kanon che canto suo se ne stava in silenzio, guardando fisso i suoi piedi con lo sguardo più accigliato del solito.
«Io… voglio solo riavere la mia vita, Ortaone, e questo è l’unico modo» mentì la ragazza con un filo di voce.
«Stronzate…» mormorò il cavaliere stringendo i pugni sulle ginocchia.
Gli altri due si voltarono a fissarlo sicché anch’egli alzò gli occhi e li fiondò su quelli della ragazza in uno sguardo truce.
«Rischi di morire e tu vorresti dire che lo fai solo per riavere “la tua vita”?» l’accusò lui a denti stretti.
Alexandra lo fissò per alcuni istanti, stupita da quella reazione, ma non riuscì a rispondere alcunché così Kanon ne approfittò per continuare.
«La tua vita, poi… perché? Vorresti dire che la tua vita in quei maledetti boschi era così bella e perfetta? Tanto da valere un rischio simile?» chiese sprezzante, senza tuttavia attendere una risposta si alzò avvicinandosi minacciosamente a lei «Sono stronzate, Alex, e lo sai»
Quelle parole furono un pugno nello stomaco. Aveva ragione, lo sapeva. Ma non aveva intenzione di lasciar cadere la maschera di apatia che l’aveva protetta tutti quegli anni. Le sapeva le reali intenzioni che la spingevano ad andare ma non avrebbe lasciato che qualcun altro le scoprisse, non Kanon. Se voleva nuovamente lasciarsi alle spalle tutto, doveva evitare di coinvolgere i sentimenti.
«No, non lo sono» ribatté Alex sforzandosi di apparire convincente «Tu non puoi capire» lo liquidò.
«Smettila!» le urlò il cavaliere fuori di sé «Tu non sei così» scandì con rabbia «Non lo sei…»
Senza dire altro si allontanò dall’accampamento lasciando il centauro e la sacerdotessa da soli.
Non appena Kanon sparì dalla loro vista, Alex affondò il viso tra le mani, passandosi poi le dita tra i capelli.
Ortaone, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a vedere la scena, si avvicinò mestamente a lei, accovacciandosi al suo fianco.
«Ora che siamo soli…dimmi perché lo fai, realmente» chiese il centauro guardando fisso davanti a sé.
Alex alzò gli occhi che erano ormai diventati lucidi.
«Hai detto…che quando tieni molto ad una persona…faresti di tutto per proteggerla…» rispose lei con un sospiro.
Le labbra di Ortaone si piegarono in un ghigno carico di amarezza.
«Siete proprio uguali…»
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Offline Pandora

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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #10 il: 29 Settembre, 2017, 23:01:36 pm »
anf anf che fatica :ninja: ok ecco il cap 24, scusate se ho intasato il forum :^^'': :^^'': :^^'': non ho avuto scelta, dannati limiti di lunghezza :insulti:

 Cap 24 – Sacrificio
Kanon camminava a passo svelto, pestando con rabbia il terreno sotto i suoi piedi.
Era furente come non mai. La discussione di poco prima lo aveva innervosito non poco. Quella ragazza aveva la capacita di farlo uscire dai gangheri con una facilità estrema, considerando il suo proverbiale autocontrollo o, per meglio dire, la sua naturale freddezza.
«Per riavere la mia vita» le fece il verso «Bah! Ma chi spera di convincere? Non ci crede nemmeno lei, è evidente» si disse con tono sprezzante.
“Beh, che altro motivo dovrebbe avere? ” chiese la sua vocina interiore.
Il cavaliere si bloccò, fermandosi a pensare.
Era convinto che lei mentisse ma, effettivamente, non aveva idea di quali potessero essere realmente le sue ragioni. Qualunque essa fosse, in ogni caso, non avrebbe mai  creduto ad una motivazione egoistica, non poteva crederlo.
Strinse i pugni mentre il rancore gli attanagliava lo stomaco contorcendolo in una morsa dolorosa. Lei non era così, non era come lui.
Come lui che aveva sempre agito egoisticamente nella sua vita, senza mai curarsi d’altri che non di se stesso. Aveva sempre agito per i suoi scopi, calpestando senza remore qualsiasi cosa, sentimenti e vite distrutte per un suo capriccio. Era un bastardo e lo sapeva, lo aveva accettato.
“Ti nascondi dietro una menzogna fingendo che non ti importa, cerchi di convincere gli altri e te stesso che sei un egoista”
Senza che lo volesse le parole di Ortaone gli tornarono alla mente prepotenti.
Sorrise amaramente.
«Nessuna finzione…» sussurrò a se stesso.
Aveva provato ad essere diverso. Durante l’ultima guerra sacra aveva provato a mettersi al servizio di uno scopo più alto, divenendo il cavaliere di Gemini, indossando le sacre vestigia che prima furono del fratello. Athena e persino gli altri cavalieri avevano perdonato il suo tradimento, ma a cosa era servito? Nonostante tutto non era mai riuscito ad integrarsi con gli altri rimanendo, suo malgrado, un emarginato. Si sentiva tremendamente diverso dagli altri suoi compagni. Indossava un’armatura d’oro come loro, si, ma dentro di sé sapeva di non essergli eguale. Continuava a sentire il peso dei suoi sbagli sopra le spalle e in certi momenti era un fardello talmente grave da sentirsi schiacciato. Saga gli ripeteva sempre che doveva lasciarsi alle spalle il passato per poter essere un buon cavaliere nel presente, che doveva perdonarsi, così come aveva fatto lui. Ma come poteva farlo? Non avrebbe mai potuto dimenticare il male fatto. Per lui era stato diverso, più facile se vogliamo: in fondo le sue azioni non erano realmente sua volontà bensì la sua parte malvagia che prendeva il sopravvento. Parte malvagia che era stato lui stesso a scatenare nel fratello. Lui era diverso: nessuna doppiezza poteva giustificare le sue azioni. Era solo, umanamente, malvagio.
Aveva provato, ma probabilmente la sua vera natura era un'altra e il suo cuore non mancava mai di ricordarglielo.
“Per ogni buona azione ne hai fatte almeno cento altre malvage, non pareggerai mai il conto” si disse tristemente.
Aveva fatto del male a tanti, troppi, non ultimo ciò che aveva fatto ad Alex era davvero imperdonabile. Si illudeva di poter rimediare, proteggendola in questa missione suicida, per poter fare a menda.
Rise ironicamente a quel pensiero assurdo.
“Rimediare? A cosa? In fondo anche lei ti ha fatto del male, te ne sei dimenticato?” gli ricordò prepotente il suo io.
Si incupì di colpo ritornando col pensiero al giorno in cui lo aveva inspiegabilmente abbandonato.
Inspiegabilmente, si, perché in fondo non aveva mai capito il perché. Aveva passato mesi interi ad interrogarsi sulle motivazioni che l’avevano spinta ad andarsene, ad abbandonare tutto ciò in cui credevano, tutti i loro sogni.
“Abbandonare me…”
Quanto desiderava avere delle risposte. Quando Alex era andata via era rimato totalmente distrutto e, spinto da Saga e dai suoi rimproveri, aveva cercato in tutti i modi di sopprimere l’insana voglia di sapere il perché di quel gesto. Gli era costata molta fatica, molto dolore, molte lacrime e, probabilmente, anche una buona dose di senno. Tuttavia alla fine era riuscito a sommergere la sua sete di domande sotto tonnellate di odio e rancore, facendo sprofondare Alex nel baratro dell’oblio.
Ma quando quel giorno, quel dannatissimo giorno, era ripiombata nella sua vita, aveva fatto riemergere con sé tutti i ricordi, tutto il dolore e tutti quei quesiti rimasti in sospeso che così faticosamente si era sforzato di debellare. Adesso si ritrovava nella stessa condizione ma, questa volta, lei era lì e avrebbe potuto dargli una spiegazione. Sebbene si sforzasse di convincere se stesso che non gli importava più nulla, non avrebbe resistito ancora per molto a quelle incessanti domande che esigevano una risposta.
“Perché sei andata via? Perché non me ne hai parlato prima? E perché adesso rischi la vita? Solo per scappare via nuovamente?” l’eco dei suoi dubbi lo martellava ininterrottamente.
«Forse mi sbaglio su di te. Forse in fondo sei più egoista di quanto penso» disse con un filo di voce abbassando lo sguardo «Ma… tutto sommato… che diritto ha uno come me di criticarti?» si disse con tono piuttosto deluso.
In verità lui una risposta aveva dovuto darsela in tutti quegli anni: l’unica spiegazione era che in realtà non le importasse affatto né di diventare cavaliere, né di Athena… né di lui.
“Quella tua maledetta maschera argentea ha sempre celato meravigliosamente bene i tuoi veri sentimenti, Alex” pensò stringendo i pugni in un impeto di rabbia.
Tornò a sentirsi frustrato, preso in giro, ma adesso tutto ciò non gli bastava più. Doveva sapere la verità, per dare pace al suo cuore.
Con questo pensiero assillante si incamminò mestamente per tornare indietro.
Non aveva messo molta distanza tra se e gli altri due rimanendo, seppur inconsciamente, nei pressi nel caso in cui si fosse presentato qualche pericolo.
Intravide il bagliore del fuoco acceso in lontananza e si avvicinò lentamente muovendosi cauto tra gli arbusti.

«Se così stanno le cose… a maggior ragione non dovresti entrare in quel pozzo, Alexandra»
La voce cupa del centauro giunse alle orecchie del cavaliere.
«Non ho scelta» rispose la ragazza tirando un sospiro angosciato.
Kanon rimase acquattato fra i cespugli, incuriosito da quella discussione che non aveva alcuna intenzione di interrompere.
«Aletheia ti farà rivivere tutto, Alexandra, ti rendi conto?» continuò il centauro con tono grave, senza celare la sua crescente preoccupazione.
Un brivido di terrore percorse la schiena della sacerdotessa e quel pensiero orrendo le attraversò la mente come una scossa facendole diventare gli occhi vitrei, come se avesse visto un fantasma.
Ortaone non si aspettava una risposta, lo sguardo terrorizzato di lei valeva più di mille parole.
Kanon osservò attentamente l’espressione di lei. Si chiese cosa potesse spaventarla a tal punto del suo passato. La curiosità di sapere lo stava divorando e si mise ad origliare con più attenzione.
“Cosa nascondi?”
Alex continuava a tremare come un foglia, incapace di proferire parola.
Il centauro ebbe un moto di compassione a vederla così e le si avvicinò, cingendole teneramente le spalle con il suo braccio muscoloso.
«Vai via. Dammi retta. Scappa. È qualcosa più grande di te. Non puoi proteggerli» le disse con tono quasi fraterno.
A quelle parole la ragazza si abbandonò a quell’abbraccio, poggiando la testa sull’addome marmoreo del centauro, lasciandosi cullare.
Alla fine cedette al peso di tutta quella pressione psicologica e gli occhi le si riempirono di lacrime che iniziarono a rigarle le guance, luccicando come cascate di diamanti per mezzo del riflesso del fuoco di fronte a lei.
“Scappa”
Quella parola prese a rimbombare nella sua mente divenendo un suono ipnotico ed ammaliatore. Stava quasi per abbandonarsi all’idea suadente di lasciar perdere tutto e di seguire il consiglio di Ortaone quando, improvvisamente, un moto proveniente dal profondo della sua anima la colpì come schiaffo doloroso.
«Scappare?» disse affondando i suoi occhi di smeraldo in quelli del centauro.
Ortaone rimase interdetto: l’espressione di lei era mutata di colpo. Se non fosse stato per le lacrime che bagnavano ancora il suo volto avrebbe stentato a credere che fosse la stessa ragazza terrorizzata di poco prima. Non c’era più paura nei suoi occhi, adesso vi vedeva solo tanta, tantissima determinazione.
Alex scosse nervosamente la testa.
«No»
Il centauro chinò lateralmente il capo, facendo scivolare le sue trecce scomposte sulla spalla.
«Non posso farlo, Ortaone» ribadì lei «Non scapperò di nuovo dalle mie paure»
Kanon sbarrò lo sguardo.
“Di nuovo?” si chiese il cavaliere rimanendo nell’ombra.
«Non è la stessa cosa…» la rimproverò duramente il centauro ma Alex interruppe sul nascere qualsiasi polemica.
«Devo affrontare i miei demoni. Ho paura, credimi, tanta» confessò abbassando lo sguardo «ma devo farlo… non fuggirò, entrerò in quel pozzo, affronterò la prova di Aletheia e forse così riuscirò a salvare Deianira ed evitare questa carneficina.» si disse determinata «Non posso permettere che qualcuno di loro muoia sapendo che ero l’unica a poter fare qualcosa per evitarlo.»
Quelle sue parole furono come un sollievo per Kanon.
“Allora è per questo che lo fai” pensò mentre le sue labbra si curvavano in un sorriso.
Aveva sempre saputo dentro di sé che Alex non poteva stare facendo tutto per se stessa ma, adesso che lo sentiva con le sue orecchie, poteva avere finalmente la certezza.
Fu come se si fosse istantaneamente rimarginata una delle tante ferite del suo cuore.
La sua iniziale contentezza si dissipò in fretta non appena gli tornò alla mente il serio pericolo cui lei andava incontro. Una fitta gli strinse lo stomaco e lo fece indietreggiare di qualche passo. Nel farlo il suo piede calpestò inavvertitamente un ramoscello secco che si ruppe rumorosamente sotto il peso del suo corpo.
“Dannazione!” imprecò mentalmente il cavaliere al pensiero di poter essere scoperto e si morse il labbro nervosamente.
Il rumore sarebbe risultato impercettibile ai più da quella distanza, ma non ai centauri il cui udito era notevolmente superiore alla media.
Ortaone infatti lo sentì distintamente, ciononostante fece finta di nulla limitandosi a guardare in quella direzione con la coda dell’occhio. Sapeva bene che il cavaliere era da diversi minuti imboscato fra le sterpaglie intento ad ascoltarli, aveva percepito immediatamente il suo odore facendo così crollare quella che per Kanon doveva essere, apparentemente, una perfetta copertura.
«E il tuo amico? Perché non gli dici la verità?» chiese Ortaone serio.
«La verità?»
«Si. Perché non gli dici la vera ragione del tuo gesto?»
Alex abbassò lo sguardo.
«Non è necessario che lo sappia. A prescindere dalle mie ragioni non cambia il fatto che una volta sistemate le cose tornerò a Parnitha» disse con voce bassa.
Il centauro non fu persuaso dalla risposta sicché le alzò il viso con un dito costringendola a guardarlo negli occhi. Il suo sguardo era più serio che mai.
«Ed è questo che tu vuoi?»
La ragazza spalancò gli occhi, totalmente impreparata a quella domanda, come se avesse ricevuto una sberla in pieno volto.
Per la prima volta, di fronte a quella domanda così diretta, sentì le sue certezze vacillare.
«Io…» provò a dire qualcosa, ma la sua indecisione non glielo permise.
Dal canto suo il centauro fu più che soddisfatto di quella reazione e, ritenendo di non dover avere ulteriori conferme, si issò sulle zampe e fece per allontanarsi.
«Beh, mi sembra di capire che sia inutile tentare di convincerti a desistere» constatò sorridendo, dandole le spalle.
Alex, ripresasi dallo stato confusionario in cui versava pochi istanti prima, cercò di darsi un contegno schiarendosi la voce e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Non mi sembra che comunque tu ti sia sforzato tanto a riguardo» ironizzò lei ostentando un mezzo sorriso.
Ortaone fece spallucce indifferente «So riconoscere una persona caparbia quando la vedo» le disse voltandosi a guardarla con un gran sorriso.
Alex sorrise leggermente imbarazzata. Si stupì di quanto fosse bello il sorriso di Ortaone. Nonostante fosse una creatura possente e inquietante con quella enorme stazza, il suo viso a prima vista un po’ rude celava invece una dolcezza infinita. Si scoprì profondamente affezionata a quella creatura benché la conoscesse da così poco, e le furono chiare le motivazioni che avevano spinto la sua amata Ariane ad innamorarsi di lui nonostante fosse un centauro.
«In ogni caso, credo di conoscerne una anche più testarda di te, quindi posso ritenermi tranquillo» disse sibillino incamminandosi in direzione dei cespugli dietro i quali era ancora acquattato Kanon.
Il cavaliere, non appena lo vide avanzare verso di sé, inveì mentalmente e si allontanò in fretta addentrandosi nel bosco per non farsi cogliere in flagrante ad origliare.
Al centauro non sfuggì nemmeno questo gesto e sorrise scuotendo la testa.
«Cioè?» intervenne Alex non capendo il riferimento.
Ortaone non rispose e si introdusse anch’egli fra gli arbusti.
«Ehi, dove vai adesso?» domandò lei alzandosi in piedi. Tuttavia non ricevette alcuna risposta ricevere alcuna risposta e lo vide scomparire ben presto nel buio degli alberi.
«Sarà pure mezzo cavallo, ma per certi aspetti è tale e quale a tutti gli altri uomini» imprecò a bassa voce la sacerdotessa portandosi le braccia al petto.


«Certo che sono proprio due testardi…» disse tra sé il centauro trottando in mezzo agli alberi, seguendo le tracce lasciate dal cavaliere con tutto l’intento di raggiungerlo.
Chirone gli raccontava spesso della caparbietà degli umani, ma mai avrebbe pensato che potesse raggiungere simili livelli, rasentando la stupidità. Erano capaci di agire al di fuori di ogni logica o istinto di sopravvivenza e questo per lui, probabilmente per la sua natura metà animalesca, era inconcepibile. Eppure allo stesso tempo riusciva a comprendere che doveva esserci di più nelle loro azioni, che non fosse semplice cocciutaggine. Si, c’era sicuramente qualcos’altro. Qualcosa di esponenzialmente più forte: un sentimento.
Lui lo conosceva bene, lo aveva provato.
Sebbene risultasse così chiaro ed evidente, non riusciva a capire la loro ostinazione nel tenerlo soffocato, nel fare finta di nulla. Per lui questo non aveva senso.
“Che accidenti ti importa poi?” pensò “Corri un rischio inutile ed insensato accompagnandoli a Trachis” lo rimproverò, assennatamente, la sua coscienza.
Era vero dopotutto, perché stava facendo tutto questo? Da quando era stato esiliato dal suo branco, non aveva più messo piede in quei territori. Se i suoi fratelli lo avessero visto tornare lo avrebbero di certo ucciso, a maggior ragione se fosse tornato in compagnia di due umani. Solo un folle avrebbe compiuto un simile gesto. Il rancore che provava nei confronti dei suoi simili per avergli portato via la donna amata era pari solo al suo rimorso di averla persa. Che stesse solo perpetrando una vendetta accompagnando quei due al Pozzo, a discapito di ogni divieto o pericolo?
Ma no, non poteva essere quello il motivo.
Si soffermò a pensare ad Alexandra e alla sua determinazione mostrata pocanzi. Era un’espressione così familiare.
Sorrise.

********************************************************************

«Ce ne sono altri?!» chiese con entusiasmo la ragazza, facendo brillare i suoi grandi occhioni verdi.
Ortaone rise di gusto per quella reazione.
La fanciulla si mise a sedere sulle ginocchia, scombinando leggermente il grande telo di lino che era stato posto sul prato verde in modo tale da creare un giaciglio più confortevole.
«Non capisco tutto questo entusiasmo… ma si, ce ne sono altri… molti direi» rispose sorridendo il centauro, fingendo di non comprendere il motivo di tanta felicità.
Il motivo, naturalmente, lo conosceva bene. Ariane era una naturalista: una sorta di studiosa degli animali, come si era premurata di spiegargli quando si erano conosciuti. La reazione del centauro, allora, fu decisamente poco carina poiché le rise in faccia senza ritegno, scatenando ovviamente le ire di lei. Non era sua intenzione offenderla naturalmente, ma che vi fossero persone intente a studiare abitudini e comportamenti degli animali ed a catalogare il tutto in interminabili e dettagliati trattati gli risultava alquanto bizzarro. Ariane si era premurata di spiegargli, con infinita pazienza, che il suo lavoro non era diverso, per importanza, a quello delle altre discipline. I suoi occhi così carichi di passione mentre parlava del suo lavoro lo avevano al dunque convinto delle sue parole e finì per provare una profonda ammirazione per la dedizione con cui esercitava la sua professione.
Era giunta in Grecia, insieme ad altri studiosi, con il preciso scopo di studiare l’habitat boschivo di quelle terre ma mai si sarebbe aspettata di incontrare…beh, un centauro. Per una studiosa quella risultava essere una scoperta sensazionale, che di certo l’avrebbe fatta salire in cima al pantheon degli esploratori.
«Mi prendi in giro?!» lo accusò lei mentre le labbra si piegavano in una smorfia imbronciata.
Per tutta risposta Ortaone si abbassò su di lei, avvicinando il suo viso a pochi centimetri da quello di Ariane.
«Sono serissimo» ribatté smettendo di sorridere, sfoggiando un tono di voce molto profondo.
Ariane lo fissò attentamente, soppesando le sue parole e studiando con perizia ogni tratto del suo viso per carpire le sue vere intenzioni.
Ortaone si stupiva sempre di quanto il suo sguardo risultasse magnetico e al contempo penetrante.
Qualsiasi ragazza si sarebbe intimorita di fronte allo sguardo severo del centauro, ma non lei. Fin dal primo istante, nei suoi occhi non aveva mai visto un oncia di paura  nei suoi riguardi, solo moltissima curiosità, il che lo aveva colpito alquanto.
L’interesse di lei era dapprima cominciato come pura curiosità scientifica, ma ben presto le loro disquisizioni acquisirono una valenza diversa, divenendo dei confronti talmente piacevoli da risultare per entrambi essenziali. Fu così che iniziarono a vedersi sempre più spesso e, da cosa nacque cosa, Ariane iniziò a dimenticarsi della sua natura meticcia, provando un interesse sempre più equivoco nei confronti del suo lato umano.
Dal canto suo il centauro non aveva mai provato nulla di simile: si sentiva euforico e felice standole accanto e la necessità di sentirla vicino era divenuta vitale. Allo stesso tempo, però, sentiva che era sempre più difficile per lui trattenere anche l’insano istinto animale nei suoi confronti. Conosceva bene la sua natura: nonostante il suo maestro Chirone gli avesse insegnato a controllare le sue pulsioni, facendo emergere in lui le sue caratteristiche umane a discapito di quelle animali, egli rimaneva comunque un centauro. I centauri sono creature possenti e forti ma non sono tuttavia in grado di provare più di un sentimento per volta. Così, ogni emozione provata prende completamente il sopravvento e viene esasperata a tal punto da determinare  ogni loro azione. Erano storicamente ben note la furia cieca di un centauro arrabbiato e le deplorevoli azioni compiute in preda alla lussuria.
Rabbrividiva al solo pensiero di cedere a quegli istinti animali con Ariane.
Fortunatamente gli insegnamenti del maestro si rivelarono efficaci perché, nonostante il forte desiderio che provava nei suoi confronti, riusciva sempre a controllarsi. Ma lui era un caso completamente a se stante rispetto agli altri centauri.
«Vorrei tanto vederli» disse Ariane, richiamando la sua attenzione, con un tono supplichevole che tuttavia contrastava con il suo sguardo carico di decisione.
Quella richiesta fu per il centauro come un vero e proprio pugno nello stomaco.
«Cosa?! Perché?» chiese lui alterato mentre l’ansia iniziava ad impadronirsi di lui.
«Dai, non fingere di non capire. Lo sai. Vorrei tanto studiarne le abitudini» rispose lei sognante portandosi una mano all’altezza del cuore.
«Non so… non sarebbe una buona idea…» quella richiesta lo fece andare totalmente nel panico.
«Perché ti preoccupi?»
«Può essere pericoloso» l’ammonì.
«Ho studiato anche animali feroci, se è questo che ti preoccupa. E poi non mi sembra che voi centauri lo siate… tu non lo sei» sorrise lei dolcemente, poggiando una mano sul suo avambraccio.
Ortaone voltò lo sguardo imbronciato.
«Io sono diverso, credimi»
Ariane si intenerì per quella reazione e la sua mano volò dal suo braccio fino alla sua guancia, carezzandolo dolcemente e  costringendolo a voltarsi.
«Ti prego, è molto importante per me» provò ancora.
La guardò intensamente negli occhi, quegli occhi verdi e penetranti, scostandole una ciocca di capelli corvini dal viso e portandogliela dietro l’orecchio.
«Non voglio che ti accada niente» rispose mesto.
«Non accadrà» ribatté determinata «Ci sei tu con me…»
Acconsentì.

********************************************************************

Il sorriso svanì insieme a quel ricordo.
Il rimorso tornò sovente a tormentarlo. Sebbene il senso di colpa fosse ormai un compagno di vita per lui, ogni qualvolta pensava a lei si sentiva morire dentro.
“Ti ricorda lei” gli disse la sua coscienza “Ecco perché fai tutto questo”
L’istinto di proteggere quella ragazza, misconosciuta per lui, che eppure così tanto somigliava alla sua amata Ariane, era così forte da non curarsi dei pericoli a cui andava incontro nel farlo. Era un comportamento del tutto insensato il suo, ciononostante c’era qualcosa nella sua anima che gli diceva di farlo, di aiutarla.
Un rumore dietro agli alberi lo fece arrestare.
«Che ci fai qui?» chiese un Kanon, fintamente sorpreso, sbucando dagli arbusti.
Ortaone si sollevò di aver raggiunto il cavaliere e di essere stato distolto dai suoi tristi pensieri. Sorrise, glissando la domanda.
«Non sta bene origliare» disse beffardo il centauro, guardandolo con un’espressione complice.
Sebbene dentro di se stesse maledicendosi, Kanon non mostrò alcuna preoccupazione in volto.
«Di che parli?» simulò indifferenza.
Il centauro rise di gusto e la cosa diede alquanto fastidio al cavaliere che si tramutò in uno sguardo stizzoso. Tuttavia non disse nulla, per non aggravare la sua posizione già scomoda.
«Hai avuto le risposte che volevi?» continuò Ortaone non curandosi della sua reazione.
Kanon fece finta di non sentire, muovendo qualche passo alla ricerca di qualche ramo secco da cogliere.
«Beh, ora che sai le sue ragioni, cos’hai intenzione di fare?»
All’ennesima domanda il cavaliere buttò indietro la testa, infastidito.
«Che vuoi dire?» chiese esasperato.
«Sai bene a cosa mi riferisco» lo rimproverò duramente Ortaone con lo sguardo cupo e minaccioso.
Il gemello si voltò a fissarlo e ora anche il suo sguardo era divenuto serio e profondo, ostentando una sicurezza tale che l’altro ne rimase sorpreso.
«Non ho mai cambiato idea a riguardo»
Senza attendere una risposta, Kanon fece per incamminarsi verso il campo dove avevano lasciato Alexandra, sorpassando il centauro e tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
«Kanon!» lo chiamò l’altro facendolo arrestare poco distante.
«So che non farai lo stesso errore che io feci con la mia amata Ariane. È un rimorso che mi porterò dietro tutta la vita. Ma tu… devi proteggerla, a qualsiasi costo».
«E’ la mia missione» rispose laconico Kanon.
Ortaone sorrise.
«Sappiamo entrambi che non è per questo che lo farai…»
Il cavaliere abbassò lo sguardo, curvando le labbra in un leggero sorriso.
«Lo sai? Forse preferivo che fossi un centauro comune» scherzò.
Il centauro stava per ribattere quando un improvviso rumore indistinto in lontananza lo fece sussultare. Pochi istanti dopo anche Kanon lo percepì, mettendosi in allarme.
«Che diamine…?»
«Presto! Dietro agli alberi, e sta zitto!» gli intimò Ortaone.
I due fecero appena in tempo a nascondersi dietro ad un enorme albero lì vicino che il terreno sotto ai piedi iniziò a tremare e un sordo rumore di zoccoli si fece via via più forte ad ogni istante.
Una decina di centauri al galoppo gli passò talmente vicino che temettero seriamente di essere scoperti.
Fortunatamente non si accorsero della loro presenza, intenti com’erano a correre tutti nella stessa direzione, come attirati da qualcosa.
«Avevi detto che questo era un luogo sicuro!» lo accusò Kanon non appena furono abbastanza lontani da non sentirlo.
«Infatti. Questo territorio non è battuto dai centauri. È strano. Sembra stiano cercando qualcosa… A meno che…» disse il centauro riflettendo. Senza preavviso afferrò il cavaliere per la tunica, tirandolo a sé con rabbia.
«Sapevano già del vostro arrivo?!» chiese furibondo l’ibrido.
Kanon si divincolò dalla presa scostando malamente il braccio del centauro.
«Non posso escluderlo. Tra quelle serpi dei delegati può esserci qualcuno che trama nell’ombra» rifletté.
«Dovevi dirmelo!» Ortaone aveva uno sguardo a metà tra il furioso e il preoccupato «I centauri sono cacciatori esperti. Un conto è evitarli ma se ci stanno cercando non c’è modo di passare inosservati»
Anche lo sguardo di Kanon si fece ansioso.
«Stanno andando in quella direzione» constatò il cavaliere preoccupato.
«Da quella parte c’è il campo» continuò Ortaone sgranando gli occhi per lo sconcerto.
«No… Alex!»


I due misero a correre senza sosta verso il campo. Ogni istante non faceva che accrescere la paura di non arrivare in tempo.
«Perché diamine l’hai lasciata da sola?!» recriminò Kanon senza smettere di correre.
«Non doveva correre rischi qui! Se mi avessi detto le cose come stavano non sarebbe successo!»
Giunsero all’accampamento più in fretta che poterono. Sentendo già in lontananza il rumore degli zoccoli che pestavano il terreno e il vociare roco di quelle creature.
Kanon stava già per lanciarsi nella mischia senza riflettere quando inaspettatamente Ortaone lo afferrò per il braccio trascinandolo di peso dietro a delle alte siepi.
«Che stai facendo?!» si lamentò il cavaliere.
«Sta zitto e guarda!»
Kanon, infastidito, gettò lo sguardo al campo e rimase stupito nel notare che non v’era alcuna traccia di Alexandra. I centauri, inferociti, stavano mettendo a soqquadro l’accampamento, rovistando nelle bisacce e disfacendo il falò con gli zoccoli. Sembravano decisamente furibondi di non averli trovati. Intanto il sole si apprestava a sorgere, rischiarando il cielo. La luce iniziava a diffondersi rendendo più difficoltoso nascondersi non beneficiando del buio della notte.
«Alex…» sussurrò il cavaliere in preda all’ansia di non sapere dove fosse.
«E’ meglio andare» disse Ortaone.
«Stai scherzando? Non ce ne andremo senza di lei!» rispose lui alterato.
«Maledizione fidati di me , se restiamo qui finiranno per…»
Non ebbe il tempo di finire la frase che un enorme centauro sbucò da dietro un albero poco distante, cogliendoli di sorpresa.
«…Scoprirci…»
L’equino, che si era accorto immediatamente della loro presenza, li fissava con sguardo truce. Senza dargli il tempo di fare alcunché li caricò con ferocia inaudita brandendo una enorme spada.
Ortaone, agendo d’istinto, afferrò il suo arco, ma prima che riuscisse ad incoccare una freccia il centauro che li stava caricando venne colpito, cadendo per terra e finendo la sua corsa strisciando sul terreno polveroso fino ai piedi di Kanon.
Questi rimase dapprima interdetto poi, osservando meglio, notò che una freccia aveva trapassato il collo dell’ibrido, abbattendolo sul colpo.
I due non ebbero modo di interrogarsi sull’accaduto poiché Alexandra planò davanti a loro scendendo da un albero.
«Grazie della protezione!» ironizzò lei prendendo un’altra freccia dalla faretra.
Kanon sorrise, rincuorato di vederla sana e salva.
«Correte» intervenne Ortaone serio guardando in direzione del punto da cui era sbucato quel centauro.
Gli altri due si guardarono in un primo momento interrogativi, per poi rivolgere lo sguardo nella stessa direzione.
Una dozzina di centauri in lontananza stava galoppando verso di loro urlando e sbraitando con ferocia.
«Via!» urlò il centauro.
I tre iniziarono a correre speditamente in una direzione imprecisata.
Avevano un mucchio di centauri alle calcagna e nonostante la loro velocità stavano gradualmente guadagnando terreno e presto o tardi li avrebbero raggiunti.
«Ci raggiungeranno!» urlò Alex.
«Dannazione!» imprecò Ortaone voltandosi per scagliare una freccia in direzione dei centauri, senza smettere di correre.
La freccia andò a segno, colpendo uno di loro che stramazzò a terra con un rantolo. Gli altri centauri non se ne curarono e scavalcandolo continuarono ad inseguirli.
Alex decise di seguire l’esempio e con un balzo salì sugli alberi continuando la sua corsa fra i rami e scagliando da quella posizione le sue frecce.
Ne uccisero diversi in questo modo ma man mano che avanzavano altri centauri si univano alla corsa sbucando dagli alberi antistanti.
Ben presto li ebbero a tiro e iniziarono a scagliare un nuvolo di frecce nella loro direzione.
Un paio di centauri, più veloci, distanziarono gli altri avvicinandosi sempre di più.
Alex tentò di fermarli scagliando due frecce in un sol colpo. Tuttavia una colpì alla spalla uno dei due centauri, non interrompendo la sua corsa, mentre l’altra lo sfiorò soltanto.
I due si accorsero della provenienza del colpo e per tutta risposta presero a scagliare frecce a ripetizione verso la ragazza.
Da sacerdotessa esperta qual era, si muoveva rapidamente tra i rami tanto da riuscire ad evitare i colpi.
Sfortunatamente anche i centauri erano tiratori esperti ed una freccia riuscì a raggiungerla ferendola alla gamba.
La freccia andò a lacerare le sue carni causandole una fitta dolorosa che le fece perdere l’equilibrio sicché cadde rovinosamente dagli alti rami. Fortunatamente riuscì a riprendersi prima di giungere a terra, riuscendo così ad atterrare in modo tale da non ferirsi ulteriormente. La ferita alla gamba tuttavia non le permetteva di correre.
Kanon intanto, che non l’aveva persa di vista un istante, si accorse di tutto e arrestò immediatamente la corsa, tornando indietro per soccorrerla.
Ortaone, vedendo Kanon, fece altrettanto.
«Alex!» la chiamò il cavaliere buttandosi in ginocchio vicino a lei e gettando lo sguardo sulla ferita alla gamba.
Intanto i due centauri in testa li stavano ormai per raggiungere così Kanon si alzò in piedi muovendo qualche passo nella loro direzione.
Iniziò ad espandere il suo cosmo mentre un aura dorata attorniava il suo corpo. Emanava una potenza inaudita. Chiuse gli occhi, concentrandosi sul corpo da sferrare. Portò le braccia in alto mentre uno strano vortice inconsistente si formava attorno alle sue mani che erano al contempo attraversate da scariche dorate. Allargò poi le braccia sferrando il colpo.
«Another Dimension!!»
Un varco dimensionale si aprì dietro i due centauri risucchiandoli all’interno con forza. I due vennero inghiottiti dalla dimesione parallela, scomparendo dalla vista, e il portale si richiuse velocemente imprigionandoli all’interno.
«Però… davvero notevole» disse ammirato Ortaone con un sorrisetto, stupito della potenza del cavaliere.
Il sorriso svanì ben presto, non appena vide che degli altri centauri li stavano per raggiungere.
«Ma quanti sono?!» imprecò Kanon.
«Andiamo!»  li esortò il centauro.
Alex fece per alzarsi ma una volta poggiata la gamba ferita questa cedette al suo peso facendola stramazzare sulle ginocchia.
Kanon le si avvicinò preoccupato.
«Non ce la fa» constatò per poi voltarsi indietro a guardare i nemici sempre più vicini «Non ci resta che affrontarli»
«No» protestò il centauro «Non ce la faresti mai, neanche con la tua forza, cavaliere»
«Il Pozzo! Dobbiamo raggiungere il Pozzo!» intervenne la ragazza.
Ortaone chiuse gli occhi nervosamente mentre una goccia di sudore rotolava giù dalle sue tempie fino alla sua barba.
«Monta!» detto questo prese di peso la sacerdotessa e se la mise in groppa «Seguitemi!» ordinò riprendendo a correre seguito a ruota da Kanon.
Corsero senza sosta, deviando dal sentiero e imboscandosi in mezzo agli alberi nel tentativo di seminarli.
Non ci riuscirono, il branco non accennava a stancarsi, cosa che invece stava accadendo ormai con loro.
Ortaone iniziava ad avere il respiro pesante, stremato dalla fatica della lunga corsa e dal peso aggiuntivo che trasportava.
Poco dopo si addentrarono in una gola, formatasi per erosione dell’acqua che ancora scorreva formando un fiumiciattolo limpido. Le altissime pareti di roccia restringevano di parecchio il sentiero. In quell’angusto corridoio, il centauro ne approfittò per scagliare ancora numerose frecce che, complice la strettoia, andarono tutte a segno.
Ciononostante non bastava a fermare la carica degli altri che continuavano ad avanzare inferociti scagliando anch’essi frecce e lance che fortunatamente andavano a cozzare contro le rocce deviando la traiettoria.
Ortaone era ormai allo stremo. Sentiva le forze venirgli meno. Frenò improvvisamente, attirando su di sé le ire di Kanon, contrariato per il suo gesto.
«Ortaone?» chiese la ragazza preoccupata sentendolo respirare affannosamente.
«Di questo passo non ce la faremo mai» constatò preoccupato il centauro.
Alex scese dalla sua groppa per permettergli di rifiatare, sentendosi in colpa per le sue condizioni.
Ortaone si voltò a guardare il branco che ormai li aveva quasi raggiunti. Poteva ormai sentire le loro grida minacciose.
Strinse il pugno attorno all’arco che impugnava, corrucciando la fronte in una smorfia contrariata.
«Non c’è altro modo» asserì.
La sacerdotessa lo guardo interdetta mentre Kanon parve capire a cosa si stesse riferendo, rimanendo pur tuttavia con uno sguardo glaciale. Numerose gocce di sudore imperlavano la sua fronte abbronzata scivolando poi lungo il suo collo per andare a depositarsi sulla maglia.
Il centauro rivolse lo sguardo verso di lui.
«In fondo a questa gola troverete le rovine di Trachis e il Pozzo…» disse serio.
«Che stai dicendo?!» intervenne Alex allarmata.
Ortaone si intenerì e le si avvicinò sorridendole dolcemente.
«Vorrei che ci fosse un altro modo, credimi» le disse.
La ragazza sbiancò, spalancando gli occhi per il terrore avendo intuito le sue intenzioni.
«No!» protestò.
«Ascoltami…» continuò lui poggiandole una mano sulla guancia «Devo farlo. Sarò sempre grato agli Dei di avermi dato una seconda opportunità per redimere il mio errore con Ariane »
Gli occhi di Alex divennero lucidi.
«No! Non dirlo nemmeno!»
Ortaone non ascoltò l’ennesima protesta di lei, rivolgendosi invece al cavaliere d’oro che lo fissava con uno sguardo serio.
«Ricorda cosa ti ho detto: devi proteggerla» gli disse.
Un paio di frecce li raggiunsero, passandogli talmente vicine che per puro caso non andarono a segno.
«Ora andate!» ordinò duro Ortaone brandendo il suo arco e scagliando una freccia in direzione degli altri centauri.
«No!»
Ancora frecce.
«Via!» urlò il centauro «Kanon! Portala via!»
Il cavaliere strinse i pugni mentre serrava la mascella in una smorfia, senza indugiare oltre afferrò di peso Alexandra e se la caricò sulla spalla, fuggendo via velocemente.
«No! Kanon! No!!» urlò lei dimenandosi e scalciando.
Ortaone li guardò allontanarsi e una lacrima argentea sfuggì dal suo occhio.
«Ariane… questo è per te» sussurrò a se stesso con rabbia.
Iniziò a correre in direzione dei suoi fratelli, caricandoli di rimando e scagliando frecce a ripetizione.
Ben presto però si accorse di aver terminato le frecce, così, in uno scatto d’ira, scagliò via il suo arco e brandì la mazza urlando rabbioso in direzione degli altri centauri.
Alex continuava a dimenarsi guardando la scena mentre Kanon continuava a correre per portala lontano.
Ortaone non aveva speranza di spuntarla, erano troppo numerosi, lo sapeva bene. Avrebbe solo fatto guadagnare tempo ai due ma non sarebbe riuscito a fermarli.
Poi d’un tratto guardò le pareti di roccia e una folle idea gli balenò per la mente.
Arrestò la sua corsa e strinse entrambe le mani sulla mazza.
«Ariane! Perdonami» sussurrò ancora mentre calde lacrime gli rigavano il viso.
Raccolse tutte le sue forze residue e, gettando un urlo inquietante al cielo, colpì la parete di roccia con una potenza incredibile.
L’onda  d’urto per poco non fece sbalzare Kanon che tuttavia si riprese in fretta continuando a correre.
La terra tremò come scossa da un improvviso terremoto. La parete di roccia si incrinò e alcuni macigni vennero giù, cadendo a depositarsi a valle della gola.
«No! Ortaone!!» urlò disperata la sacerdotessa capendo cosa stava per fare.
I centauri iniziarono a imbizzarrirsi, impauriti.
Seguirono altri due colpi della medesima potenza che provocarono al fine una enorme frana. I megalitici costoni di roccia caddero rumorosamente sommergendo Ortaone e bloccando il passaggio.


Kanon proseguì la sua corsa finché, uscendo dalla gola, si ritrovarono in mezzo a delle antiche rovine.
Vecchi edifici malmessi e semidistrutti, colonne rotte e frammenti di strada. Tutto sommerso da una fitta vegetazione che le teneva quasi occultate alla vista.
Ormai rassicurato di non essere più inseguiti, mise giù la ragazza poggiandola delicatamente su una colonna.
Alex aveva gli occhi rossi e pieni di lacrime e il suo corpo era scosso da tremori e singhiozzi.
Kanon non sapeva cosa dire. Avrebbe dovuto dire qualcosa per confortarla, ma non lo fece. Rimase in religioso silenzio, tenendo lo sguardo basso.
Gettò nuovamente lo sguardo sulla ferita della ragazza che continuava a sanguinare e con un gesto secco si strappò un lembo di tunica procurandosi una fasciatura di fortuna. Si accovacciò vicino a lei e prese delicatamente ad avvolgere la benda sulla gamba.
Alex sussultò non appena sentì le sue mani sfiorarla e alzò lo sguardo in direzione del cavaliere che tuttavia stava con gli occhi fissi verso il basso guardando attentamente le sue stesse mani che armeggiavano con la benda.
«Non.. non doveva farlo…» disse lei con la voce rotta dal dolore.
Kanon non disse nulla.
«E’ tutta colpa mia… se solo non avess…ah!»
Il cavaliere strinse con forza la benda, facendole male e interrompendo volontariamente  il suo discorso.
«Ha fatto ciò che riteneva giusto. Ciò che sentiva» rispose laconico Kanon rimettendosi in piedi.
«Si ma… non doveva sacrificare la sua vita… non era una sua responsabilità… non era tenuto a…»
«Neanche tu lo sei» la interruppe Kanon guardandola serio «Eppure hai deciso di andare fino in fondo»
Alex abbassò lo sguardo, incapace di ribattere.
«E’ diverso… devo farlo, lo sai» gli disse poi con un filo di voce.
Kanon sorrise amaramente, distogliendo lo sguardo.
«Nonostante tutto… porti ancora una maschera con me…»
La ragazza ebbe una fitta al cuore. Non voleva mentirgli. Avrebbe voluto dirgli tutta la verità, dirgli ciò che era successo quel giorno, dirgli che non era più sicura di volere nuovamente abbandonare il Santuario. Ma come poteva?
Rimasero in silenzio per diversi minuti.
«Ce la fai a camminare?» chiese poi il cavaliere.
 Alex provò ad alzarsi in piedi, sorretta dalle braccia di Kanon e fu ben contenta di constatare che riusciva a poggiare la gamba senza che l’eccessivo dolore le impedisse i movimenti.
«Credo di si» confermò abbandonando il sostegno del gemello.
«Troviamo quel dannato pozzo e facciamola finita» la incitò Kanon cupo.

Camminarono in mezzo alle rovine per un po’. Alex perlopiù barcollava.
Giunsero a quella che anticamente doveva essere la piazza principale della cittadina. I resti di un enorme tempio si ergevano antistanti lo spiazzo. Vi entrarono cautamente, guardandosi attorno.
Le colonne erano grandi ed imponenti e, sebbene fossero ormai nulla più che macerie, era possibile immaginare la magnificenza e la fastosità di quel luogo ai suoi tempi d’oro.
Proseguirono all’interno attraversando quella che anticamente doveva essere il naòs, la sala principale.
La luce filtrava flebile dal tetto del tempio traforato dai crolli e dalle crepe scendevano lunghi rami di edera, la stessa che prepotentemente avvolgeva le colonne tutt’intorno.
In fondo alla sala si trovavano diverse statue disposte a semicerchio, tutte raffiguranti delle divinità, inginocchiate e con lo sguardo rivolto verso la parete di fondo del tempio che ospitava una sorta di sacrario di marmo bianco con decorazioni in avorio e oro. Finemente decorato, era composto da numerose nicchie, la centrale era la più grande, posta al di sopra di un grosso portone di legno ormai logoro, e ospitava una statua raffigurante una donzella che teneva, in alto, fra le mani una sorta di piatto d’argento che mostrava fieramente agli osservatori.
«Aletheia…» sussurrò Alex.
Kanon annuì «Sembra che siamo nel posto giusto» disse «scommetto che l’entrata si trova nell’Adyton»
I due si fissarono con uno sguardo d’intesa e si avvicinarono mestamente al portone di legno. Lo spinsero cautamente e questo si aprì cigolando cupamente.
Ciò che videro oltre la porta li lasciò interdetti. Non era ciò che si aspettavano.
La sala era circolare e non molto grande ma aveva ben poco l’aspetto di un tempio: era delimitata da imponenti alberi che arrivavano fino al soffitto, i rami di questi avevano sfondato il tetto causando dei crolli.
La luce filtrava da un foro perfettamente centrale e illuminava quello che all’apparenza era un normalissimo, seppur molto ampio, pozzo contornato da squadrate pietre bianche coperte a tratti dalla vegetazione.
Decisamente spaesati si avvicinarono ad esso e non appena furono abbastanza vicini gettarono lo sguardo al suo interno.
Non si vedeva nulla, naturalmente, se non un interminabile salto nel vuoto, il che lo rendeva ancora più inquietante.
Nella parete di fronte era incisa con caratteri bronzei un’iscrizione in greco antico che non avevano ancora notato.
«Solo una persona può sottoporsi al giudizio di Aletheia. Se meritevole essa riceverà in dono la Verità altrimenti rimarrà imprigionata per sempre nell’oblio dell’oscurità» lesse ad alta voce Alexandra.
Tirò un sospiro carico d’ansia.
«Beh…ci siamo…» sussurrò quasi incerta.
“Ci siamo…” pensò all’unisono Kanon.
«Kanon, promettimi che, se non riuscissi in questa impresa, farai di tutto per salvare Deianira» disse lei voltandosi a guardarlo con aria supplichevole.
Il cavaliere non rispose ma Alex non si aspettava diversamente.
Mosse qualche passo in avanti spingendosi fino al bordo del baratro.
Kanon strinse i pugni, mordendosi furiosamente il labbro facendolo quasi sanguinare.
“Al diavolo!”
«Alex, aspetta!»
L’afferrò rapidamente per un braccio tirandola a sé e, senza darle il tempo di rendersi conto di alcunché, poggiò le labbra sulle sue.
La ragazza rimase spiazzata da quel gesto. Kanon le strinse la vita con il braccio trattenendola mentre l’altra mano si insinuava fra i capelli corvini spingendole la nuca verso di sé.
La lingua di lui premette sulle sue labbra chiedendo disperatamente di incontrare quella di lei. Un fiume di emozioni la attraversò, facendo andare sottosopra il suo stomaco che anzi ora era stretto in una morsa dolorosa e tremendamente piacevole.
Le sue labbra dapprima serrate per lo shock non resistettero a lungo alla tentazione di dischiudersi e alla fine cedettero il passo lasciandolo entrare. Gli occhi di entrambi rimasero chiusi per meglio assaporare il momento.
Le loro lingue si inseguirono velocemente come se non desiderassero altro da sempre sciogliendosi in quella danza carica di passione.
La mano di Alexandra, in un primo momento serrata, si aprì ad accarezzare il petto muscoloso di Kanon mentre questi la teneva saldamente stretta a sé.
Il cavaliere si staccò, controvoglia, da quel contatto che gli stava dando un’emozione sconosciuta, nuova, pericolosa. Anche la sacerdotessa si mostrò contrariata per quel distacco forzoso.
Si avvicinò nuovamente alle labbra di lei, succhiandole brevemente in un bacio più casto ma non privo di passione. Strinse ancor di più gli occhi, già serrati, in una smorfia di dolore.
«Perdonami…» le sussurrò sulle labbra.
Alex aprì lentamente gli occhi, frastornata da quella richiesta. Non ebbe il tempo di interrogarsi sul perché che Kanon la allontanò con un gesto brusco da sé e, senza darle modo di reagire, corse verso il pozzo gettandovisi dentro.
La ragazza visse quella scena quasi a rallentatore. Si gettò sul bordo del pozzo ma, naturalmente, non fece in tempo ad afferrare il cavaliere.
«Kanon!!!!!» urlò in un pianto disperato vedendolo scomparire velocemente nel buio di quella oscurità.
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Re: Il peso della Giustizia
« Risposta #10 il: 29 Settembre, 2017, 23:01:36 pm »