Saint Seiya GS - Il Forum della Terza Casa

Visualizza post

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i post inviati da questo utente. N.B: puoi vedere solo i post relativi alle aree dove hai l'accesso.


Topics - Cristian di Gemini

Pagine: 1 ... 14 15 [16]
226
Cinema, Teatro e Televisione / 13 Assassini
« il: 11 Ottobre, 2016, 19:19:56 pm »


Il Giappone feudale sta vivendo un periodo di pace, l’era dei guerrieri samurai è ormai al tramonto, ma la pace e la serenità del popolo è minacciata dalla scalata al potere del sire Naritsugu crudele e folle fratellastro dello Shogun in carica che grazie alla protezione fornitagli dalla sua alta carica perpetra mostruosità contro il popolo e gli altri clan, stuprando e mutilando giovani donne per puro diletto, uccidendo bambini e trucidando chiunque si frapponga fra lui e la sua conclamata pazzia.

Dopo che un membro di un potente clan per protesta si toglie la vita con l’antico rituale del seppuku, il samurai Shinzaemon Shimada (Koji Yakusho) viene ingaggiato in segreto per portare a termine l’eliminazione di Naritsugu, onde vendicare tutti quelli che sono morti per suo capriccio e per evitare che termini la sua scalata politica, puntando ad entrare nel consiglio degli Shogun con effetti devastanti facilmente prevedibili sull’intera nazione.

Shinzaemon recluterà per questa missione altri undici samurai tra questi due ronin, samurai senza padrone che combattono per denaro, un giovane che ancora deve bagnare la sua katana con il sangue di un nemico e il nipote Shinroukuro, al gruppo si unirà lungo la strada anche Kiga Koyata, un cacciatore che afferma di diecendere da una stirpe di samurai e che oltre a fargli da guida si unirà al manipolo di guerrieri per la cruenta battaglia finale.

Il piano è preparare un’imboscata fortificando un villaggio che si trova lungo la strada che Naritsugu e la sua scorta dovranno percorrere per raggiungere la città di Edo, quello che i tredici non sanno è che la scorta che doveva essere composta da settanta soldati in realtà ne conterà oltre duecento.

Il geniale Takashi Miike tra il sequel Zebraman 2 e il live-action dedicato all’amatissimo anime Yattaman confeziona questo strepitoso Jidaigeki, in Giappone un genere che comprende pellicole solitamente ambientate nel giappone feudale del periodo Edo, sfornando un vero capolavoro, di quelli che lasciano il segno tra suggestioni western e inquadrature che nella battaglia finale da antologia sublimano il genere, regalando un’immersività e una cura per il dettaglio dall’impatto visivo straordinario, supportato da interpreti di caratura e messinscena di altissimo profilo.

13 assassins dimostra ulteriormente l’ecletticità di un regista che sfugge alle etichette  e che troppo spesso molti tentano di imbrigliare in un elitaria cornice da cinema d’autore, dimenticando il suo essere fiero ed istrionico rappresentante di tanto vitale cinema di genere.

Note di produzione: il film è il remake di un classico di Eiichi Kudo datato 1963 tratto a sua volta da fatti reali, il produttore della pellicola Toshiaki Nakazawa è lo stesso della pellicola premio Oscar Departures.

Fonte Rensione: http://www.ilcinemaniaco.com/13-assassins-recensione-in-anteprima/

227
Altri Anime&Manga / Excel Saga: Animazione Sperimentale Insensata
« il: 10 Ottobre, 2016, 21:23:55 pm »


Tempo fa, sulle diverse video DYNAMIC, apparve uno strampalato e folle trailer pubblicitario: l’esordio, alla KEN IL GUERRIERO, era “Per anni avete atteso il loro ritorno…e ora non potrete che pentirvene !!!”.

Dopo, iniziava una carrellata rutilante che vedeva coinvolte due strane ragazze, un cane piccolo e cicciotello, un losco figuro e alcuni dei più famosi personaggi dell’animazione giapponese (ad esempio, Captain Harlock e Metel di GALAXY EXPRESS).

Era un trailer assurdo; tra l’altro, non si capiva nemmeno qual’era il titolo della serie ivi reclamizzata: EXCEL SAGA o BADEND (l’ultima parola che appariva nel trailer)? Boh!

Dopo aver guardato diverse volte tale trailer, provavo diverse emozioni e sensazioni: inizialmente mi sembrava una cretinata pazzesca, poi però ero piuttosto incuriosito.

“Che strana serie !!! Di che cosa parlerà?”
Questi erano i pensieri che agitavano la mia contorta mente durante simili visioni.

Nel Luglio scorso, sfogliando il mensile ANTEPRIMA in fumetteria, scoprii finalmente il titolo del famigerato Anime, e alcune notizie su esso: EXCEL SAGA, una nuovissima serie di OAV ancora in corso di realizzazione in Giappone e tratta da un manga di grande successo, ancora del tutto inedito in Italia.

Prima video prevista per Settembre. Ormai dovevo, volevo saperne di più. A Settembre, tuttavia, non vi fu alcuna uscita video di rilievo; i soliti ritardi di DYNAMIC!!! Poi, finalmente, agli inizi di Ottobre l’ormai agognata prima cassetta (al solito salasso di 39900 L.!!! Ma DYNAMIC non fa delle serie in economica?!?). Nonostante il dissanguamento del portafoglio, acquisto l’oggetto oscuro del desiderio e mi fiondo subito a casa per vederlo.

È l’inizio di una folle e passionale storia d’amore: tre volte in una settimana!!! Non mi ero comportato in questa maniera neanche per COWBOY BEBOP o EL-HAZARD!!! Ma EXCEL SAGA è fatta così: ti prende e non ti lascia più, almeno finchè non sei morto dalle risate…

Scherzi a parte, questa strampalata serie di OAV si rivela come la più intrigante e piacevole sorpresa di questo inizio Autunno.

DYNAMIC ha fatto centro ancora una volta; certamente Francesco Di Sanzo e soci riusciranno di nuovo a conquistare gli Otaku di tutt’Italia con questo gioiellino, assolutamente sconosciuto presso il pubblico nostrano fino al trailer su descritto, e con l’omonimo manga di Koshi Rikdo, altrettanto sconosciuto e in arrivo per la divisione manga della casa bolognese. Bisogna ammetterlo: i ragazzi della grande “D” hanno fiuto per le produzioni migliori, e si vede benissimo.

EXCEL SAGA, infatti, mostra una vivacità narrativa e artistica eccezionale.

Merito senza dubbio del regista, Shin’ichi Watanabe (lo stesso di COWBOY BEBOP), che imprime ritmo e ironia a personaggi e situazioni sempre originali e divertenti. Ma anche dello stesso Koshi Rikdo, uno dei mangaka più strambi e geniali dell’ultima generazione, oggetto di vero e proprio culto presso il fandom nipponico: l’autore ha collaborato attivamente al lavoro di Watanabe, contribuendo con inventiva e simpatia al risultato finale e stravolgendo con fantasia i suoi stessi personaggi. Insomma, EXCEL si rivela come una serie davvero interessante e godibile, sotto tutti i punti di vista.

Ora, però, devo certamente rispondere alla vostra domanda principale: “ma di che parla questo benedetto EXCEL SAGA?!?”

Prima sorpresa: non esiste una trama precisa, nè in generale nè per quanto riguarda i singoli episodi.

Ogni puntata è un gigantesco amalgama di gag, trovate narrative e stilistiche, invenzioni visive e registiche. Vi è comunque un filo comune che unisce i diversi scenari; questo filo comune è rappresentato dalle vicende originali del manga di Koshi Rikdo, rielaborate ma comunque fedeli all’opera cartacea.

Siamo nella città F della prefettura F. La protagonista è EXCEL, una graziosa e pazzerella liceale appena diplomatasi. La ragazza si trova subito in condizioni precarie, dal punto di vista economico e lavorativo; passa, combinando disastri inimmaginabili, da un lavoro all’altro. Lo stomaco è sempre semivuoto e i soldi scarseggiano.

Ma ecco la grande opportunità: Excel viene assunta in ruolo fisso dalla misteriosa organizzazione ACROSS, guidata dal bizzarro dittatore IL PALAZZO (si chiama proprio così!!!).

La sua follia casinista pare essere molto apprezzata dal losco figuro, deciso a conquistare la metropoli e a riprogrammarla in base ai propri assurdi desideri. Vengono costantemente affidate ad Excel missioni incredibili, al limite del ridicolo (es: uccidere tutti i mangaka cittadini, compreso lo stesso Rikdo); missioni, inutile dirlo, destinate ogni volta a completo ed esilarante fallimento.

Però Excel non si può lamentare: finalmente ha qualcuno da coccolare e…mangiare, ovvero lo sfigatissimo cagnolino Frattaglia, “provvista alimentare d’emergenza”.

La bestiola, ovvio, non ha nessuna voglia di farsi cucinare, e ingaggia di continuo una lotta spietata con la sua insensibile padrona; ma alla fine, è sempre sconfitta e riesce a salvarsi dal pentolone solo all’ultimo minuto.

Nel frattempo, si susseguono imbarazzanti tentativi di conquista della Terra da parte degli alieni Puchu, stranissimi orsetti di peluche armati di battipanni laser (!!!); e alla mala assortita coppia Excel/Frattaglia si aggiunge pure la bellissima Hyatt, leggiadra fanciulla dalla salute fin troppo cagionevole, nuovo agente dell’ACROSS…

Insomma, da questa breve descrizione credo che una cosa sia chiara sin dall’inizio: Koshi Rikdo si è fumato l’Impossibile!!! Solo un pazzo completo poteva creare un simile insieme illogico e incoerente di personaggi e ambientazioni, spesso e volentieri ai margini dell’insensatezza pura.

In realtà, ad una lettura più attenta, EXCEL SAGA si rivela manga geniale e intrigante: Rikdo usa le avventure dell’ACROSS come pretesto per un’irriverente e caustica parodia del mondo animato giapponese. Tutti gli stereotipi tipici di Manga e Anime vecchi e nuovi vengono messi impietosamente alla berlina, con un’ironia intelligente e acuta. Persino mangaka e animatori veri (persone in carne ed ossa, quindi) vengono derisi in maniera pungente e velenosa, mai cattiva però.

Dopotutto, lo stesso Rikdo non si risparmia: sia nel manga che negli OAV compare in gustosi cammei, prendendosi ampiamente in giro.
Nella trasposizione animata, Watanabe riprende dunque tutte queste linee presenti nell’opera originale: ma le riadatta completamente ai propri fini e alla propria sensibilità.
L’obiettivo va aldilà della semplice satira; il regista vuole fare dichiaratamente una serie sperimentale, dove provare e riprovare novità narrative, stili differenti. Un progetto ambizioso (pure un po’ megalomane), riuscito parzialmente ma dal divertimento genuino. E comunque coraggioso e innovativo, in un’epoca dominata da remake di vecchie serie e cloni senz’anima.
Watanabe inserisce nelle vicende di Excel&co. nuovi personaggi (tra cui Nabeshin, suo alter-ego animato: un incontro folle e imbarazzante tra Lupin III e Spike Spiegel – sembra che Watanabe assomigli davvero a simil character… Poveri noi !!!), nuove ambientazioni, nuove situazioni e nuove gag; sperimenta formule di regia inedite e curiose; cerca di costruire strutture e narrazioni mai banali.

Non vi riesce sempre. Il primo episodio, ad esempio, è piuttosto incoerente, illogico; finisce per annoiare lo spettatore. Il secondo, invece, pare già più solido e coinvolgente.
In ogni caso, va premiato e riconosciuto il coraggio di seguire la novità; il coraggio di mettere alla prova, senza remore, la propria immaginazione.

La seconda, positiva, sorpresa di EXCEL SAGA è nel lato tecnico: perfetto, privo di sbavature.

Il character design di Satoshi Ishino è abbastanza fedele a quello “classico” di Rikdo: irriverente e deformante al punto giusto, senza mai perdere in leggerezza e precisione. Ottime le animazioni del sempre excellente J.C. Staff (ORPHEN, HURRICANE POLYMAR – Holy Blood).

L’uso della Computer Graphic, ormai una costante in quasi tutte le produzioni recenti, non è fastidioso nè grezzo; anzi, si integra splendidamente nelle sequenze realizzate con tecniche tradizionali.

In definitiva, un lavoro molto molto ben fatto. Peccato per le musiche, piuttosto insignificanti. Ma, da questo lato, ci sono le sigle di testa e di coda a rialzare il tutto: fantastiche !!! Non aggiungo altro: compratevi la video e guardatevele !!! SPETTACOLO!!!

L’edizione italiana by DYNAMIC= impeccabile, al solito. Ottimi traduzione, adattamento, stesura dialoghi.

Il doppiaggio, diretto dalla mitica Cinzia De Carolis (Lady Oscar), è superlativo. La performance di Federica De Bortoli (Excel) è incredibile: bravissima; non ci sono altre parole per descrivere la sua prova. Eccezionale, veramente. Bravissimo anche Luca Ward (Il Palazzo); Roberto Del Giudice, infine, caratterizza con efficacia il personaggio strampalato di Nabeshin. In piccoli ruoli, ma comunque excellenti, anche Nanni Baldini (grandioso Jinnai in EL-HAZARD) e Massimiliano Alto (Ranma, basta la parola…). Pare ottima anche l’interpretazione di Perla Liberatori (Hyatt); ma in questi primi due episodi il personaggio appare pochissimo, quindi è impossibile dare un giudizio complessivo.

Voto doppiaggio: 11 (10+1)

Per concludere: EXCEL SAGA è un ottimo titolo, e merita -anzi stramerita- l’acquisto. Può però non piacere a tutti, quindi consiglio prudenza e riflessione prima del grande passo. Dopotutto, sono sempre 40mila e non è il caso di dissanguarsi per un titolo che poi si detesta a morte… Pensateci bene.

È una serie sperimentale, un po’ come EVANGELION (Ehi! Non toccatemi Evangelion! NdVultus); intrigante, originale, innovativa. Ma anche confusa e altalenante, con momenti di gran presa e altri da noia totale. O la si ama o la si odia.

Spesa obbligata per Otaku duri e puri e per chi cerca emozioni inedite. E anche per chi vuole farsi due sane risate in momenti magari poco felici. Per gli altri: a vostro umile giudizio.

Fonte: http://www.nanoda.com/anime/excel-saga/


228
Anime&Manga / Il mondo di Rumiko Takahashi
« il: 10 Ottobre, 2016, 18:55:41 pm »


Tra i mangaka più celebri del XX secolo – e oltre – un posto d’onore spetta a Rumiko Takahashi. Nota come la creatrice di Lamù e Ranma, ha scritto e disegnato numerose serie di successo tanto da essere comunemente nota come la “regina dei manga”. Ripercorriamo dunque la sua carriera, cominciata oltre 35 anni fa.

Da lettrice ad autrice (di shonen)

«Quando ero bambina leggevo anche gli shojo, ma preferivo gli shonen», ha confessato la Takahashi in un’intervista. Le sue letture giovanili spaziano da Doraemon di Fujiko Fujio a Dororo e W3 di Osamu Tezuka, da Spider-Man – nella versione ‘locale’ di Ryoichi Ikegami – ai manga sportivi come Rocky Joe di Ikki Kajiwara e Tetsuya Chiba. Ma i suoi preferiti sono sicuramente Devilman e La scuola senza pudore di Go Nagai, autore che ammira per la straordinaria capacità di passare dal comico al tragico mantenendo intatto il proprio stile.

La giovane Takahashi non si accontenta però dei prodotti mainstream, e segue anche Garo, rivista di manga ‘neri’ e spesso d’avanguardia, oltre che Big Comic Original, il cui target maschile aveva già negli anni Settanta un profilo più adulto e maturo (seinen manga). Oltre a essere una lettrice assidua e onnivora, la Takahashi sogna di diventare autrice. Mentre frequenta l’università, superando le obiezioni dei genitori e l’angoscia di un futuro incerto, si iscrive al Gekiga Sonjuku, corso di manga tenuto da Kazuo Koike, lo sceneggiatore di Lone Wolf and Cub o Lady Snowblood:

Nei sei mesi di scuola dovevo realizzare almeno una storia a settimana. Dovevo creare vignette e intere tavole basandomi sulle sceneggiature scritte durante il corso. Trovarmi insieme a tante persone con le mie stesse ambizioni è stato stimolante e mi ha incoraggiato a continuare per la mia strada. Gli insegnamenti che avevamo erano tutti di alto livello: alcuni li ho potuti capire ed apprezzare solo dopo tanti anni.

Kazuo Koike aveva concentrato gli sforzi dei suoi corsi sul manga gekiga, filone lontano dal tono tendenzialmente farsesco del manga tradizionale, caratterizzato da un approccio più realistico al disegno e alla narrazione, con noir, thriller ed anche opere storiche o introspettive pensate per un pubblico certamente più smaliziato, ‘occidentale’ e non infantile. Koike insisteva soprattutto su un punto: la forza di un manga sono i personaggi.

Lamù, l’aliena amata da lettori e lettrici

Dopo aver lavorato su piccoli progetti, nel 1978 viene pubblicata la prima storia di Urusei Yatsura (letteralmente ‘Gente fastidiosa’), meglio nota in italiano come Lamù. L’adolescente Ataru Moroboshi, definito “l’uomo più sfortunato del mondo”, è scelto per rappresentare l’umanità in una sfida cruciale. Un gruppo di alieni con qualche tratto divino, gli Oni, vogliono invadere la Terra ma desisteranno dal proposito solo se il ragazzo vincerà il loro campione. Si tratta della figlia del capo degli Oni, Lamù, che oltre ad essere molto bella è in grado di volare e arrostire con scariche elettriche chi la fa arrabbiare. Con uno stratagemma tanto astuto quanto scorretto, Ataru ha la meglio su Lamù, ma mentre festeggia la vittoria le lascia intendere di volerla sposare, Lamù accetta la proposta dell’umano, che da quel momento diventa il suo “Tesoruccio”, e si stabilisce in casa sua. Stravolgendogli la vita, naturalmente.


Inizialmente la serie doveva contare solo 5 episodi e Lamù, fisicamente ispirata alla formosa modella di bikini Agnes Lum, doveva apparire solo nel primo. Ma durante la lavorazione la storia prese una direzione inaspettata che portò l’autrice a cambiare idea:

Con Urusei Yatsura era mia intenzione creare una serie fantascientifica a sfondo comico, quasi una farsa. All’epoca non erano molti i manga di questo genere, quindi pensai di iniziare io questo nuovo filone. Però, mentre il fumetto veniva pubblicato, dalle lettere dei lettori scoprii che il loro interesse era concentrato soprattutto sull’andamento dei rapporti tra Lamù e Ataru. Questo all’inizio mi stupì, ma poi mi convinsi che si trattava di una cosa naturale.

La serie di fantascienza si trasforma in una commedia romantica. Di fantascientifico nella serie non c’è effettivamente quasi nulla, tanto che la stessa razza aliena di Lamù non proviene dallo spazio, bensì ha le proprie radici nel folklore giapponese, presso il quale gli Oni sono creature mitologiche – tra orchi e demoni – grandi e forti, con tanto di pancia, corna e zanne prominenti (il padre di Lamù ne è la rappresentazione più vicina, sebbene ironica).

Nel rispetto degli insegnamenti di Koike, il punto di forza della storia sono i due protagonisti, che a ben vedere nascono dal ribaltamento ironico di alcuni stereotipi. Lamù incanta tutti (i maschietti) con il suo bikini tigrato, ma ha il candore di una bambina; con i suoi poteri potrebbe fare qualsiasi cosa, eppure sogna di diventare la mogliettina di un adolescente poco brillante. Ataru non mostra nessuna dote particolare, eppure salva l’umanità; sbava davanti alle ragazze tanto da avere fama di “sporcaccione”, eppure non sa che fare quando si trova da solo con Lamù.

Intorno ai due, la Takahashi mette in piedi una tribù affollatissima di personaggi, molto ben caratterizzati, che in parte o in toto derivano anch’essi da tradizioni letterarie o folkloristiche tanto quanto da diffusi cliché sociali: dalla volpe mutaforma Kitsune al vecchietto malizioso Sakurambo, dal gatto gigante Kotatsu-Neko alla bella Asuka, che fugge gli uomini ma è anche una combattente fortissima. Come spiega l’autrice, la comparsa di un nuovo personaggio è il motore dell’azione:

Visto che il mio lavoro è serializzato, devo pensare a come farlo procedere. Quindi non lo pianifico ma penso cose tipo “Sarebbe interessante se un nuovo personaggio apparisse a questo punto”. Il mio dovere è creare un personaggio che non è mai apparso prima, ed è quello che cerco di fare. Mi affeziono a ciascuno dei miei personaggi, anche se alcuni ritornano di meno.

E proprio in questo, si potrebbe dire, c’è la cifra narrativa propria dello stile-Takahashi: concepire innumerevoli personaggi e intrecciare i loro modi di essere:

Ogni personaggio è connesso agli altri. Ognuno ha un ruolo da portare avanti… e una compatibilità con gli altri. I personaggi che hanno vita più lunga sono quelli che si mescolano meglio. Non li valuto semplicemente in base alla personalità che viene fuori. Se interagiscono bene nella storia restano, mentre quelli che non funzionano non li uso più.

Le vicende dei personaggi danno vita a episodi tendenzialmente autoconclusivi, in cui l’azione è condotta dalle gag rapide e incalzanti, in una sorta di comicità slapstick disegnata. Come accadrà per quasi tutti i lavori dell’autrice, la serie a fumetti diventa un anime nel 1981. Nello stesso anno Urusei Yatsura vince il prestigioso Premio Shogakukan sia nella categoria shojo che in quella shonen. Un riconoscimento a dir poco inusuale, che testimonia il traguardo straordinario della Takahashi: creare una serie che piace davvero a tutti, lettori e lettrici.

Il metodo di lavoro

Nel 1980, mentre Urusei Yatsura è in corso, la Takahashi comincia a lavorare a Maison Ikkoku, in italiano Cara dolce Kyoko. La serie racconta la storia d’amore tra uno studente che non riesce a superare l’esame d’ammissione all’università e l’amministratrice del suo condominio, abitato da gente bizzarra. Con un tono mai drammatico, perché stemperato dalle consuete gag, l’autrice racconta la crescita della relazione tra i due, fino al romantico lieto fine.
In questo periodo la Takahashi consolida il suo metodo di lavoro e si diverte a descriverlo nelle brevi storie intitolate Kemo Kobiru no Nikki (Il diario di Kemo Kobiru) pubblicate su Shonen Sunday. La prima fase di lavoro prevede un confronto con l’editor sullo sviluppo della storia. L’autrice non lavora su una sceneggiatura definita a monte, ma asseconda l’istinto del momento definendo i dettagli settimana per settimana. Questa scelta di fondo contribuisce a rendere il racconto più spontaneo, determina il carattere autoconclusivo degli episodi e rappresenta uno stimolo a introdurre sempre elementi (in genere personaggi) nuovi. Ma comporta anche alcuni limiti, come un intreccio narrativo poco complesso sulla lunga distanza e, in fin dei conti, quello che in molti hanno indicato come la principale debolezza del lavoro della Takahashi: un mancato ritratto in profondità dei personaggi, lasciati in balìa di piccole trame contingenti, aneddotiche e accidentali.

Restiamo però sul metodo di lavoro, emblematico della più fiorente industria del manga anni Ottanta, non senza qualche peculiarità. Nella seconda fase, l’autrice disegna a matita una bozza dell’intera storia. Facendo questo, definisce meglio il layout complessivo, detto nah-may, per poi ridisegnarlo completamente. Lavora con grande rapidità e di media è in grado di realizzare un nah-may di 18 pagine in tre giorni e di inchiostrarlo in due. Ma non rinuncia al perfezionismo, soprattutto all’inizio di una nuova serie, e non è raro che ridisegni la storia anche sette volte pur di ottenere il risultato voluto.

Vista la mole di pagine da completare, anche la Takahashi si avvale dell’aiuto di assistenti. Nel periodo di Urusei Yatsura e Maison Ikkoku sono due, e data la scarsità di mezzi l’autrice condivide con loro anche lo spazio vitale: tutte e tre vivono e lavorano in una stanza di circa 15 mq, e di notte la Takahashi è costretta a dormire nell’armadio… Col tempo, naturalmente, lo studio si è ingrandito e le assistenti sono diventate quattro; tutte rigorosamente donne, per evitare che la presenza di un collega potesse creare difficoltà o gelosie.

Ranma, un personaggio sia maschio che femmina

Nel 1987 la Takahashi decide di chiudere le due serie che l’hanno resa famosa. Lavora quindi a One Pound Gospel, dove racconta l’amicizia tra una suora e un pugile (portata a termine solo nel 2007), ma soprattutto si imbarca in un nuovo grande progetto. Pensa a una storia a base di kung fu, sia perché ama particolarmente i film di e con Jackie Chan, sia perché ha voglia di divertirsi disegnando scene di combattimento. In un’intervista ricorda:

Da tempo pensavo a una serie con un personaggio che fosse sia uomo che donna, e dato che la maggior parte dei miei precedenti lavori aveva come protagonista una donna, questa volta ho optato per un uomo. Avevo però un certo timore nel presentare un protagonista maschile di fronte a centinaia di lettori maschi, e così ho deciso di crearne uno che fosse metà uomo e metà donna.

Ranma Saotome è il figlio di un maestro di arti marziali. Durante un allenamento in Cina, cade nelle Sorgenti Maledette di Jusenkyo. Da quel momento in poi, ogni volta che si bagna con acqua fredda diventa una ragazza, per poi tornare normale solo con l’acqua calda. Una maledizione simile colpisce il padre, che però si trasforma in panda. I due tornano in Giappone per prestare fede a una promessa fatta al signor Tendo: una volta cresciuto, Ranma dovrà rilevare il suo dojo e sposare una delle sue figlie. La scelta cade dunque su Akane, anche lei esperta di combattimento ma refrattaria all’idea di avere un fidanzato. Akane e Ranma sono quindi costretti a vivere sotto lo stesso tetto e andare nella stessa scuola. La doppia natura di Ranma creerà ben presto scompiglio, nei più diversi contesti.

In Urusei Yatsura c’era già Ryunosuke, una ragazza costretta a vestire panni maschili: un cliché che attraverso la mediazione de La principessa Zaffiro di Osamu Tezuka era arrivato al manga direttamente dal teatro Takarazuka, dove anche i ruoli maschili sono interpretati da attrici. Ma la Takahashi fa un passo avanti, perché Ranma non si traveste, cambia letteralmente sesso. E tutto sommato, una volta fatti i conti con la bizzarrìa della situazione, questa condizione di “½” non è poi un vero problema: conciliare in sé due modi di essere diversi, più che una sottrazione è un valore aggiunto. E infatti, nel corso della serie, non solo Ranma, ma anche gli altri personaggi colpiti dalla maledizione delle sorgenti si rassegnano di buon grado alla loro situazione: da ragazzo, Ranma è un combattente forte e virile, ma da ragazza ripete spesso di essere più bella delle altre donne; suo padre si dà presto da fare trovando lavoro presso lo studio di un dottore come “panda di servizio”; e Ryoga, pretendente non corrisposto di Akane, riesce a farsi abbracciare dall’amata solo quando è un porcellino.


Più che ribaltare degli stereotipi, in chiave un po’ fiabesca Ranma ½ lavora sul tema della tolleranza, mostrando il bello di accettarsi per ciò che si è. Anche in questo lavoro, l’ironia è la chiave di volta: l’azione è fatta di combattimenti e gag che sconfinano gli uni nelle altre, come quando i protagonisti si rovesciano secchi d’acqua a vicenda – con le assurde conseguenze del caso – per avere la meglio, in una sfida di forza o in una scaramuccia sentimentale. Questa è forse la serie in cui la ricerca della risata e del divertimento raggiunge l’apice:

La prima ragione per cui faccio manga è perché è divertente. Leggere un manga e divertirsi, per me è questo l’importante. Questo è il punto di partenza. Non è semplice gioia di vivere, è il sapore dell’infanzia. Ho sempre pensato che c’è del divertimento nella lettura, ed è questo che il manga rappresenta per me. Sono convinta che a tutti piacciano i personaggi felici, ma se le cose si fanno serie, come per esempio quando un personaggio muore, voglio offrire al lettore una scappatoia.

Fedele a questa convinzione, i personaggi della Takahashi, non solo quelli di Ranma ½, sono eterni bambini e sembrano non prendere mai nulla sul serio. Del resto, gli stessi ideogrammi che compongono il nome Rumiko sembrano racchiudere questa filosofia: Ru (restare) – Mi (bello) – Ko (bambino).

La Saga delle Sirene, ovvero il lato oscuro del manga

A partire dagli anni Ottanta la Takahashi affianca alle serie lunghe diversi manga autoconclusivi, confluiti successivamente nelle raccolte Rumic World e Rumic Theater. Alcune di queste storie hanno un tono serio se non serioso, a tratti grottesco. L’autrice sembra ricollegarsi al suo lavoro come assistente di Kazuo Umezu, un autore decisivo, considerato il primo grande maestro del manga horror. Frutto di questa ispirazione è la miniserie horror Ningyo Shirīzu, in Italia Saga delle Sirene, realizzata tra il 1994 e il 1998.

Nel folklore giapponese chi mangia carne di sirena può diventare immortale. Yuta è un giovane che, dopo aver vissuto per secoli, vorrebbe tornare a essere un uomo normale. Salva la vita a Mana, e con lei si mette in viaggio incontrando altri uomini e donne la cui vita è stata sconvolta dal sogno dell’immortalità. L’idea alla base della storia è forte e netta: le creature sovrannaturali sono il pretesto per cui gli esseri umani scatenano il peggio di sé. Per una volta, la Takahashi rinuncia del tutto alla leggerezza della commedia. I personaggi di Ningyo Shirīzu non hanno niente su cui scherzare. Di fronte alla malvagità di uomini e sirene, Mana e Yuta riescono a preservare il loro animo intatto, così come il loro corpo riesce a guarire da ogni tipo di ferita, continuando a fare da spettatori di orribili tragedie umane che su di loro non sembrano lasciare traccia.

La serie, per la verità rimasta incompiuta, non convince del tutto e tradisce la fatica del lavorare allo sviluppo psicologico dei protagonisti in maniera più intensa e sistematica rispetto alle opere precedenti. Rappresenta però un’interessante eccezione nella carriera dell’autrice. Inquietante, cupa e lontana dai soliti toni e meccanismi farseschi, testimonia come anche la solare Takahashi abbia un lato oscuro:

Forse [la Saga delle Sirene] è stata una sorta di catarsi per me… Davvero non lo so. Semplicemente ho queste idee spaventose, a volte.

Il fantastico nel quotidiano: da Inuyasha a Rinne

Nel 2002 la Takahashi vince per la seconda volta il Premio Shogakukan come miglior shonen, questa volta con una serie iniziata nel 1996, Inuyasha. La giovane Kagome cade nel pozzo di un vecchio tempio scintoista e finisce nel Giappone del passato. Lì scopre di essere la reincarnazione di una sacerdotessa ed eredita la sua missione: proteggere un potente talismano dai demoni che vogliono impossessarsene. Suo compagno di avventure, nemico e alleato al tempo stesso, è Inuyasha, un mezzodemone (figlio di un demone cane e di un’umana).


Anche Inuyasha vive una condizione “di mezzo”: per quanto sia forte, con la luna piena perde poteri e orecchie canine diventando un semplice umano. Ma, a differenza di quello che accade in Ranma ½, soffre molto per questa situazione e spesso reagisce comportandosi male. La vicinanza di Kagome, l’unica capace di placarlo mettendolo letteralmente “a cuccia”, servirà a farlo crescere e a fargli capire che la sua vera forza sta proprio nella sua doppia natura. Dal canto suo, anche Kagome deve dividersi tra i suoi compagni di avventure e i suoi cari che la aspettano a casa. Spesso combina pasticci e non riesce a salvarsi da sola dai cattivi di turno, ma la sua purezza innata la rende in grado di compiere azioni che nessun altro può fare.

Koike sosteneva la necessità di cambiare per non perdere l’attenzione dei lettori. Ma a ben vedere Inuyasha non è un autentico cambio di direzione. È piuttosto la sintesi perfetta di tutte le anime della Takahashi, il punto in cui si incontrano le strade che aveva già sperimentato: il gusto per la gag e il florilegio di personaggi bizzarri di Urusei Yatsura, l’idillio romantico con lieto fine di Maison Ikkoku, i battibecchi sentimentali e i combattimenti di Ranma ½, lo scontro con il male assoluto della Saga delle Sirene. E ovviamente il sostrato storico-fantastico presente pressoché in tutti i lavori precedenti, ispirato alle tradizioni della fiaba e delle leggende popolari giapponesi. Questi ingredienti si fondono con una tale naturalezza da rendere Inuyasha un’opera pienamente matura, che incarna più di ogni altra la visione e lo stile della Takahashi.

La scelta di intrecciare il fantasy con la quotidianità giapponese è anche alla base di Kyōkai no Rinne, letteralmente Rinne del confine, l’ultima fatica della Takahashi cominciata nel 2009 e ancora in corso. Rinne Rokudo è un mezzo-shinigami (dio della morte). Con Sakura, ragazza che ha il potere di vedere gli spiriti, aiuta le anime dei defunti a salire sulla Ruota della Trasmigrazione. Rinne svolge questo lavoro per pagare un debito di famiglia, ed entra in conflitto con suo padre, capo di una società di damashigami, divinità dell’inganno che imbrogliano le anime portandole nell’aldilà prima del tempo.


I protagonisti non hanno la forza iconica della serie precedente: nonostante i capelli rossi e il variopinto haori (soprabito rituale), Rinne appare sicuramente meno caratterizzato di Inuyasha, mentre Sakura fa molta meno simpatia di Kagome. Ma anche loro vivono una condizione di mezzo, che li fa sentire inadeguati: Sakura deve fare i conti con un tipo di sensibilità che la rende diversa dalle amiche e Rinne, a causa della sua famiglia, si trova caricato di responsabilità che non dovrebbero pesare su un adolescente. Il confine su cui si muovono non è tanto la dimensione sospesa tra la vita e la morte, quanto quello che separa l’adolescenza dall’età adulta.

In una realtà in cui persino gli shinigami sono ricchi o poveri, incassano guadagni onesti o truffano i clienti, Rinne e Sakura devono già fare i conti con le dinamiche impietose del lavoro e della competizione. Per sapere come andrà a finire, e se i due riusciranno a crescere senza perdere sé stessi, non resta che continuare a seguire le loro avventure.

Sebbene sia la nostalgia generazionale per Lamù, oggi, a rappresentare il principale contributo di Rumiko Takahashi all’immaginario collettivo degli ultimi trent’anni, la sua lunga e multiforme carriera ci suggerisce le ragioni più profonde del suo successo. La Takahashi ha avuto il talento di creare storie che vanno oltre la distinzione – tradizionalmente molto rigida ed evidente – tra shojo e shonen. Ma, soprattutto, con i suoi personaggi e la sua ironia, ci ha mostrato che sentirsi irrisolti è normale, e può diventare l’inizio di una meravigliosa avventura da condividere con gli altri. Una lezione degna di una grande maestra del racconto popolare.

Fonte: http://www.fumettologica.it/2016/10/rumiko-takahashi-manga-lamu-ranma/


229
Off Topic / Arte: Gustav Klimt
« il: 10 Ottobre, 2016, 13:46:08 pm »
Gustav Klimt (Vienna, 14 luglio 1862 – Neubau, 6 febbraio 1918) è stato un pittore austriaco, uno dei più significativi artisti della secessione viennese.








230
Cinema, Teatro e Televisione / I soliti sospetti
« il: 10 Ottobre, 2016, 13:37:25 pm »


"I soliti sospetti", è un film di Bryan Singer datato 1995, doppiamente premiato agli Oscar del cinema del 1996 (migliore attore non protagonista Kevin Spacey, migliore sceneggiatura originale) , al BAFTA dello stesso anno, e vincitore indiscusso degli Independent Spirit Awards.

Consentitemi quindi, in modo del tutto personale, di definirlo senza ombra di dubbio il migliore lavoro dell'operato del regista statunitense.

Dunque, in un'epoca caratterizzata da filmettini di mastodontica produzione, eroi iperuranici ultra-palestrati, e schiavette (e forse pure schiaviste) della sessualità femminile resa autocoscienza indotta, questa pellicola, rimanda lo sguardo verso tempi oramai arcaici e defunti. Al concetto del film giallo, per esempio e prima di tutto inteso come partecipazione attiva dell'espressione dell'attore, volta a rendere indecifrabile la percettività di quello che la trama propone; al thriller, in cui lo scorrere del sangue è ciò che onestamente deve essere e rimanere: puro contorno estetico, non punto di arrivo; alla sceneggiatura, divincolata dal concetto contemporaneo "popolare" del meccanismo INIZIO- FINE PRIMO TEMPO (oramai revocato) - FINE, struttura fondamentale per l'avvicinamento dell'interesse dello spettatore. Ognuno di questi requisiti, corrisponde a una mancanza. Completa. Totale. Esplicita, Parossistica. Quasi comica, e facilmente risconrabile nel cinema di oggi.

Il cast prima di tutto: Kevin Spacey, Bencio Del Toro, Gabriel Byrne, Chazz Palminteri e Pete Postlethwaite su tutti. Attori capaci, sguinzagliati, ben diretti, svincolati da quello che è il concetto attuale di fare cinema: vendere un prodotto estetico-corporeo identificativo. Per contro, la storia proposta in questo film: una realtà non troppo lontana da quella che ci riguarda da vicino, popolata da furti, corruzione, malvagità e deviante furbizia, il tutto ben romanzato ed affidato alla narrante voce di Verbal Kint, oratore portante della vicende che vengono a susseguirsi entro contorni e legami fra situazioni e persone poco definibili tra loro. Ma ancora più di questo, il concetto di occultamento, interpretato magistralmente dalla sceneggiatura, e qui proposto come fondamento della nostra beneamatisima società-contenitore: fatta di pesci più piccoli e di pesci più grossi; sino a giungere al distaccamento finale, scorporato dalla massa controllabile, e controllante la massa stessa: il crimine, quello vero, visto nella sua chiave più nuda, crudele e spregiudicata.

Se di realismo si può parlare in questo film, allora, lo si deve fare riferendosi alla verosimiglianza dei fatti qui presentati, con la vita attuale. Già, perché ad essere credibili, sono le storie e gli avvicendamenti relativi ai personaggi, tali da aver reso questo capolavoro un vero e proprio totem-tema di culto. Lungometraggi come questo, assieme a pochi altri, riescono in effetti a garantire l'accensione di quello stimolo (oramai dormiente e) presente in ognuno di noi, ossia quella inspiegabile e pruriginosa curiosità verso il manifestarsi della casualità, o presunta tale, dei fatti, che ci appaiono non più come il frutto di fortuiti ed individuali operati, ma bensì come il meccanismo primo e complementare di un disegno più grande, spaventoso e schiacciante, che tutto controlla, tutto muove, o tutto rimuove, a proprio arbitrario piacimento.

Credo infatti, che nella pellicola quì recensita si nasconda uno tra i più grandi tentativi espressivi e descrittivi mai effettuati, riguardanti la strumentalizzazione dell'uomo "reso oggetto" (o come usualmente pronunciato, "pedina") al fine dell'ottenimento di scopi poco comprensibili per chi è costretto a tenere il capo alzato al cielo e a guardare dunque dal basso verso l'alto.

231
Doppiaggio / Intervista a Marco Balzarotti
« il: 10 Ottobre, 2016, 00:47:01 am »

232
Mitologia / Il mito: Orfeo e Euridice
« il: 09 Ottobre, 2016, 19:41:29 pm »
 Ogni creatura amava Orfeo ed era incantata dalla sua musica e dalla sua poesia ma Orfeo aveva occhi solo per una donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride che divenne sua sposa. Il destino però non aveva previsto per loro un amore duraturo infatti un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei e cercò di sedurla. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mise a correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsicò, provocandone la morte istantanea.

Narra Pindemonte (Epistole: "A Giovani Pozzo"): «Tra l'alta erba non vide orrido serpe che del candido piè morte le impresse».

Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa decise di scendere nell'Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Convinse con la sua musica Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige; il cane Cerbero e i giudici dei morti a farlo passare e nonostante fosse circondato da anime dannate che tentavano in tutti i modi di ghermirlo, riuscì a giungere alla presenza di Ade e Persefone.   Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie erano così piene di dolore e di disperazione che gli stessi signori degli inferi si commossero; le Erinni piansero; la ruota di Issione si fermò e i perfidi avvoltoi che divoravano il fegato di Tizio non ebbero il coraggio di continuare nel loro macabro compito. Anche Tantalo dimenticò la sua sete e per la prima volta nell'oltretomba si conobbe la pietà come narra Ovidio nelle Metamorfosi (X, 41-63).

Fu così che fu concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del sole.

Narra Ovidio nelle Metamorfosi (X, 41-63). «(...) Nè la regale sposa, nè colui che governa l'abisso opposero rifiuto all'infelice che li pregava e richiamarono Euridice. Costei che si trovava tra le ombre dei morti da poco tempo, si avanzò, camminando a passo lento per causa della ferita. Il tracio Orfeo la riebbe,a patto che non si voltasse indietro a guardarla prima di essere uscito dalla valle infernale (...)».

Orfeo, presa così per mano la sua sposa iniziò il suo cammino verso la luce. Durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente pensando di condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta si voltò a guardarla ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto Euridice svanì, e Orfeo assistette impotente alla sua morte per la seconda volta.



Racconta Ovidio nelle Metamoforsi (X, 61-63): «Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non d'essere troppo amata? Porse al marito l'estremo addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare, e ripiombò di nuovo nel luogo donde s'era mossa».

Invano Orfeo per sette giorni cercò di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore degli inferi ma questi per tutta risposta lo ricacciò alla luce della vita. Si rifugiò allora Orfeo sul monte Rodope, in Tracia trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione. Rifiutava le donne e riceveva solo ragazzi e adolescenti maschi che istruiva all'astinenza e sull'origine del mondo e degli dei.



Una scuola di pensiero vuole invece che Orfeo dopo la discesa nell'Ade e viste le "cose di laggiù" inizio ad adorare Elio (che chiamava Apollo) e non più Dioniso e ogni mattina si svegliava all'alba per accogliere il sorgere del sole. Allora Dioniso istigò le Baccanti(3) che decisero di ucciderlo durante un'orgia bacchica. Arrivato il momento stabilito, si scagliarono contro di lui con furia selvaggia, lo fecero a pezzi e sparsero le sue membra per la campagna gettando la testa nel fiume Ebro.
Esistono altre versioni della morte di Orfeo: si narra che fosse stato Zeus a folgorarlo irritato dal fatto che rivelasse dei misteri che non dovevano essere di pubblico dominio; secondo altri fu Afrodite a istigare le donne Tracie e a suscitare in loro una tale passione che mentre se lo contendevano lo squartarono questo perchè Calliope, la madre di Orfeo, fu chiamata come giudice da Zeus per redimere una disputa tra Afrodite e Persefone per avere le attenzioni di Adone che sentenziò che il giovane stesse per sei mesi con Afrodite e sei mesi con Persefone cosa che aveva fatto infuriare Afrodite.



Disse Virgilio (Georgiche, IV): «(...) Anche allora, mentre il capo di Orfeo, spiccato dal collo bianco come marmo, veniva travolto dai flutti, "Euridice!" ripeteva la voce da sola; e la sua lingua già fredda: "Ah, misera Euridice!" chiamava con la voce spirante; e lungo le sponde del fiume l'eco ripeteva "Euridice».

Quale che fosse il modo come Orfeo morì è certo che ogni essere del creato pianse la sua morte, le ninfe indossarono una veste nera in segno di lutto e i fiumi si ingrossarono per il troppo pianto.

Le Muse recuperarono le membra di Orfeo e le seppellirono ai piedi del monte Olimpo e ancor oggi, in quel luogo, il canto degli usignoli è il più soave che in qualunque parte della terra.



 gli dei che tutto vedevano e giudicavano, decisero di inviare una tremenda pestilenza in tutta la Tracia per punire il delitto delle Baccanti. La popolazione allo stremo delle forze consultò l'oracolo per sapere come far cessare quella disgrazia e questi sentenziò che per porre fine a tanto dolore era necessario cercare la testa di Orfeo e rendergli gli onori funebri. Fu così che la sua testa venne ritrovata da un pescatore nei pressi della foce del fiume Melete e fu deposta nella grotta di Antissa, sacra a Dioniso. In quel luogo la testa di Orfeo iniziò a profetizzare finchè Apollo, vedendo che i suoi oracoli di Delfi, Grinio e Claro non erano più ascoltati, si recò alla grotta e gridò alla testa di Orfeo di smettere di interferire con il suo culto. Da quel giorno la testa tacque per sempre.
Fu recuperata anche la sua lira che fu portata a Lesbo nel tempio di Apollo che però decise di porla nel cielo in modo che tutti potessero vederla a ricordo del fascino della poesia e delle melodie dello sfortunato Orfeo, alle quali anche la natura si arrendeva, creando la costellazione della Lira.



Fonte: http://www.elicriso.it/it/mitologia_ambiente/orfeo_euridice/

233
Console & Videogiochi / God of War
« il: 09 Ottobre, 2016, 14:25:05 pm »
La serie God of War, nata nel 2005 su Playstation 2, rappresenta una delle killer application Sony più amate dal pubblico e invidiate dalla concorrenza. Il fulcro di tale successo va ricercato indubbiamente nell’atmosfera regalata dalla mitologia greca e dalla fervida fantasia del team Santa Monica, ma anche e soprattutto nel protagonista, Kratos, l’anti-eroe per eccellenza, la cui spietata forza bruta è pari solo al suo dolore e alla sua condanna. Una tragedia greca fatta in pixel, impreziosita da un comparto tecnico sempre pronto a sfidare gli standard tecnici (su PS2, PSP e PS3), una regia cinematografica nata per stupire e un gameplay all’insegna dell’azione e della brutalità, che ancora oggi rimane una formula che non accenna a cambiare, ma nemmeno a stancare se per questo. Eppure, dopo ben cinque titoli (più uno per cellulari), pensavamo che la serie avesse ben poco da svelare ancora. La serie God of War, nata nel 2005 su Playstation 2, rappresenta una delle killer application Sony più amate dal pubblico e invidiate dalla concorrenza. Il fulcro di tale successo va ricercato indubbiamente nell’atmosfera regalata dalla mitologia greca e dalla fervida fantasia del team Santa Monica, ma anche e soprattutto nel protagonista, Kratos, l’anti-eroe per eccellenza, la cui spietata forza bruta è pari solo al suo dolore e alla sua condanna. Una tragedia greca fatta in pixel, impreziosita da un comparto tecnico sempre pronto a sfidare gli standard tecnici (su PS2, PSP e PS3), una regia cinematografica nata per stupire e un gameplay all’insegna dell’azione e della brutalità, che ancora oggi rimane una formula che non accenna a cambiare, ma nemmeno a stancare se per questo. Eppure, dopo ben cinque titoli (più uno per cellulari), pensavamo che la serie avesse ben poco da svelare ancora.La serie God of War, nata nel 2005 su Playstation 2, rappresenta una delle killer application Sony più amate dal pubblico e invidiate dalla concorrenza. Il fulcro di tale successo va ricercato indubbiamente nell’atmosfera regalata dalla mitologia greca e dalla fervida fantasia del team Santa Monica, ma anche e soprattutto nel protagonista, Kratos, l’anti-eroe per eccellenza, la cui spietata forza bruta è pari solo al suo dolore e alla sua condanna. Una tragedia greca fatta in pixel, impreziosita da un comparto tecnico sempre pronto a sfidare gli standard tecnici (su PS2, PSP e PS3), una regia cinematografica nata per stupire e un gameplay all’insegna dell’azione e della brutalità, che ancora oggi rimane una formula che non accenna a cambiare, ma nemmeno a stancare se per questo. Eppure, dopo ben cinque titoli (più uno per cellulari), pensavamo che la serie avesse ben poco da svelare ancora. Kratos è nato e cresciuto in un ambiente duro e spietato, dove combattere rappresenta la prima regola. Diventato un soldato temprato dal dolore (in Ghost of Sparta scopriremo che la separazione dal fratello Deimos in giovane età, contribuirà non poco a far nascere l’odio dentro di lui), Kratos diventerà presto un prode e acclamato generale di Sparta, crudele in battaglia, ma premuroso nei confronti di sua moglie e sua figlia, Calliope. Ma la sua cieca ricerca di onore e gloria attraverso le battaglie, lo costringerà ad invocare l’aiuto del Dio della guerra, Ares, che gli conferirà poteri sovraumani, ma ad un triste prezzo. Accecato dalla sete di vittoria e imbevuto momentaneamente di potere divino, Kratos commetterà azioni atroci, indimenticabili, che lo porteranno a odiare se stesso e gli olimpici per tutta la vita.

Fonte: http://www.cyberludus.com/2013/03/16/god-of-war-ascension-recensione/

234
Cinema, Teatro e Televisione / Gli Argonauti
« il: 09 Ottobre, 2016, 14:17:03 pm »


Non è un horror, ma i mostri non mancano. Gli effetti di Harryhausen poi sono di una bellezza imprescindibile per qualsiasi appassionato di cinema fantastico e, nel film di Chaffey abbondano quelli entrati nella storia della stop motion: uno su tutti, il celebre duello di Giasone con gli scheletri nati dai denti di Idra, omaggiato tra gli altri da Sam Raimi in L’Armata Delle Tenebre.
Per vendicare l’assassinio del padre e riprendersi il trono di Tessaglia, Giasone deve ricorrere a tutto il suo indiscutibile coraggio e sottoporsi a un’impresa quasi impossibile: conquistare il vello d’oro e riportarlo in patria. Arruolati cinquanta eroi e messa in acqua la nave Argo, i nostri eroi partono alla volta della misteriosa Colchide, mentre gli dei dell’Olimpo, dalla noia semi anestetizzati, cercano nuovo brio giocando senza tante remore con le vite dei mortali.Tutto sommato, GLI ARGONAUTI è abbastanza fedele alla più nota versione del mito. Ad essere onesti, Todd Armstrong interpreta un Giasone per nulla tormentato come invece la storia vorrebbe, ma del resto il film rientra in quella sorta di peplum all’americana in cui erano gli effetti speciali a prevalere sui contenuti e ogni angoscia esistenziale era bandita per non turbare le famiglie. Poco male in questo caso, Harryhausen infatti, dimostra ancora una volta che la magia esiste e tanto basta.
Tante le scene memorabili, non solo quella già citata degli scheletri inferociti di spada e scudo muniti: la gigantesca statua di Talos si anima e si scatena contro gli Argonauti, Nettuno spalanca un passaggio tra le rocce per Argo e il suo equipaggio, le arpie vengono rese inoffensive dal manipolo di eroi e Idra, il serpente a sette teste, difende il vello d’oro con furibonda ferocia.
Don Chaffey gira senza fare miracoli, ma il film ha il giusto ritmo e pur non essendo all’altezza di Il Settimo Viaggio Di Simbad non annoia mai. Imperdibile per i fan del genere.

fonte:http://www.filmhorror.com/recensioni/403/argonauti-gli

235
Cinema, Teatro e Televisione / Grosso Guaio a Chinatown
« il: 08 Ottobre, 2016, 21:36:49 pm »
Jack Burton è un camionista cialtrone che si ferma a San Francisco per giocare d’azzardo quando la fidanzata del suo amico Wang Chi viene rapita dai Signori della Morte. Per Jack e l’amico inizia una discesa nella magica Chinatown fatta di uomini ultracentenari, esplosioni verdi, gente che entra ed esce volando…



Cocente insuccesso commerciale, quarto di fila, è il film che ha quasi posto fine alla carriera cinematografica di John Carpenter. Basato su un soggetto che la 20th Century Fox aveva nel cassetto da anni riscritto dal regista di Buckaroo Banzai, Grosso guaio a Chinatown è costato 25 milioni di dollari ed era indicato durante la lavorazione come il film più importante del 1986. La strategia pubblicitaria della Fox, però, non aiutò affatto il percorso commerciale della pellicola, che alla fine incassò solamente 11 milioni negli Stati Uniti. Inizialmente ambientato nel vecchio west, il film sembrava l’occasione perfetta per Carpenter di mettere in scena il suo tanto sospirato progetto di El Diablo, la storia di un solitario cowboy che arriva in città per “salvare la Principessa dal Drago”. Riportato ai giorni nostri, il film è una commistione di generi cinematografici perfettamente architettata, in anticipo sui tempi per quanto riguarda l’utilizzo nei film occidentali della spettacolarità delle arti marziali e con un ribaltamento delle posizioni eroe-spalla poco comune nella storia del cinema. Jack Burton è un eroe solo a parole, totalmente incapace di raccapezzarsi all’interno della situazione nella quale si ritrova e completamente inutile quando le cose si fanno serie. Jack Burton è il buffone, il clown, uno che tira fuori il coltello quando si trova davanti un fantasma avvolto dai fulmini e si fa crollare il soffitto in testa quando spara in aria. La sua spalla, Wang Chi, è in realtà colui che guida il gruppo e risolve le situazioni critiche. È attraverso il contrasto tra l’atteggiamento di Jack e la sua cronica incapacità di fare alcunché che si crea l’effetto comico di quella che può essere sostanzialmente considerata una commedia fantastica. Diretto benissimo da un Carpenter che aveva evidentemente studiato l’argomento, e interpretato da un Kurt Russell forse ancor più in parte rispetto a Fuga da New York e da un cast scelto alla perfezione, Grosso guaio a Chinatown non è solo un omaggio al cinema orientale, ma una divertita presa in giro di tutto il cinema più o meno recente; un film che non si prende per nulla sul serio, e che purtroppo non è stato preso sul serio dal pubblico del 1986.

236
Le abbiamo sempre viste, come da titolo, vi chiederei quali sono le vostre preferite all'interno dei vari anime fatti. Comincerò elencandovi le mie:

1° Shaina/Tisifone aka la tenerona



2° Hilda aka la cattiveria che attizza



3° Eris aka la prorompenza divina

Spoiler
[close]
Spoiler
[close]


Beh avrete notato che adoro le cattive (o presunte tali).

237
Sempre rimasta un mistero ed una curiosità...alla fine mi ricorda una scena di Ash vs Evil Dead.



238
Anime / Piccole sfumature comiche ed esilaranti in Saint Seiya
« il: 08 Ottobre, 2016, 00:39:55 am »
L'altro giorno riguardando i famosi 114, mi son saltate davanti un paio di scene che devo dire mi mettono un gran sorriso in faccia e una gran risata nel cuore.

Nonostante l'epica che ci è stata introdotta con la trasposizione del manga e l'amplificazione aulica dei dialoghi nel DS (cosa tipicamente italiana),  il nostro anime gode di non poche scene che fanno scaturire ilarità al solo vederle o pensarle. Qui di seguito un paio di citazioni eccellenti da parte mia:

La fuga di Docrates dalla polizia. (FENOMENALE)  

In particolare l'arrivo alla casa dello Scorpione da parte di Seiya e Sirio...l'incontro con Milo [il NO iniziale del Maestro Carabelli era da Oscar] e soprattutto il suo sbeffeggiarli (EPICA)


Altri che rimembrate in cuor vostro da citarmi?

239
Doppiaggio / Lost Canvas Doppiaggio/Adattamento italiano
« il: 07 Ottobre, 2016, 23:48:20 pm »
Saluto ai Gran Sacerdoti, Sacerdotesse guerrierio, Goldini, Bronzini, Spettri, Asgardiani, Blacks e Silveristi.

Visto l'imminente annuncio della Yamato di doppiare l'anime (purtroppo incompleto ma secondo me ben elaborato) dell'opera della Teshiroghi, volevo chiedervi preferenze o opinioni sul modus operandi d'attuare su tale adattamento.

Parte prima: CHE TIPO DI DIALOGHI ADOTTARE E SU QUALE SCUOLA DI PENSIERO?

Per me sentirei bene un approccio stile DS (Cavalieri, Vestigia, Sacra Armatura, Grande Tempio) ma con un mantenimento fedele senza stravolgimenti (non siamo più negli anni 80) della storia. Per quanto riguarda le tecniche non so..le manterrei con il nome originale, ma anche una traduzione fedele non penso sia cosa da evitare se possibile.

Parte seconda: CAST DI DOPPIAGGIO IPOTETICO

Narratore: Mario Scarabelli

Tenma: Leonardo Graziano

Sasha: Federica De Bortoli

Aron: Davide Perino

Yato: Renato Novara

Yuzuriha: ???

Dohko: ???

Shion: Alessandro D'Errico

Sage: Mario Zucca

Aldebaran: Riccardo Lombardo

Manigoldo: Massimo De Ambrosis

Asmita: Felice Invernici

Albafica: Luigi Rosa

Sisifo: Ivo De Palma

El Cid: Patrizio Prata

Cardia: Diego Sabre

Degel: Alessandro Rigotti

Pandora: Patrizia Mottola

Hakurei:???

Hypnos: Massimo Lodolo

Thanatos: Marco Balzarotti

Minosse: Claudio Moneta

Kagaho: Andrea Ward

Per ora mi son venuti in mente questi...fatemi sapere!








240
Presentazioni / new enter!
« il: 07 Ottobre, 2016, 22:59:43 pm »
Piacere a tutti quanti; dagli amministratori passando per i moderatori fino agli altri praticanti del forum! Mi presento sono Cristian, nato il 15 giugno del 91, gran appassionato di Saint Seiya (e dei nostrani I Cavalieri dello Zodiaco) questa passione è nata con la lettura del mio primo manga ovvero La sanguinosa battaglia degli Dei (Edizione 2001 della Star Comics). Adoro sia il manga che l'anime e non disdegno neanche degli spin-off quali Lost Canvas ed Episode G. Infine adoro il DS del Maestro Carabelli ma rimango sempre affezionato alla semplicità (e profondità) dell'originale e del doppiaggio fedele. Oltre questo ho 25 anni e sono personalmente combattuto dentro di me, visto anche che sono dominato dalla costellazione dove splendono suadenti Castore e Polluce.

Un abbraccio ed un'esplosione galattica a tutti voi.

Pagine: 1 ... 14 15 [16]